IL FIORE DEL MALE di Luisa Zilo (parte prima)

genere: THRILLER

CAPITOLO 1

Non sempre ad una donna piace sentirsi addosso uno sguardo ostinato, quasi impertinente, anche se quello sguardo proviene da un paio d’occhi verdi e il possessore di quegli occhi è un uomo giovane e dall’aspetto assolutamente gradevole. Sonia, con il bicchiere in mano e con la mascherina che ancora le copriva il volto, non riusciva a decidere se quello sguardo la infastidiva oppure la lusingava. Di certo, se l’uomo non fosse stato così attraente si sarebbe sentita imbarazzata e avrebbe cercato di confondersi tra la piccola folla che animava la sala dell’elegante caffetteria; invece rimaneva ferma, con il viso rivolto al quadro appeso alla parete di fronte a lei. Anche l’uomo le era di fronte, avendo il quadro alle spalle, e lei ad un tratto distolse gli occhi dal quadro e li fissò su di lui; doveva essere stato uno sguardo interrogativo perché l’uomo si decise a parlare.

“Vede, purtroppo, per la mia professione, sono portato ad osservare molto attentamente i volti delle persone,” disse lui saltando tutti i preliminari, con un sorriso che sembrava volesse chiederle scusa “e adesso, con questa pandemia che costringe la gente a mettersi la mascherina, la cosa è diventata molto complicata; bisogna imparare a conoscere le persone dagli occhi quando il resto della faccia ti rimane nascosto. Io cerco di esercitarmi su quelle che rimangono ferme per qualche tempo, come lei ora, assolutamente sconosciuta: non l’ho mai vista prima e, guardandola negli occhi, che sono la parte più espressiva di un viso, posso fare mille congetture su di lei e tentare di indovinare il suo carattere, con un po’ di fortuna.”

Sonia, a questo punto, avrebbe voluto chiedergli quale fosse la sua professione, poiché le parole di quell’uomo avevano fatto sparire il fastidio che provava nel sentirsi osservata e le avevano invece destato una grande curiosità, ma non ne ebbe il tempo dal momento che lui riprese a parlare.

“Però, a questo punto potrebbe anche abbassare la mascherina se vuole bere il suo drink;” disse infatti “siamo a distanza di sicurezza e le regole non sono più così rigide.”

Si era infatti nel mese di giugno e la morsa del contagio pareva essersi notevolmente allentata. Proprio per questo la vita stava riprendendo il suo corso normale, pur con le dovute cautele, e si stava aprendo anche alle iniziative culturali, così come alle altre attività che erano state proibite nei mesi più duri della pandemia. Quella per Sonia, così come per la maggior parte delle persone che animavano la sala del rinfresco, era la prima uscita dopo mesi di forzata prigionia entro le mura domestiche, costrette a non frequentar più nessuno, né amici né parenti, dalle ferree regole sanitarie dettate dall’emergenza. In quella bella mattina di giugno, ad un’ora insolita per un appuntamento del genere (ma la pandemia aveva abituato la gente a cambiare orari ed abitudini), una delle più rinomate caffetterie della città aveva aperto le proprie salette interne ad un evento culturale: la presentazione di un libro.

“A dir la verità,” rispose Sonia “preferisco tenerla, la mascherina. Sa, in un certo senso sono qui in incognito e spero di non essere riconosciuta.”

“E perché mai? Lei sta diventando molto misteriosa.” La incalzò l’uomo con tono decisamente divertito.

“É una faccenda troppo complicata, e anche di carattere personale; perciò, mi scusi, ma non posso soddisfare la sua curiosità.” A quel punto Sonia avrebbe potuto girarsi e por fine alla conversazione; invece indugiava senza sapersi spiegare lei stessa il perché. L’uomo approfittò per tenerla ancorata lì, ferma sui suoi tacchi che cominciavano a darle fastidio e con il bicchiere stretto in mano.

“Prima o poi” disse “dovrà decidersi a bere il suo drink, e non credo che possa farlo senza togliersi la mascherina.”

Sonia stava per replicare anche se non aveva ben chiaro come, dato che la logica del suo interlocutore era stringente, quando qualcuno la chiamò e lei fu risucchiata nella piccola folla.

L’uomo sorrise nel vedere quanto fosse stato inutile il sacrificio, da parte della ragazza, di astenersi dal bere, visto che era stata riconosciuta nonostante la mascherina e nonostante lei si sforzasse visibilmente di tenersi in disparte, ma al tempo stesso provò una sottile delusione perché ormai era convinto che sarebbe riuscito a vederla in viso. Cercò di guardare nella direzione in cui si era allontanata e la vide ancora tenacemente stretta al suo bicchiere, con la mascherina incollata al viso e quasi confusa in mezzo a quello che stava somigliando un po’ troppo ad un assembramento, cioè a quel modo di intendere la socialità che le rigide regole sanitarie in tempo di pandemia non potevano permettere. Cominciò a domandarsi perché era tanto curioso di vederla in volto ma conosceva già la risposta: gli occhi. Del resto, l’aveva detto anche a lei che si divertiva ad indovinare la personalità di chi aveva di fronte osservandone lo sguardo che, con l’uso della mascherina divenuto obbligatorio, era quasi l’unica cosa che fosse possibile osservare, a parte forse i capelli.

Sonia aveva grandi occhi nocciola; non erano quindi di un colore particolarmente raro come se ne vedono oggi, tanto che spesso non si riesce a capire se quell’azzurro o quel verde smeraldo siano veri o dovuti alle lenti a contatto. Tutto sommato, quanto a colore degli occhi, si sarebbe potuto dire tranquillamente che lui la batteva; però quello che aveva colpito l’uomo al primo impatto era qualcosa di indefinibile, qualcosa che aveva a che fare con l’interiorità della persona e quel “qualcosa” a lui piaceva. Trovava quello sguardo intenso, attento, curioso, non freddo e indifferente come quello di tanti occhi dai colori sgargianti: era uno sguardo caldo. Sì, proprio così, uno sguardo caldo che ti prendeva e non si faceva dimenticare.

L’uomo distolse gli occhi dalla ragazza, che ormai gli stava voltando le spalle, e si avviò verso un piccolo gruppo di persone che stavano circondando l’autore del libro. Marco Sereni (così si chiamava lo scrittore) era stato suo compagno al liceo ed ora era professore associato del dipartimento di Storia, all’Università, e aveva appena scritto un romanzo storico ambientato nel medioevo cittadino, romanzo che pareva destinato ad un certo successo anche per la buona campagna pubblicitaria che l’autore stesso aveva saputo mettere in atto.

