LA LEGGENDA DEL SALICE PIANGENTE di Mariacristina Pettorini

genere: POLIZIESCO

Aprì con cautela la porta ed entrò nel grande salone spoglio della villa abbandonata e iniziò lentamente a salire la scalinata di legno dell’atrio.

In quel momento, i suoi occhi rimasero abbagliati dalla luce intensa di una torcia che improvvisamente rischiarò la penombra e si trovò catapultato in una grande sala con ampie finestre con tendaggi pregiati dove tutto , a differenza del piano terra , appariva in eccellente stato .

Una dimensione completamente diversa rispetto al resto della villa, anzi, in stridente contrasto.

Girati di spalle verso la porta di accesso, sedevano intorno ad un grande tavolo sei uomini, con cappucci neri, che non si degnarono di voltarsi verso di lui. 

Uno di loro, lo invitò bruscamente a sedersi al tavolo e a non rivolgere domande di alcun tipo.

Gianni Sistini provava una sensazione di disagio, tutto gli sembrava irreale. Non riusciva a capire il senso di quella strana situazione che sempre più chiaramente gli appariva piena di incognite e pericoli. 

Ad un certo punto, il personaggio seduto al centro del tavolo, probabilmente il capo, si rivolse a lui in perfetto italiano privo di inflessioni dialettali e disse:

«Benvenuto Capitano Sistini. Immagino che si stia chiedendo come mai è stato convocato qui e da chi. Le basti solo sapere che qualcuno non è contento dei suoi loschi traffici sinora compiuti con gli americani. Ora, per evitare guai grossi alla sua persona e vendette trasversali verso i suoi parenti, le consiglio di cedere subito a noi le merci che avrebbe dovuto consegnare ai suoi precedenti referenti. Le consiglio di ottemperare alle nostre richieste e alle indicazioni che le verranno date tra breve. Non provi a giocarci strani scherzi perché pagherebbe con la sua vita».

Sistini provò ad articolare alcune parole ma un colpo alla nuca lo rese inoffensivo ed incosciente.

Si svegliò più tardi lungo il ciglio di una stradina vicina alla Certosa e impiegò alcuni minuti per realizzare cosa gli era capitato. La testa gli doleva e si accorse di non avere più il portafoglio e i documenti. Non aveva più la chiave del piccolo deposito dove usava lasciare a Livorno le mercanzie che cedeva a Marzio. 

Gli uomini incappucciati si erano impadroniti dei suoi documenti e stavano razziando le sue merci.

Un biglietto scritto in modo anonimo gli indicava le istruzioni su come comportarsi in futuro per le merci e come ritrovare i suoi documenti.

“Chi erano questi loschi figuri che lo avevano avvicinato?” si chiese “Membri di una setta o di una congregazione del malaffare?”

“Restava il fatto che mai avrebbe potuto denunciare i fatti alla polizia,” concluse tra sé “altrimenti sarebbero venute fuori parecchie cose sul suo conto che, invece, dovevano rimanere nascoste. Avrebbe dovuto rispondere per il reato di Associazione per delinquere, anche di stampo mafioso. In tal caso, sarebbe, poi, scattata la vendetta degli incappucciati”.

Per fortuna il biglietto ferroviario per Livorno e qualche spicciolo non gli erano stati sottratti.

Così, tornò con il bus alla stazione per rientrare in treno nella città labronica.

Intanto, ripercorreva nella mente ancora un po’ annebbiata quanto gli era capitato nelle ultime ore.

*****

L’ufficiale della Marina mercantile spagnola, Gianni Sistini, sbarcato dalla nave Nives battente bandiera iberica il giorno precedente nel porto di Livorno, aveva ricevuto poche ore prima, tramite mail, l’invito a recarsi nella zona della Certosa di Galluzzo a Firenze, in una villa situata in via Senese n.113, per incontrare Marzio, il referente fiorentino dell’imprenditore italo-americano Giuseppe Fragaroli, per discutere di affari.

Gli era sembrata un po’ strana questa procedura.

In genere, gli incontri, che ormai si ripetevano con cadenza regolare da circa un anno, avevano luogo in un bar nel centro di Firenze. 

Tuttavia, aveva ubbidito alle indicazioni ricevute, seppur con un leggero senso di inquietudine.

“Sicuramente Marzio aveva le sue buone ragioni per agire in questo modo” pensò.

 Sopraggiunto in treno alla stazione, si era fatto accompagnare da un taxi nel luogo convenuto.

Dopo essere sceso, aveva pagato l’importo della corsa e si era diretto verso l’ingresso della villa.

