LE RUNE DEL DESTINO di Cinzia Milite

Bassa Bretagna VII Secolo Dopo Cristo

«Straniero senza re,

carne di capra, beeh!»

Così si erano conosciuti Eoghan e Aisling, una bambina di Plouhinek, mentre lo canzonava con una strofetta che erano soliti cantare i bambini del villaggio all’arrivo di forestieri.

Eoghan era giunto in quella contrada per lavorare. La sua famiglia era povera e in cerca di miglior fortuna. Egli, seppur molto giovane, non si spiegava come i suoi genitori pensassero di cercarla proprio laggiù, in quella località situata sul mare.  Nei dintorni poteva scorgere solo brughiera desolata, piccole abetaie e spazi non sufficienti per allevare bovini o suini. Il luogo sembrava possedere solo grandi pietre, bastanti a costruire un’intera città.

Mentre procedeva lungo la sponda del torrente che attraversava il paese, l’unica cosa che lo distoglieva dai pensieri divertendolo un po’, era l’espressione simpatica e dispettosa della bambina che lo prendeva in giro mentre camminava. Per il resto, a dispetto dei sogni del padre:

«Mi basta poter mettere tutti gli anni un maialetto in salamoia, mangiare a volontà pane nero e comprare ogni anno un paio di zoccoli nuovi per tutti noi.»

Eoghan restava pessimista riguardo al futuro.

Insieme alla famiglia, iniziò a lavorare in un podere, ma ciò che egli temeva si avverò.

Di fortuna ne ebbero molto poca, poiché ciò che guadagnavano con il sudore della fronte permetteva loro solo di sopravvivere alla bell’e meglio.

Il padrone del podere, nei giorni festa, faceva cuocere sanguinaccio e zuppa di frumento con il miele ed Eoghan, come agli altri lavoranti, non potevano far altro che annusarne il profumo sprigionato dal focolare della cucina della casa padronale.

Aisling, tutte le volte che lo incontrava, lo stuzzicava con la strofetta composta dagli abitanti del villaggio. Lui, però, non se ne dispiaceva, anzi, quanto più cresceva, tanto più aumentava la simpatia e l’interesse per quella ragazzina poco più giovane di lui.

Un giorno se la ritrovò al fianco di ritorno dalla campagna.

«Ti interessano delle conchiglie?» gli domandò a bruciapelo.

«Alle capre non interessano le conchiglie!» rispose lui con un sorrisetto ironico.

«Ahahah! Dici il vero, ma forse potrebbero voler leccare il sale che vi è rimasto sopra il guscio» lo canzonò lei, sventolandogli un paio di conchiglie davanti al viso.

«Belle! Fa vedere!» disse lui afferrandole il polso.

«Giù le mani, sono preziose! Ho impiegato tutta la mattina sulla battigia per trovarle e raccoglierle. Le terrò io. Tu puoi guardarle, ma non toccarle!»

«D’accordo» acconsentì Eoghan divertito.

 Aisling, con il suo fare impertinente, lo metteva sempre di buon umore.

«Sono stupende, davvero…» osservò Eoghan sinceramente colpito dalla bellezza delle conchiglie.

«Sembrano dei gioielli, vero? La madreperla al sole riflette mille colori… Sono in vendita! Ne vuoi una?» chiese la ragazzina.

«In vendita? Oh, qualsiasi sia il prezzo, non posso comprarle…» rispose lui, distogliendo lo sguardo e, mentre un’ombra gli offuscava il viso, riprese a camminare.

«Un momento… non sono necessari denari, potresti darmi qualcosa in cambio» propose lei inseguendolo.

«In cambio? E cosa potrei darti in cambio, eh?» si stupì fermandosi e allargando le braccia, come a voler sottolineare le misere condizioni di nullatenente, proprietario solo degli abiti sudici e logori dalla fatica del lavoro nei campi.

«Fedeltà e lealtà!» rispose lei d’improvviso e serissima in volto.

