COMODI RICORDI di Melania Ferrari

Sono qui in questo angolo e non ci sto neanche male.

Sono letteralmente a pezzi perché da uno sono diventato trino.

E non c’è nessuna volontà dissacrante.

Ripeto: è tutto letterale, “oggettivamente” letterale.

Ma è stato giusto così. Il mio corso l’ho fatto.

Cos’è che dicono? Che un anno di vita di un cane equivale a cinque di quelli umani? I miei 51 anni allora sono secoli di vita vedendo tutte le persone che ho conosciuto, che ho accolto, di cui potrei definire i contorni. Soprattutto di alcune il peso mi è rimasto nella memoria. Il peso oggettivo naturalmente. Potrei arrivare addirittura a dire che la mia età è la somma di tutta questa vita che è stata su di me senza distinzione.

In particolare, nell’ultimo periodo, prima del definitivo pensionamento, mi sono occupato di lei, ho fatto il tifo per lei, l’ho tenuta finché ho potuto, e come ho potuto, perché sono veramente ormai ridotto male. Sono uno di quei casi irrecuperabili. Non ho più la forza di contenere e mi sono aperto come un fiore, senza nessuna primavera, però, che mi chiamasse.

Con l’età i tessuti cedono. Letteralmente parlando.

Per lei, comunque, mi sono impegnato fino alla fine, fino a quel giorno in cui la sua bambina l’ha aiutata ad alzarsi e se n’è andata verso quel luogo che era ormai l’alternativa alla casa, ovvero l’ospedale. Da quel venerdì non l’ho più vista e anzi dopo tre giorni mi è arrivato lo sfratto per un nuovo inquilino che doveva sempre essere per lei.

Sono un divano, giusto per essere chiaro, anche se non posso visto il colore del mio rivestimento.

L’ironia è un mio tratto segreto distintivo, segreto perché si pensa che gli oggetti non abbiano un’anima. Ma come si può non averla vivendo in simbiosi con questi bipedi. Per gestire meglio certe situazioni so che allontanarsi, prendere la giusta distanza aiuta.

Ma stavolta faccio una fatica incredibile. E voglio raccontare perché.

Per farlo ritorno a lei, il mio fil rouge, spezzato.

Nel 1972 mi hanno fatto entrare nella casa, anzi nel salotto da cui sono appena uscito. Classico arredo anni Settanta con una carta da parati psichedelica con i soli arancioni. Però mi stavano bene pensando al mio marrone tronco di albero nel mezzo dei cerchi della sua vita. E come poi non ricordare il tappeto “pelle di mucca”. Ci siamo guardati mi sa per quasi due decenni.

Per 6 anni sono stato abbastanza tranquillo perché c’erano lei e lui. Ma si sentiva che qualcosa mancava, mi sono sentito poco sfruttato: nelle sole occasioni di rappresentanza e i due non erano molto vivaci socialmente.

Poi, finalmente, nel 1978 è arrivata una nuova ospite, una frugoletta che ho praticamente cresciuto.

Se potessi rivelare tutto quello che ho visto…

Per quanto non sia mai stata una ribelle, la vita umana presenta dei momenti topici, che sono stati topici anche per lei. Si va dal nascondino in cui la piccola rimaneva per parecchi minuti perché ho omesso che mi estendo su due pareti su quattro ma non “giro l’angolo”, ma offro una curva. In tal modo tra me e le pareti resta uno spazio apprezzatissimo per un round di nascondino appunto.

Passati gli anni sono passati anche molti personaggi che hanno posato le loro terga su di me, anche individui maschili “fiamme” temporanee della pargoletta che nel frattempo è diventata un’adolescente e poi una ragazza.

Il paradosso è che tutti cambiavano, tranne me. O forse sono io che eccedo nel considerarmi troppo umanamente un membro della famiglia, ma così tanto vissuto condiviso non può unire. Soprattutto quando con il dicembre 2022.

Ho saltato un bel po’ d’anni lo so, ma è andato tutto secondo copione: Lei e Lui sono rimasti nella mia casa, la figlioletta s’è sposata, ha avuto due splendide creature, il di quest’ultima marito ha pensato bene di tradirla segretamente con le bimbe ancora in culla. Sì, segretamente… Non conosceva bene Lei e la figlia di Lei e non immaginava che dove non arriva la verità, arrivano però professionisti pronti a “investigarla”.

Che periodo è stato quello: mi ritrovano sedute sopra Lei, la figlia di Lei, le due splendide bamboline, un gineceo incredibile con tutte le riflessioni partorite da un mondo femminile arrabbiato, deluso e sfiduciato nei confronti del mondo maschile.

Smetto di divagare e torno a qualche mese per completare la mia missione. Lei era sempre debole. Passava su di me interi pomeriggi per illudersi di riprendersi dalle fatiche della mattina. Si raccontava che le vitamine l’avrebbero messa in sesto e nel mentre sentivo che la figlia insisteva affinché indagasse quella situazione anomala.

Esami nel gennaio 2023 per inaugurare l’anno nuovo con la speranza di recuperare che abitava stabile e solida nel suo spirito.

La sentiva dire che eventualmente avrebbe recuperato con una cura come qualche anno prima.

Sono quei discorsi che ci si fa per crederci e distogliere il cuore da una sentenza nefasta forse già chiaramente avvertita. Ma voleva rassicurarsi. Diceva che quelli della sua famiglia avevano tutti il “sangue debole” e che bisogna accettarlo e gestirlo.

