ARGENTIUS di Elisa Panunzio (seconda parte)

genere: FANTASY

IL SALICE, IL ROSETO E IL RUSCELLO

Angelica si librava leggera nell’aria fra volteggi e capriole, assomigliando in modo incredibile ad una leggiadra ed esile libellula. Le gambe e le braccia si avvolgevano e si slegavano ripetutamente dai lunghi nastri e dalle corde colorate che pendevano dal tendone del circo a strisce rosse e bianche.

Con il passare degli anni la bambina aveva appreso in maniera formidabile l’arte circense. Il suo corpo snello e sottile si intrecciava con i nastri, come un groviglio di ragnatele. Anche osservandola attentamente, era difficile distinguere gli arti dalle corde, poiché Angelica si muoveva veloce e gli occhi faticavano a tenere il ritmo dei suoi spostamenti.

Una decina di metri più sotto, anche Theresa e Rosario stavano attuando la propria esibizione. La donna danzava, facendo roteare la gonna del lungo abito rosso fuoco e picchiettando a terra sonoramente punte e tacchi delle scarpette in vernice nera, producendo un ritmo incalzante e frenetico. Invece, Rosario stava immergendo il pubblico in un clima di forte suspence, infilandosi una lunghissima sciabola affilata dritta in gola, mentre si batteva le mani sul petto similmente ad un gorilla.

Gli spettatori tenevano gli occhi spalancati e trattenevano il respiro.

Dopo che i tre artisti ebbero terminato i propri numeri, fu la volta di Cindy, che si presentò con un triplo salto mortale, lanciandosi da un trapezio all’altro, con la stessa abilità di una scimmia sui rami di un albero.

E infine, toccò anche a Beppe e Karl, i quali resero completo lo spettacolo, gettando in aria birilli e palline e intrattenendo un impressionante gioco di prestigio.

La gente era in pieno delirio e si scatenò con applausi e grida entusiaste, porgendo complimenti e ringraziando la compagnia circense con lanci di monete in mezzo all’arena.

«Tutto questo è merito suo, signor Grossi» esclamò Beppe, manifestando apertamente soddisfazione e riconoscenza.

«Non sia sciocco! Il successo parte da voi» rispose Grossi, leggermente compiaciuto.

«Da quando lei ha deciso di promuovere e finanziare la nostra compagnia, permettendo che ci ingrandissimo e diventassimo più famosi, gli affari procedono a gonfie vele» aggiunse Theresa, mentre stringeva calorosamente la mano del loro benefattore.

Il signor Grossi sorrise con cortesia e perfettamente consapevole di aver fatto un ottimo investimento:

«Siete voi ad essere eccellenti e ad attirare decine di spettatori grazie alle vostre capacità e alle vostre… emh… caratteristiche eccezionali».

L’uomo si era convinto dell’affare quando aveva visto Angelica per la prima volta. Il suo cuore si era sciolto e ammorbidito come panna, nel trovarsi innanzi ad una creatura tanto tenera, inducendolo ad offrire aiuto al gruppo. Se così non fosse accaduto, si sarebbe rivelato estremamente difficoltoso provvedere alle cure della piccola, con i pochi soldi a disposizione.

Tuttavia, solo negli ultimi anni gli artisti avevano potuto esibirsi senza timore, ossia dopo la liberazione italiana da parte dell’esercito americano. In precedenza, l’angoscia accompagnava le performances come un’amica famelica.

Il signor Grossi si era legato molto ad Angelica e aveva sviluppato verso di lei un affetto paterno. Per egli, Angelica era divenuta un tesoro grande e prezioso quanto lo era anche la nipotina e l’uomo le aveva più volte domandato di stabilirsi a vivere con loro.

Ma la piccola voleva molto bene alla propria attuale famiglia, composta da persone che l’avevano sempre accudita fin da neonata e perciò non le importava vivere in una ricca villa se ciò avrebbe significato abbandonare l’accogliente carovana.

Ormai, Angelica aveva compiuto l’ottavo compleanno e si era trasformata in una splendida bambina. I capelli neri e folti le erano cresciuti lungo tutta la schiena e gli occhi di zaffiro erano grandi e intensi.

Ma ciò che colpiva maggiormente di lei era la sua grazia nei movimenti e nella camminata. Quando passeggiava, pareva danzasse sopra l’acqua perché appoggiava le punte dei piedi a terra con assoluta delicatezza. Non si impegnava nel farlo, ma ogni gesto le veniva spontaneo e naturale.

A coronare tale bellezza erano anche gli allegri vestitini che Theresa cuciva per Angelica.

La bambina era cresciuta forte e sana, bevendo latte e mangiando tanto pane: questi erano stati gli alimenti più facilmente disponibili in tempo di guerra.

Fortunatamente, grazie al sostegno economico favorito dal signor Grossi, ora la famiglia di Angelica poteva ben disporre anche di altre pietanze.

Cindy e Angelica avevano ottenuto la possibilità di studiare e andare a scuola e la bambina frequentava la terza elementare in una scuola pubblica della città. Poiché Cindy non aveva frequentato la scuola elementare, era assistita da un maestro privato che le faceva apprendere le diverse materie e discipline. Egli le insegnava venendo presso la carovana due volte a settimana per le lezioni.

 Anche Cindy era cambiata ed era diventata una donna di ventuno anni. Numerosi giovanotti la ammiravano mentre si esibiva come acrobata e uno dopo l’altro le avevano proposto di darsi appuntamento.

Nonostante le continue attenzioni e premure da parte loro, Cindy riteneva di essere ancora troppo giovane e desiderosa di fare carriera, per impegnarsi in una relazione che l’avrebbe distratta e le avrebbe dimezzato il tempo per dedicarsi alla professione che amava.

Gli anni erano trascorsi un po’ per tutti e la chioma di Beppe lasciava intravedere qualche capello bianco intorno ad alcune chiazze del cuoio capelluto.

Rosario era ancora l’omone forte e muscoloso di un tempo, mentre Theresa era rimasta agile, ma qualche ruga decisa era comparsa sul suo viso e la sua barba si era fatta grigia.

Il vero cambiamento lo aveva subìto Karl: il vecchio zoppicava e si era incurvato, oltre ad essere diventato quasi cieco. Sebbene praticasse ancora i giochi di prestigio, la sua lentezza nei movimenti dell’esecuzione e la perdita di concentrazione si erano accentuate. L’ansia di essere catturato e deportato nei campi di concentramento insieme alla propria famiglia, gli avevano provocato parecchi attacchi di panico e sbalzi di pressione, nuocendo alla sua salute. Nonostante ciò, il vecchio Karl era ancora in grado di camminare e non aveva bisogno del bastone a sorreggerlo.

Al termine di quell’ultima straordinaria esibizione, il gruppo si ritirò nella carovana per godere del meritato riposo.

«Sei stata bravissima, Angelica!» strillò Cindy abbracciando la bambina.

«Mai quanto te!» rispose la piccola, mostrando un sorriso dalla dentatura bianca e perfetta. Era impossibile capire il motivo per cui Angelica potesse essere talmente perfetta in ogni aspetto: i denti bianchissimi illuminavano la pelle morbida e profumata del suo limpido volto; i capelli leggeri come seta sembravano essere cosparsi di preziosa polvere brillante dorata e argentata.

Chiunque amava perdersi nei suoi occhi color zaffiro, considerandolo un meraviglioso passatempo.

Inoltre, la bambina era sempre molto gentile ed aveva preso lezioni di galateo nella villa del Signor Grossi. Anche i compagni di scuola e gli amici la adoravano e volevano sempre giocare con lei. La maestra apprezzava l’intelligenza e l’impegno di Angelica che considerava una studentessa modello, desiderosa e curiosa di conoscere nozioni nuove.

Uno dei bei pomeriggi estivi seguenti, Cindy decise di portare Angelica ai giardini, poiché l’afa era diventata insopportabile ed entrambe sentivano la necessità di stare un po’ al fresco.

Il parco era immenso e i numerosi alberi offrivano un tiepido riparo, sovrastando gran parte del terreno erboso come un tetto verde.

Le due fanciulle si sedettero all’ombra di un salice piangente dalle ampie dimensioni, che riversava le foglie nelle acque di un sottile ruscello. Attorno alla pianta cresceva un roseto rigoglioso.

A pochi metri, alcuni bambini si divertivano giocando allegramente con gli aquiloni, le biglie e la palla. Scrutando i loro visi innocenti, si leggeva ancora la sofferenza lasciata irrimediabilmente dalla guerra, dalle violenze, le privazioni e la fame.

Quel giorno, Angelica non desiderava giocare ed era piuttosto silenziosa, rifiutando anche l’invito dei bambini di unirsi ai loro divertimenti. Ella osservava rapita in direzione del salice e ascoltava il lento scorrere dell’acqua nel ruscello.

Cindy leggeva un libro, mentre il canto soave di alcuni uccellini donava armonia e rendeva serena l’atmosfera.

Improvvisamente, Angelica si alzò in piedi e si incamminò in direzione del ruscello.

«Non allontanarti troppo!» raccomandò la voce ormai lontana di Cindy.

Angelica era affascinata da quel luogo, che esercitava su di lei un’attrazione magnetica. La bambina girò intorno al roseto e si avvicinò al tronco del salice, respirando il profumo dei fiori, così intenso e inebriante. Quell’angolo era un vero e proprio paradiso sia per i colori ed il profumo, sia per la calma che emanava e che trasmetteva nell’animo. Le rose erano bianche e quel colore così puro ben si incontrava con la presenza di Angelica.

