CON E SENZA “E” di Alessandra Caron
genere: FANTASY
Una chiocciola, non una lumaca!
Lei lo sapeva, ma gli altri si ostinavano a chiamarla lumaca.
Sì, in comune con la lumaca aveva la lentezza e ne andava fiera: il papà e la mamma le avevano insegnato che è preferibile fare poche cose ma fatte bene, senza frettolosità.
Lei era una chiocciola e la conchiglia sul dorso non era solo per bellezza, era una parte di sé importante, per rifugiarsi e difendersi dai pericoli, per ripararsi in caso di pioggia, vento, grandine, per stare al calduccio quando intorno c’era il ghiaccio.
Inoltre, serviva per riposarsi e per il letargo.
E per creare! Certo, perché lì dentro la nostra Chiocciola, che tutti chiamavano Hop, trovava lo spazio e il tempo per pensare a quanto le era accaduto, a ciò che aveva osservato e ascoltato.
Tutto le serviva per creare – nel suo pensiero – idee e racconti. A volte anche poesie.
Però, non lo aveva rivelato a nessuno, del resto nessuno glielo aveva mai chiesto. Tutti vedevano che lei a volte, anzi spesso, si rintanava nel suo guscio, ma avevano concluso che lei rimaneva lì semplicemente perché era freddolosa in inverno, stanca in primavera, vacanziera in estate, imbronciata in autunno.
Qualcuno le ripeteva:
«Basta restare rintanata, esci e va’ a fare una corsetta!»
Che consiglio bizzarro per una chiocciola. Come bizzarro era il suo nome, Hop.
“Hop” in inglese significa “salto”, lo aveva scoperto osservando dei bambini che giocavano nel prato: uno diceva “hop”, “hop”, “hop” e gli altri, con divertimento, saltavano come le rane. Ma lei mica saltava.
Quindi quel suo nome le sembrava poco appropriato, ma non ci dava più di tanto peso, in fin dei conti i genitori lo avevano scelto, di loro si fidava.
Quando si rintanava nel guscio, qualcuno addirittura si permetteva commenti sgarbati:
«Uffa, con quel guscio sempre appresso sei pesante».
Eppure, a lei quel guscio sembrava leggero.
Quindi, quando fu il momento, decise di trovare un posto nuovo, per sentire parole nuove. Ma dove?
Si ricordò di una zia che, quando lei era piccola, le raccontava di un luogo strabiliante, ricco di storie rilassanti. Ecco, era proprio lì che voleva andare ora che era grande.
Ma come arrivarci?
La strada era abbastanza lunga, le era sembrato di intuire dai racconti della Zia, e mai lei si era spostata dal prato di nascita. Le dispiaceva lasciare l’albero di nocciolo sotto cui aveva vissuto fino ad allora.
A volte, le cadevano le nocciole sul guscio; le talpe scavavano le buche; le galline razzolavano; il cane con il naso la faceva rotolare; i trattori facevano tremare la terra. Nonostante ciò, a quel posto – con il passare del tempo – si era affezionata.
A ben pensarci, ogni luogo ha le sue caratteristiche ed è inutile lamentarsi di piccoli inconvenienti.
Ad ogni modo, non sempre è possibile, o giusto, rimanere tutta la vita nello stesso posto. Tuttavia, nel cammino verso altri luoghi si rischia di incontrare dei pericoli…
…Queste e mille altre riflessioni affollavano il pensiero di Hop. Pensò, pensò, pensò e decise di partire, ricordava le spiegazioni della Zia:
«Se ti impegni, le soluzioni le troverai».
E anche:
«Gli affetti rimarranno nel tuo cuore, ovunque tu vada».
Salutò familiari e amici e all’indomani all’alba partì.
Alle ore dieci era solamente a metà del prato.
Si fermò sconsolata, di quel passo chissà quando ce l’avrebbe fatta.
Ma ripartì subito, pensando a una delle filastrocche che la Nonna creava:
«Non ti lamentare, non ti fermare, se continui a sperare arrivi dove vuoi arrivare!»