Eoghan, socchiuse gli occhi scrutandola in cerca di qualche traccia di scherno. Dopo un primo momento di sorpresa, dovuto al piglio solenne sul viso della ragazzina, scoppiò in un’allegra risata:

«Ahahah! Sembra la richiesta di una regina a un suddito!»

«No, non sono una regina, sono solo una ragazza con un segreto» rivelò Aisling avvicinandosi e abbassando il tono di voce, quasi che qualcuno potesse udirli nella desolazione della brughiera.

Eoghan a quel punto cominciò a incuriosirsi:

«Un segreto? Che segreto?»

«Vuoi le conchiglie o no?» chiese perentoria la fanciulla, in risposta alla sua domanda.

«Le …le conchiglie? Beh… sì, le voglio! … »

«Sei disposto a donarmi in cambio la tua fedeltà e la tua lealtà?»

«Sì…va bene…»

«Allora, domani mattina presto, prima ancora che la bruma si dissolva, fatti trovare nella grande brughiera alle spalle del villaggio, proprio dove c’è la fila di pietre lunghe e alte piantate nel terreno e ti rivelerò il mio segreto» sussurrò aprendogli il palmo della mano per lasciar cadere al suo interno le conchiglie.

«A domani!» disse poi correndo via, lasciandolo frastornato in mezzo alla campagna.

All’alba del giorno dopo Eoghan, sdraiato nel suo pagliericcio, fingeva di contorcersi dai dolori di pancia.

«Resta a casa per oggi, figliolo, ma rammenta… nessuno di noi andrà nel granaio a spulare il grano. Il compito era stato assegnato a te! Quando ti sarai rimesso lavorerai giorno e notte per portarlo a termine, intesi?» lo apostrofò il padre, un po’contrariato.

Eoghan mugugnò qualcosa in segno di assenso e si rigirò nel giaciglio.

Una volta usciti di casa padre, madre e fratelli, balzò in piedi e cercò qualcosa da mangiare, senza trovare nulla poiché la madre aveva portato con sé il tozzo di pane destinato a lui.

Con i dolori di pancia era meglio che restasse a digiuno, questo era stato il pensiero della madre, quindi aveva portato con sé la sua razione di cibo per distribuirla agli altri figli durante il giorno.  

Rassegnato e con veri crampi allo stomaco per la fame, uscì dalla porticina sul retro della casa e corse verso la grande brughiera.

Mentre correva, si domandava cosa mai lo avesse spinto ad accettare la richiesta di Aisling. Poteva tenersi le conchiglie e non darle più retta. A quest’ora avrebbe avuto qualcosa nello stomaco e non avrebbe dovuto ammazzarsi di fatica nei giorni seguenti per rimediare all’assenza di quel giorno, si diceva.

La verità era che moriva dalla curiosità. Aveva percepito qualcosa di solenne e misterioso nelle parole e negli sguardi della ragazzina, qualcosa che non sapeva spiegarsi in che modo, ma che lo riguardava da molto vicino.

“Che avesse a che fare con il suo destino?” si domandò, una volta giunto sul luogo dell’appuntamento.

«Che hai, ti duole lo stomaco? Tieni prendi una mela selvatica» lo sorprese la ragazza sbucando dal nulla mentre lui ancora ansimante per la corsa si massaggiava lo stomaco.

«Oh, grazie! …» disse, riconoscente, addentando la mela.

«Hai fame vedo, ne ho altre, tieni!»

Eoghan non se lo fece ripetere due volte e addentò una seconda mela. Terminata la terza mela, finalmente sazio, le domandò:

«Dunque, perché siamo qui? Qual è questo tuo gran segreto?»

«Sono io il suo segreto. E da oggi sarò anche il tuo!» rispose una voce proveniente da dietro una delle grandi pietre erette e conficcate nel terreno.

