LA SIEPE di Roberta Boschini

genere: UMORISTICO

Sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe …

Giacomo Leopardi

E in effetti, proseguendo con le parole del Leopardi, anche la mia siepe escludeva non solo l’ultimo ma anche il prossimo orizzonte dal mio “guardo” preoccupato …

Aveva raggiunto altezze comparabili con quelle da cui Mike Bongiorno sorseggiava la mitica grappa Bocchino Sigillo Nero, invadendo tramite la tv le case degli italiani negli anni Settanta.

«Sempre più in alto» proclamava il buon Mike dalle più alte ed innevate cime italiane.

Eh, bei ricordi d’infanzia quando ancora la pubblicità era un’arte ed era piacevole da guardare, belle storielle che ci preparavano dolcemente per il sonno.

Chi non ricorda la frase:

«Su, dopo Carosello a letto che domani c’è scuola».

Ed io già cullato dalle vicissitudini di Giò Condor e del Gigante Buono mi preparavo a calarmi docilmente tra le braccia di Morfeo.

Era l’epoca in cui vivevo in uno dei comuni a sud ovest di Milano, zona che oggi con uno dei tanti termini inglesi che ormai purtroppo utilizziamo quotidianamente, viene definita “Interland”.

Uno obietterà:

«Beh, almeno s’impara un’altra lingua …»

Hh già, purtroppo però con la scusa “d’imparane” un’altra ci stiamo dimenticando la nostra che nemmeno poi conosciamo così bene!

Mah, sarà un segno dei tempi!

Del resto, l’italiano apprezza ed ha sempre apprezzato maggiormente quello che sta fuori dai patrii confini piuttosto che stimare e valorizzare quello che già gli appartiene.

Ha una dieta sana i cui effetti benefici sono riconosciuti in tutto il mondo, ma non disdice di lasciarsi tentare dai grassi saturi di matrice anglo – americana.

Ha un patrimonio naturalistico e artistico, quest’ ultimo spesso lasciato in rovina, senza eguali sì ma vuoi mettere la Tour Eiffel!

Si spinge nei più remoti e sconosciuti angoli del mondo andando ben fiero della prodezza turistica così magnificamente compiuta, nonché dell’esborso finanziario, ma non ha mai visto Firenze, Roma, Napoli e perché no … Milano. Sì, Milano è bella … basta saperla apprezzare, basta entrare nell’ottica.

Ma questo è un altro discorso.

Dico solo che dalla mia infanzia – adolescenza – prima gioventù da cittadino dell’ Interland milanese, ove la sera prima della partenza per le ferie estive si svolgeva il comune rituale del carico della macchina, controllo della tenuta delle cinghie del portabagagli (reperto archeologico scommetto valga una fortuna!) da parte di tutti i padri di famiglia mentre l’ansia di mare cresceva in noi piccoli, ebbene da quell’Interland sono finito ad abitare proprio là dove ci recavamo in agosto per le mitiche ferie estive.

Così, dal combattere quotidianamente col traffico, lo smog la nebbia d’inverno, l’afa d’estate, sono finito a combattere quotidianamente con una dannata Siepe d’alloro che cinge il giardino dell’abitazione mia e della mia famiglia e che pare abbia come hobby preferito quello di praticare un accrescimento spropositato.

Certo paesaggio bucolico, mare e campagna, pianura e dolci colline, aria buona e buona gente … ma resta la Siepe.

Ah, dimenticavo: l’unica cosa che mi ha seguito nello spostamento dalla città e che prima, quando venivo in vacanza, non c’era è costituita dalla varietà più furiosa di zanzare ed insetti molesti che mi costringono nell’atto del combattimento contro la Siepe (d’ora in poi sarà sempre menzionata con la maiuscola in segno di rispetto verso il nemico), a rivestirmi di una robusta corazza di Autan, questo naturalmente d’estate.

Direte:

«Ma perché la tagli anche in inverno?»

Cari amici, il taglio della Siepe “magica” avviene durante tutte e quattro le stagioni per poter contrastare il suo potere sovrannaturale d’accrescimento, quindi sì, la taglio anche in inverno.

Ricordo che fu proprio in inverno che avvenne il fatto passato alla storia come “L’avventura del pallone ritrovato”.

Mesi prima, mio figlio, giocando con la sua solita banda di ragazzini a calcio in giardino, venne a lagnarsi della perdita del pallone che un tiro tanto esuberante quanto fuori misura, all’epoca avevamo in giardino le porte da calcetto, aveva scagliato contro la Siepe.