Che saggia la Nonna, da tutti benvoluta. E che incanto era ascoltare le sue storie un po’ realtà e un po’ fantasia: non si sapeva mai con certezza dove iniziasse l’una e dove finisse l’altra.
Finché procedeva, Hop ripensava alle storie ascoltate da piccola: tutte con il lieto fine.
Una favola in particolare le era cara e in quel momento le dava anche ottime idee per realizzare il suo viaggio.
Sul confine del prato c’era un vivaio, lo sapeva perché il vento portava ovunque le voci delle persone e le sentiva quando era spaparanzata sotto il nocciolo.
Dopo una giornata intera, Hop raggiunse il vivaio: il profumo e il colore dei fiori e delle piante la ripagava di ogni sforzo.
Aveva già una soluzione in testa, ma aveva bisogno di riposarsi, così dormicchiò cullata da tanta serenità.
All’indomani si mise all’azione, ancora una volta all’alba (intramontabile era il proverbio del Nonno:
«Chi ha tempo non aspetti tempo».
Si mise in ascolto dei discorsi che le persone attorno a lei facevano in continuazione, prima o poi avrebbe sentito delle parole utili, o almeno così sperava.
Passarono molti giorni, ma le parole giuste non arrivavano mai.
Hop stava per decidere di ritornare indietro, quando una notte in sogno ricordò la filastrocca che recitava uno zio, quello più allegro di tutti:
«Ascolta con attenzione, attendi con pazienza, non pensare alla delusione sennò finirai in un pentolone».
Quello Zio burlone ne inventava di tutti i colori. E aveva ragione, quella filastrocca al risveglio le strappò una risata. Per di più, di lì a poco, quando meno se lo aspettava, le parole che facevano al caso suo arrivarono.
Finalmente! Era un giorno primaverile, ricco di sole e di silenzio. Hop sentì una fioraia dire a un’altra:
«Oggi per favore consegna questi fiori alla biblioteca comunale. Anche questo Spatifillo, mi raccomando questo nel vaso più piccolo. Domani ci sarà la festa dei libri per inaugurare la nuova biblioteca».
Biblioteca! Sì! Era quello il posto strabiliante raccontato dalla Zia. O meglio, non sapeva se quella descritta dalla Zia fosse proprio quella biblioteca o un’altra in giro per il mondo. Ma poco importava: l’importante era che ci fossero tante storie rilassanti.
Piano piano, Hop si arrampicò lungo il vaso in terracotta e si adagiò sul terriccio dello Spatifillo: aveva le foglie brillanti e tre fiori bianchi appena nati. Era una meraviglia, era come essere in vacanza.
Rimase lì acquattata e aspettò con calma: era contenta di aver trovato la pianta giusta.
Sentì un sobbalzo, qualcuno aveva sollevato il vaso, Hop dovette impegnarsi a non perdere l’equilibrio, era come essere sopra l’ottovolante.
Sentì un rumore di sportellone che si chiudeva, poi il buio. Era dentro al furgone della fioraia, insieme a margherite, girasoli, rose, calle, peonie, gerbere, primule, mimose, gelsomini, gardenie … Il loro profumo la rincuorava, ma il buio a lei faceva paura lo stesso. Quindi, iniziò a ripetere tra sé e sé alcune rime strampalate che era solita inventarsi da piccola per fare le conte. Per esempio:
“Buio pesto non ti pesto, buio pesto a chi ti presto? Finché ci penso mangio una pasta al pesto! Volete che scappi o volete che resti?”
E anche:
“Chiudo gli occhi, rimane il sole che andarsene non vuole; apro gli occhi e ritrovo il sole a illuminare le viole”.
Inventare nonsense le aveva sempre messo il buonumore. Anche quel giorno.
Di lì a poco lo sportellone si riaprì e Hop si ritrovò dentro un salone così illuminato da sembrare una favola. Le grandi vetrate accoglievano la luce, i raggi solari era come se dicessero:
«Voilà, ammirate questi libri!»
Centinaia di libri su scaffali che ancora profumavano di legno.