Eoghan restò in attesa, scrutando tra la lieve bruma che ancora ammantava il luogo, finché da dietro una delle pietre erette sbucò una donna.  Aveva i capelli biondi divisi in tre trecce: due legate sopra il capo, la terza che le ricadeva sul dorso, fino a sfiorare le caviglie. La fronte bianca era solcata da sopracciglia nere come la pece. Delicate ciglia scure ombreggiavano metà del viso fino alle guance, le labbra sembravano adorne di rosso scarlatto. Indossava un mantello variegato trattenuto da un fermaglio d’oro, una tunica col cappuccio dai ricami rossi e sandali con fibbie d’oro.

«Il mio nome è Fidelma, sono una druidessa. Nel vischio ho letto il vostro destino. Siete qui per portarlo a compimento!» proclamò la donna avvicinandosi di qualche passo.

«Nessuno dovrà sapere di me, né di ciò che vi dirò oggi» aggiunse sotto lo sguardo sbalordito del giovane che, ammaliato da quella visione, non riusciva a toglierle gli occhi da dosso. 

«Il mondo è governato dalle grandi leggi del cielo ed io ho il potere di comprenderle. Per Armonica e Agorat, la Terra sul mare e la Terra della foresta, voi combatterete come fratelli guerrieri… fianco a fianco, ora e nei secoli a venire. Oggi stesso lascerete le vostre famiglie e vi recherete insieme al veggente che vi istruirà alle battaglie. Nei decenni a venire i bardi canteranno la vostra gloria, che resterà nella memoria di tutto il popolo celtico, nei secoli. Le rune hanno parlato:

“Nella vita attuale e nelle successive in cui la vostra anima si rincarnerà, combatterete l’uno al fianco dell’altro e sarete alla pari, il tuo vigore e la tua forza saranno intrecciati indissolubilmente alla costanza e il coraggio di Aisling, come a forgiare un’unica e potente spada a difesa della libertà.”

Rammentate… come fratello e sorella fino al compimento del vostro destino che avverrà tra molte vite da oggi.»

Così dicendo la druidessa si eclissò scomparendo di nuovo dietro la pietra.

Neanche il tempo di riprendersi dallo stupore che i giovani si sentirono chiamare per nome da una voce profonda e maschile alle loro spalle.

Si voltarono e si trovarono di fronte un veggente dai capelli bianchi illuminati dalle prime luci dell’alba:

«Avete sentito la profezia di Fidelma! Dovete seguirmi! Io penserò a voi, al vostro sostentamento, avrete cibo e un posto caldo per dormire e vi istruirò all’arte del guerriero. Non potete sfuggire al vostro destino, lo sapete anche voi. Coraggio, venite con me!»

Eoghan e Aisling, andarono incontro al loro destino. Vissero diversi anni nella favolosa foresta di Brocéliande, con Rovan il vecchio veggente, tra faggi e querce secolari, allenandosi alla battaglia, accuditi e vegliati dal vecchio.

«Vuoi un po’ di sidro?» sussurrò Aisling a Eoghan con un sorriso beffardo, mentre si affrontavano in una delle piccole radure che punteggiavano la foresta di Brocèliande.

Benché ancora giovani, la loro fama di guerrieri valorosi si era già diffusa in tutta la Bretagna, soprattutto dopo l’eco delle loro gesta compiute nell’ultima grande battaglia contro i Sassoni.

Eoghan e Aisling si guardavano negli occhi prima di cominciare uno dei tanti duelli che costellavano il rapporto di fratelli d’arme, di complici e di inossidabile, nonché predestinata, coppia guerriera.

I loro duelli non erano fatti solo di spade e pugnali, ma anche di parole e sottili allusioni che colpivano più delle lance infrante sui tronchi degli alberi al limitare della radura. Momenti ideali, per dirsi ciò che pensavano l’uno dell’altro, cercando di dissimulare, per quanto riuscivano, i loro reali e reciproci sentimenti.

«E dove ce l’hai, in mezzo al seno?» rispose lui, con la stessa espressione ridacchiante disegnata sul volto.

