MENTE CRIMINALE di Valentina Quarona

 …Era giunto l’epilogo, il capolinea, il finale, per triste che fosse.

Con le mani sul volto solcato da profonde rughe, le guance rigate di calde lacrime, sospirò.

Rifletté sulla sua vita ormai trascorsa, sui suoi errori, sulle parole non dette, gli inganni, le malefatte.

Tutto gli parve un errore ingiusto e iniquo.

Eppure, era la sua esistenza costellata di atti criminosi, bugie, false amicizie, sorrisi beffardi e sotterfugi.

Fu così che il vecchio gangster fece i conti con la sua coscienza.

Mai seppe di averne una, ma con gli anni si era smussato il carattere, la tempra, era divenuto nostalgico e malinconico.

Chiuso nel silenzioso bunker che lo proteggeva dalla legge che lo attendeva per arrestarlo.

Era arrivato il momento: qualcuno aveva “cantato” come si diceva tra le cosche mafiose.

Fu così che udì il suono delle sirene e vide i lampeggianti.

Era solo!

Lo arrestarono e la vita gli scorse davanti agli occhi come un lampo.

Vittime e carnefici, piani, nascondigli, fughe, cambi di identità, a nulla era valso, ormai dopo anni di menzogne era terminato tutto.

Un ultimo istante gli fece riaffiorare alla mente quando da bambino la mamma lo chiamava per mangiare in quella piccola casa con tanti fratelli e sorelle.

Odore stantio di cibo, povertà, miseria.

Il padre despota, quando c’era nessuno fiatava.

Si interruppero le corse nei campi, i lanci delle palle fatte di stracci legati tra loro, le giravolte delle trottole fatte di legno, tutto tacque.

Silenzio, poi la vide: sua mamma, dolce, mansueta, silente riversa nel suo stesso sangue.

Iniziò tutto da lì: lo uccise con la stessa pistola con cui l’aveva stancata la sua amata madre.

Erano tutti orfani e vennero affidati ad un orfanotrofio i cui vennero facile preda della malavita locale.

Nulla di più scontato.

Niente che già non si fosse sentito.

Ora penzolava immobile agganciato ad un lenzuolo, il volto riverso sul torace, gli occhi vitrei.

Non l’avrebbero mai avuto!

Lui era nato libero, e mai nulla avrebbe cambiato questa realtà.

La vita triste, opprimente gli scivolò via in un soffio mentre esaltava il suo ultimo respiro nella sua cella di isolamento.

Nessuno a piangerlo, nato, vissuto e morto solo.

Uno dei tanti nessuno, che fece errori seppur gravi, dettati da una situazione di indigenza, maltrattamenti, anaffettività infantile, abbandono e solitudine.

Che altro finale ci sarebbe potuto essere?

Ignoranza, gente che faceva finta di non vedere, menefreghismo di un mondo freddo e crudele quanto il suo destino che pareva già scritto nella baracca dove nacque, crebbe e che abbandonò da sorvegliato speciale per poi perpetrare i suoi crimini in un’escalation di violenza pari solo alla rabbia che gli cresceva dentro.

Era dipartito subito e quando l’aveva scelto lui.

Lo seppellirono in una fossa comune e solo dopo trovarono il diario con la sua storia racchiusa all’interno, come a liberare il macigno che da sempre lo opprimeva nel petto.

Ora era libero finalmente da tutta la sofferenza propria ed inferta al prossimo.

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