La villa si era presentata abbandonata, priva di citofono o campanello e il vecchio cancello attraverso il quale si accedeva nella proprietà era scardinato, tanto che chiunque poteva accedere. La recinzione, caratterizzata da un muro di cinta alto circa due metri, era sbrecciata e danneggiata in più punti.

All’interno della proprietà abbondavano erbacce e rovi. Gli alberi risultavano sovrabbondanti di rami e fogliame, segno che la manutenzione non veniva fatta da tempo.

Tuttavia, nonostante l’evidente stato di abbandono, il tutto conservava i resti di un’antica bellezza ed opulenza. In passato si erano date feste e banchetti per la delizia dei proprietari e dei loro ospiti.

Lo sguardo di Sistini era stato attratto dalla presenza di una decina di salici piangenti collocati lungo il perimetro della villa. 

Amava quel genere di alberi, dai rami penduli e sottili, considerati simbolo di immortalità presso i popoli orientali, in particolare in Cina.

Per i cristiani, nel corso del tempo, il salice ha simboleggiato alternativamente la purezza, la riverenza e il dolore.

Secondo una leggenda cinese sentita nei porti dell’estremo oriente, se si lascia una moneta ai piedi del salice, semicoperta dalla terra, la fortuna compenserà l’autore consentendogli una grande vincita o l’arrivo di una grossa eredità. Insomma, un colpo di fortuna.

Sistini, pur non illudendosi, volle ugualmente nascondere una moneta da 2 euro sotto il salice contrassegnato dal numero 1, vicino all’ingresso della villa.

Aveva provato a contattare Marzio tramite cellulare, ma invano.

Risultava spento.

Aveva fatto una sosta davanti alla porta della villa e aveva provato a chiamarlo più volte ad alta voce senza ricevere risposta.

 Mentre una sensazione oscura di pericolo iniziava ad impossessarsi di lui, dopo aver esitato un po’, aveva deciso di entrare e di salire e si era trovato coinvolto in quell’assurda vicenda.

Corse a constatare la situazione nel piccolo deposito che aveva affittato illegalmente da un anno e trovò che era stato visitato da poco e che tutto era stato portato via.

Tornò sulla nave Nives e, alle 22.00, questa salpò in direzione di Barcellona.

Inutile dire che l’esperienza vissuta l’aveva profondamente provato…

Dopo una settimana, la nave fece di nuovo ritorno a Livorno e Sistini scese e si recò con il suo prezioso carico al deposito.

Collocò i reperti sugli scaffali e pensò che non avrebbe più racimolato un soldo.

Uscì e, mentre stava per tornare verso la nave, poco fuori dal deposito, quasi inciampò su di un corpo che giaceva per terra e, con grande stupore, constatò che si trattava di Marzio.

Con imprudenza e leggerezza si abbassò per constatare se fosse ancora vivo e si imbrattò le mani di sangue.

Egli era morto poco prima a causa di alcune coltellate mortali che gli avevano reciso la giugulare. Là morte era sopravvenuta rapidamente per dissanguamento.

In quel momento sopraggiunse un’automobile della Polizia, chiamata poco prima da qualcuno e gli agenti, al comando del vicequestore Siliana Nardini, gli intimarono di fermarsi.

Gli chiesero le generalità e cosa facesse lì. Soprattutto se conosceva il morto.

Sistini riferì che era di passaggio, non conosceva il defunto ma, visto un corpo per terra, si era avvicinato per vedere se fosse ancora vivo ed eventualmente soccorrerlo. Secondo il nostro Codice di Procedura penale gli agenti di polizia giudiziaria  procedono all’arresto di chiunque è colto in flagranza  di un delitto non colposo consumato o tentato per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore  a cinque anni e nel massimo a venti anni.

IL vicequestore ordinò ai suoi agenti di condurlo in caserma come sospettato dell’omicidio e Sistini capì di essere nei guai.

Era chiaro il delitto era stato ordito per gettare su di lui la responsabilità. La telefonata in questura era stata effettuata dal vero assassino, presumibilmente membro della banda degli uomini incappucciati.

Nel frattempo, stavano giungendo gli uomini della Scientifica, il medico legale e il Magistrato di turno.

Il medico legale constatò che la morte risaliva ad appena dieci minuti prima, era da addebitare a tre coltellate vibrate con notevole forza.

Mancava l’arma.

Si riservò di essere più preciso nel corso dell’esame autoptico. 

Gli uomini della Scientifica procedevano all’esame del luogo e delle tracce sul corpo.