Aisling lo allontanò stizzita da sé con uno strattone e lo incalzò con vibranti colpi di spada.

«Credi di sapere ogni cosa di me, eh?» domandò Aisling.

«Forse no, ma di certo, so che non puoi avere del sidro, condividiamo lo stesso tetto, ricordi?» la irrise il giovane guerriero.

In risposta lei lo fece sbilanciare con un forte fendente e un successivo colpo di scudo calato su una sua recente ferita alla spalla. Il dolere fu forte, Eoghan emise un gemito, ma ritrovò l’equilibrio riprendendo a combattere.

«Che ne sai di che succede la notte nella nostra dimora, tu che giaci dormiente come un fanciullo sfinito dai giochi?».

«Ahahah! Mi vuoi far credere di essere uscita senza di me, di notte, per cavalcare attraverso il bosco fino alla locanda?» la provocò lui, incalzandola con la spada, sottolineando gesti e parole con un sorrisetto beffardo e sottile.

«Naturale, che ti credevi? Di essere l’unico in grado di compiere queste grandi imprese?»

Il sudore e la fatica del duello nel quale nessuno dei due si risparmiava, erano mitigati dalle battute salaci e dai sorrisi dei due guerrieri. In gioco non vi era solo una prova di abilità e di forza. I poderosi e irresistibili colpi di spada e scudo che si scambiavano, sottintendevano ciò che i loro animi non avevano mai apertamente espresso, ma che nessuno dei due aveva messo in dubbio neppure per un attimo. I duelli erano una sorta di danza di guerra, che alternava durezza e affetto sullo sfondo di sentimenti che rafforzavano la loro intimità e complicità guerriera.

Aisling, con un cenno impercettibile della spada e degli occhi, invitò Eoghan ad avvicinarsi e lui acconsentì. Si abbrancarono, simulando uno scontro molto ravvicinato. Era ciò di cui entrambi avevano bisogno. Corpi avvinghiati l’un l’altro e orecchie a portata di voce, quasi a non voler far ascoltare alla foresta le loro parole.

«Arrenditi, carne di capra» sussurrò Aisling nell’orecchio dell’amico. Risero entrambi al ricordo della strofetta canzonatoria dei bambini del villaggio, mollando la presa e mettendo fine al duello. Poi tornarono seri all’improvviso, scambiandosi sguardi intensi, per poi distogliere in fretta gli occhi nel ricordare il monito della druidessa:

“Combatterete l’uno al fianco dell’altro come fratello e sorella fino al compimento del vostro destino che avverrà tra molte vite da oggi!” la regola non scritta che li legava.

I due guerrieri caddero in battaglia qualche anno dopo, combattendo schiena contro schiena, reggendo fino alla morte, scudo su scudo, l’assalto dei nemici.

Bassa Bretagna IX secolo Dopo Cristo

Acquattato tra l’erba sulla sommità di una collina il condottiero bretone Houran, cercava di ripulirsi il viso dal sangue versato dai suoi nemici.

Si era battuto con onore, ma i normanni di Guglielmo il conquistatore avevano decimato le fila dei bretoni, dei suoi uomini, molti dei quali suoi amici. Sapeva che molto presto sarebbe arrivata anche la sua ora.

Un fruscio alle sue spalle lo fece trasalire.

«Bellah…sei tu…i tuoi uomini?» chiese, con un sospiro di sollievo, vedendo la sacerdotessa guerriera con la quale aveva intrapreso molte battaglie contro i normanni.

«Morti! … Tutti! …» rispose la giovane donna che il viso e i capelli impiastricciati di fango e sangue rendevano quasi irriconoscibile.

«Stanno arrivando…è giunta la nostra ora Houran!» aggiunse poi con un sorriso triste.

«Lo so! … Senti Bellah, ieri una veggente esperta in filtri, mi ha dato questo: è una boccetta di veleno. Tieni, prendila. Usa il veleno nel caso ti catturino i normanni… sai cosa riservano alle donne no?»