I due non si erano mai frequentati, né durante né dopo il liceo, non perché provassero antipatia l’uno per l’altro ma semplicemente perché non avevano niente in comune; poco tempo prima tuttavia si erano casualmente incontrati al bar, proprio quando i locali avevano cominciato a riaprire al pubblico dopo la prima grande ondata pandemica e, dopo un iniziale imbarazzo in cui si erano riconosciuti a fatica, si erano avventurati in una conversazione abbastanza intensa informandosi sulle rispettive vite e sulle carriere intraprese. Così, quando Marco Sereni era riuscito ad avere una data certa per la presentazione del suo romanzo, aveva mandato l’invito al suo antico compagno di scuola sia per riallacciare dei rapporti che, più che perduti, non erano mai esistiti, sia perché sperava di annoverarlo un giorno fra i suoi lettori. Lui non si lasciava mai sfuggire un’occasione: tutto può tornare utile, diceva sempre, ed era così che si era fatto largo nel mondo accademico, facendosi presentare alle persone che contavano e trascurando quelle che, a suo giudizio, non avevano nessuna influenza. Ora, dopo aver parlato con lui quando si erano incontrati, si era fatta l’idea, giusta o sbagliata che fosse, che il suo ex compagno di liceo avrebbe un giorno potuto essergli utile anche se, professionalmente, non apparteneva al suo stesso mondo: chi poteva sapere cosa aveva in serbo il destino? Meglio coltivarselo, aveva pensato; anche per questo gli aveva mandato l’invito. L’altro aveva apprezzato il gesto e si era detto: perché no? Non era particolarmente ansioso di cominciare a frequentare il suo vecchio compagno di scuola quando non l’aveva fatto al tempo del liceo e aveva avuto inoltre la sensazione che non fosse molto cambiato, ma la pandemia aveva pesato come una cappa di piombo anche su di lui e aveva una gran voglia di uscire e incontrar gente diversa dai suoi colleghi di ufficio. Aveva fatto bene, stava pensando mentre acquistava il libro al banco di vendita allestito nella saletta del bar; l’incontro l’aveva fatto, anche se era stato breve, e magari in seguito il destino avrebbe potuto dargli una mano. Quella ragazza, si ripeteva, quella ragazza lui doveva per forza vederla in viso…scoperto. Un giorno o l’altro.

CAPITOLO 2

Il cielo era terso in quella mattina di settembre e l’aria ancora fresca nonostante il sole risplendesse in tutto il suo fulgore e tutto questo rendeva più accettabile l’essere di nuovo in città e alle prese con gli impegni di lavoro. Sonia amava il settembre e amava soprattutto il mare di settembre, quando si colora di fasce di blu e di verde smeraldo che brillano sotto un cielo color turchese. Quando il tempo è bello, pensava, i colori settembrini sono incomparabili; peccato doverseli perdere nel chiuso di un’aula universitaria o di una biblioteca. Quella mattina, però, avrebbe senz’altro preferito essere all’università piuttosto che davanti al Commissariato di Polizia dove era stata convocata, da quanto stava cominciando a capire, assieme ad un gruppo di suoi colleghi.

Erano le nove e stavano arrivando tutti alla spicciolata e, vedendo già gli altri fuori dal portone che parlottavano tra di loro, si sentivano sollevati perché, quando avevano ricevuto la convocazione il giorno prima, si erano spaventati non immaginando quale reato potessero aver commesso. Dopo pochi minuti, entrarono tutti insieme e furono guidati verso una sala d’attesa da dove sarebbero stati chiamati uno per uno. Infatti, a poco a poco il gruppo cominciava a sfoltirsi ma nessuno sembrava ritornare dall’ufficio del commissario come se, varcata quella porta, a uno a uno venissero inghiottiti.

Il commissario Diego Malaspina aveva convocato per quella mattina tutti i membri del Dipartimento di storia, almeno quelli che era riuscito a trovare in città perché molti erano ancora in ferie oppure, essendo residenti in altri luoghi, lavoravano da casa alla correzione delle tesi o svolgendo altre mansioni in “smart working”, metodo di lavoro che durante l’anno si era diffuso insieme con la pandemia. Gli assenti sarebbero stati chiamati in un secondo momento, oppure sarebbe andato il Commissario in persona a cercarli nel loro luogo di lavoro.

Sonia fu introdotta nell’ufficio del Commissario dopo che il suo collega preferito, Marcello Gandini, era stato ascoltato e, naturalmente, non era tornato indietro. Era confusa, si sentiva a disagio perché non era mai stata in un Commissariato e salutò distrattamente i presenti senza neanche guardarli in faccia; una voce che a lei parve di riconoscere la invitò a sedersi davanti ad una scrivania e allora alzò gli occhi e li fissò sulla persona che le stava davanti.

“Ci conosciamo?” chiese il Commissario riconoscendo quegli occhi.

“Credo proprio di sì.” rispose Sonia, che non aveva dimenticato quelli di lui.

“Ma lei porta sempre la mascherina? Adesso le regole sono meno severe e noi siamo a distanza di sicurezza; le assicuro che se la può togliere, parola di Commissario.”

“Dunque, è questa la professione a cui alludeva quando ci siamo incontrati. Giuro che non l’avrei mai indovinata!” replicò Sonia togliendosi la mascherina.

Il Commissario indugiò compiaciuto qualche secondo sul suo viso e il risultato di quell’esame fu che gli venne improvvisamente voglia di sovvertire lo schema dell’interrogatorio senza limitarsi a domande generiche e uguali per tutti tanto per tastare il terreno: con lei decise di essere molto più indagatore e di cercare di conoscerla a fondo, per quanto possibile. Sempre a beneficio delle indagini, naturalmente.

“Allora, Sonia! Posso chiamarla così? Sì? Bene, dunque: vorrei che lei mi illustrasse in modo chiaro e sincero i rapporti che intercorrono tra voi colleghi del dipartimento di Storia. Se ci sono delle tensioni, delle gelosie, delle invidie, vorrei che me ne parlasse e le garantisco che quello che dirà non uscirà da questa stanza”.

“In poche parole,” rispose Sonia piuttosto sconcertata “lei vorrebbe che io mi prestassi ad essere la spia dei miei colleghi. Ma io non sono quel tipo di persona e per di più i rapporti tra il personale del dipartimento non hanno per me alcun interesse perché sono ricercatrice e quel che io voglio fare è ricerca, ma ricerca storica e non ricerca nelle vite private dei miei colleghi.”

“Ecco, cerchi di ricordare:” insistette il Commissario ignorando di proposito il suo sconcerto “quando ci incontrammo per la prima volta alla presentazione del romanzo di Marco Sereni lei disse che era lì in incognito e si nascondeva volentieri dietro la mascherina per non essere riconosciuta, però poi mi disse anche che non poteva rivelarmi il motivo di questo suo comportamento perché era un motivo del tutto personale. Ora io le chiedo: tutto questo aveva a che fare con la lite avvenuta tra Marco Sereni e Marcello Gandini a proposito delle pagine che quest’ultimo riteneva gli fossero state copiate dagli appunti che lui aveva sul computer e che servivano alla preparazione del suo corso? La informo che il professor Gandini mi ha già parlato della sua antipatia per Marco e della lite che hanno avuto ed ha anche aggiunto che oramai lo sanno tutti.”