La bambina si sedette delicatamente sull’erba per ascoltare i suoni della natura e per cercare di percepire la voce silenziosa di quell’area magica e incantata.

Trascorsero parecchi minuti in cui tutto rimase immobile e apparentemente immutabile. In realtà, gli insetti ronzavano nell’aria e i piccoli animaletti scorrazzavano veloci sottoterra.

Un lieve venticello si alzò, facendo dondolare le foglie del salice, increspando le acque del ruscello con piccole onde e sollevando i capelli neri di Angelica.

Poco dopo, tutto piombò nel silenzio più assoluto e tutto si arrestò all’istante. Gli uccellini interruppero la loro melodia, gli insetti cessarono di ronzare rumorosamente, il vento non fischiava più e nemmeno si udiva lo scroscio delle acque del ruscello.

Dapprima, la piccola non fece caso al cambiamento, ma poi si rese conto che ci fosse qualcosa di strano.

D’un tratto, tutto si staccò dalla realtà, come se quel piccolo angolo del giardino facesse parte di un’altra dimensione, un mondo ultraterreno lontano dall’esistenza umana. Niente pareva più mortale e imperfetto, ma imperituro e sovrannaturale.

Angelica non badava minimamente a Cindy, seduta a qualche decina di metri di distanza persa nella lettura e nemmeno alle risate ed ai sonori schiamazzi dei coetanei. La sua attenzione fu catturata da un guizzo e da una scia luminosa, che fuoriuscì con velocità fulminea dal groviglio di gambi delle rose.

Dopodiché, non successe nulla per qualche minuto e Angelica dovette aspettare che una seconda scia uscisse nuovamente dallo stesso punto. E così avvenne ancora per una terza scia, una quarta, una quinta, una sesta ed una settima, finché le scie divennero troppe per poter essere contate.

La fanciulla assisteva attonita all’insolita scena come di fronte ad uno spettacolo di fuochi artificiali e non osava spostarsi di un solo millimetro. Oltre che incredula, si sentiva anche leggermente spaventata, poiché non capiva da dove provenissero tutte quelle luci e soprattutto cosa fossero. Non poteva trattarsi di semplici lucciole, poiché non era buio. Invece, queste luci scintillanti e così accese emanavano un bagliore più potente e assai particolare. Non si trattava di sola luce dorata, perché di essa facevano parte le sette tonalità dell’arcobaleno con tutte le differenti sfumature. I colori rilucevano come diamanti, proiettandosi sugli oggetti circostanti e facendo risplendere il volto di Angelica.

In quell’istante, l’angolo di paradiso in cui stavano il salice, il roseto e parte del fiumiciattolo si sollevò dal terreno, racchiuso da una sfera simile ad un pianeta. Angelica si ritrovò sospesa in un mondo ultraterreno ed intorno a sé vide le stelle e lo spazio.

Tutto ciò pareva incredibile perché di quello che c’era prima al posto dell’universo, che ora avvolgeva la sfera come un manto, non rimaneva alcunché. I bambini, le altalene, lo scivolo, le panchine, gli alberi e persino Cindy erano inspiegabilmente scomparsi. Una melodia che giungeva dall’etere e da un luogo celestiale cominciò a diffondersi attorno. La dolce musica sembrava giungesse direttamente dal paradiso, suonata e intonata da un coro di angeli.

Tutto era immobile. Nulla di imperfetto esisteva per compromettere quel clima tanto tranquillo ed equilibrato.

Angelica percepiva un profondo senso di pace, interamente a proprio agio con sé stessa e con gli elementi della natura intorno.

La musica cominciò a farsi più chiara e le parole maggiormente comprensibili. Le voci che cantavano erano tutte femminili e accordate come strumenti. Al canto si aggiunsero anche violini, arpe e flauti, i quali si sorreggevano e suonavano da soli.

Angelica riuscì a distinguere molte parole pronunciate dalle voci di donne che cantavano allegre e ad apprenderne il significato. “In un futuro non troppo lontano giungerà una Salvatrice a liberare il mondo magico di Argentius dalla guerra, dai soprusi e dai massacri, che giorno dopo giorno si abbattono senza limite sui popoli residenti”.

Lo spettacolo si protrasse lungo attimi infiniti.

Non era possibile rendersi conto del tempo che passava poiché tutto era giustamente collocato immobile ed imperituro al centro del nulla. Il tempo e lo spazio non erano elementi che designavano concetti valutabili e neppure le distanze fra i diversi pianeti, gli astri ed i corpi celesti possedevano valore calcolabile, poiché niente di ciò che riguardasse il mondo terreno era valutabile ed importante in riferimento al mondo ultraterreno.

Angelica restò a fissare le luci, senza più pensare ad altro. La sua anima era spensierata e libera da qualsiasi preoccupazione. Le luci iniziarono a fluttuarle attorno al capo ed alle spalle, formando un turbine che vorticava sempre più rapido.

Poi, il movimento rallentò e all’interno della scia si cominciarono a distinguere minuscoli materiali e fragili corpicini dorati. La polvere si disperse e gli occhi della bambina furono in grado di individuare delle immagini, seppure non fossero veramente nitide.

La fanciulla pensò si trattasse di sassolini e piccole pietre di corpi celesti, ma dopo capì che i corpicini non avevano forme circolari, rotonde o magari appuntite come rocce. Infatti, essi apparivano ora più simili a bastoncini e le figure possedevano una forma allungata. Questi bastoncini potevano misurare i dieci centimetri, ma l’alone di luce che li attorniava si espandeva per un diametro di almeno cinquanta centimetri.

Finalmente, quando i corpi si arrestarono e decisero insieme di uniformarsi e amalgamarsi in un unico punto, Angelica apprese che non si trattava affatto di bastoncini, ma di minuscole creature dal corpo umano.

Assomigliavano a fatine e folletti.

Mantenendo la concentrazione sulle fate, Angelica non ne era intimorita e spaventata, ma attratta.

Esse ricambiavano gli sguardi e rimanevano sospese, battendo delicatamente le ali variopinte che spiccavano sulle loro schiene. La pelle era rosea e lucente, quasi come fosse stata costruita con il vetro e le chiome completamente cosparse da brillanti e scintille. Le fate indossavano corte tuniche che ricoprivano dolcemente il loro busto e il bacino. Erano state cucite con petali di fiori e ai piedi portavano calzature di diverse forme: stivaletti in foglie e rametti, ballerine di diamante, sandali con pietre preziose incastonate nel cuoio e scarpette con polline e fili d’erba.

Angelica non osava parlare, ma nemmeno sapeva cosa fosse più appropriato dire in quell’attimo così speciale ed incredibile. L’emozione che trapelava dal cuore della bambina era indescrivibile.

Parecchi eventi si erano manifestati in pochi attimi e avevano svolto il loro corso, lasciandola sbalordita. Tuttavia, quando il silenzio si fece interminabile e né le fate, né la fanciulla avevano ancora preso l’iniziativa, una fata si fece avanti e si pose di fronte ad Angelica.

Attraverso un rapido volteggio, diede vita ad un altro vortice di stelle dorate e argentate, mentre da una palla di polvere magica, cominciò a prendere forma uno strano oggetto.

In realtà, gli oggetti erano due: il primo era un pennello dalla forma finemente affusolata, molto leggero e maneggevole, sebbene fosse costituito di diamante e smeraldo; il secondo oggetto era una tela quadrata dell’area di un metro.

Angelica sgranò gli occhi e rimase con un palmo di naso, essendo piuttosto stupita per aver ricevuto quei regali inaspettatamente. Tentò di ringraziare e aprì la bocca, ma incredibilmente non fuoriuscì alcun suono da essa. La bambina non era in grado di parlare e non ne capiva la ragione. Ma un canto soave la avvertì:

«A causa della mancanza di atmosfera, la voce umana non può manifestarsi per essere udita». Ma come poteva essere possibile allora che ella respirasse senza problemi?

Le fate risposero:

«Tutto dipende dalla magia e dalle polveri dorate, le quali ricoprono l’intera sfera come un’enorme rete da pesca». La bimba spostò lo sguardo su ciò che teneva fra le mani, chiedendosi a cosa servissero tali strumenti, se non al semplice e comune scopo di dipingere. Ma non doveva essere questo il loro utilizzo, perché si sarebbe dimostrato troppo banale ed ella era certa che le fate conoscessero la loro vera utilità.

La fata davanti ad Angelica parlò:

«Dovrai dipingere, ma quando verrà il momento opportuno. Quando ce ne sarà la necessità, capirai da sola quale soggetto rappresentare o chi altro lo farà al posto tuo. Ogni cosa assumerà il proprio significato e niente ti sarà incomprensibile».

Le fate non vollero spiegarle il motivo del loro gesto, né perché si fossero rivolte a lei per consegnarle il pennello e la tela per dipingere.

Tutto cessò così come era iniziato e per mezzo di un ultimo vortice di luci colorate e scintillanti come il diamante, il salice, il roseto ed il ruscello si ritrovarono nell’esatta posizione da cui erano stati sollevati prima.

Un po’ scombussolata e tremante, Angelica riuscì di nuovo a percepire i suoni allegri della natura, compreso lo scorrere del ruscello ed il canto degli uccellini. Girò attorno al roseto e corse incontro a Cindy, che nel frattempo si era sdraiata sull’erba con il libro sulla faccia per ripararsi gli occhi dai raggi accecanti del sole.