«Davvero pensi che riusciranno a catturarmi viva?»

Non poterono dirsi altro, l’orda normanna si abbatté su di loro.

Morirono entrambi, nel tentativo di difendersi l’un l’altro.

Milano, Italia, anno 2018

«Beh, allora? Non mi dici niente?»

«Dirti cosa?» domandò Ewan al cognato, fingendo di ascoltarlo con noncuranza.

«Come cosa? Non fare il finto tonto, che te ne pare della ragazza?»

«Un bel tipo, non c’è che dire: è carina, intelligente, spiritosa, peccato che riguardo al sesso abbiamo entrambi gli stessi gusti»

«Gli stessi gusti? In che senso? E poi come sarebbe, al primo appuntamento vi mettete a parlare di sesso?»

«Nel senso, che anche a lei piacciono le donne.»

«Pi…piacciono le donne? Cioè mi stai dicendo che è les…»

«Sì, esatto proprio così, lo è.»

«Oh cristo santo… e quando te lo ha detto?»

«Prima, in macchina, quando sono andato a prenderla. Mi ha confessato anche che è segretamente innamorata di mia sorella, cioè, tua moglie.»

«Tua sor…mia moglie?»

«Sì, proprio lei, da quando hanno cominciato a lavorare insieme a quel progetto, saranno un paio d’anni. Ma tranquillo, sa di avere poche speranze con lei. Non può competere con te, me l’ha detto… anche se… io dico sempre che la speranza è l’ultima a morire. Difatti, caro Re Artù, stasera si è mascherata da Lancillotto e in questo momento sta giungendo qua da noi proprio con la tua Ginevra» concluse Ewan divertito, sorridendo sornione ed elargendogli una pacca sulla spalla.

«Questo posto è fantastico e la festa è strepitosa! La migliore festa di Halloween cui abbia mai partecipato» esordì entusiasta Anna, la sorella di Ewan, mentre il marito ancora stordito dalle rivelazioni del cognato passava senza sosta lo sguardo dalla moglie all’amica.

«Concordo. C’è perfino una veggente con delle rune che legge il passato e il futuro agli invitati. Che ne dite se ci facciamo leggere le rune anche noi?»

«Sì, certo! Dai amore, andiamo, perché hai quel broncio stasera, eh?» disse Anna, rivolgendosi al marito riluttante.

«Forza, bevi un sorso di birra Re Artù e andiamo dalla veggente, te lo ordina Merlino, il tuo precettore» lo esortò Ewan trattenendosi a stento dal ridere.

Si fecero spazio tra la folla fino all’angolo del locale, dove ad un tavolo sedeva la veggente.

Ewan restò folgorato dall’immagine della donna, non sapendo spiegarsi esattamente il perché. In fondo era semplicemente vestita in maschera, come lui e gli altri partecipanti alla festa. Eppure, gli sembrava avvolta da un alone di vera magia.

«Eoghan! Tocca a te!» tuonò a un tratto la veggente guardandolo dritto negli occhi, incurante delle proteste di quelli che aspettavano il proprio turno da tempo.

«Su, va! Sta chiamando te!» lo incitò la sorella con una lieve spinta.

«Ehm… mi chiamo Ewan, che significa ben nato… in lingua celtica, mia madre era un po’ fissata con questo genere di cose…» farfugliò una volta sedutole difronte.

«Tu sei Eoghan, il guerriero le cui gesta hanno narrato i bardi. Nei secoli hai avuto moltissimi nomi e combattuto molte battaglie insieme ad Aisling. La tua stirpe è giunta a Mediolanum, nei tempi che furono. Tu sei morto combattendo valorosamente in ogni battaglia e rinato con Aisling sempre al tuo fianco. Oggi, un vento di morte si abbatterà su di te, affronterai una battaglia insieme a lei, ma Ankou non vi condurrà nel mondo dei morti: è tempo che il vostro destino si compia!»