Hop non aveva mai visto una ricchezza simile e si commosse. Era felice. Sentiva che quello era il posto giusto per lei.
Ma era ancora troppo presto per andarsene a zonzo e scoprire cose nuove. Meglio restare nascosta ancora un po’ e osservare il via vai di persone durante la festa dei libri. Quanti colori, profumi, accenti, punti di vista, quanta allegria in quei lettori che sfogliavano le pagine e si confrontavano sui libri letti.
Hop imparò molto.
Alla sera, quando la biblioteca chiuse e il silenzio era una musica armoniosa, Hop lentamente scese lungo il vaso di Spatifillo e raggiunse la scrivania della bibliotecaria che si chiamava Fulvia: lo sapeva perché durante la festa Fulvia era stata chiamata decine di volte per aiuti e consigli. Poi scese lungo la scrivania e iniziò a perlustrare il salone.
Le sembrava di andare più veloce del solito, forse perché il pavimento era liscio, di marmo.
Sul finire della notte, quando già il primo chiarore entrava attraverso un lucernario, Hop decise dove avrebbe fissato il suo nuovo posto: sotto lo scaffale con i libri per bambini. Lì c’era tranquillità, lì Hop avrebbe potuto dedicarsi alla creazione di poesie e racconti.
Però non solo nella sua mente… Ora lei li voleva perfino scrivere! Ma come sarebbe stato possibile? Si sa: le chiocciole non possono scrivere con carta e penna e tantomeno sanno usare il computer.
Ancora una volta, le filastrocche umoriste dello Zio furono utili:
«Prendi un pezzetto interessante da ogni persona: un pezzetto di idee di qua, un pezzetto di idee di là, un pezzetto di idee di su e di giù. Fai un gran respiro senza capogiro – per un po’ non pensarci più – mescola piano piano come la polenta… Se lo lasci quieto il tuo pensiero inventa!»
E così fu.
Hop di notte usciva dal suo posto e andava alla ricerca di fogli strappati, buttati, caduti a terra, abbandonati qua e là: fogli per appunti degli studenti; fotocopie finite dietro alla fotocopiatrice; liste della spesa sfuggite dalle tasche di persone frettolose; volantini inutilizzati che non avevano centrato il cestino; promemoria appallottolati; giornali dei giorni passati.
Perfino vecchi libri destinati al macero, ammonticchiati nello sgabuzzino.
E altro ancora.
Con pazienza raccoglieva, portava tutto nella sua nuova casetta, leggeva con attenzione. Pensava, pensava, pensava. Sceglieva le parole e poi di giorno piano piano le univa: inumidiva e incollava i pezzi con le sue “antenne”.
Passò il tempo e il primo giorno di primavera il suo racconto era finito.
Ci aveva messo quasi un anno (già un anno era passato!).
Non sapeva se il suo racconto fosse un vero racconto, come quelli contenuti nei libri della biblioteca. Non sapeva se a qualcuno sarebbe piaciuto. A lei piaceva. Non perché lei fosse un’esperta (non si è mai sentito di una chiocciola-esperta di letteratura) ma perché nello scrivere quel racconto era stata felice.
Parlava della sua vita, di quando era piccola e andava in villeggiatura su una barchetta, una foglia che galleggiava sull’acqua del fosso vicino alla sua casa. L’acqua era limpida, si poteva bere e le rane salutavano con il loro cra-cra. C’era talmente tanto silenzio che il cri-cri delle cicale, dopo pranzo, era un sottofondo dolce che faceva prendere sonno.
Quel racconto era breve, in effetti lei era proprio lenta come una lumaca. Ma era fiera di sé! Aveva scritto ciò che voleva, con sincerità. E scegliere le parole, tra tutte quelle che trovava qua e là, per lei non era stato facile: chissà se avrebbe potuto trovarne e usarne altre, si chiedeva sempre.
Decise di riposarsi per un po’ di tempo. Magari avrebbe potuto cambiare ancora una volta, raggiungere un altro posto. Chissà, magari andare in una biblioteca più grande (ma dove?), o in una biblioteca sperduta nella natura (ma esiste?), o addirittura in una libreria (ma lì sarebbe stata al sicuro?).