S’organizzò seduta stante una battuta di ricerca cui partecipò tutta la ghenga ed io che coordinavo le operazioni.

La Siepe attorno al punto ove era stato visto sparire il pallone venne scossa, piegata, strapazzata ma nulla, il pallone non si trovò.

La partita procedette con uno dei tanti palloni di riserva.

Nei giorni e nelle settimane successive io e mio figlio continuammo le ricerche a volte insieme, a volte ognuno per proprio conto, ma senza esito. Ci convincemmo che il pallone, attraversando la Siepe, dovesse essere sicuramente finito nel vicino campo del contadino ove l’erba medica era abbastanza alta da poterlo nascondere e successivamente fosse stato inglobato dalla grossa macchina taglia – ammucchia – imballa erba che periodicamente entrava in azione.

Così, ci mettemmo il cuore in pace, cercando di elaborare il piccolo lutto legato alla perdita del caro pallone.

Senonché durante uno dei tagli invernali in cui m’ero riproposto di dimezzare l’altezza del “nemico” da quattro metri a due metri, appena finito di abbattere un tronco il cui diametro era tale d’avermi costretto all’utilizzo della sega, voltando lo sguardo dal tronco appena atterrato alla Siepe ricondotta a dimensioni comparabili con l’altezza umana, vedo ancora saldamente trattenuto da rami, rametti, foglie (ah dimenticavo l’alloro è un sempreverde) il caro pallone redivivo!

Come sta scritto:

«Non è forse vero che una donna perduta una moneta in casa inizia a cercarla e non trovandola inizia a spazzare tutta la casa finché non la ritrova e trovatala chiama le amiche per far festa», così alla vista del Lazzaro dei palloni chiamai mio figlio, l’informai del miracolo e per festeggiare organizzammo una merenda, non prima d’aver ricondotto la pecorella smarrita e ritrovata all’ovile insieme agli altri palloni.

Come dicevo, mentre i tagli estivi presentano il non trascurabile problema degli insetti, quelli invernali si caratterizzano per il freddo, l’umidità e l’oscurità.

Sì, d’inverno si sa è buio presto, ma per infliggere un colpo significativo alle truppe nemiche arboree non posso certo cessare l’artiglieria di sforbiciate al calare del sole, quindi continuo anche al buio e, scartata l’ipotesi dell’acquisto di un visore ad infrarossi per la visione notturna stile commando militare, m’aiuto con la fievole luce proveniente dalle lampade delle verande.

La scarsa visibilità nasconde tuttavia un’insidia.

Siccome la tecnica che ho elaborato (e brevettato) per il taglio prevede ch’io tenga con la mano sinistra il ramo candidato alla potatura e con la destra infligga il colpo di forbice risolutore, in questo modo l’estremità tagliata è già in mano mia pronta per essere depositata in carriola per la successiva cassonettificazione.

Ebbene questa tecnica, pur essendo eccelsa, presenta un inconveniente esaltato proprio dalla scarsa visibilità. Il fatto è, che talvolta il colpo di forbice può essere assestato anche se l’altra mano, quella che regge il ramo, non è perfettamente visibile, il che implica che la distanza lame delle forbici che si chiudono – punte dita mano reggente, non sia nota a priori e talvolta può approssimarsi allo zero.

Nei casi in cui tende a zero, ma rimane maggiore di zero, me ne accorgo a fine seduta guardando le punte dei guanti da giardino “decapitate”.

Fortunatamente sono un po’ più grandi delle mani.

Una volta, la distanza fu minore di zero.

Imprecai e, scaraventando la forbice a terra, corsi in casa a medicarmi.

Durante il tragitto giardino – casa, a proposito della distanza tendente a zero, non so per quale misteriosa associazione mentale mi ritornarono in mente elementi di analisi matematica studiati al liceo ed all’università. In particolare, la simbologia utilizzata per rappresentare il calcolo differenziale: dx, dy, dz per le variazioni nello spazio euclideo tridimensionale ed in fisica dt per le variazioni di tempo dt, dt, dt …

Ma la mano richiamò la mia attenzione non dt, ma DITO, riferendosi al suo membro sanguinante.

Prima ho parlato di “cassonettificazione”.

Chi era costei? Ebbene, alla Fantozzi: dicesi cassonettificazione il processo attraverso il quale una carriola da muratore stracolma di rami derivanti dalla potatura della Siepe viene difficoltosamente sospinta verso il cassonetto del verde e quivi il contenuto della carriola, altrettanto difficoltosamente conferito al cassonetto.

Analizziamo ora le difficoltà del processo.