La bambina era eccitata e non stava più nella pelle perché desiderava raccontare immediatamente all’amica quanto le era appena successo. Gridò e fece sussultare la povera Cindy, persa in attimi di assoluta tranquillità.

«Cindy! Cindy svegliati subito! Cindy! Cindy!»

«Angelica! Ma sei impazzita? Mi hai spaventata!»

La bambina si inginocchiò sul prato, macchiandosi le calze di cotone di erba verde e di terra marrone.

«Angelica, per carità, stai calma! Sembra tu abbia appena visto il mondo capovolgersi!» sbraitò infastidita la ragazza, ancora assonnata.

Angelica rise divertita:

«Ed è quasi così, credimi!»

La bambina le mostrò il pennello con le pietre preziose e la tela.

Cindy sbarrò gli occhi e spalancò la bocca, mettendosi bruscamente a sedere:

«Dove hai preso questa roba?»

«Mi è stata regalata!» rispose contenta Angelica, dandole gli oggetti in grembo.

«Non hai visto l’albero, il roseto e il ruscello che si sollevavano e partivano in direzione del cielo?»

Cindy credette di sognare ancora oppure che Angelica si stesse prendendo gioco di lei.

«Ma Angelica, cosa dici? Se hai voglia di giocare e di scherzare, vai a divertirti con quei bambini, invece che interrompermi nel momento più bello del sogno» la rimproverò la ragazza, indicando il gruppo di bambini, che ancora scorrazzava per il prato.

Angelica parve delusa e abbassò il volto:

«Ma come non hai visto nulla? Io ho volato nell’universo dentro la sfera con il salice, il roseto e il ruscello avvolti dalla polvere dorata».

La bambina non sapeva che le persone dentro il parco non si erano accorte di nulla e che per esse tutto era rimasto al proprio posto.

Cindy osservò Angelica per qualche istante e poi sorrise:

«I casi sono due: o hai preso troppo sole, oppure stai cercando di attirare la mia attenzione!». La bimba scosse il capo e riprese per sé i propri oggetti:

«Non sono mai stata tanto seria, invece!»

Si alzò e si sedette a qualche passo da Cindy, con lo sguardo imbronciato.

«Sei strana!» convenne Cindy«forse è ora di rientrare».

La ragazza si alzò e cominciò a riordinare le coperte, la tovaglia ed il cestino che aveva portato per la merenda.

«Questa sera mi spiegherai meglio come ti sei procurata quegli oggetti dall’aspetto così prezioso» disse, piegando la tovaglia nel cesto.

Angelica annuì, un po’ più speranzosa. Intanto, il cielo si era fatto più scuro ed il sole color rosso fuoco stava tramontando dietro le verdi colline. Le poche nuvole sospese nel cielo erano di un color rosa delicato. L’aria era calda e afosa, ma Angelica era contenta che fosse così dopo tutto il freddo patito durante l’inverno.

Era bello sentire il calore sulla pelle e godersi le giornate assolate, che favorivano l’abbronzatura di Cindy. Ma Angelica non assumeva un colore particolarmente scuro: la sua pelle rosea diveniva di un bellissimo color biscotto, mentre le guance come zucchero caramellato. La sua bellezza era più unica che rara ed ogni anno, Angelica, diventava sempre più speciale.

*****

Quella sera, quando le due ragazze raggiunsero la carovana situata sul bordo della strada di fronte ad una locanda, un profumo invitante di arrosto le accolse.

Rosario e Theresa avevano proposto di cenare nel locale tutti insieme e, quando Cindy e Angelica entrarono per accomodarsi a tavola, lessero attentamente le specialità sul menu. Angelica aveva l’acquolina in bocca e attendeva con impazienza di gustare il primo cucchiaio del minestrone di pesce e legumi che aveva ordinato.

Prima di consumare il cibo, ognuno si raccolse in preghiera per ringraziare Dio della disponibilità di cibo. Essendo l’unico ateo, Karl non vi partecipò.

Dopodiché, lui e Beppe intrapresero una conversazione riguardo gli affari del circo e decisero come allestire il prossimo spettacolo da organizzare.

Invece, Rosario e Theresa si confrontarono su chi conoscesse più ricette e organizzarono una sfida culinaria a due, l’uno contro l’altro, da svolgersi il giorno seguente e domandarono a Karl e alle ragazze di accettare il compito di giudici assaggiatori.

Cindy annuì, tenendo tuttavia lo sguardo basso e gli occhi puntati nella fondina di minestra. Dopo qualche boccone, Angelica interruppe i discorsi e si decise a raccontare la propria avventura verificatasi quel pomeriggio. Si alzò in piedi alla sedia e levò in aria il cucchiaio:

«Ho ricevuto un pennello e una tela per raffigurare le sembianze di un importante soggetto quando si presenterà il momento atteso».

Le cinque teste si voltarono per guardare con stupore la bambina, senza aver capito alcunché di quanto ella avesse appena affermato.

«Si!» esclamò Angelica «ho viaggiato fra le stelle della galassia e alcune fate mi hanno rivelato un futuro pieno di sorprese, riuscendo a leggere nei pensieri e nelle parole della mia mente. Inoltre, hanno annunciato l’arrivo di una Salvatrice, il cui compito sarà quello di portare la pace sul mondo magico Argentius».

Beppe sorrise, credendo di aver capito:

«Stai parlando di una storia che vi ha narrato la maestra in classe stamattina?».

Angelica si offese, dimostrandosi contrariata:

«No! È la verità! Io ho assistito ad uno spettacolo di luci e colori e le fate hanno cantato per me».

Theresa decise di stare al gioco e si avvicinò ad Angelica per abbracciarla forte, stringendola a sé con fare materno.

«Quanta fantasia ha la nostra piccola! Se vuoi possiamo allestire uno spettacolo che rappresenti la tua storia e cucire costumi da fata per recitare».

Sentendo quelle parole, Angelica si arrabbiò moltissimo e si liberò della stretta di Theresa, balzando giù dalla sedia. Per la prima volta da quando la piccola era arrivata, Karl, Theresa, Cindy, Rosario e Beppe la videro infuriarsi e perdere il controllo, mostrandosi simile ad una bimba in vena di capricci.

«Voi non mi credete, ma io ho ragione!» strillò, incrociando le braccia e guardando tutti con occhiate fulminanti. «Vi ho detto che oggi ho vissuto un’esperienza grandiosa e che ho volato nel cielo fra le stelle, insieme alle fate!».

Nessuno osò parlare, ma nemmeno staccò lo sguardo da Angelica, tentando di cogliere il motivo di tanta improvvisa agitazione.

Quando l’atmosfera si fece pesante e la bambina era sul punto di cedere ad un pianto disperato, Karl propose al gruppo di andare a pagare il conto per far cessare la discussione.

Gli altri annuirono sollevati e sistemarono le sedie sotto ai tavoli. Beppe e Theresa si diressero verso la cassa, mentre Rosario e Karl uscirono dalla sala da pranzo della locanda insieme a Cindy e Angelica, salutando e ringraziando il cameriere che li aveva gentilmente serviti.

Verso tarda sera, Cindy e Angelica si ritirarono nella propria piccola stanzetta dentro la carovana, mentre Theresa e gli altri tre uomini rimasero seduti su un muretto vicino, ad ammirare il cielo stellato e a godersi la tiepida arietta che si era alzata.

Cindy aiutò Angelica nell’infilare la camicia da notte e le rimboccò le lenzuola.

Poi, anch’ella si svestì e, dopo essersi rapidamente cambiata, si sdraiò e sprofondò nel materasso. Calò un lungo silenzio e Cindy era ormai quasi riuscita a prendere sonno, quando Angelica saltò giù dal letto per andare in cucina a prendere il pennello e la tela, dimenticati al ritorno sul bancone vicino al fornello. Salutò augurando la buona notte e dopodiché rientrò in camera. Nascose il proprio tesoro nel cassetto del comodino e poi si nascose nuovamente sotto le coperte.

«Vedrai, Cindy! Sono sicura che la nostra famiglia sia destinata a qualcosa di grande e portentoso!».

La ragazza sbuffò e non rispose, provocando in Angelica altro fastidio e rabbia.

Qualche manciata di secondi più tardi, Angelica sentì un sonoro russare e capì che Cindy era caduta fra le braccia di morfeo.

Fortemente indispettita, si mise in ginocchio sul materasso e scrutò il cielo stellato fuori dalla finestra. I soli rumori percepibili, oltre al russare di Cindy, erano il balbettare di Karl e Rosario e il ticchettio dei cucchiaini di Beppe e Theresa, i quali erano entrati a bere una tazza di camomilla per conciliare il riposo notturno.

L’aria tiepida che prima soffiava si era affievolita e all’interno delle stanze faceva molto caldo. Angelica sorrise nel buio, certa che il futuro le avrebbe sicuramente riservato qualcosa di fantastico e in attesa di aprire le porte a meravigliosi avvenimenti.

IL RITRATTO NELLA SOFFITTA

Le due bambine sorridevano allegre giocando a prendere il tè, sedute al tavolino della cameretta.