Ma, ma, ma, quanti ma, troppi ma. Lo diceva sempre il Nonno, lui che conosceva decine di proverbi:
«Con i se e con i ma la storia non si fa».
Mentre rimuginava, sentì un vociare irritato:
«Ah, che faticaccia. Anche le pulizie di primavera mi mancavano».
Hop non ebbe nemmeno il tempo di sentire la fine della frase che vide una scopa sfrecciare davanti a sé. E poi un’altra volta ancora. E ancora… con quegli spostamenti d’aria sembrava di essere nel mezzo di un uragano.
Intanto la voce irritata continuava:
«Mi tornerà il mal di schiena a forza di piegarmi, sì perché qui di polvere dietro agli scaffali ce ne deve essere proprio tanta! Con tutti questi libri, come si fa a pulire a fondo? Meglio prendere l’aspirapolvere».
Nel sentire ciò, Hop si nascose il più possibile e il più presto possibile, nell’angolo più in fondo dello scaffale.
Il foglio con il suo racconto, ahimè, rimase incustodito, non c’erano state le forze e nemmeno il tempo di portarlo in salvo.
Di lì a poco si udì un rumore di risucchio: era l’aspirapolvere che aveva catturato il foglio con il racconto. Di certo quella persona non avrebbe letto quel racconto, lo si capiva dalla voce sempre più irritata:
«Cos’è? Ah, carta straccia, da buttare!»
Afferrò il foglio, lo stava per gettare nel saccone della spazzatura, ma in un attimo ci ripensò: «Bah, magari sono degli appunti, non si sa mai che servano a qualche studente sbadato, per stavolta faccio un’eccezione».
E appoggiò il foglio sulla scrivania.
«Se domani lo trovo ancora qua, lasciato in giro come uno straccetto della polvere, lo getto!»
Hop tirò un sospiro di sollievo, il suo lavoro non era andato distrutto. Avrebbe solo dovuto, ancora una volta con lentezza e pazienza, andare a recuperare le sue parole sopra il tavolone, non appena la signora delle pulizie se ne fosse andata.
Ma, si sa, a volte le cose vanno diversamente da come le immaginiamo… La signora che, a quanto pare, era meticolosa, prese il foglio e borbottando “Chissà che così lo vedano meglio” lo appiccicò con lo scotch sull’armadio della bibliotecaria, con vicino un foglietto che precisava:
“Di chi è?????”, con cinque punti interrogativi che a Hop sembrarono esagerati.
Poi se ne andò.
La giornata era finita. Ed era finita anche la possibilità di recuperare il racconto.
A Hop non rimaneva altro che addormentarsi, per non pensare a quel dispiacere. All’indomani se ne sarebbe ritornata sotto il suo caro nocciolo, con le noccioline che facevano toc-toc sul guscio.
Alle otto del mattino, Fulvia aprì i balconi.
Faceva frescolino, una temperatura gradevole, né troppo caldo né troppo freddo.
Hop era già sveglia, anzi non aveva dormito per niente. Sentendo quella brezza le ritornò in mente il suo prato: in primavera con la rugiada luccicante sembrava un immenso specchio. E si commosse. Questa volta di tristezza.
Ma non ci fu il tempo di fare nessuna lacrima perché nel salone echeggiò l’esclamazione: «Uàu! Che bella!»
Fulvia aveva in mano il foglio con la storia di Hop e aveva un sorriso che non finiva più. Gli occhi erano lucidi, o almeno così sembrava a Hop.
La bibliotecaria più leggeva le parole di quella storia, più faceva complimenti, parlava come se ci fosse qualcuno ad ascoltarla, ma non c’era ancora nessuno, la biblioteca apriva alle ore 9.00. C’erano solo i libri. E Hop, ovviamente.
Ma Fulvia non lo poteva sapere. O chissà. Era una persona capace di ascoltare anche ciò che non si sente, ma esiste.