Mi faceva un’estrema tenerezza perché le sue parole portavano nella direzione contraria a ciò che il suo corpo mi diceva. Ascoltavo la sua voce, ma sentivo il linguaggio di membra impregnata di paura, in trepidante attesa di una smentita che non è mai arrivata a quella condanna alla fine.

L’ho salutata una prima volta il 16 febbraio. Se n’è andata per due settimane. Io ero a disagio in quella solitudine che non volevo perché stavo bene con Lei. Volevo accoglierla ancora per tanto tempo, nonostante i miei infiniti punti di rottura, i miei “acciacchi”. Il buio della stanza cominciava per la prima volta a farmi paura. Mi mancava Lei.

Quando l’ho vista tornare a marzo ero contentissimo. Mi è stata accordata addirittura una promozione: vista la sua debolezza, sarei diventato anche il suo letto ufficiale.

Ero pronto a essere in servizio ventiquattro ore su ventiquattro. In più c’era sempre qualcuno a farle compagnia, o la figlia o la nipotina bionda. E io mi sentivo veramente beato tra le donne.

Un mattino però è scivolata per terra e io non le ho attutito in alcun modo la caduta.

Era lì per terra a gridare nel fragile tentativo di svegliare Lui, ma Lui sente poco e la voce di Lei si perdeva in un’aria che sembrava anch’essa troppo debole per far arrivare il messaggio da un’altra parte.

Poi è capitata la figlia che l’ha rialzata e seduta su di me.

Lei sembrava una bambina colpevole di una marachella perché non volevo mai disturbare. A volte avrei voluto sgridarla io dicendole di smetterla: quando si ama, si corre e basta!

Poi sono arrivati, in quella mattina ancora buia, degli individui con delle divise che l’hanno portata via con loro. E lì per la seconda volta il mio spirito ha pianto: sapevo che mi stava lasciando.

A metà aprile è ricomparsa a casa nuovamente: era l’ombra di sé stessa. Rimpicciolita, accudita come una bambina da quella figlia che ora doveva essere solo madre e io le ho amate entrambe ancor di più.

Ho cercato di essere più comodo possibile per Lei, per quel corpo che stava perdendo consistenza, ma non la consapevolezza della fine.

Siamo stati insieme ancora qualche giorno con la rivelazione che anche per me era finita: nell’illusione che sarebbe tornata a casa per la terza volta, perché non c’è due senza tre, Lui e la figlia avevano deciso che non ero più adatto ad accoglierla.

Non gli ho fatto alcuna colpa: Lei doveva avere il meglio e, nonostante il legame d’acciaio tra noi, dovevo mettermi da parte. Proprio perché l’amavo, dovevo farmi da parte.

Sono uscito da casa il 2 maggio 2023 e Lei dalla vita il 4 maggio.

Ora aspetto che vengano a prendermi tra un mese per finire in una discarica con perfetti rifiuti sconosciuti.

Mi manca. Mi manca Lei.

Qui nel mio angolo ogni mia fibra mi sussurra qualche episodio che mi fa tornare alla temperatura del suo corpo, alla delicatezza della sua pelle, alla fragilità fisica che non è mai corrisposta a quella di uno spirito che ho ammirato per quella sincera e ingenua capacità d’amare.

A volte mi sembrava di essere un pollaio che offriva paglia alle sue gallinelle.

So che fa ridere, ma ho imparato che amare è far star bene.

E quindi rido ed è così che voglio chiudere la mia lunga storia.

Ho scoperto poi il mio prevedibile destino: una discarica affollatissima di altri pezzi come, og-genti che hanno fatto la loro vita e anche quella umana, ma, essendo “figli” degli umani, come loro abbiamo un inizio e una fine.

All’inizio qui nella discarica me ne sono rimasto in silenzio perché cambiar vita dopo quasi cinquant’anni non è semplice.

 Migrare forzatamente in un posto sconosciuto ancor di più in quanto non c’è scelta: ci si deve adattare.

E quindi il tempo iniziale l’ho speso nel metabolizzare questo tsunami che mi ha letteralmente portato via da un luogo amato.

Si sono verificati eventi che sommandosi mi hanno catapultato qui, all’aperto, senza più un tetto sui cuscini e sulla stoffa, a diretto contatto con l’umoralità atmosferica.

Non ho più nei fili il rumore della televisione che negli ultimi tempi era sempre accesa anche senza essere guardata, le risate delle bambine e delle loro amichette che usavano i miei pezzi come piscina su cui lanciarsi evitando però le spanciate d’acqua.

Erano veramente bei tempi, ma la realtà ora è diversa.

Sono riuscito a legare con un paio di divani più smilzi di me e una poltrona beige veramente brutta, ma gentile, anche elegante.

Mi ha confidato che, non brillando esteticamente, ha imparato a puntare su altro ed è quindi un piacere parlare con lei, dei suoi ricordi che hanno come centro la signora Anastasia e i ritrovi del martedì, ritrovi che riempivano il salotto di 400 anni divisi per 5 arzille signore, Anastasia compresa, preparatissime sulle vite degli altri.

I due divani smilzi sono abbastanza taciturni e preferiscono ascoltare le infinite storie mie e della poltrona e a me questo non dispiace.

Ho tantissima esistenza da condividere.

Così posso spostare il pensiero da un’ombra che spesso copre la mia rinnovata serenità: quale sarà la mia tappa finale? La distruzione in milioni di pezzetti? Probabile. D’altronde la mia vita è similumana: è iniziata e va finita.

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