Il PM Uberto Perugini, dopo attento esame del corpo, diede l’ordine di portare via il cadavere all’ospedale centrale e il Sistini in fermo di polizia.

Il capitano, intanto, si chiedeva come mai la setta, nonostante avesse preso le mercanzie, volesse far ricadere la responsabilità della morte di Marzio su di lui.

Probabilmente avevano dei conti aperti con l’italo-americano Fragaroli. 

Si era sempre fidato di Marzio, come intermediario, non aveva mai posto domande, accontentandosi solo delle sostanziose somme di denaro che questi gli passava in cambio del suo commercio.

In fondo sapeva poco anche di Marzio.

Questi gli era stato presentato due anni prima da una comune amica, Gianna, giovane e bella cubista di circa 25 anni che si esibiva presso un locale vicino al porto.

Qui, si recavano gli uomini degli equipaggi delle navi mercantili che sbarcavano a Livorno.

Gianna sbarcava il lunario anche fornendo compagnia e sostegno morale agli uomini di mare, dietro lauti pagamenti.

Essendo giovane e bella aveva una buona clientela e anche lui aveva talvolta usufruito dei suoi servigi.

Egli, a causa della ludopatia e di un tenore di vita più che confortevole,  aveva  bisogno di denaro e, non bastando il salario percepito dalla compagnia di navigazione, arrotondava le sue entrate portando illegalmente in Italia reperti archeologici  etruschi e romani che facevano gola a collezionisti.

Marzio, faceva da tramite con il Fragaroli e, d’accordo con il Sistini, recuperava il tutto nel piccolo locale da questi preso in affitto irregolarmente per una modica somma, da parte di un amico di Gianna. 

Marzio lasciava qui, in una cavità costruita appositamente sul muro e celata perfettamente, le somme pattuite e, ogni due mesi, si incontravano a Firenze per concordare le transazioni, presso il bar Mantra, non lasciando tracce di contatti telefonici e /o elettronici.

“Ora come comportarsi con la polizia?” si domandava Sistini. “Se non avesse collaborato sarebbe stato denunciato per omicidio. Se avesse collaborato rischiava che gli altri attentassero alla sua vita ma, soprattutto, a quella dei suoi ignari genitori che vivevano ad Ancona, orgogliosi di avere un figlio con una buona carriera e gran lavoratore”.

Arrivati in questura, la dottoressa Nardini diede istruzione ai suoi uomini di effettuare le operazioni di rito: identificazione personale, contestazione formale del reato, nomina di un difensore di fiducia e avviso al PM dell’avvenuto arresto.  

Poi, rivolta a Sistini disse:

«Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l’interrogatorio. Se non può permetterselo gliene sarà assegnato uno d’ufficio».

«Come volete. Non conosco avvocati e non ho nulla da dire se non che sono innocente. Non ho ucciso il defunto, che ho cercato semmai di soccorrere. Non lo conoscevo e non so chi sia».

«Nel suo interesse la invito a collaborare. Da anni mi occupo dei traffici illegali di opere d’arte e su di lei e sui suoi loschi giri abbiamo già parecchie informazioni. Una recente soffiata ci ha fornito numerose indicazioni».

«Posso sapere in quale modo e da quanto tempo mi seguite?»

«Le domande qui le faccio io e lei deve rispondere. Comunque, la soffiata è pervenuta una settimana fa circa. Conosciamo tutto sul suo vizio del gioco e sui suoi debiti. Lei, oltre al reato di traffico illegale di opere d’arte, deve rispondere dell’accusa gravissima di omicidio volontario. Non appena la Scientifica e il medico legale forniranno una dettagliata relazione sui fatti, sull’arma usata e sulle ferite, definiremo meglio i capi d’accusa».

Fu rinchiuso in una cella e trascorse la nottata insonne a ripensare al suo passato, ma a pensare anche al futuro.

Intanto tornava a chiedersi chi fossero i membri della confraternita del malaffare:

“Questi lo tenevano d’occhio da tempo, ce l’avevano con l’italo-americano. Forse si trattava di due diverse malavitose associazioni tra loro rivali. Poi, avevano catturato lui, lo avevano minacciato, ricattato e indotto a fare quanto volevano. Ma perché far fuori Marzio?”

In mattinata arrivò il suo difensore d’ufficio Gualtiero Benzi, giovane avvocato pieno di buona volontà al quale raccontò le sue vicende con sincerità.