Al fine di ridurre i viaggi siepe–cassonetto, cassonetto–siepe, che ai fini dell’indebolimento del nemico sono insignificanti (non si sforbicia), la mia tecnica, sempre eccelsa, prevede di ridurre al massimo tali viaggi.

Ciò però implica che la catasta dei rami nella carriola assuma dimensioni ragguardevoli e la sovrasti così tanto da rendere precario l’equilibrio della catasta stessa.

Il fenomeno è accentuato da altri quattro fattori: il passaggio della carriola dal giardino al pavimento in porfido del vialetto che conduce al cancello, il transito sul vialetto in porfido, l’attraversamento del cancelletto ed infine la discesa dal piano del vialetto al piano della strada.

Il passaggio giardino–vialetto, causa dislivello, implica una maggior spinta della carriola al fine di superarlo, essendo il giardino più basso del vialetto.

La maggior spinta e l’urto della carriola col porfido del vialetto fanno sì che la catasta di rami ammucchiata, inizi ad ondeggiare paurosamente col rischio di rovesciarsi in terra.

Se si supera indenni questo primo passaggio, vi è poi da affrontare il vialetto che, essendo in porfido, risulta leggermente sconnesso ed implica un certo sobbalzo della carriola durante il tragitto, che anche in questo caso, specie se le dimensioni della catasta sono molto significative, può tradursi in un ribaltamento della stessa sul vialetto.

Terzo step attraversamento cancelletto. Succede che, sempre causa ottimizzazione viaggi, la catasta dei rami sulla carriola non sia solo alta ma anche larga, più larga del cancelletto attraverso cui dovrebbe passare.

In questo caso la mia tecnica, sopra tutte eccelsa, prevede di confidare nell’elasticità del legno: la catasta è più larga del cancelletto ma i rami sbordanti si piegheranno durante il passaggio sfiorando da una parte le lamine del cancelletto aperto e dall’altra il pilastrino su cui è inserito il battente e tutto andrà liscio.

Quarta ed ultima stazione (è una via Crucis): discesa in strada. Il piano del vialetto è più alto rispetto a quello della strada e vi è un piccolo scivolo in cemento per facilitare il transito, solo che anche questa piccola discesa può incrinare, se non intrapresa con la massima cautela, l’equilibrio di tutto il sistema carriola–catasta. Qui il trucco previsto dalla Tecnica (eccelsa tanto da meritare la maiuscola) è quello d’inclinare la carriola il meno possibile durante la discesa e, naturalmente, pregare.

Se in una di queste quattro fasi qualcosa dovesse andare storto, tre sono le reazioni previste dalla Tecnica Ste (Sopra Tutte Eccelsa, io mi chiamo Stefano abbreviato Ste):

– Imprecare nel mio intimo in silenzio, altrimenti i vicini sentono e sicuramente con fare furtivo sbircerebbero da dietro le tende, ma facendo in modo di farsi notare per rendere più frustrante la disfatta.

– Raccogliere la catasta e disporla nella carriola.

– Riprendere con rinnovata fiducia l’esodo biblico verso il cassonetto.

Non è che arrivati al cassonetto poi le cose siano più semplici.

Qui le criticità sono due:

– Nulla, nemmeno un frammento di foglia con dimensioni dell’ordine del micron, deve cadere sulla strada.

– La quantità di materiale già presente nel cassonetto.

Relativamente a ciò che durante il trasbordo delle fresche frasche dalla carriola al cassonetto potrebbe accidentalmente cadere sulla strada, il vicinato ha organizzato una task force stile commando d’assalto composta da casalinghe annoiate, pensionati elevatisi al ruolo di tutori dell’ordine pubblico, frustrati in genere ed altri che semplicemente amano più interessarsi dei fatti altrui che badare ai propri.

Tale task force dotata delle più avanzate attrezzature per la guerra elettronica, grazie alle quali riesce sempre a rilevare l’entrata in azione del potatore oriundo (me medesimo), ha il compito,  sempre agendo retro-tenda con movimento percettibile dal potatore, di far notare al malcapitato che un seppur minimo pezzo della sua verzura ha violato il suolo patrio nella fattispecie, udite, udite, di una strada di campagna e che una qualche azione riparatrice (raccolta di tutto il materiale sversato a costo di utilizzare a tal fine anche l’aspirapolvere) debba assolutamente essere intrapresa.

Al fine di ridurre al minimo le azioni riparatrici, la tecnica Ste prevede, arrivando al cassonetto, di far aderire perfettamente il bordo della carriola al cassonetto in modo che non vi sia luce tra i due e sia così impedito alla verzura di cadere sull’italico suolo.