“Sì, è vero,” replicò Sonia alquanto confusa su quello che avrebbe dovuto dire senza recare danno a Marcello, perché ancora non aveva ben chiaro se quella lite fosse stata la causa di questa convocazione. Le sembrava abbastanza improbabile che Marcello si fosse spinto fino a denunciare Marco. “I due hanno litigato perché Marcello aveva scoperto, dando una scorsa al romanzo di Marco che giaceva già stampato e con dedica sulla scrivania del direttore del dipartimento, che tutte le pagine riguardanti la cronaca delle condizioni di vita in questa città nell’anno in cui si immaginava che si svolgessero gli avvenimenti raccontati nel romanzo, erano state riprese di sana pianta, direi quasi con il copia e incolla, dagli appunti di Marcello. Sono convinta che se Marco glieli avesse chiesti lui non glieli avrebbe dati perché non si fidava del collega; d’altra parte, Marco ne aveva bisogno per poter pubblicare in tempo il suo libro e farlo uscire alla riapertura degli eventi culturali. Se ha letto il romanzo lei sa che si svolge nel Medioevo e l’esperto di Medioevo è Marcello mentre lui si occupa di storia rinascimentale. Credo ci sia stata una talpa al Dipartimento che ha avuto accesso al computer di Marcello e ha spedito a Marco le pagine che gli interessavano. Io li avevo sentiti litigare nello studio di Marco, mentre vi passavo accanto, e poi avevo saputo tutto da Marcello perché siamo amici e c’è un grande rispetto reciproco. Perciò quella mattina in cui ci siamo incontrati, ero andata alla presentazione nella speranza di sentire, da parte di Marco, delle parole di ringraziamento per Marcello e per l’aiuto che, sebbene involontariamente, gli aveva dato. Ma niente di tutto questo ed io, in mezzo a quella folla che si complimentava con una persona che giudicavo spregevole, mi sentivo in imbarazzo, come se stessi tradendo il mio amico. Ecco svelato il mistero del mio comportamento. Ma, mi scusi, è per questo che sono stata convocata?”

“Qui le domande le faccio io.” rispose Malaspina, divertendosi a giocare al Commissario “Comunque no, non è per questo che ho convocato tutto un dipartimento, o almeno quelli che son riuscito a trovare. Se ha un po’ di pazienza le spiegherò il motivo, ma prima dovrà rassegnarsi a rispondere a delle domande che apparentemente non avranno alcun nesso tra di loro.”

“D’accordo.” Sonia era un po’ infastidita dal modo di procedere del Commissario che sembrava non avere intenzione di chiarire minimamente il motivo per cui lei era lì; d’altra parte, considerata la velocità con cui i suoi colleghi si erano avvicendati prima di lei, si sentiva anche lusingata per essere tenuta sotto torchio e, soprattutto, sotto lo sguardo indagatore di quei due occhi verdi.

“Ho notato che non ha messo il rossetto.” cominciò Malaspina venendo subito al sodo “Mi dica: di solito lei lo usa oppure no?”

“No,” rispose S, sempre più curiosa di dove lui volesse andare a parare “di solito non lo metto, salvo che per occasioni speciali. Oggi poi, con l’uso della mascherina quasi obbligatoria, il rossetto sarebbe sprecato, però in casa ne ho uno che è rimasto nel cassetto ormai da troppo tempo.”

“Di che colore è? Se lo ricorda?”

“Di un rosa acceso, quasi rosso.”

“Bene.” Malaspina sembrava assorto in calcoli complicati. “Adesso le farò una domanda che le sembrerà un po’ strana: crede che si possa avvelenare qualcuno con un bacio?”

Il Commissario la osservava attentamente mentre le poneva quella domanda, quasi per coglierne una qualche reazione, ma Sonia rimase pensierosa nel tentativo di farsi venire in mente ricordi legati alle sue letture o a quello che aveva visto sulla scena, perché di baci avvelenati lei non aveva mai avuto esperienza diretta. Non le ci volle molto per ricordare un paio di casi che avrebbero potuto essere di qualche utilità, tanto per non deludere il Commissario.

“Ecco,” cominciò Sonia con il tono compiaciuto di chi sa di avere la risposta “Adriana Lecovreur …”

“Adriana chi?” domandò Malaspina fissandola con lo sguardo completamente perso.

“Adriana Lecovreur, celebre attrice francese vissuta più di due secoli fa.”

Qui il Commissario tirò un sospiro di sollievo: nessuno avrebbe potuto rimproverarlo per non averla conosciuta, visto che era passato tanto tempo.

“Ebbene, lei morì per aver annusato e baciato un mazzetto di violette avvelenate che aveva creduto le fossero state inviate dal suo amante, mentre era stata la sua rivale a fargliele recapitare. Questo, almeno, secondo la versione che ne dà l’opera lirica a lei dedicata.”

“Però, in questo caso, erano stati i fiori ad avvelenarla, non le labbra del suo amante.” Malaspina la osservava attentamente per scorgerne una qualche emozione, ma Sonia appariva assolutamente tranquilla e cominciò ad esporre il secondo caso che le era venuto in mente.

“Ci sarebbe un episodio, completamente inventato, che tuttavia si riferisce a personaggi realmente esistiti. È narrato nella scena di un dramma elisabettiano di John Webster e mostra con quale astuzia diabolica viene assassinata la duchessa di Bracciano. Siamo nel tardo Cinquecento, epoca di veleni, di tradimenti e di vendette, e la duchessa di Bracciano, che soffre per l’assenza del marito di cui è innamoratissima anche se lui la tradisce con Vittoria Accorambona, presa dal desiderio di lui ne bacia il ritratto sulla bocca (gesto che aveva già fatto altre volte) ma le labbra erano state avvelenate e lei muore.”

“È una morte decisamente improbabile” commentò Malaspina soprappensiero.

“D’altra parte,” replicò lei “chi vorrebbe mettersi del veleno sulle labbra per ammazzare qualcuno, sapendo che sarebbe lui il primo a morire?” Qui il Commissario dovette ammettere che la ragazza aveva ragione.

“In ogni caso” continuò lei “la storia non andò proprio così, perché i cronisti dell’epoca parlano di strangolamento e sembra che neanche questo corrisponda al vero ma che la povera donna, che era una Medici, fosse invece molto amata dal marito che la pianse a lungo quando lei morì di morte naturale e si legò a Vittoria Accorambona quando era già vedovo da qualche tempo; questo almeno secondo alcune fonti.”

“E lei alle fonti è particolarmente attenta, lo posso capire.” osservò il Commissario con aria pensierosa “Ma, mi dica, oltre che di storia lei è anche esperta di teatro? Io questo dramma non l’ho mai sentito nominare, eppure il teatro mi piace, ci vado spesso. In tempi normali, s’intende.” E qui Malaspina sospirò pensando al periodo di emergenza pandemica che avevano appena vissuto e che, secondo l’opinione di molti, rischiava di ripresentarsi altrettanto aggressivo con l’avanzare della stagione fredda.

“Forse avrà incontrato almeno il titolo, cioè The white devil or Vittoria Accorambona, e il nome dell’autore quando era alle superiori e studiava storia della letteratura inglese.” rispose Sonia con l’aria di chi ha una certa abitudine all’insegnamento “È quello che è capitato a me e ho subito provato una gran curiosità di sapere chi fosse Vittoria Accorambona, nome che mi suonava così strano e anche un po’ sinistro, perché sapevo che i drammi elisabettiani sono pieni di delitti e di morti truculente.

All’epoca non avevo un computer a cui poter attingere per avere informazioni e così dopo un po’ non ci pensai più; ultimamente però ho ritrovato quel nome nella recensione di uno spettacolo basato su quel testo antico e dimenticato ed ero nel posto giusto per fare le mie ricerche.”