Entrambe tenevano in mano una tazzina di porcellana, che si portavano alle labbra, fingendo di sorseggiare. Sulle seggioline avevano appoggiato anche due bambole di pezza, le quali rappresentavano una la mamma e l’altra la figlia. Sopra il tavolino era stata sistemata una tovaglietta in raso bianco ed alcuni tovaglioli di seta. Le posate erano di argento e il servizio da tè in porcellana, con alcuni altri pezzi in ceramica.

La stanza non era molto luminosa e lunghe tende in pizzo coprivano l’interno dai raggi del sole mattutino, che tentavano di penetrare dalle ampie finestre.

Sul pavimento era disteso un rosso tappeto persiano, riccamente ornato da disegni orientali, mentre adibito alla parete est della camera, stava un letto a baldacchino. I cuscini erano riempiti di morbida piuma d’oca e le tende del letto ricamate con fiori e merletti.

Un enorme armadio in legno d’acero, intagliato con immagini di uccelli e cavalli, era stato disposto davanti alla parete ovest, accanto ad una credenza che conteneva altre stoviglie. Angelica amava fare visita alla sua amica Barbara, la nipotina del signor Grossi.

La bambina era ricca ed era stata educata secondo le regole del galateo. Rimasta orfana a causa della febbre spagnola che aveva ucciso i suoi genitori, Barbara era andata a vivere dallo zio, il quale l’aveva accolta come una figlia.

Barbara era una bimba timida ma gioiosa, la quale soffriva di una malattia rara: la porfiria. Questa le si manifestava per conto dell’alterazione di un enzima nel sangue, provocando l’accumulo di porfirine nell’organismo, cioè di pigmenti rosso porpora. Il morbo di Gunther, la porfiria di cui era affetta Barbara, le provocava sin dalla nascita una forte anemia, dovuta alla massiccia distribuzione dei globuli rossi. La bambina produceva urina di colore rosso scuro, i suoi denti erano caratterizzati da una colorazione rossastra ed era sottoposta a fotosensibilità, con problemi dermatologici quali bolle, ustioni o eritemi se esposta alla luce del sole.

Il signor Grossi si era rivolto ai medici migliori e più famosi per curare la nipotina, sebbene fossero stati ottenuti scarsi risultati. Barbara doveva fare molta attenzione alla luce del sole e, quando si trovava all’aperto, era costretta a ripararsi all’ombra. Perciò, non appena lo zio le proponeva una passeggiata, ella doveva coprirsi completamente, impedendo che qualsiasi parte del corpo e della pelle ricevesse luce.

Nel momento in cui entrambe decisero di riordinare i giochi per dedicarsi ad altro, Barbara chiese ad Angelica di passeggiare un poco in giardino, in mezzo agli alberi, i quali percorrevano l’intero viale, dal cancello sino alla porta di entrata.

Angelica accettò con piacere.

Seguì l’amica all’aria aperta, attraversando parecchie stanze e scendendo da una stupenda scala in marmo che portava in soggiorno, sormontata da un arco e da alte vetrate variopinte. Finalmente fuori, le bambine si inoltrarono nel viale, assaporando il dolce profumo del gelsomino, proveniente dalla siepe tutt’intorno al cancello e godendo del fresco riparo, sotto le verdi chiome dei maestosi alberi.

«Vorresti dormire qui stanotte?» domandò speranzosa Barbara.

«Oh, posso chiedere. Ma sono certa che la risposta sarà positiva» rispose Angelica, rendendo felice l’amica.

«Potremmo visitare la soffitta prima di coricarci e svuotare il baule un tempo appartenente a mia mamma. Desidero vedere cosa contiene: dal giorno in cui vivo qui, non ho mai osato aprirlo, ma con te insieme…» spiegò Barbara, pregustando il momento.

«Non ti facevo così curiosa!» scherzò Angelica.

Tuttavia, anch’ella voleva rimanere assieme a Barbara e divertirsi con lei, negli angoli più segreti della casa.

Si fermarono vicine alla fontana, al centro del giardino, scolpita con statue di angeli e pavoni. Barbara sospirò e si sedette sul bordo in marmo, osservando il proprio riflesso nell’acqua:

«Non ti piacerebbe vivere qui con me?».

Angelica fu presa alla sprovvista, non volendo ferire i sentimenti di Barbara.

 «Certo che mi piacerebbe molto» rispose abbracciandola affettuosamente, ma stando bene attenta a non provocarle rossore o infiammazione alla pelle.

«Ma non mi sento di abbandonare i miei amici: loro mi hanno allevata, seppur non in condizione benestante. Non sarebbe carino andarmene e dimostrarmi ingrata nei loro confronti».

Barbara annuì, ma una lacrima le rigò la guancia, cadendo nell’acqua.

Angelica si sentiva terribilmente colpevole. Ella sapeva che l’amica era cresciuta sola e che, a causa della malattia, faceva fatica a relazionarsi con gli altri bambini. Probabilmente, la sola amica che Barbara avesse mai avuto era proprio lei. In quella casa tanto grande, la bambina aveva bisogno di giocare e trascorrere il proprio tempo con un’altra persona della sua età: quella persona altri non era che Angelica.

«Hai ragione, Angelica! Scusami…».

Angelica le asciugò il volto con un dito, cercando di starle accanto e di farle percepire la propria presenza.

«Non ti preoccupare, Barbara! Posso venire a farti visita ogni qual volta tu me lo chieda. Sarà come abitare sempre insieme…».

Sentendosi leggermente sollevata, Barbara smise di piangere.

In quel momento, Cindy si presentò dietro il cancello, venuta a prendere Angelica.

La cameriera la fece entrare e la invitò ad accomodarsi per una tazza di tè in soggiorno. Come ogni volta che aveva varcato la soglia di quell’abitazione, Cindy rimase incantata ad ammirare tale eleganza e raffinatezza.

«Signorina Cindy…» cominciò la cameriera «Barbara vorrebbe che Angelica si fermasse qui a trascorrere la notte».

«Oh!», fece Cindy, bevendo un sorso di tè e sporcandosi il mento:

«Che sbadata!».

Subito, la cameriera le passò un tovagliolo rosa confetto, affinché si pulisse e evitasse di macchiarsi anche il vestito.

«Non saprei» rispose Cindy, guardando Angelica «Preferisci stare qui?».

La bambina annuì sorridente, già certa di avere ottenuto il permesso da parte della sorella adottiva.

«D’accordo! Però non hai la camicia da notte e le ciabatte» osservò la ragazza.

«Non c’è alcun problema» esclamò la cameriera con aria disponibile:

«Barbara possiede un’infinità di vestiti ed accessori ed è lieta di poterli condividere con la sua migliore amica».

Quando Cindy salutò e uscì per incamminarsi verso la carovana, Angelica e Barbara si precipitarono in camera a svestirsi, cambiarsi d’abito e profumarsi per la cena. Essa avrebbe avuto luogo nel salone principale vicino all’ingresso, alle otto in punto: l’orario in cui il signor Grossi rincasava, dopo una lunga giornata di lavoro.

Poco prima delle otto, le bambine scesero per prendere posto a tavola. Il salone era veramente enorme e arricchito con splendidi e preziosi arazzi d’epoca e tende di raso rosso alle alte finestre, che guardavano su di una grande terrazza. Anche la tavola faceva la sua bella figura, apparecchiata per tre persone con piatti in ceramica dipinti a mano, posate argento, bicchieri di cristallo, un candelabro a dieci bracci in ottone e, al centro, un vaso di rose rosse e gigli appena colti dal giardino.

Il campanello suonò quando mancavano ormai un paio di minuti alle otto, segno della ammirevole puntualità del padrone di casa come ogni sera e la cameriera si precipitò ad aprire. Angelica e Barbara lo ricevettero correndogli incontro e saltandogli in braccio a turno.

«Zio Filippo!» strillò Barbara, entusiasta e raggiante «hai visto chi è l’ospite di questa sera?». Filippo Grossi era a dir poco eccitato quanto la nipote: adorava Angelica e averla presente in casa propria costituiva per lui una gioia immensa.

L’uomo era molto sensibile verso le persone più deboli e bisognose e perciò si era impegnato a sostenere numerose associazioni a favore della ricerca scientifica e centri di accoglienza per i poveri.

«Benvenuta Angelica!» la salutò Filippo, scoccandole un bacio sulla fronte «ti fermi per la notte?».

«Si, signore» rispose la bambina, mentre tornavano a sedersi a tavola.

La cameriera arrivò con un vassoio di patate al forno e una teglia di fette di finissimo e prelibato arrosto, contornate da verdi e freschi asparagi.

«Grazie, Rosa» disse cortese il signor Grossi, sistemandosi il candido tovagliolo sulle ginocchia e prendendo in mano la forchetta più esterna, fra quelle disposte alla destra del piatto.

Rosa servì anche del vino bianco in una brocca e dell’acqua naturale per Angelica e Barbara. Angelica osservava il portamento e i gesti perfetti di Barbara, che la facevano stare in modo impeccabile seduta a tavola. Ella non parlava mai mentre masticava lentamente un boccone, stava in posizione eretta senza mai ingobbirsi o poggiare i gomiti sul tavolo e attese che fosse lo zio a versarle l’acqua nel bicchiere. Infatti, secondo le regole previste dal galateo, l’uomo deve essere colui che coordina i gesti a tavola.

Quando ebbero terminato queste prime portate, Rosa portò un cesto di frutta, che tutti e tre consumarono volentieri.

Dopo cena, il signor Grossi chiamò Angelica, dicendole che doveva darle alcune notizie.