Per quel che riguarda invece il materiale già presente nel cassonetto, esso può costituire un serio problema.

Se il cassonetto è vuoto, il problema non sussiste, scarichi garantiti senza problemi per tutta la durata della sessione potatoria.

Se il cassonetto è parzialmente riempito, gli scarichi sono garantiti a patto che per gli ultimi, si provveda prima ad una robusta spinta a forza di braccia in modo da comprimere il contenuto verso il fondo del cassonetto e guadagnare spazio in cima.

Ma è quando il cassonetto è pressocché pieno che la situazione diventa tragica.

In quest’ultima situazione la tecnica Ste prevede, durante un viaggio propedeutico, di bloccare il coperchio del cassonetto in modo che rimanga aperto, utilizzare la carriola vuota come base per introdurvisi ed una volta entratovi, di schiacciare con i piedi e tutto il peso del corpo il materiale molesto ed ingombrante verso il basso alla stregua delle antiche pigiature dell’uva, sempre al fine di recuperare spazio per i successivi sversamenti.

Talvolta il cassonetto può rappresentare un ambitissimo trofeo quasi quanto la UCL (Uefa Champions League) anche se molto meno remunerativo.

Questo avviene quando sono in azione più potatori di piante e / o tosatori di erba.

Come dicevo abito in una zona di campagna anche se a poche centinaia di metri dal mare e non è insolito che ogni abitazione sia circondata da un giardino più o meno grande o addirittura da un vero e proprio appezzamento agricolo di dimensione attorno all’ettaro.

Stante questa situazione può capitare che vi sia concomitanza d’azione di due o più soggetti che necessitano di conferire il frutto della loro prodezza da giardinieri professionisti all’incolpevole ed ignaro cassonetto.

Se il cassonetto è vuoto o semivuoto allora i contendenti sono ispirati al massimo fair play tanto da meritare ciascuno una coppa “disciplina” come quella che nei campionati delle squadre di calcio giovanili si consegnava alla squadra che riceveva il minor numero di ammonizioni/espulsioni.

Esisterà ancora?

In questo caso, se capita, ci si ferma anche a scambiare amichevolmente due chiacchere col contendente che, metti caso, s’incontra presso il cassonetto.

«Come va, tutto bene?»

«Tutto bene e tu?»

«Non mi lamento. Ma prego, procedi pure».

«No, vai tranquillo, io sono arrivato dopo, aspetto».

E così via all’insegna del miglior spirito decoubertiniano!

Ma è quando il cassonetto è quasi pieno/stracolmo che la situazione cambia drasticamente ed il gioco si fa duro. E quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare e De Coubertin e tutto lo spirito olimpico vanno a farsi benedire.

Consci della situazione del cassonetto i contendenti si guardano in tralice, ognuno dal proprio appezzamento, poi lo sguardo si posa sull’oggetto del contendere, mentre ognuno s’infila serio i guanti da giardinaggio stile sfida all’ O.K. Corral.

Nella mente di ognuno i pensieri si affastellano.

“Eh che … proprio oggi che avevo deciso di tagliare l’erba”.

“Ma che rotta di …  già che sono indietro con la Siepe”.

E avanti con simili dolci pensieri!

A questo punto ognuno decuplica gli sforzi per aggiudicarsi per primo l’agognata meta.

Se, Dio non voglia, dovesse verificarsi il malaugurato caso d’incontro/scontro presso l’O.K. Corral (sempre il cassonetto), allora, come cantano i Pooh:

«L’aria diventa elettrica … la molla è carica».

Durante l’avvicinamento ognuno accelera il passo per sopravanzare l’altro ed arrivare per primo.

Chi arriva primo subitamente alza il coperchio del cassonetto ed inizia a colmarlo oltre ogni decenza, poi volgendosi verso l’altro che attende con malcelata impazienza:

«Scusa ma sono di fretta».

L’altro a denti stretti:

«Ma ti pare…».

E dentro di sé:

“Lo stai riempiendo come non so cosa, chissà dove … la metto tutta sta roba”.

Quando poi il primo s’allontana, il secondo s’appresta all’opera di pigiatura.

È in questo momento che dalla bocca di costui, a voce più o meno alta, fuoriescono le più turpi imprecazioni qual a guisa di preci dalla bocca di una novizia.

Molte altre avventure ed aneddoti sarebbero da raccontare, ma mi taccio…

La Siepe m’attende.

LA SIEPE di Roberta Boschini

genere: UMORISTICO

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