Neanche il tempo di metabolizzare le strane rivelazioni della veggente, che spari e urla terrorizzate si levarono più in là, tra la folla.

Ewan raggiunse spaventato il resto del gruppo che in breve fu travolto dalla massa di persone che fuggivano in ogni direzione. Un proiettile vagante colpì Ewan ad una gamba facendolo accasciare su sé stesso. Poi ci fu un gran boato e il soffitto del locale crollò investendoli.

Ewan riprese conoscenza poco dopo, ritrovandosi in mezzo ad un gran polverone coperto di calcinacci, quando riuscì a scorgere ciò che aveva intorno, per poco non gli si fermò il cuore nel petto. Riverso accanto a lui il corpo senza vita dell’amica della sorella, giaceva ad occhi sbarrati con un profondo taglio sulla fronte. Le abbassò le palpebre con delicatezza e cercò disperatamente con lo sguardo la sorella e il cognato. Avrebbe voluto chiamarli urlando i loro nomi, ma al di là delle macerie alte quasi due metri, si udivano ancora urla e spari e non voleva attirare l’attenzione. Si accorse che la ferita alla gamba perdeva molto sangue, pensò di porvi rimedio, ma un dolore acuto alla spalla lo immobilizzò.

«Calmo, non ti agitare. Mi chiamo Viviana, sono un medico, sta tranquillo, la tua ferita alla gamba non è grave» sentì sussurrare mentre gemeva per il dolore ad occhi chiusi.

Sbarrò gli occhi e si ritrovò di fronte un giovane donna che con fare risoluto tastava la sua coscia.

«E io sono Ewan e sono anch’io un medico, non sono preoccupato per me, ma per mia sorella e mio cognato. So che la mia ferita non è grave, volevo metterle un laccio per fermare il sangue, ma ho una spalla lussata e non riseco a muovere il braccio.»

«Okay Ewan, ora metterò un laccio, poi penseremo alla spalla.»

«Bene…grazie» disse lui, osservandola a distanza ravvicinata mentre lo medicava.

«Dove lavori? Mi sembra di averti già vista…» aggiunse poi senza staccarle gli occhi di dosso.

«Non credo, sono rientrata in Italia da poco, opero con medici senza frontiere» rispose lei incrociando il suo sguardo.

«Oh, beh…sei rientrata sperando di trovare un po’ di pace eh?» ironizzò lui, cercando di scherzare un po’.

«Già… ecco, ora pensiamo alla spalla! Pronto?»

«Pronto!» rispose, prendendo un gran respiro.

Eseguita la manovra sull’articolazione, Viviana gli immobilizzò il braccio con brandello del vestito da mago Merlino indossato da Ewan.

Un flebile gemito si udì da sotto le macerie alla loro sinistra.

«Mia sorella e mio cognato, devono essere lì sotto, erano di fianco a me prima del crollo, dobbiamo tirali fuori di lì, prima che manchi loro l’ossigeno.».

Neanche il tempo di ribattere che ci fu un’altra piccola esplosione. Ewan vide un pezzo di intonaco staccarsi dalla voragine nel soffitto pericolante e d’istinto protesse con il suo corpo il corpo di Viviana. I calcinacci gli caddero sulla schiena, facendogli mancare il fiato per qualche secondo.

«Grazie…» mormorò Viviana, ancora sotto di lui, in lieve imbarazzo per il contatto fisico.

«Direi che per oggi siamo pari, che ne dici?» scherzò lui, scostandosi.

Senza dire altro si diedero da fare per liberare dalle macerie la sorella e il cognato che sconvolti e malconci, non sembravano avere nulla di grave, solo qualche ematoma.

«Dio mio Ewan, grazie al cielo sei vivo, ma che cosa è successo?» chiese la sorella con gli occhi inondati di lacrime.