«Mi dica, signore» sorrise garbatamente la bambina. Il signor Grossi assunse un’espressione un po’ cupa e triste e si accomodò su di una poltrona, con Angelica in braccio.

«Per un po’ di tempo, tu e la tua famiglia starete via. Karl ha deciso di partire e raggiungere la Francia».

Angelica sgranò gli occhi, incredula.

«Veramente? Perché così all’improvviso?»

«Sostiene che sia giunto il momento di farsi conoscere portando la vostra arte un po’ ovunque in altri paesi» spiegò Filippo, accarezzandole i capelli come un padre.

«E dove ci recheremo precisamente? Lei ne è a conoscenza?» domandò Angelica.

La piccola non capiva se ciò che adesso stava provando nel petto si trattasse di agitazione e un pizzico di ansia, oppure di impazienza e desiderio di scoprire nuove mete.

«Raggiungerete Parigi! Karl vuole ottenere successo e fama nella capitale francese e vedere la torre Eiffel e la cattedrale di Notre-Dame».

Un brivido di sorpresa corse lungo la schiena di Angelica. Ella si sentiva divisa fra la sete di conoscenza ed il dolore dovuto al fatto che avrebbe lasciato Barbara per chissà quanto tempo. Non osava assolutamente immaginare come il cuore dell’amica avrebbe reagito ad una rivelazione tanto sconvolgente. Forse si sarebbe spezzato ed il suo stato di solitudine sarebbe cresciuto inesorabilmente.

Anche il signor Grossi aveva questa preoccupazione e sperava che la nipote avrebbe potuto riprendersi presto dalla delusione.

«Non parlarne con Barbara» le disse Filippo con un fil di voce.

Angelica gli assicurò che avrebbe mantenuto la promessa, finché non fosse stato inevitabile rivelare la verità.

«Per ora, desidero che mia nipote stia serena e si goda nella maniera più intensa questi ultimi giorni con te».

Angelica ebbe un tuffo al cuore e lo stomaco le balzò in gola «Giorni?!»

«Si, … giorni» ripeté il signor Grossi, scandendo bene quell’ultima triste parola.

«Ovviamente, io continuerò a sostenervi economicamente da lontano e ci terremo in contatto». Detto ciò, egli lasciò Angelica a riflettere sola.

La bambina fu pervasa da un’onda di panico e disperazione, mista ad un sentimento di egoismo: c’era un angolo del suo cuore che chiedeva di partire presto per vivere nuove esperienze, anche distante da Barbara.

*****

Più tardi, Angelica e Barbara indossarono la vestaglia di seta rossa per coricarsi. Ma prima di lasciare che il sonno prendesse il sopravvento, uscirono dalla cameretta e salirono le scale, le quali conducevano alla soffitta.

La porta della soffitta era davvero molto vecchia ed il catenaccio corroso dall’umidità.

La padroncina infilò la chiave arrugginita nella serratura e aprì, facendo cigolare la porta.

Alla luce soffusa della candela, la stanza appariva inquietante e misteriosa e numerose ragnatele ricoprivano i muri ammuffiti. Il pavimento era costruito con travi in legno inchiodate fra di loro e un fitto strato di polvere faceva da tappeto. La luce lunare filtrava attraverso una piccola finestrella, che si apriva sul tetto e illuminava la superficie liscia di uno specchio, riflettendosi su tutti gli oggetti circostanti.

Su di un tavolo, sistemato sotto la finestra, stavano infinite cianfrusaglie di ogni tipo: forbici, matite, lembi di stoffa, nastri, perline, appunti e fogli di carta colorata, cartoncini, aghi, rocchetti di filo, tempere, pennelli con una tavolozza ed una vecchia macchina da cucire.

Invece, in un angolo nascosto della stanza si trovava un antico baule, chiuso con un grosso lucchetto.

Barbara invitò Angelica ad avvicinarsi ad esso, per tentare insieme di aprirlo.

«Hai le chiavi?» le domandò Angelica, che già purtroppo si aspettava una risposta negativa. Barbara scosse il capo, confermando la supposizione dell’amica.

«Ma non preoccuparti! Il lucchetto è ormai vecchio e arrugginito dal tempo. Basterà qualche colpo di martello per spaccarlo».

Angelica nutriva poche speranze al riguardo e inarcò le sopracciglia con aria incredula.

«Se lo dici tu…».

«Angelica! Non startene con le mani in mano! Aiutami a cercare un martello. Guarda in quel cassetto» e indicò un mobile lì accanto.

Le bambine frugarono ovunque e dopo parecchi minuti di ricerche, Barbara estrasse un martello da un cassetto malandato e cigolante.

Tornò al baule e iniziò a pestare violentemente sul lucchetto, per fare in modo di sbloccarlo. Il lucchetto non sembrava assolutamente sul punto di cedere, ma dopo numerosi forti colpi e molti minuti, finalmente il meccanismo funzionò e il baule si aprì.

Barbara fece luce con la candela, mentre Angelica affondò le mani all’interno dell’enorme contenitore per estrarre ciò che racchiudeva.

Angelica trovò e afferrò un lungo abito da cerimonia, appartenuto alla madre di Barbara, gioielli fra i quali un preziosissimo ciondolo in rubino e un paio di scarpette di cristallo.

«Che belle cose!» esclamò Angelica meravigliata.

«Tua madre viveva come una vera principessa».

Barbara le sfilò delicatamente il vestito dalle mani e se lo strinse al petto, come a voler ricordare il profumo della madre, conservato all’interno del baule per tutti quegli anni.

«Ti manca, vero?» sussurrò piano Angelica, notando una lacrima sul volto dell’amica.

«Anche io non ho mai conosciuto i miei genitori. Infatti, sono stata trovata».

Le due piccole si abbracciarono e quell’attimo di profonda amicizia fu coronato da una piacevole brezza, entrata dalla finestra.

Angelica guardò di nuovo dentro il baule e tirò fuori anche un bellissimo quadro.

Barbara avvicinò la candela, ma non troppo per evitare che la tela si infuocasse e illuminò il dipinto. Un capolavoro si presentò ai loro occhi: una giovane donna bellissima era stata ritratta, mentre teneva fra le mani un mazzo di gigli e girasoli.

Angelica trattenne il respiro, lasciandosi andare ai complimenti ed all’ammirazione:

«Questa donna è stupenda!».

Ma Barbara era ancora più incredula e stupita di lei.

«Chi è?» le chiese Angelica incuriosita, osservandola mentre mostrava una strana espressione. «Non lo so. Non è né mia madre, né mia nonna, né mia zia!» rispose Barbara, sfiorando la tela e scrutando i colori con occhio attento.

«Non la conosci?»

«No. Non so come questo quadro sia stato portato qui».

«Potrebbe rappresentare un’amica di tua madre oppure una sua cugina» suggerì Angelica, tentando di vedere se fosse esistita una qualche somiglianza tra Barbara e la donna del quadro. «Non credo» rispose Barbara scettica «mia mamma non aveva molte amiche: era una persona piuttosto timida e riservata».

La giovane era vestita elegantemente e sul capo indossava un diadema con incastonate alcune gemme in madreperla ed un velo trasparente le ricadeva sui capelli e sulle spalle. I gioielli la arricchivano, donandole un’aria da nobildonna. Il volto era dolce, ma triste. Le labbra carnose e tinte da uno spesso strato di rossetto erano serrate, mentre gli occhi sembravano seguire i movimenti dell’osservatore. La sua pelle era rosea e le guance più colorate. I lunghi capelli neri erano in parte legati in uno chignon raccolto dal diadema e in parte le ricadevano a ciocche lisce sulle spalle.

Barbara guardò Angelica con un’espressione nuova e diversa:

«Somiglia di più a tua madre».

«Mia madre?» le fece eco Angelica. «Come fai a sapere che aspetto avesse, se nemmeno io l’ho mai vista?»

«Infatti non lo so» le rispose Barbara «ma questa donna somiglia a te e non a me».

Angelica ebbe un tuffo al cuore, cominciando ad avvampare e a non capire più nulla:

«Escludo che si tratti di mia madre. Tu ed io non siamo parenti e se fosse davvero il ritratto di mia madre, come avrebbe fatto ad arrivare qui in questa soffitta di casa tua?»

Barbara fece spallucce, ponendosi la stessa domanda:

«Non saprei. Ma non so proprio cosa pensare…».

Trascorsero un po’ di tempo a riflettere e a formulare ipotesi su quello strano ritrovamento. «Domani voglio chiedere allo zio Filippo» disse Barbara, avvicinandosi alla porta per tornare in cameretta «sono certa che lui potrà fornirci chiarimenti».

«Aspetta!» esclamò Angelica fermandola «prima di dormire, vorrei rivelarti un segreto!»

Barbara la ascoltò e Angelica le raccontò di aver viaggiato fra le stelle dell’universo, all’interno di una sfera, assieme ad un salice piangente, un roseto ed un ruscello. Le parlò anche delle fate e del regalo che le avevano fatto.

Angelica non immaginava che cosa ne avrebbe fatto e come avrebbe operato in futuro.

Con sua particolare sorpresa, Barbara credette ad ogni singola parola che le uscì di bocca e le promise che l’avrebbe aiutata a dipingere o ad agire in qualsiasi altro modo, quando fosse stato necessario.

Angelica si sentì felicissima di poter contare su di un’amica così leale e speciale.