“E fare bella figura con me.” rise il Commissario “Ad ogni modo, che lei ci creda o no, la sua conoscenza del teatro elisabettiano potrebbe anche essermi stata utile.”

“Veramente, venendo qui questa mattina,” replicò Sonia che si stava alquanto divertendo al bizzarro interrogatorio del Commissario, “non pensavo proprio che avrei parlato di teatro e tutto mi sarei aspettata che di dover fare sfoggio di cultura.”

“Ah sì? E cosa si aspettava?” chiese incuriosito Malaspina, dimenticando che stava interrogando una possibile testimone e che la perplessità di quest’ultima sull’andamento della conversazione era più che legittima.

“Veramente,” rispose lei, tentando di riportare il discorso sul motivo della convocazione che cominciava a sembrarle sempre più difficile da indovinare, “mi era quasi venuto il sospetto che il mio collega Marcello avesse potuto denunciare Marco per plagio o qualcosa del genere, ma mi sembrava poco probabile.”

“Lei sa per caso se a Marco piacevano i baci? Voglio dire, i cioccolatini.” chiese Malaspina fissandola con uno sguardo malizioso.

“Oh, i baci Perugina!” esclamò lei riprendendosi a fatica dalla prima parte della domanda “Sì, e non solo i baci Perugina ma anche quelli artigianali. Va letteralmente pazzo per i baci!”

Lo guardava con aria di sfida pronunciando queste ultime parole perché aveva capito che lui si stava divertendo a confonderla e voleva stare al suo gioco. Poi però si rese conto che lui aveva parlato al passato e aggiunse:

“Lei prima ha chiesto se a Marco piacevano i baci. Gli piacciono ancora…”

“Beh, ora non più purtroppo. È morto.”

Lei sbiancò tutto d’un tratto e Malaspina credette che stesse per svenire, ma poi si riprese e cominciò a parlare come se parlasse a sé stessa:

“Non ci credo! Morto? Ma se l’ho visto tre giorni fa e stava benissimo! Si è perfino fermato a chiacchierare, mentre di solito quando mi incontrava accennava ad un saluto e tirava dritto. Come è morto?” Sonia rivolse al Commissario uno sguardo ansioso.

“Ancora non lo sappiamo.” rispose lui “Ci sono le indagini in corso ma le posso dire che è stato trovato senza vita nel suo appartamento non più tardi di due sere fa. Un amico aveva appuntamento con lui nel tardo pomeriggio e veniva da fuori città; perciò, non vedendolo arrivare lo aveva prima chiamato al telefono e poi era andato a cercarlo a casa. Quando si è reso conto che non lo si trovava da nessuna parte, si è rivolto al portiere il quale gli ha detto di non averlo visto per tutta la giornata, cosa che pareva alquanto strana anche a lui. Così, riflettendo sul fatto che viveva da solo e che, se si fosse sentito male, nessuno se ne sarebbe accorto, l’amico ha chiesto di aprire la porta. Lui era steso sul divano, ma non c’erano segni che indicassero un’aggressione e quindi escluderei la violenza, almeno per il momento.”

Sonia aveva lo sguardo smarrito e il Commissario, che stava in piedi appoggiato alla scrivania, si chinò verso di lei e le disse in tono quasi affettuoso:

“Lei si sarà accorta che io l’ho trattenuta piuttosto a lungo, mentre gli altri suoi colleghi li ho liquidati in dieci minuti. Non mi chieda il perché, ma a volte ho la sensazione che un testimone, e non altri, potrebbe suggerirmi qualcosa di utile per le mie indagini. In questo caso specifico questa sensazione l’ho avuta con lei. Però la prego, non riferisca a nessuno la nostra conversazione; tutto quello che gli altri sanno, e devono sapere, è che il professor Sereni purtroppo è morto.”

“Veramente è anche tutto quello che so io” disse Sonia alquanto frastornata.

“Sì, lo so,” sorrise Malaspina “ma vedrà che con il passare dei giorni ne saprà molto di più. Quanto a me, sento che è stato molto utile parlare con lei.”

“Faccio fatica a capire perché,” disse Sonia alzandosi e avviandosi verso la porta che Malaspina le stava tenendo aperta “ma è lei il Commissario ed è lei che sa come procedere”.

Di tutte le cose che Malaspina le aveva detto, o chiesto, non ce n’era una che potesse collegarsi alla morte di Marco secondo un filo logico, dal momento che questi sembrava essere deceduto per cause naturali: il rossetto, i baci avvelenati, i cioccolatini, tutto quel turbinio di idee che frullava nella testa del Commissario, cosa aveva a che fare con un caso all’apparenza così semplice?

Quando Sonia fu uscita Diego Malaspina si rivolse all’agente che era rimasto presente al colloquio e anche agli altri interrogatori.

“Tu che ne pensi, Santino?” chiese con aria assorta.

“Penso che sia stata sincera, Commissario.” rispose l’agente che non sapeva bene come interpretare quell’attenzione particolare che il suo superiore aveva dedicato alla ragazza.

“Questo sì. E nient’altro?”

“Beh, penso che è piuttosto carina, se mi posso permettere.”

“Bene, vedo che siamo d’accordo.” replicò Malaspina con il sorriso negli occhi e gli disse di far entrare il primo di quelli che ancora aspettavano di essere ricevuti.

Uscendo dall’ufficio del Commissario, da una porta diversa da quella da cui era entrata, Sonia fu introdotta in una stanza affollata da tutti quei colleghi che erano stati sentiti prima di lei e, dato che si era intrattenuta così a lungo con Malaspina, se li trovò tutti addosso a farle una quantità di domande a cui lei non poteva e non voleva rispondere. Le sembrava di essere all’uscita da un esame, quando i compagni ti si affollano attorno per sapere cosa ti hanno chiesto. Nonostante la evidente bizzarria del Commissario, non voleva deludere la sua fiducia, che in fondo la lusingava anche se non aveva ben chiaro perché questa fiducia la riponesse proprio in lei e non in altri suoi colleghi più avanti nella carriera e quindi più autorevoli. Se la cavò comunque cercando di rimanere sulle generali, ma non riuscì a persuaderli della scarsa importanza di quel che era stato detto nel lungo colloquio e molti di loro rimasero convinti che lei sapesse ben più di quanto volesse ammettere.

Ad un tratto a qualcuno balenò alla mente che ci potessero essere delle telecamere nascoste e a tutti cominciò ad essere chiaro il motivo per cui li avevano ammassati in quella stanzetta senza farli uscire subito alla fine di ogni colloquio. Era evidente, dicevano, che il Commissario voleva osservare le loro reazioni ed essere informato direttamente su quello che pensavano dopo aver subìto quel breve interrogatorio e aver appreso quella notizia così inaspettata. Molti di loro avevano già visto qualcosa del genere alla televisione, quando si parlava di processi in corso e di indagini di polizia e istintivamente cercavano di abbassare la voce e zittire quelli che volevano parlare, senza rendersi conto che in tal modo facevano nascere sospetti.