«Shhh… parla piano… non so con esattezza… con tutta probabilità si tratta di un attentato terroristico, ma non è ancora finita. I terroristi sono ancora qui, dobbiamo stare nascosti o cercare una via di fuga. Qualcuno di voi ha un cellulare? Il mio deve essermi caduto…» rispose Ewan.

«Io l’avevo in borsa ma è andata perduta» rispose Viviana.

«È inutile, qui non prende, ho controllato quando siamo entrati nel locale stasera. È tutto inutile…ci troveranno e ci ammazzeranno, moriremo, come è morta lei» esordì il cognato di Ewan con occhi febbrili osservando il corpo senza vita dell’amica della moglie.

«No, non moriremo. Dobbiamo solo mantenere la calma per pensare, okay? Qui siamo ben nascosti, ti affido mia sorella, ha bisogno di te, stalle vicino» gli disse scuotendolo, poi si rivolse a Viviana:

«Qualche idea?»

Lei rispose per nulla sorpresa del fatto che lui si fosse rivolto a lei per un consulto:

«Solo considerazioni, al momento. Come sostenevi tu, ci sono ancora dei terroristi armati all’interno del locale. Si sa che quelli non temono la morte, anzi, la ritengono una via per la gloria eterna. Quindi…»

«Quindi, hanno sicuramente preso qualcuno in ostaggio per tener buono l’esercito che ormai avrà circondato l’isolato. Tutto ciò, per poter ultimare il compito, ovvero eliminare tutti superstiti e poi farsi esplodere» completò il pensiero Ewan in tono grave.

«Già…la penso anch’io così. Dobbiamo sperare che non ci trovino e che l’esercito faccia irruzione neutralizzandoli, oppure…» sussurrò meditabonda all’orecchio di Ewan.

«Oppure trovare il modo di uscire da qui, sei mai stata in questo locale, lo conosci?»

«No, non ci ero mai stata prima, ma stasera sono andata in bagno e sono sicura che lì c’è una porta, perché una ragazza voleva uscire per fumare una sigaretta ed io l’ho avvisata che quella era un’uscita di sicurezza, sicuramente allarmata ed ha desistito.»

«Molto bene…te la senti di provare a raggiungere i bagni?»

«Sì, potrebbe volerci un po’ di tempo però, i bagni sono da quella parte, se tentassimo di raggiungerli procedendo in piedi, usciremmo allo scoperto, perciò dovremo percorrere il tratto proseguendo carponi se non addirittura strisciando sul pavimento tra le macerie.»

«Okay! Proviamo! Cominciate ad avviarvi! Io cerco di raggiungere quei tre laggiù» disse Ewan indicando due ragazze e un ragazzo accovacciati e tremanti, distanti una decina di metri da loro.

«Che vuoi fare?» domandò Viviana, in tono apprensivo.

«Convincerli a fare la stessa cosa, sono più esposti di noi, più facili da trovare.»

«Okay! Ma una volta fuori, passati dieci minuti, se non ti vedrò arrivare, tornerò a riprenderti. Oddio, ma che sto dicendo?» domandò turbata, ad alta voce, a sé stessa.

«Infatti, che stai dicendo? Se non mi vedrai arrivare, non ti azzardare a rientrare in questo posto. Non moriremo qui dentro, non moriremo ancora una volta ins …»

Ewan s’interruppe rendendosi conto che stava dicendo cose senza senso. Eppure, non riusciva a placare il suo turbamento. Lo stesso che leggeva negli occhi della giovane donna che gli stava davanti. Erano due sconosciuti che tenevano l’un l’altro, com’era possibile? Ripensò per un attimo alle parole della veggente, poi si riscosse:

«Niente, niente… scusa, non sono molto in me, perdonami… allora intesi? Cominciate ad andare!»

«Sei sicuro di farcela? La tua ferita…» si preoccupò lei.