«Grazie, Barbara. Sei la persona più deliziosa e carina, che abbia mai avuto la fortuna di incontrare» disse Angelica, facendo commuovere Barbara, la quale scoppiò in lacrime di gioia. «Amiche per sempre?». Angelica scosse il capo «Oltre!»

 L’AGGRESSIONE E LA PUNTA MISTERIOSA

Parecchi anni erano passati dal giorno in cui Angelica aveva lasciato l’Italia, per trasferirsi a Parigi con la propria famiglia. Ormai era diventata una giovane artista professionista, apprezzata in molte regioni francesi e la sua carriera procedeva a gonfie vele.

Ma ciò a cui ella era stata costretta a rinunciare, per inseguire il successo, era stato un prezzo molto alto da pagare: l’amicizia e l’affetto reciproco con la migliore amica Barbara e con zio Filippo le mancavano terribilmente.

Le due amiche erano rimaste in contatto scrivendosi ed inviandosi lettere ogni settimana, per aggiornarsi a vicenda, riguardo agli avvenimenti della vita di entrambe.

Dopo aver parlato con zio Filippo del ritratto conservato in soffitta e dopo che egli le aveva risposto che non aveva mai incontrato la donna dipinta, Barbara aveva preferito regalare il quadro ad Angelica, come segno di addio.

Tuttavia, non si trattava di un reale addio, poiché il signor Grossi continuava a finanziare il gruppo circense e Karl aveva promesso al proprio socio e benefattore, che un giorno non molto lontano sarebbero tornati in Italia.

Nonostante il successo accresciutosi nel corso degli anni, il gruppo circense non poteva permettersi di spendere troppo denaro o di concedersi agi lussuosi, poiché l’Europa era appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale.

Il dopoguerra fu un periodo difficoltoso ed impegnativo da affrontare, specialmente per le famiglie e per gli operai. La stessa ditta di ceramiche e porcellane del signor Grossi faticava a riprendersi e gli scioperi erano stati numerosi e incontrollati. Ma, seppure in seguito a tutte queste ragioni, Filippo Grossi non aveva mai smesso di sostenere economicamente il circo con i suoi spettacoli, dimostrandosi sempre generoso anche con la nipote Barbara, alla quale assicurava di garantire stabilità e risparmi, affinché avesse la possibilità di frequentare le scuole migliori.

La bellezza di Angelica era aumentata ancor di più, sino ai limiti dell’impossibile e della perfezione: ella era un fiore in attesa di sbocciare in tutto il suo meraviglioso splendore. Era la stella del circo, la quale attirava migliaia di spettatori grazie al talento e al sacrificio, che dimostrava in tutte le sue esibizioni.

Mentre il gruppo era composto da così-detti “Freaks”, Angelica era il diamante. La fanciulla aveva compiuto diciotto anni e si sarebbe diplomata entro la fine dell’anno scolastico, in una delle più ricche e rinomate scuole della città, l’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts, fondata nel 1811 da Napoleone. Durante la permanenza, aveva coltivato differenti amicizie, anche se talvolta, preferiva la solitudine per stare in pace con sé stessa.

Nei corsi scolastici, aveva anche incontrato un bel ragazzo, assai gentile e cortese, con cui si era frequentata spesso e assiduamente. Il ragazzo si chiamava Stefano Maggi, anch’egli di origini italiane. Stefano era un giovanotto di ricca famiglia, dalla bionda capigliatura e dai modi gentili, sempre straordinariamente elegante. Il suo comportamento galante e nobile ed il suo bell’aspetto, gli conferivano un’aria da perfetto cavaliere e principe azzurro. Egli aveva studiato presso l’Accademia d’Arte, dove era iscritta Angelica, ma era superiore di un anno.

I loro destini si erano uniti in un giorno di violento temporale. Angelica era uscita di scuola, mentre la pioggia cadeva dal cielo a catinelle e lampi e tuoni rimbombavano turbolenti in mezzo alle nubi nere e dense. Si era incamminata per rientrare alla carovana, con l’idea di trovare riparo lungo il tragitto all’interno di qualche locanda o negozio, nonché sotto ad una tettoia. Stefano, il quale più volte l’aveva osservata nei corridoi dell’edificio scolastico, rimanendo folgorato dalla bellezza e dalla grazia della ragazza, le aveva offerto un passaggio sulla sua automobile guidata dal suo autista privato.

Poiché aveva gradito la premura e la cortesia di Stefano, Angelica aveva accettato anche il suo invito a cena per la sera successiva. I giovani erano andati a mangiare nel ristorante più esclusivo e lussuoso della città per gustare le prelibatezze parigine.

Più tardi, Stefano aveva condotto Angelica in cima alla torre Eiffel ed insieme avevano ammirato Parigi dall’alto. Non ancora completamente soddisfatto, il ragazzo aveva offerto alla fanciulla un giro in barca sulla Senna, a conclusione della splendida serata. Dopodiché, si erano susseguite tante altre occasioni di incontro e appuntamenti, che avevano rafforzato il legame d’amicizia fra Stefano ed Angelica.

Il giovane riservava ad Angelica le attenzioni degne di una principessa. Escursioni a cavallo, pedalate in bicicletta e serate danzanti nell’alta società si erano via via aggiunte ai programmi organizzati dalla coppia, con lo scopo di trascorrere del tempo insieme.

Quando l’anno era volto al termine e Stefano si era diplomato con lode, mentre Angelica era stata ammessa all’ultimo anno, il ragazzo si era fatto coraggio dichiarandosi e confessandole i propri sentimenti con l’ausilio di un meraviglioso anello di fidanzamento, che le aveva donato. Tale gioiello si tramandava per tradizione a tutte le spose della famiglia Maggi e questa volta era toccato ad Angelica.

Ella aveva accettato l’anello, ma aveva chiesto a Stefano di concederle un po’ di tempo, prima di pensare alle nozze.

Stefano aveva acconsentito senza indugiare, poiché nutriva grande rispetto nei confronti della propria amata e non desiderava forzarla o imporle qualcosa che avesse richiesto un periodo maggiormente lungo per riflettere.

Anche Angelica era consapevole di volere molto bene al fidanzato, sebbene in quel momento le sue preoccupazioni e le sue attenzioni erano quasi interamente rivolte alla scuola e alla professione di acrobata.

Nel corso dell’adolescenza si era dedicata alla pittura e all’arte, coltivando una passione che l’aveva indirizzata a scegliere di iscriversi all’Accademia delle Arti più famosa di Parigi. Benché l’interesse nei confronti di tempere e pennelli fosse per lei una priorità, la fanciulla non aveva mai osato dipingere la tela di cui le era stato fatto dono molti anni addietro, vagando con le fate fra le stelle ed i corpi celesti. Dunque, la tela era rimasta intonsa, in attesa di un segno del destino, che ancora non aveva fatto la sua comparsa.

La fanciulla aveva imparato a dipingere con tempere, acquerelli e colori ad olio, realizzando diversi generi di opere: paesaggi, miniature, affreschi, ritratti, collage, mosaici e ristrutturazioni di opere e monumenti antichi ormai consumati, scolpiti e costruiti da artisti famosi, appartenuti alle civiltà del passato. Inoltre, la scuola le aveva insegnato a progettare e modellare sculture, servendosi dell’argilla o di altri materiali e strumenti da lavoro.

Appena terminati gli studi, Stefano aveva ottenuto un impiego importante al museo del Louvre. Egli si occupava di mostrare e illustrare ogni opera d’arte ai visitatori, narrandone la storia e la vita dell’artista e rendendo tutti soddisfatti e ricchi di nuove conoscenze. Inoltre, era attento alla loro conservazione, al fine di evitare che si rovinassero o subissero danni, a causa delle centinaia di turisti che quotidianamente inondavano le sale ed i corridoi del museo.

Bisognava comunque ammettere che la fortuna di Stefano nel trovare lavoro immediatamente dopo essersi diplomato era dovuta anche al rango elevato a cui apparteneva e al buon nome che caratterizzava la sua famiglia nell’intera città.

Angelica aveva mostrato il ritratto della bellissima donna, chiuso per parecchi anni nella soffitta di Barbara e da esse stesse rinvenuto da bambine, al proprio fidanzato. Ella aveva sperato di ricevere da Stefano qualche chiarimento sull’identità del soggetto o che egli le dicesse che la donna era un personaggio famoso del passato.

Purtroppo, come aveva temuto, Stefano era rimasto letteralmente senza parole, ma allo stesso tempo anche ammirato nel vedere la bellezza della dama raffigurata. Anch’egli non era stato capace di fornire risposta e non aveva mai visto nessuna donna nei libri di storia, le cui fattezze fossero somiglianti alla fanciulla del misterioso ritratto.

Tuttavia, come Barbara, anche il giovane aveva notato l’incredibile ed inconfondibile somiglianza dell’affascinante fidanzata con il dipinto. Pareva che il ritratto fosse stato commissionato dalla ragazza stessa e che quindi la donna rappresentata non fosse nessun’altra all’infuori di lei.

Seppur ignara delle proprie origini, Angelica negava di esserne imparentata. Non aveva mai visto la madre e perciò non poteva dire chi fosse quella donna.

Ogni giorno che passava, il tormento nel cuore della giovane diventava più pesante da sostenere ed ella non sapeva darsi pace. Per non rimanere continuamente con la visione del ritratto sotto gli occhi, lo aveva chiuso a chiave nell’armadio della camera. Esso sarebbe rimasto lì dentro a tempo indeterminato, almeno fino a quando Angelica non avesse scoperto una minima informazione sul suo conto.