Però, suvvia, era impossibile che sapesse dell’esistenza di una Chiocciola che aveva messo la residenza in biblioteca. Qualunque persona se avesse avuto il sospetto della presenza di un “mollusco gasteropode”, prima lo avrebbe scovato e poi lo avrebbe preso e portato fuori, con modi gentili o purtroppo con modi scortesi. Ma ripetiamo: quella bibliotecaria era speciale.
A un certo punto, nel salone rimbombò la frase:
«Questo racconto mi ha emozionato!»
Hop rimase immobile come accade negli incantesimi, quella frase per lei era il premio supremo. Chiuse gli occhi, respirò a fondo e – come faceva sempre quando si sentiva in imbarazzo perché pensava di non meritarsi tanti complimenti – si rintanò nel suo guscio.
Rimase lì, in un misto di contentezza e incredulità, era come essere su una ruota panoramica senza vedere nulla.
Si assopì, stanca per la notte insonne.
Dopo un’ora si risvegliò, o meglio fu risvegliata dalle voci dei lettori che dalle ore 9.00 già si erano accomodati in biblioteca.
Nel dormiveglia, Hop continuava a risentire la frase:
«Questo racconto mi ha emozionato!»
Non capiva se fosse una sua impressione oppure la realtà. O forse nella stanza c’era l’eco (impossibile, l’eco finisce subito).
Mise la testa fuori dal suo rifugio.
Vide nove persone di varie età intente a leggere. Qualcuno riferiva a voce alta alcune frasi. Hop si rese conto che stavano leggendo il suo racconto. Forse stava sognando, lei al mattino non era una scheggia a mettersi in moto. Glielo aveva sempre fatto notare sua Sorella che al risveglio la spronava:
«Come on!»
Dove avesse imparato qualche espressione in inglese era un mistero. Sua Sorella si vantava di quelle conoscenze e quell’incitamento che lei traduceva in diversi modi – Dai! Andiamo! Forza! Muoviti! – lo ripeteva all’infinito. Fatto sta che la frase “Questo racconto mi ha emozionato!” non era un’impressione, nemmeno l’eco e nemmeno una fantasia. Era la realtà. Hop lo capì quando Fulvia disse:
«Mi piacerebbe conoscere l’autore, o l’autrice, di questo racconto».
Ops, e adesso che fare?
Ammesso che Hop avesse avuto il coraggio di uscire allo scoperto, come avrebbe potuto comunicare con gli esseri umani? Lei non aveva girato il mondo, non era poliglotta. Lei sapeva ascoltare, non parlare altre lingue oltre alla sua. E comunque non si è mai vista una Chiocciola parlare in pubblico. Problema.
Ma “Dietro ogni problema c’è un’opportunità”, così un giorno una giovane lettrice aveva detto citando, le sembrava, un certo Galileo Galilei.
Nel sentire questa frase, Hop era rimasta molto dubbiosa, le sembrava troppo ottimista, poco reale. E invece, quel giorno magico, capì che diceva il vero, visto che in quattro e quattr’otto Fulvia trovò la soluzione. Esclamò:
«Non importa sapere chi ha scritto queste parole. Secondo me è tra noi, sennò come avrebbe potuto finire qua questo foglio? Magari è qualcuno, o qualcuna, che per timidezza preferisce restare in pace, non farsi pubblicità. L’importante è ciò che ha scritto. Comunque, secondo il mio parere, se ha lasciato il suo racconto in un luogo pubblico, significa che ha piacere di divulgarlo».
Un signore anziano, a mezza voce quasi avesse timore di dire la sua opinione, precisò:
«E se l’autore, o l’autrice, invece non volesse rendere pubblico il suo racconto? Magari il foglio è capitato sotto i nostri occhi solo perché lui, o lei, l’ha perso».
Ma Fulvia, con i suoi super-poteri del pensiero, trovò subito un’altra soluzione:
«Facciamo così, lascio il racconto qui su questo tavolino per bambini, facile da raggiungere… Se domani lo trovo ancora qui me ne prenderò cura io!».