Questi, dopo avergli spiegato i pericoli ai quali andava incontro, gli fece capire che gli conveniva collaborare, se voleva tirarsi fuori da quella situazione limitando i danni a sé e alla sua famiglia. La pena per il traffico illegale di opere d’arte prevedeva qualche anno di galera. Considerando che era incensurato, in caso di collaborazione con la giustizia la detenzione sarebbe stata ridotta significativamente, sostituita in parte da pene alternative al carcere.

La sua famiglia avrebbe ricevuto protezione dalle forze dell’ordine.

Se non avesse collaborato, invece, per il reato di omicidio, più il traffico illegale, la pena detentiva sarebbe stata così lunga da rimanere in carcere sino alla vecchiaia.

A lui la scelta. 

Decise di collaborare e, sottoposto all’interrogatorio da parte del PM   e dalla Nardini, assistito dal suo avvocato, rispose alle domande che gli venivano poste, raccontando tutto con sincerità e precisione.

Il Vicequestore lo informò che da tempo era sulle tracce di alcune associazioni dedite al traffico di opere d’arte, composte anche da stranieri e che nel racconto del Sistini c’era qualcosa che non tornava.

Egli aveva raccontato di essersi recato nella villa abbandonata nella periferia di Firenze in via Senese, al n. 113; ma in quel luogo e a quel numero civico, c’erano abitazioni ben tenute e abitate. La cosa risultava strana e faceva sì che Sistini non fosse credibile.

Questi insistette.

Raccontò che alla Stazione di S.Maria Novella un  tassista si era offerto di accompagnarlo con molta premura. Gli aveva fornito il recapito del luogo convenuto e questi lo aveva accompagnato, comportandosi con gentilezza.

La Nardini gli chiese se dopo aver pagato la corsa il tassista gli avesse rilasciato la ricevuta.

Pensandoci bene no, non aveva avuto alcun giustificativo. Lo aveva scaricato davanti alla villa ed era andato via con molta fretta poiché aveva altre chiamate.

La villa si era presentata subito abbandonata, priva di numero civico, di citofono o campanello e il vecchio cancello attraverso il quale si accedeva era scardinato.

«Non ha notato qualcosa di strano, di particolare nel tassista?» chiese il Vicequestore.

«Non saprei, … ora che ci penso, non parlava con accento fiorentino. Potrei dire che fosse straniero, forse americano».

«Era un falso tassista, un complice della banda. L’aveva atteso di proposito e accompagnato dove la banda voleva che pervenisse. Non si ricorda qualcosa che possa provare il suo effettivo passaggio in questa fantomatica villa?»

«Sì, era circondata da una decina di salici piangenti, alberi che amo particolarmente ed io ho lasciato una moneta da 2 euro ai piedi del salice n.1 vicino alla porta» rispose Sistini raccontando la leggenda cinese.

La polizia fiorentina si mise subito alla ricerca della villa abbandonata, seguendo le indicazioni fornite dal capitano.

Il giorno successivo Sistini con la Nardini e due agenti si recarono a Firenze e qui  i poliziotti li accompagnarono in una località poco distante da  Arcetri , dove  era situata una villa antica, malandata e abbandonata, circondata da salici piangenti che sembrava corrispondere alla  descrizione che aveva fatto il marinaio. 

In effetti, ai piedi del salice n. 1 fu trovata la moneta da 2 euro che provava, quindi, che aveva detto la verità.

Fu accompagnato nei locali della questura di Firenze e qui rimase per il resto della giornata e la notte.

L’indomani il Vicequestore passò a salutarlo e gli riferì che, dopo essersi appostati di notte nella villa, avevano tratto in arresto una decina di personaggi che si erano riuniti nei locali del primo piano.

Erano i componenti di una pericolosa banda di trafficanti che lì tenevano anche la loro refurtiva e lì si riunivano periodicamente da tempo.

Nessuno avrebbe mai sospettato che in un luogo così negletto si nascondessero delinquenti di così alto calibro.

Questi personaggi furono identificati e, iniziarono a vuotare il sacco, raccontando come avevano cercato di incastrare il Sistini per sgominare la concorrenza dell’italo americano Giuseppe Fragaroli.

Sistini, scagionato dall’accusa di omicidio, in attesa del processo per il traffico di opere d’arte, fu posto agli arresti domiciliari ad Ancona, presso i suoi genitori.

Non era andata poi così male.

Doveva ringraziare la moneta di 2 euro.

La leggenda cinese dei salici piangenti si era rivelata credibile.

Non aveva ricevuto grosse somme, ma aveva salvato la propria vita e  la propria libertà personale.

Più grande fortuna di questa!

LA LEGGENDA DEL SALICE PIANGENTE di Mariacristina Pettorini

genere: POLIZIESCO

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