Tutti gli amici della fanciulla erano a conoscenza della situazione, ma nessuno era capace di aiutarla, offrendole una risposta al misterioso enigma. Infatti, Angelica era stata ritrovata sola e abbandonata, senza neanche un piccolo indizio che avrebbe potuto condurre ai genitori biologici. Non vi erano stati oggetti particolari o significativi ad accompagnare la sua venuta e, per questo, era impossibile rivelarle chi fosse e quale nome avessero scelto per lei i genitori, al posto del nome Angelica.

Tuttavia, la giovane non soffriva per questa serie di motivi: i famigliari adottivi le avevano subito donato una casa e le cure più premurose. Invece, ciò che le dispiaceva era non conoscere il proprio paese e luogo di provenienza.

Angelica percepiva come un richiamo, una sensazione inspiegabile che la avvertiva e le diceva che la sua terra e i suoi antenati non erano mai vissuti lì. Forse, qualcosa o qualcuno desideravano farle capire che ella non era italiana, ma giungeva da un luogo più remoto.

La fanciulla riteneva che fosse stato il destino a volere che, quel giorno, scoprisse il quadro nella soffitta di Barbara. Lo stesso destino aveva scelto lei anche per ricevere il pennello e la tela dalle fate in mezzo alle stelle. Tanta impazienza rodeva e sembrava rosicchiarle il cuore come una moltitudine di tarli.

Spesso, Angelica si era soffermata a domandarsi se tutto fosse soltanto il frutto di coincidenze ed immaginazione, ma più ci rifletteva, più quest’idea perdeva credibilità e valore. Perciò, dopo aver discusso nuovamente con i propri cari e con Stefano, Angelica aveva preferito finire di preoccuparsi, ma di attendere il presentarsi di un qualsiasi altro segno, l’arrivo di un nuovo messaggio o il dono di un importante oggetto. Probabilmente, solo allora ci sarebbero state risposte maggiormente comprensibili.

Nel frattempo, risultava necessario concentrare le energie, per la realizzazione di un nuovo spettacolo.

Dopo settimane di intenso allenamento, era giunta l’ora di mostrare al pubblico i miglioramenti conseguiti da ogni singolo artista circense.

Così, la sera del primo settembre, tutto era pronto. Centinaia di sedie erano state disposte dentro al tendone del circo, sotto ulteriori spalti. Al centro c’era l’arena, dove si sarebbe realizzata la manifestazione e ai pali, che sostenevano l’intera struttura, erano montati i trapezi. In occasione della serata che si prospettava, Angelica aveva indossato un magnifico costume azzurro e scintillante, adorno di strass e veli trasparenti. I capelli erano raccolti in uno chignon insieme ad una coroncina di gigli.

Come la bella fece la propria comparsa in scena, il pubblico trattenne il fiato. Angelica si esibì, roteando in aria e fluttuando, grazie ai robusti nastri che sorreggevano la sua figura leggera. Compì un vortice e si avvolse e si slegò per poi nuovamente sollevarsi ad effettuare un triplo salto mortale e ancora ripiegarsi, legata dal nastro, quasi al suolo.

Gli applausi scoppiarono fragorosi, mentre il boato delle voci risuonò all’interno del tendone. Angelica era soddisfatta del proprio operato e rivolgeva inchini e sorrisi verso gli spettatori.

A seguire, fu la volta di Theresa, la quale ballò il can-can, la corrida e il flamenco, mentre il pubblico fissava perplesso la sua lunga barba. Allo stesso modo di Angelica, anche per la donna non mancò il successo.

Anche Beppe arrivò, tirando in aria spade e forbici, dopo aver raccomandato a tutti di non imitare i suoi gesti non appena fossero stati a casa, data la pericolosità di tali strumenti affilati. Per l’uomo non fu difficile riprendere al volo gli oggetti, possedendo tre braccia.

Cindy volò da un trapezio all’altro con agilità impressionante, senza mai cadere. Per sicurezza al fine di evitare gravi incidenti, sotto di lei era stata aperta e fissata una rete elastica, che avrebbe allentato una eventuale caduta, impedendo che la ragazza si procurasse ferite o peggio. Ella camminò anche per una ventina di metri sopra una finissima corda, dimostrando a tutti la propria formidabile preparazione sportiva da equilibrista.

Attraverso un sistema di specchi, Karl fece apparire e scomparire Theresa per dedicarsi, in seguito, anche al numero della donna tagliata in tre parti.

Finalmente, per ultimo toccò a Rosario, il quale afferrò una lunga lama affilata e iniziò a calarsela delicatamente nella gola. Alcuni bambini si coprirono gli occhi con enorme spavento. Il numero era estremamente pericoloso e comportava parecchi rischi, a cui Rosario aveva fatto l’abitudine.

Ma in anni di accurato allenamento, l’uomo ci aveva preso la mano. O meglio, la gola. L’attenzione era molta, poiché egli era consapevole che, nonostante l’abilità nel maneggiare lame affilate, una piccola disattenzione a cui fosse seguito un movimento sbagliato, avrebbe potuto essergli fatale e far scoppiare una tragedia. L’uomo si infilò la lama ancor più a fondo e ne prese anche una seconda, da aggiungere alla prima. Sebbene provassero timore ogni volta che assistevano all’esecuzione del numero, Angelica, Theresa, Cindy, Beppe e Karl ammiravano l’amico, il quale svolgeva la propria attività con molta professionalità.

Il numero stava procedendo meravigliosamente, senza ombra di rischio e la gente iniziò ad applaudire, mentre Rosario estraeva le sciabole con mano ferma e precisa.

Poi, accadde l’imprevisto! Le lame caddero fuori dalla bocca dell’artista, macchiando la sabbia di rosso. Rosario cominciò a tossire rumorosamente, emettendo versi soffocati. Qualcosa di liquido e dal sapore amaro colava a gocce dalle sue labbra, sporcandogli gli indumenti. L’uomo si piegò a terra e, contorcendosi, fece sollevare un polverone di sabbia.

Angelica si precipitò su di lui, con grosse lacrime ad inondarle le guance già impallidite dal terrore:

«Rosario! Rosario!».

Potenti urla e schiamazzi si levavano dagli spalti e alcuni poliziotti raggiunsero Rosario, mentre altri tentavano invano di ristabilire ordine tra la folla, prima che esplodesse un pandemonio o che si avvicinassero gruppi di curiosi.

Gli altri quattro artisti seguirono Angelica per radunarsi attorno al ferito.

«Come può essere accaduto?!» strillò Theresa, fuori di sé.

Rosario rantolava e respirava a fatica:

«Mi hanno… colpito!».

Nessuno comprendeva il senso delle sue parole, perché nessuno gli si era trovato accanto per urtarlo o scagliarsi contro di lui. Tuttavia, Angelica credeva alle parole di Rosario e volle verificare la sua affermazione, mettendosi a scrutare attentamente il suolo circostante. Dapprima, non notò nulla di rilevante, ma perlustrando meglio ogni centimetro dell’area accanto, si accorse di un piccolo oggetto appuntito, nascosto dai sassolini. Sembrava si trattasse di un cimelio, antico di parecchi secoli ed era lucente e composto di acciaio e pietre preziose.

Angelica esitava e non riusciva a decidere se fosse giusto raccoglierlo o meno fra le mani.

Poi, lo prese nel palmo della mano destra ed iniziò ad esaminarlo con circospezione.

Cindy la raggiunse e Angelica le mostrò la freccia appuntita.

«Che cos’è?» domandò sbalordita la giovane trapezista.

Scuotendo il capo, Angelica rispose:

«Non ne ho la più pallida idea, ma potrebbe esistere un collegamento con gli altri oggetti che ho ritrovato in questi ultimi anni».

Cindy spalancò la bocca:

«Ti riferisci al quadro della donna bellissima, alla tela intonsa e al pennello?»

La ragazza annuì:

«Proprio così. Sono certa che niente di tutto questo si stia verificando per puro caso. Tuttavia, non so chi possa aver colpito Rosario, né capisco il motivo per cui qualche sconosciuto possa aver avuto interesse a farlo».

Anche Cindy tentò di formulare una qualche spiegazione logica, ma pur ragionando per molti secondi, non seppe a quale conclusione affidarsi.

«Potrebbe essere che qualcuno voglia sabotarci e mandare a monte lo spettacolo».

Angelica aggrottò le sopracciglia:

«Non penso che la faccenda sia di natura economica o lavorativa».

Si rigirò la punta fra le dita e sentì stranamente il suo calore sulla pelle.

Dopo essere stato scagliato, il misterioso oggetto vibrava ancora quasi impercettibilmente, molto simile ad un essere vivo.

«Qualcosa mi dice che questo incidente, se di incidente si tratta, abbia a che fare con il soprannaturale» sentenziò decisa la fanciulla, la quale non smetteva di cercare una spiegazione plausibile al tragico episodio.

Ma le sue parole non convinsero minimamente Cindy, che rispose assai contrariata:

«Non iniziare nuovamente con le tue fandonie, Angelica! Ci stiamo concentrando su fatti seri e pericolosi che potrebbero dimostrarsi fatali per Rosario! Metti da parte le tue sciocche fantasie!». Angelica abbassò lo sguardo, offesa e delusa dalle critiche e dai rimproveri appena ricevuti.