Sonia, all’idea di essere ripresa da una telecamera che sarebbe stata poi visionata dal Commissario, cominciò a ravviarsi i capelli e a darsi un contegno dignitoso; non voleva che lui la vedesse preoccupata. Non riusciva a capire a cosa dovesse attribuire quella attenzione speciale che aveva riservato a lei ma ne era oltremodo lusingata. Si domandava anche se avrebbe provato la stessa soddisfazione di fronte ad un altro Commissario che le avesse usato la medesima attenzione, o se erano piuttosto quei due occhi verdi e quello sguardo vagamente ironico a tirarla dalla sua parte. Proprio perché era immersa in questi pensieri, uscì dal Commissariato quasi dimentica del motivo per cui vi era entrata.

CAPITOLO 3

Diego Malaspina era seduto alla scrivania, oramai tutti se ne erano andati e l’agente Santino era uscito a prendere un caffè. Stava cercando di tirare le somme dai colloqui avuti con le persone che aveva convocato: non era riuscito a sapere molto e non aveva neanche detto molto lui stesso perché giudicava prematuro dare troppe informazioni. La cosa che tuttavia gli era parsa abbastanza chiara era che Marco Sereni non era particolarmente simpatico ai suoi colleghi, ma quando questi avevano appreso, così a bruciapelo, la notizia della sua morte erano diventati ancora più reticenti. Soltanto Marcello Gandini non aveva avuto problemi ad ammettere i suoi dissapori con il defunto. Quanto a Sonia, le domande che lui le aveva fatto potevano esserle sembrate stravaganti o addirittura fuori luogo, ma non gliele aveva fatte a caso. Naturalmente non le aveva detto tutto, e non avrebbe potuto dirglielo con le indagini appena iniziate e con il dubbio che qualcuno di loro potesse essere coinvolto in questa faccenda, ma lei aveva saputo tenergli testa senza meravigliarsi troppo e gli aveva dato delle risposte che lo portavano a indirizzare le sue congetture in più di una direzione.

Marco Sereni era stato trovato disteso sul divano e il suo volto, pur nella rigidità della morte, esprimeva sofferenza. Doveva essere morto ormai da qualche ora; su di un tavolino c’era una piccola scatola di baci Perugina, aperta, da cui mancavano due cioccolatini e in terra, tra il divano e il tavolino, vi era un foglio di carta da regalo bianca ed un biglietto, uscito da una busta anch’essa per terra, su cui spiccava l’impronta di una bocca. Chi aveva lasciato quell’impronta doveva essersi cosparso abbondantemente le labbra di rossetto per renderla così nitida anche se attorno presentava delle sbavature; il colore era di un rosa carico ed emanava un leggero profumo di fragola. Sotto quella bocca si leggeva una domanda scritta a penna in stampatello: “Quale è più dolce?”

A Diego, che pur non escludeva affatto la possibilità di un malore dovuto ad infarto o a qualche altra causa di carattere medico, era subito balenato alla mente il dubbio che si trattasse di avvelenamento e anche il medico legale pareva pensarla alla stessa maniera. Quest’ultimo basava la sua opinione soprattutto sull’aspetto del cadavere mentre Diego fondava i suoi sospetti sul disordine che c’era attorno a quel divano. Le carte dei cioccolatini erano ancora lì sul tavolino, la scatola aperta suggeriva l’intenzione di prenderne ancora e il foglio bianco e il biglietto con l’impronta delle labbra, forse caduti per terra accidentalmente, non erano stati raccolti. Forse Marco aveva cominciato a sentirsi male dopo aver mangiato quei cioccolatini, o magari si era sentito soltanto strano e non si era preoccupato più di tanto, aspettando fino a che non era stato troppo tardi per chiedere soccorso. Ad ogni modo l’autopsia e le analisi tossicologiche avrebbero probabilmente chiarito tutto.

Diego stava cercando di rivedere mentalmente e di analizzare il comportamento di ciascuno di coloro che aveva convocato quella mattina, concentrandosi soprattutto sulla loro reazione alla notizia della morte di Marco. Voleva capire fino a che punto fossero rimasti sorpresi e se veramente nessuno di loro se la fosse aspettata, ed era proprio per questo che non li aveva fatti uscire dalla porta da cui erano entrati: la notizia non doveva essere divulgata prima che lui avesse potuto interrogare tutti, almeno tutti quelli presenti a quel primo colloquio. Purtroppo, nel giro di qualche ora quella brutta notizia si sarebbe diffusa fra tutti i membri del Dipartimento che ancora erano assenti e quindi nei colloqui che intendeva avere con loro l’effetto sorpresa sarebbe venuto meno.

La reazione di Marcello Gandini era stata di sgomento e sembrava sincera anche se aveva ammesso da subito la sua ostilità nei confronti di Marco e il rancore che aveva provato verso di lui da quando si era accorto che questi era riuscito ad avere tra le mani i suoi appunti; ora però gli dispiaceva perché i morti, diceva, si devono compatire e non detestare, mentre rimaneva intatta la beffa ai suoi danni senza che lui potesse più reclamare giustizia. Se uno ha qualcosa da nascondere, pensava Diego, non mostra così chiaramente, senza alcuna reticenza, i propri sentimenti. Marcello invece aveva parlato subito come un libro aperto. O almeno così pareva.

E poi c’era Sonia, l’altra persona che lui trovava particolarmente interessante. A dire il vero il suo interesse per lei aveva origini precedenti al caso che teneva occupata la sua mente in quel momento e non sapeva neanche lui per qual motivo fosse nato e poi cresciuto tanto da farlo voltare per strada ogni volta che credeva di aver incontrato di nuovo quegli occhi. Quella mattina finalmente se l’era ritrovata davanti, e tutta intera senza mascherina; quasi non ci credeva. Aveva da subito provato l’impulso irresistibile di recitare con lei la parte del Commissario, quello che si vede negli sceneggiati televisivi di carattere poliziesco, e in quella parte si era divertito molto, tanto da essere spinto a farle domande apparentemente non pertinenti, giusto per confonderla un po’ e magari farla un po’ arrabbiare. Sì, gli sarebbe piaciuto molto avere un piccolo battibecco con lei: spesso le storie tra un uomo e una donna cominciano con una discussione. Lei però non aveva battuto ciglio e aveva sempre risposto puntualmente alle sue domande, anche alle più bizzarre, e per giunta gli aveva fornito delle informazioni che lo incoraggiavano ad indirizzare le indagini nella direzione in cui stava già intuendo di dover andare.

Aveva da subito chiesto (cosa del tutto naturale, anzi perfino banale) che venissero analizzati i cioccolatini; se Marco si era sentito male dopo averne mangiati due, potevano essere stati avvelenati. Peccato però che non era stato possibile vedere se l’incarto fosse stato manomesso, cosa abbastanza facile da scoprire ad un occhio attento ai dettagli come quello di un poliziotto; una volta che un cioccolatino era stato scartato l’involucro non poteva più dire niente, tranne che offrire delle impronte. Tuttavia, gli altri cioccolatini rimasti nella scatola apparivano assolutamente integri e non era pensabile che ne fossero stati avvelenati due a caso, senza essere sicuri che la vittima avrebbe scelto proprio quelli. Comunque, anche il foglio di accompagnamento e il biglietto sarebbero stati analizzati e, chissà, forse quella bocca avrebbe parlato. Già, quella bocca; era di un uomo o di una donna? Ovviamente, così come appariva, era di una donna, e poi quale uomo avrebbe voluto imbrattarsi le labbra di rossetto per imprimerle su di un foglio ed ottenere un risultato a dir poco sconcertante? La bocca di un uomo è ben diversa da quella di una donna e si fa presto a riconoscerla; però una bocca la si può disegnare e colorare di rossetto e poi imprimerla su di un altro foglio e questo lo può fare anche un uomo.