Sembrava che Fulvia stesse parlando proprio a Hop, ma, a questo punto della vicenda, Hop non era più in grado di distinguere la realtà dalla fantasia: era talmente meraviglioso ciò che stava accadendo che quasi rischiava di non essere vero.
Passò la notte.
Il foglio con il racconto rimase là.
Quella volta Hop decise di credere ai sogni.
Di fatto, i libri che per un anno l’avevano circondata e coccolata con parole importanti le avevano insegnato a guardare il mondo con occhiali colorati. Le lenti sono varie, i colori sono tanti.
All’indomani, Fulvia arrivò presto, evidentemente anche a lei piaceva l’alba e anche lei preferiva non perdere tempo. Vide il foglio al suo posto e sorrise come per dire:
«Ero certa che sarebbe andata così!»
Era sabato, giorno di vacanza. Sulla porta all’esterno c’era l’avviso “Chiuso”.
Prese il foglio, si sedette davanti al computer e ricopiò il racconto di Hop.
Ci mise parecchio tempo, lei era una persona precisa, voleva essere sicura di capire con correttezza le parole scelte da Hop.
Al termine, esclamò soddisfatta:
«Voilà, ora invio!»
Clic sul computer e partenza del racconto!
Per andare dove, Hop non lo sapeva. Lo scoprì perché la bibliotecaria aveva il grande pregio di dire i suoi pensieri in modo chiaro:
«Il racconto sarà pubblicato in un libro. E questo libro troverà posto qui e altrove insieme agli altri!»
Hop se avesse potuto avrebbe saltato.
Invece rimase con il fiato sospeso perché Fulvia riprese a parlare tra sé e sé, a voce bassa ma comprensibile:
«Domani andrò al vivaio qui vicino per far interrare lo Spatifillo in un vaso più grande, sta crescendo. Vorrei anche acquistare alcune piante di Spatifillo per la mia casa, secondo me portano fortuna».
Ancora una volta era come se Fulvia non stesse parlando a sé, ma a qualcuno nei paraggi, a Hop. O forse era solo frutto della fantasia di Hop, ma andava bene così.
Di notte, Hop salì lungo il vaso di Spatifillo che Fulvia aveva posato a terra vicino al divanetto morbido, quello per i bambini. Si accomodò sul terriccio e dormì di un sonno profondo, come mai le era capitato. Talmente profondo che si svegliò quando ormai Fulvia era già arrivata al vivaio. Talmente profondo che non si ricordava di aver preso sonno su una foglia mentre si dondolava come fosse su un’amaca.
Sentì Fulvia che diceva alla fioraia:
«Grazie, allora passerò tra una settimana verso quest’ora a prendere nove piante di Spatifillo per la mia casa. Quello della biblioteca, per favore, lo metta in un vaso più grande, di colore fucsia. Prima di lasciarlo, però, tolgo un paio di foglie che sono appassite».
“Ecco, ora sarò scoperta e patatrac fine del sogno” si allarmò Hop. Si sentì sollevare… Lei, che non aveva mai viaggiato, in quel momento volò e la foglia-aereo atterrò senza pericolo su un manto morbido: era il suo prato! Lo riconobbe dal profumo.
Partì l’auto di Fulvia, direzione: la biblioteca. Partì anche Hop, direzione: il nocciolo.
Ci volle l’intera giornata, ma come era solito dire il Nonno:
«Chi va piano, va sano e va lontano».
Sotto il nocciolo, ritrovò amici e parenti.
Tutti stentavano a riconoscerla, la vedevano cresciuta, le facevano mille lodi.
Lei per timidezza come d’abitudine avrebbe voluto rintanarsi nel guscio, ma quella volta decise di non fare così. Era commovente ricevere tutti quei complimenti affettuosi.
Rimase una settimana, raccontò ciò che aveva vissuto nella nuova residenza. Raccontò soprattutto della magia – lei la definiva così – del racconto diventato famoso. Parenti e amici erano felici nel sentire ciò.
Fu una settimana spensierata. Ma arrivò l’ora di ripartire.
Fulvia era nota per la sua puntualità, quindi Hop per sicurezza si prese per tempo e raggiunse il vaso fucsia con un’ora di anticipo.