«Le mie non sono affatto fantasie o sciocche supposizioni!» ribatté, mantenendo un tono di voce pacato «sto soltanto collegando i pezzi per farli combaciare come in un mosaico. Mi sembra sia chiaro che quello che già possiedo e che mi è stato donato debba essere unito in qualche modo a oggi. Sono tutti strumenti antichi e certamente unici».

La conversazione venne bruscamente messa a tacere dall’avvicinarsi impetuoso di un bel giovane elegante e visibilmente spaventato. Il ragazzo era scosso e, immediatamente, posò le mani sulle spalle di Angelica per proteggerla.

«Angelica, stai bene?» domandò con le guance accalorate.

«Non temere per me. Io sto bene» lo tranquillizzò Angelica.

«E tu, Cindy?» aggiunse Stefano, non ancora completamente rasserenato.

Cindy sorrise benevola:

«Noi stiamo bene, Stefano. Ma Rosario verrà subito scortato in ospedale con urgenza».

Stefano Maggi si era seduto in prima fila, per ammirare da vicino i giochi del circo e sostenere Angelica attraverso il proprio affetto e gli applausi.

Portava uno smoking grigio perla, con al collo un papillon in velluto nero. Ai piedi aveva abbinato scarpe di vernice, ora ricoperte di polvere e sabbia e sul capo teneva un cilindro della medesima tinta. Egli respirava affannosamente, quasi come se vedere le due ragazze sane e salve, non fosse abbastanza per rassicurarlo.

«Ma cosa è avvenuto esattamente?»

Angelica gli porse ciò che aveva prelevato fra la sabbia, rendendolo maggiormente confuso. «Assomiglia ad un pungiglione gigante!» osservò il giovane, osservandolo da ogni angolazione. «Hai perfettamente ragione!» esclamò Angelica a gran voce, avvicinandosi al fidanzato.

Al contrario, Cindy rispose spazientita e stufa delle solite storie:

«Non siate ridicoli! Come può esserci un pungiglione tanto grande, costruito in acciaio e con incastonate pietre preziose?»

Angelica le si rivolse per deriderla, anch’ella stanca della sua interminabile acida ironia:

«Mia cara Cindy… nessuno di noi due ha affermato che si tratti realmente di un pungiglione…». Nell’accorgersi che le guance di Cindy stavano gradualmente arrossendo, Angelica sentiva crescere la soddisfazione «…ma Stefano ed io stiamo riflettendo per scoprire il motivo per cui qualcuno abbia tentato di uccidere Rosario! Credi di aver capito?»

Cindy ammutolì, sentendosi un poco a disagio sotto lo sguardo di Stefano.

Improvvisamente, una sostanza vischiosa di colore blu metallico schizzò fortemente a distanza dall’estremità superiore della punta.

Istintivamente, Stefano la gettò a terra, rabbrividendo.

Attorno all’oggetto, si allargò una pozza di liquido fumante che, in pochi istanti, corrose il terreno su cui giaceva.

I ragazzi si allontanarono, spostandosi di una decina di metri per sicurezza. I loro schiamazzi attirarono l’attenzione di alcuni giornalisti, giunti sul posto per scrivere notizie fresche di prima pagina. Essi si avvicinarono insieme ai fotografi, pronti ad immortalare la scena con i loro apparecchi.

«Che notizia!» gridò uno, con entusiasmo, scattando foto a raffica.

Il sindaco, un uomo panciuto e con enormi baffoni da tricheco, si fece largo, passando faticosamente tra la folla di gente curiosa.

Dopo che Rosario era stato condotto in ospedale, insieme all’aiuto degli infermieri e di Beppe, Theresa e Karl, tutti si erano radunati in cerchio attorno alla misteriosa arma.

«Domani questa storia finirà sulla prima pagina di tutti i giornali!» esclamarono i giornalisti, ansiosi di documentare l’insolito caso.

E così avvenne.

Il mattino seguente, Angelica si recò all’edicola con il proprio fidanzato e comprò un quotidiano, “le Monde”. Inciso a grandi caratteri, il titolo citava: “Misterioso oggetto antico diventa arma per uccidere”. Il sindaco aveva stabilito che le autorità sequestrassero la punta a forma di pungiglione, al fine di spedirlo in laboratorio perché si procedesse ad analizzarlo. Era importante non agitare la cittadinanza però, allo stesso tempo, bisognava accertarsi che non si trattasse di qualcosa di pericoloso. Al di sotto del titolo, era stata stampata l’immagine dell’oggetto, contornata dalla pozza di liquido.

Ogni minuto che passava, Angelica si soffermò nuovamente a studiarlo, con maggiore interesse.

Il sole era caldo e illuminava gioioso le vie della città, riflettendosi sugli specchi delle vetrine. I chiari raggi rimbalzavano sulle pareti delle case e degli edifici, portando luce anche negli angoli più interni. I fiori sui davanzali delle finestre profumavano l’aria ancora estiva di quel giorno di inizio settembre, insieme al dolce aroma del pane appena sfornato. Alcuni musicisti, seduti su un muretto, intonavano note melodiose per poter racimolare un po’ di denaro, sperando nella generosità dei passanti. Qualche cane randagio ringhiava ai gatti che sostavano alle porte delle abitazioni, bevendo il latte versato loro nei piattini, dai padroni generosi.

Talvolta capitava che i cani si mettessero a rincorrere i gatti, dando vita a inseguimenti e ad un gran pandemonio tra la folla, di cui spesso c’era qualcuno che cadeva per terra con la spesa rovesciata dai sacchetti. Assistendo a questi divertenti spettacoli, anche Angelica cominciava a ridere divertita come facevano i bambini, i quali non avevano ancora iniziato la scuola, ma godevano degli ultimi giorni di vacanza, assaporando il gusto della libertà dallo studio. Essi si ritrovavano al parco, giocando a palla, a biglie, saltando la corda o giocando a nascondino con gli amici. C’era perfino chi dipingeva, seduto di fronte ad una tela appoggiata sul cavalletto in legno e ai piedi aveva esposto i quadri già terminati e pronti per essere venduti.

Nonostante la semplicità dei gesti quotidiani che caratterizzava la vita di queste persone, Angelica non riusciva a stare bene in quella bella giornata. Nella mente si poneva domande senza sosta. Dopo essere stata muta parecchi minuti, immersa nella lettura dell’articolo, Stefano le parlò con l’intenzione di distrarla:

«Novità sull’arma? Sono riusciti a identificarla?».

Angelica parve non averlo udito e Stefano le pose la medesima domanda un’altra volta. A quel punto, Angelica lesse:

“Misterioso oggetto appuntito crea scompiglio durante lo spettacolo circense della compagnia Karl&Co. Il famoso artista Rosario Viscardi è stato distratto, mentre eseguiva un numero altamente rischioso, che prevedeva che si infilasse due lunghe lame nella gola. Oggi, la perdita di controllo che ne è derivata, potrebbe rivelarsi fatale per l’uomo, ricoverato in ospedale con una lesione interna. L’oggetto non è ancora stato identificato e gli studiosi non sono ancora in grado di stabilirne la provenienza. Il sindaco è accorso sul luogo dell’aggressione, per diminuire la tensione e la confusione scatenatesi fra gli spettatori. Benché la polizia abbia immediatamente bloccato le uscite e perquisito gli spettatori presenti, nessuno portava con sé armi o altri ordigni. Le persone del pubblico si sono rivelate innocenti e spaventate, chiedendo al corpo poliziesco di agire in fretta, per togliere dalla circolazione chiunque abbia ferito l’artista. Probabilmente, il colpevole deve essersi allontanato in breve tempo, sfuggendo alla cattura. Forse, nelle prossime ore sarà possibile diffondere informazioni sull’origine dell’arma attualmente ignota. Nonostante gli elementi e le conoscenze al riguardo adesso siano pochi, si crede all’ipotesi che la punta fosse appartenuta ad una lancia, utilizzata nel corredo militare di una qualche popolazione indoeuropea dei secoli precedenti. Il liquido blu che ne è fuoriuscito verrà analizzato al fine di verificare se costituisca veleno atto a sconfiggere i nemici”

Stefano aveva ascoltato ogni singola parola, senza mai perdere il filo del discorso.

Tuttavia, non sapeva assolutamente a quale conclusione giungere:

«Tu che cosa ne pensi?».

Angelica non poteva negare di essere estremamente confusa dopo aver letto l’articolo, ma era convinta che quanto era stato ritrovato non potesse fare parte di un antico corredo militare di popolazione indoeuropea.

«Mi piacerebbe conoscere la verità. A questo proposito, potremmo dedicare il pomeriggio a svolgere ricerche in biblioteca» propose la ragazza, la quale era visibilmente eccitata a causa degli ultimi fatti accaduti.

Stefano aggrottò le sopracciglia:

«Non sono certo che i libri di cui dispone la biblioteca possano aiutarci».

«Beh, se non ci proviamo, non lo sapremo mai» ribatté Angelica con determinazione e desiderio di non darsi per vinta. Lo sconforto di Stefano non doveva coinvolgerla, ma essere messo a distanza.

Così, essi si diedero appuntamento nel pomeriggio, davanti alla più grande e fornita biblioteca di Parigi.

CONTINUA

ARGENTIUS di Elisa Panunzio (seconda parte)

genere: FANTASY

Post a Comment