Una domanda sorgeva spontanea: Marco aveva una relazione, frequentava una donna? La natura del regalo e del messaggio che aveva ricevuto facevano senz’altro presupporre di sì ed era possibile che anche altri lo sapesse. Ora, nei colloqui avuti con le persone che aveva convocato, non aveva potuto chiedere troppo; si erano mostrati subito tutti sospettosi, dopo il primo sbigottimento, e quindi anche reticenti e persino impauriti. Tutti, tranne Marcello e Sonia, e forse proprio a Sonia avrebbe potuto fare quella domanda che invece, chissà perché, non le aveva fatto; lei probabilmente gli avrebbe detto quello che sapeva. Con Marcello invece non aveva insistito perché non gli sembrava proprio il tipo da prestare orecchio ai pettegolezzi. Bisognava aspettare i risultati delle analisi prima di fare una visita al Dipartimento di Storia e, se avesse lasciato passare qualche giorno, forse vi avrebbe trovato anche alcuni di quelli che erano mancati alla prima convocazione. Era un giro che non gli sarebbe affatto dispiaciuto di fare; di solito si stancava ad andare da un capo all’altro della città a far domande e ad investigare ma difficilmente si potevano risolvere i casi stando seduto nel proprio ufficio. Questa volta però aveva una gran voglia di vedere come era un Dipartimento di Storia e dove stavano le ricercatrici e cosa facevano. Cioè, le ricercatrici come Sonia.

Mentre faceva questi pensieri, non gli stava venendo in mente che esistevano anche i ricercatori e che avrebbe potuto, anzi dovuto, interrogare anche loro; in quel momento gli pareva che la Storia dovesse essere studiata solo dalle donne, o meglio ancora dalle giovani donne e soprattutto da una a cui lui non vedeva l’ora di fare tante domande per avere tante risposte che potessero metterlo sulla strada giusta. Ad un tratto però rabbrividì: e se fosse anche lei coinvolta? Di solito i colpevoli sono i meno sospetti e lui non la conosceva affatto. Ragione di più per conoscerla, e conoscerla a fondo, si disse cercando di consolarsi con questo pensiero, ma gli era sparito il buon umore.

CAPITOLO 4

Erano arrivate le analisi e Diego si apprestava a prenderne visione; non c’erano impronte digitali ma la cosa era abbastanza normale, la persona che aveva confezionato il pacchetto doveva aver usato i guanti. In tempo di pandemia poi li si indossava abitualmente, proprio quelli di gomma, anche per entrare in un negozio. Diego era ansioso di sapere se la sua intuizione era stata giusta: sì, si era trovato del veleno e precisamente della colchicina allo stato naturale, cioè non un prodotto di sintesi che rilasciano le farmacie dietro una ricetta medica ma la sostanza che si trova direttamente nella pianta. Dalle analisi risultava che questa sostanza era presente sulla bocca impressa sul biglietto che accompagnava il regalo, anzi era addirittura mescolata al rossetto che, essendo di colore molto vivido, si ipotizzava fosse stato rinforzato con una ripassata finale dopo aver aggiunto il veleno; poi il biglietto era stato infilato delicatamente nella busta. Doveva essere andata così: nessuno si cospargerebbe le labbra di veleno per compiere una vendetta, se vendetta era stata, l’aveva detto anche Sonia. Acuta, quella ragazza.

Quanto ai cioccolatini, non v’era in essi traccia alcuna di sostanza velenosa e quindi dovevano essere stati soltanto un espediente per attirare Marco nel tranello. C’era però una cosa che non tornava: ad una prima valutazione, la quantità di colchicina trovata su quella bocca non pareva essere sufficiente a produrre la morte di una persona a meno che questa non soffrisse di una patologia che la rendesse particolarmente vulnerabile in caso di contatto o di ingestione. Questa era senz’altro una cosa da verificare ma, pensò Diego, bisognava trovare qualcuno che conoscesse bene Marco oppure meglio ancora sarebbe stato trovare il suo medico curante, che molto spesso nessuno conosce se il paziente vive da solo come sembrava essere il caso. Una domanda, tuttavia, si stava facendo il Commissario: Marco era il tipo da baciare una bocca impressa su un biglietto? Assolutamente no, a giudicare da come glielo avevano descritto.

Era giunto il momento di andare a fare una passeggiata fino al Dipartimento di Storia sia per fare qualche domanda a coloro che non erano potuti venire al primo colloquio in Commissariato, sia per saperne di più, se possibile, sulla vita privata di Marco Sereni. C’era anche un altro motivo che rendeva Diego, quella mattina, particolarmente sollecito nella sua visita al Dipartimento: sperava di trovarci Sonia. Temeva però che la ragazza questa volta non avrebbe potuto dirgli molto, vista l’antipatia e la totale disistima che sembrava nutrire (o aver nutrito) nei confronti del povero Marco; forse il fatto che lui fosse morto avvelenato avrebbe potuto addolcire un po’ questi sentimenti ma era difficile pensare che lei si fosse mai particolarmente interessata alla sua vita privata. Mentre si avvicinava alla meta, stava cercando di decidere da chi cominciare: scelse di cominciare dal capo.

Il direttore del Dipartimento lo accolse con cordialità, senza alcuna ombra di fastidio o insofferenza; gli disse che si aspettava una sua visita o una convocazione in Commissariato dopo che aveva chiamato a deporre gli altri suoi colleghi e lo assicurò che avrebbe collaborato per quanto possibile. Tuttavia non seppe dirgli molto di più di quanto lui non sapesse già perché, lo informò, il professor Sereni era piuttosto geloso della sua vita privata e i rapporti che intratteneva con le persone erano di carattere strettamente professionale, nel senso che si fermava volentieri a parlare solo se la conversazione verteva sul lavoro e su tutto ciò che aveva a che fare con la carriera, come concorsi e possibilità di avanzamento, senza disdegnare di farsi avanti laddove gli pareva di cogliere l’offerta di una spintarella. Tutto sommato Sereni non aveva grandi amicizie e si mostrava disposto ad approfondire la conoscenza di una persona solo se pensava che questa potesse procurargli un qualche vantaggio. Questo i suoi colleghi lo avevano capito e lo frequentavano poco.

Dopo aver fornito al Commissario le scarse informazioni che poteva dargli sul personaggio, il Direttore si offrì di fargli fare un giro del Dipartimento e di introdurlo presso gli altri colleghi, professori e ricercatori, perché potesse fare tutte le domande che voleva. L’unica cosa di un qualche interesse che Malaspina riuscì a sapere fu la passione di Marco per le donne: a Marco piacevano le donne e non si lasciava mai scappare l’occasione di una conquista o di una breve avventura. Pareva anche che in questa attività avesse successo ma le storie in genere duravano poco e in ogni caso non dovevano interferire con la sua attività professionale e con la sua carriera universitaria che venivano davanti a tutto.