Prima di pranzo erano già di ritorno in biblioteca.
Fulvia adagiò lo Spatifillo sul tavolino della sala lettura per bambini e disse:
«Piante e libri vanno a braccetto: sono vita. Ora i fiori sbocciati sono nove! D’ora in poi, ogni tanto andrò in vivaio a prendere qualche fiore che mi colori la giornata. E due volte all’anno di sicuro lascerò per una settimana lo Spatifillo alla fioraia per un controllo, voglio essere sicura che si mantenga in salute. Questo Spatifillo d’ora in poi si chiamerà Hope cioè Speranza! Attendere ogni anno la sua fioritura mi dà fiducia… Fiducia che gli avvenimenti attesi e graditi prima o poi succedono».
“Hope? Speranza? Suona quasi come Hop, il mio nome? Ma allora io sono Hope oppure Hop?”, iniziò a interrogarsi la nostra Chiocciola.
Questa domanda si impiantò nel suo pensiero. La parola “speranza” lei l’aveva sentita spesso nella sua infanzia. Era in una ninna-nanna che le Nonne-Chiocciole cantavano dopo cena, quando in cielo ci sono le stelle. Aveva varie melodie, ma le parole erano sempre le stesse. Faceva così:
Dov’è la Speranza?
Cercala ovunque, in ogni stanza.
Chiamala con voce squillante:
risponderà timida o brillante…
È la voce di mamma, di papà:
un abbraccio quando sei in difficoltà.
È la voce di nonna, di nonno:
l’augurio per un quieto sonno.
È la voce delle amicizie:
il dono di belle notizie.
È la voce dell’insegnante,
ripete: “Tu sei importante”.
È la voce di chi incontrerai
e dirà: “Forza! Ce la farai!”
La melodia-della-speranza da quell’istante non uscì più dalla testa di Hop, iniziò a canticchiarla varie volte al giorno… Anche le parole sanno fare compagnia.
Come promesso, dopo pochi mesi Fulvia una sera mentre stava chiudendo i balconi della biblioteca disse, con voce rassicurante, sempre come se volesse che qualcuno (o qualcuna) la sentisse:
«Domani andrò al vivaio a prendere delle piante e a portare in villeggiatura lo Spatifillo». Subito dopo, nella sala ormai al buio, echeggiò una sonora e simpatica risata, di quelle che contagiano. Rise anche la nostra Chiocciola – quasi che le due avessero comunicato in codice come fanno le amiche – e ovviamente memorizzò l’informazione.
Il giorno dopo, Fulvia, lei e lo Spatifillo erano nell’auto diretta verso il prato.
A dirla tutta Fulvia alla guida era spumeggiante, faceva le curve per risalire la collina con un certo sprint.
Hop riuscì così – ancora una volta – a rivedere il posto della sua infanzia.
Fu così per gli anni a seguire: grazie alla genialata di Fulvia, ogni tanto Hop poteva fare ritorno al prato natio, riabbracciare parenti e amici e narrare loro i suoi nuovi racconti, pure quelli diventati famosi!
Eh sì! Perché Hop continuò a scrivere, con il suo stile… A volte creava racconti e poesie che piacevano a tanti, altre volte che piacevano a pochi, ma non badava alla quantità. Per lei l’importante era sentirsi felice mentre scriveva, non le interessavano il successo (non si svelò mai al pubblico); i soldi (cosa se ne farebbe del denaro una Chiocciola?); gli apprezzamenti di certe persone esperte (se c’erano li considerava un regalo, se non c’erano lei restava la Hop di sempre).
Per il resto, aveva già tutto: una residenza creativa; gli elogi di Fulvia che non perdeva occasione di parlare tra sé e sé a voce alta; la compagnia discreta dei lettori di tutte le età che frequentavano con rispetto la biblioteca; gli affetti delle amicizie e dei familiari rimasti nel prato.
Con il passare del tempo andò addirittura sui ripiani più alti degli scaffali, era curiosa di scoprire vari libri, le sembrava di fare progressi. Però non si dava pace per una questione: il suo nome era Hop oppure Hope?