«Sì, sì, ce la faccio, tu piuttosto, fammi un favore, stai attenta a quei due, li affido alla tua esperienza clinica…soffrono entrambi di attacchi di panico, dovrai tenerli calmi» si raccomandò lui con un sorriso sghembo, riferendosi alla sorella e al cognato.

In tutta risposta lei gli sistemò la tracolla di fortuna che sosteneva il braccio, fece un cenno d’assenso con il capo, lo guardò negli occhi un’ultima volta, poi raggiunse la coppia.

Un’ora dopo, Ewan e Viviana erano in ospedale affidati alle cure di altri medici, insieme alla sorella, al cognato di Ewan e una decina di altre persone salvate dalle gesta eroiche di entrambi. Viviana, mentre conduceva fuori la coppia, aveva aiutato alcuni avventori del locale intrappolati sotto gli arredi, mentre Ewan, oltre ai tre giovani, aveva aiutato una donna praticandole la respirazione a bocca a bocca. Erano sconvolti e feriti, ma erano vivi. Il pericolo era scampato.

«Ehi, ferma! Un attimo, solo un attimo, vi prego…» chiamò Viviana nella corsia dell’ospedale nell’intento di fermare la lettiga che trasportava Ewan in sala operatoria.

«Deve essere operato, signorina, i medici lo stanno aspettando» la informò un infermiere.

«È il medico che mi ha salvato la vita, lasciateci un secondo soltanto, per favore» intervenne Ewan.

I barellieri acconsentirono fermandosi e facendosi un po’ da parte.

«Ehm… volevo solo augurarti una buona guarigione e…beh…ecco…darti questa» disse Viviana porgendogli una conchiglia. Lui la prese la rimirò e fissò Viviana con aria interrogativa.

«Me l’ha regalata una bambina che ho incontrato qualche tempo fa su una spiaggia, giurandomi che è un portafortuna. Mi raccomandò di portarla sempre con me, così ne ho fatto un ciondolo per la mia collana… mi disse anche che regalarla a una persona speciale avrebbe portato fortuna a entrambi… Tienila, è per te!» disse deglutendo, con il fiato corto.

«L’accetto con molto piacere, ma non posso portarla in sala operatoria…potresti aspettarmi e darmela dopo, che ne dici?» disse lui speranzoso.

«Non posso aspettare, devo proprio andare, la lascerò a tua sorella…».

«Scusate, tempo scaduto! Il paziente è atteso in sala operatoria» s’intromisero perentori gli infermieri, riprendendo a spingere la lettiga.»

«Eh, no, non puoi lasciare la conchiglia a mia sorella. Sono sicuro che affinché porti fortuna devi consegnarmela di persona. È così che funzionano queste cose, ne sono certo. Sono mago Merlino dopotutto, lo saprò, ti pare? Devi darmela tu, capito?» la contraddisse lui in tono leggero e speranzoso, guardandola camminare a fianco alla barella, suscitando in lei un sorriso.

«Infatti, non mi hanno lasciato finire la frase, stavo dicendo: lascerò a tua sorella il mio numero di cellulare, quando ti sarai rimesso, chiamami. Ecco, questo stavo dicendo» rispose lei quasi urlando perché non poteva spingersi oltre nella corsia e doveva smettere di seguirlo.

«Il nostro destino si compie, finalmente» disse Ewan chiudendo gli occhi con un sorriso beato.

«Come dici?» domandò Viviana da lontano.

«L’anestetico sta facendo effetto dottoressa, dice cose senza senso» spiegò l’infermiere spingendo la barella, poco prima di voltare nel corridoio, scomparendo alla sua vista.

«Sì, il destino si compie, anche quella veggente alla festa mi ha detto una cosa del genere. Che significa non lo so! Ma, in tutta questa tragedia, l’unica cosa che mi fa star bene è il pensiero di rivedere Ewan! Sì, mi fa star proprio bene! …» realizzò, compiaciuta con il cuore in tumulto, stringendo la conchiglia al petto.

LE RUNE DEL DESTINO è un racconto di Cinzia Milite

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