In tutto quel tempo Diego aveva guardato, con la coda dell’occhio, un po’ in giro cercando Sonia ma non l’aveva vista da nessuna parte; chiese allora all’ultima persona che aveva appena finito di interrogare se per caso la dottoressa Ballarini era presente quel giorno e, se sì, dove l’avrebbe potuta trovare. Gli fu risposto che con tutta probabilità l’avrebbe trovata al bar perché quella per lei era l’ora del cappuccino.

Il bar frequentato dal personale del Dipartimento si trovava fuori dall’Istituto e lì si diresse Malaspina, seguendo le indicazioni che gli erano state date. Scorse subito Sonia seduta ad un tavolo, apparentemente assorta nella lettura di un libro; doveva essere appena arrivata perché il cappuccino fumava ancora. Ordinò anche lui un cappuccino, bollente (voleva che durasse per tutta la conversazione), e comprò una stecca di Baci Perugina che ne conteneva tre.

“Posso sedermi qui?” chiese non appena fu arrivato al tavolo di Sonia.

“Prego Commissario” rispose lei sorridendo mentre cercava di nascondere il piacere che provava nel vederlo.

Diego, senza dire una parola, le mise subito davanti la stecca con i tre cioccolatini.

“E questi?” chiese la ragazza sorpresa.

“Sono per lei”. Diego la guardava con un sorriso enigmatico.

“Per me?” Sonia si sforzava di capire.

“Non le piacciono i baci?” chiese lui con finta indifferenza.

“Veramente preferisco i cioccolatini al liquore,” rispose lei arrossendo “ma vanno bene anche questi, la ringrazio. Però…mi dice perché ha pensato di regalarmi dei cioccolatini?”

“Questi in particolare, non le dicono niente?”

“Oh sì, i baci avvelenati…ora ricordo.” Sonia sorrideva al pensiero della conversazione avuta con il Commissario qualche giorno prima, in cui si era parlato di baci, di veleni e di cioccolatini senza che lei riuscisse a vederci un filo logico; poi si riscosse e chiese: “Allora, siete riusciti a capire come è morto Marco?”

“Le dice niente la colchicina?” rispose Diego con un’altra domanda, ignorando quella di lei.

“Immagino” cominciò la ragazza, alquanto spiazzata “che sia la sostanza che si trova nei colchici, e i colchici sono fiori velenosi. La leggenda dice che la maga Medea, figlia del re della Colchide, proprio quella Medea che si innamorò di Giasone, un giorno inavvertitamente lasciò cadere a terra una goccia di una delle sue pozioni magiche e lì nacque un fiore che prese il nome dal luogo.

Nel vedere la naturalezza con cui Sonia rispondeva alla sua domanda Diego si sentiva sollevato: non si comporta così qualcuno che sia implicato in un delitto. Lei all’inizio era apparsa sorpresa sì, ma assolutamente tranquilla e per di più non fingeva di non conoscere quei fiori. Diego rimase pensieroso qualche secondo ma doveva decidere in fretta se fidarsi di lei e della sua discrezione, e quindi cominciare a rivelarle un po’ di cose, oppure continuare a fare il misterioso ma a quel punto non avrebbe più saputo quali domande farle senza apparirle curioso o indiscreto. A lui piaceva il rapporto particolare che si stava stabilendo tra di loro e desiderava che lei se ne accorgesse. Decise, quasi d’impulso, di cominciare a parlare; avrebbe poi valutato strada facendo fin dove arrivare.

“Vedo che lei non è soltanto esperta di storia ma anche di botanica,” cominciò a lusingarla Diego “e in effetti pare che Marco sia stato avvelenato, anche se i risultati dell’autopsia non sono ancora completi e quindi è ancora presto per fare ipotesi su un avvelenamento accidentale oppure deliberato. Comunque, non possono essere stati i cioccolatini la causa della morte, perché non contenevano il veleno, ma piuttosto il biglietto di accompagnamento.” E qui Malaspina descrisse minutamente il contenuto del biglietto, poi chiese: “Pensa che Marco fosse un tipo tanto romantico da fare un gesto simile a quel personaggio del dramma elisabettiano di cui mi ha parlato? Sa, quella storia mi è rimasta impressa, anche se mi sembra un modo assolutamente improbabile di far morire qualcuno.”

“A dir la verità, il dramma in questione è leggermente posteriore al periodo elisabettiano, perché fu rappresentato agli inizi del ‘600, quando regnava già Giacomo I Stuart.” ci tenne a precisare Sonia sotto lo sguardo divertito di Diego che la stava scoprendo a poco a poco nella sua puntigliosità di studiosa che ci tiene a dare informazioni esatte e a ragionare in modo ordinato.

“Per rispondere alla sua domanda,” riprese Sonia “io non conoscevo abbastanza bene Marco Sereni per poter dire se lui fosse un tipo così passionale da comportarsi in modo tanto melodrammatico, ma mi stupirebbe che l’avesse fatto perché ha sempre dato a tutti noi l’impressione di essere una persona fredda e calcolatrice, ben lontana da gesti istintivi e impermeabile alle emozioni. Però, si può sempre sbagliare nel giudicare il prossimo.”

“Forse, chi gli ha fatto recapitare quel regalo lo conosceva meglio di tutti voi e, chissà, può anche darsi che conoscesse la storia di…come si chiamava?”

“Vittoria Accorambona era la protagonista del dramma mentre Isabella de’ Medici era il personaggio che fu avvelenato.”

“Ma lei sa proprio tutto; si rende conto che se non mi avesse raccontato questa storia sarei ancora impantanato in un’indagine in cui gli indizi che ho in mio possesso non riuscirebbero ad avere un senso? Così invece ho qualcosa da cui partire; può essere la pista sbagliata, ma almeno da qualcosa si parte.”

Sonia gongolava; si sentiva importante anche se non voleva darlo a vedere e Diego aveva messo a bella posta un’enfasi particolare nelle sue parole di apprezzamento per poterla avere poi più facilmente a sua disposizione quando ne avesse avuto bisogno (o quando avesse avuto una gran voglia di vederla).

“Veramente,” disse Sonia che, nonostante si sentisse lusingata, ci teneva a fare questa precisazione, “io, da studiosa di storia, avrei dovuto sapere la storia di Vittoria Accorambona, soprattutto quella vera e non tanto quella raccontata nel dramma, anziché scoprirla solo di recente andando a cercarla in biblioteca per soddisfare una mia curiosità. Il fatto è che noi ricercatori ci occupiamo principalmente di quegli avvenimenti che hanno determinato il destino dei popoli, che hanno prodotto cambiamenti epocali o che quanto meno hanno avuto un’importanza significativa in un certo periodo storico, mentre tendiamo a trascurare tutto ciò che è cronaca, e i delitti e i tradimenti fini a sé stessi, quei fatti che interessano soltanto le persone coinvolte ma non cambiano le sorti del mondo, sono cronaca. Poi però arriva qualcuno che vuole scrivere un romanzo storico, come Marco Sereni appunto, ed è proprio dalla cronaca che prende spunto. Quindi, come vede, anche gli studiosi hanno delle lacune e io, che sono ancora giovane, ne ho più degli altri.”