In uno dei ritorni nel prato d’origine rivolse questa domanda alla Sorella, quella che sapeva qualche parola in inglese, quella che aveva undici anni più di lei.
La Sorella con fare sicuro rispose:
«A noi è stato detto che Hop significa Speranza, è il nome che piaceva a tutti in famiglia! Ce lo ha suggerito il vicino di prato, quello che ha girato il mondo nello zaino di un ragazzo poi diventato adulto, ricordi?»
Lei non ricordava quella Chiocciola-viaggiatrice, e tantomeno lo zaino, ma non si applicò per ricordarsi tale particolare. L’importante era aver risolto il dilemma, ora sapeva che lei era Speranza. Ma Fulvia, che aveva studiato perfino in Inghilterra, per dire Speranza pronunciava Hope, non Hop.
Non fu difficile capire come era avvenuto il tutto: la Chiocciola-viaggiatrice nei suoi viaggi aveva imparato un inglese alquanto personalizzato, nel senso che la pronuncia non era del tutto corretta. Quindi pronunciava Hop invece di Hope. E tutti a ripetere Hop, anche se nella loro testa e nel loro cuore volevano dire Speranza.
Interessante! Sarebbe stato lo spunto per un suo nuovo racconto.
Ma “Sciolto un nodo, si ingarbuglia un altro filo” (questo proverbio lo aveva inventato lei) … Ora lei doveva considerarsi: Hop oppure Hope?
Lei non saltava, ma il suono Hop le era divenuto familiare e per di più era divertente perché le ricordava i bambini che giocavano nel prato. Al tempo stesso, Hope era un nome significativo: come dicevano i latini “il nome è un presagio, un augurio, un destino” (Yes! Quanti concetti aveva imparato nel Residence Biblioteca).
Ancora una volta, Fulvia giunse in aiuto.
Un giorno, mentre metteva in ordine i libri urtò il tavolino, lo Spatifillo sembrò quasi fare un salto, stava per cadere ma Fulvia con un gesto da fare invidia a un prestigiatore lo salvò, acciuffando il vaso fucsia sempre brillante. Dopo averlo rimesso al suo posto, insieme a tante scuse per essere stata maldestra, disse con la sua consueta voce cristallina, seguita da una risata spontanea:
«Mai visto finora uno Spatifillo capace di saltare! Da oggi in poi lo chiamerò Hope-Hop, Speranza salterina! Una Speranza-che-salta mi sembra davvero vivace, piena di vita!»
“Cosa? È possibile che Fulvia senta le idee, le domande, i dubbi che ci sono nella mia testa? Impossibile!”, si domandò sbigottita la nostra Chiocciola.
E mentre lei aggiungeva questa domanda alle altre, Fulvia all’improvviso esclamò:
«Trovata! Ti nascondevi, eh? Ti cercavo da tempo!» e si chinò.
Si sedette a gambe incrociate sul tappetone nell’area dedicata ai bambini. Rimase per qualche minuto a fissare una pagina, quasi fosse la cosa più preziosa di questo mondo.
«Eccola! La filastrocca Perché si parla? – di Gianni Rodari».
Si sistemò gli occhiali e sussurrò come si fa con i segreti:
Seguendo le tue parole come tracce sul sentiero sono entrato nella tua testa, ho visto ogni tuo pensiero, ho visto che passavano le cose che tu dici. Segno che sei sincero, leale con gli amici. I miei pensieri e i tuoi si sono stretti la mano; in due si pensa meglio, si va più lontano.
Hope si commosse di felicità e si spaparanzò su un libro morbido.
I raggi di sole facevano toc-toc sul guscio.
Magia di certe parole.
Da quell’istante, lei si sarebbe chiamata Hope-Hop! Oppure Hop-Hope… Ognuno decida a modo suo, l’importante – per quanto lento sia il cammino – è non fermarsi mai e continuare ad avere Speranza.
CON E SENZA “E” di Alessandra Caron
genere: FANTASY