“Non sono d’accordo.” protestò Diego in tono deciso “Anche se lei non conosce tutti i fatti di cronaca dal Medio Evo fino ad oggi, lei è comunque molto informata e non solo conosce la storia, ma anche la botanica. Pensi che io non conoscevo l’esistenza dei colchici prima di questo caso!”

“E allora non sa che sono fiori moto amati dai poeti: li nomina spesso Pascoli nelle sue poesie e ce n’è poi una di Apollinaire molto conosciuta…”

“Oh, sì, I poeti maledetti, I fiori del male!” esclamò trionfante Diego che finalmente poteva mostrare di ricordar qualcosa di quello che aveva studiato al Ginnasio.

“Beh, veramente Apollinaire viene un po’ dopo, quando i maggiori rappresentanti del gruppo sono quasi tutti morti. Ma non è di questo che volevo parlare.” Sonia aveva notato l’espressione delusa di Diego e aveva subito deciso di risparmiargli un ripasso di letteratura francese. “In quella poesia si parla delle mucche che, al pascolo, lentamente si avvelenano mangiando appunto quei fiori, ma non è proprio così, perché i bovini non ne sono attratti, li evitano. A mangiarli sono invece le capre e gli ovini in generale, che tuttavia sono immuni a quel veleno e quindi non ne muoiono, però il veleno passa ugualmente nel latte e può intossicare chi lo beve o mangia formaggi caprini o pecorini. Ma ci si può avvelenare anche scambiando i colchici per fiori di zafferano, a cui assomigliano moltissimo, e cucinandoli in un risotto. Pare che recentemente ci sia stato un caso simile in una zona di montagna, credo in Trentino.” Sonia aveva così riportato la conversazione sul piano delle indagini, un piano decisamente più congeniale al Commissario.

“Peccato,” rifletté Malaspina “se non fosse per quegli indizi che ci portano in un’altra direzione, il caso potrebbe essere facilmente chiuso come semplice avvelenamento dovuto alla sfortuna o alla mancanza di cautela.”

“Ma lei, Commissario, preferisce i casi facili o quelli intriganti in cui bisogna ragionare come se si stesse risolvendo un rebus? Non crede che questi ultimi alla fine diano più soddisfazione?” chiese Sonia come se volesse rimproverarlo.

“Ecco se, dopo essermi dato tanto da fare, il caso riesco a risolverlo, certamente mi sento molto soddisfatto; se però non ci riesco e il caso rimane un cold case, come si dice oggi, di solito mi ci vuole del tempo per superare la frustrazione.” E Diego pensava soprattutto alla brutta figura che avrebbe fatto con lei.

“Eppure qualcosa mi dice, Commissario, che nonostante il suo modo così irrituale di fare le indagini e di condurre gli interrogatori, questo caso alla fine sarà risolto.” Sonia aveva cominciato ad alzarsi ma Diego la trattenne.

“Aspetti,” le disse come se un pensiero improvviso gli avesse attraversato la mente “ho ancora una domanda da farle, anzi due.”

Sonia lo guardò incuriosita: lui era sempre così imprevedibile.

“La mia prima domanda è: dove diavolo si trovano i colchici e in quale stagione fioriscono? Sì, lo so che lei è laureata in Lettere e filosofia e non in Agraria, ma sembra conoscere così bene questi fiori che sarei tentato di metterla sul registro degli indagati.” E mentre pronunciava queste parole Diego la osservava attentamente con uno sguardo divertito per farle capire che stava scherzando, anche se in realtà nutriva sempre una leggera apprensione e un vago timore che anche lei potesse risultare coinvolta.

La ragazza invece rise di cuore e non sembrò affatto prendersela, anzi l’idea che il Commissario potesse sospettare di lei, oltre che divertirla, la fece sentire più importante ai suoi occhi. Gli rispose che i colchici possono trovarsi in montagna come in pianura, in terreni boscosi, e che fiorivano proprio in quella stagione e cioè all’inizio dell’autunno, tra la fine di agosto e il mese di settembre.

“Si trovano anche da noi? Lei ne ha visti di recente nella campagna circostante? Sa, quel veleno era stato estratto proprio dal fiore e non era un preparato di farmacia.” La risposta era importante: avrebbe potuto dare un’accelerazione alle indagini.

“Sì, li ho visti anche quest’anno, in pineta. Passo le estati a Cervia, quando non faccio un viaggio, e il giorno prima di ripartire per la città ho fatto un giro in bicicletta passando per la pineta e lì li ho visti, bellissimi, invitanti, in una piccola radura; avrei voluto farmi strada tra i rovi per coglierne almeno uno ma sapevo che anche solo a toccarli avrei potuto avere problemi. Il loro veleno li protegge dall’essere strappati e salva loro la vita.”

Diego istintivamente le guardò le mani; avrebbe voluto prenderle tra le sue con la scusa di vedere se presentassero delle escoriazioni, ma in tempi di pandemia quel gesto era altamente sconsigliato per il contagio che poteva diffondere e dovette accontentarsi di osservarle a distanza: erano perfettamente integre e pensò che fossero bellissime. Si riscosse improvvisamente per porre la seconda domanda:

“Quando lei era in biblioteca a fare ricerche sui personaggi del dramma di cui abbiamo parlato,” (Diego non ricordava più il nome dell’autore) “ha per caso incontrato qualcuno cui ha accennato al motivo per cui era lì?”

Sonia rifletté qualche secondo, poi disse:

“Sì, è vero; c’erano anche Marcello e sua madre che stavano parlando fuori dalla sala di lettura; mi hanno visto entrare e dopo un po’ sono venuti a salutarmi. Sono stata io a raccontare quel che stavo facendo ed ho anche chiesto a Marcello se conosceva quella storia.”

“E lui?” domandò impaziente Diego, in cui sembrava accendersi una piccola luce.

“Sì, disse che la conosceva e mi fece sentire totalmente ignorante; strano che questo poi mi sia passato di mente.” A quel punto Sonia ebbe un sospetto improvviso e aggiunse: “Ma, Commissario, non penserà seriamente che sia stato Marcello a commettere il delitto? Non ne sarebbe mai capace, lei non lo conosce!”

Questa difesa ad oltranza del collega non piacque a Malaspina che sentì una piccola fitta al cuore, forse di gelosia; che Sonia fosse innamorata di Marcello, nonostante lui fosse sposato?

“Appunto perché non lo conosco devo sospettare anche di lui, come di tutti.” rispose freddamente, poi, vedendo lo sgomento negli occhi della ragazza, volle togliersi una soddisfazione e aggiunse: “Anche lei dovrebbe considerarsi sospettata.”

Con sua grande meraviglia Sonia scoppiò a ridere: “D’accordo, Commissario, faccia come vuole.”

“Dunque, non le importa proprio di essere sospettata?” chiese Diego alquanto spiazzato.

“Non se a sospettarmi è lei! Fosse un altro Commissario, allora comincerei a tremare.” disse la ragazza andandosene e agitando la stecca di cioccolatini come per ringraziarlo

CONTINUA

IL FIORE DEL MALE è un romanzo di Luisa Zilo (parte prima)

genere: THRILLER

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