L’INTRUSO di Maria Adele Cipolla

Il faldone pieno di documenti è pronto sul tavolo dell’ingresso, vi ho posato sopra gli occhiali da sole e le chiavi della bicicletta, faccio sempre così quando non devo dimenticare una commissione importante. Come se stavolta potesse mai sfuggirmi dalla mente l’andare in Provveditorato a consegnare gli ultimi documenti per la pensione. Spero anzi di non starci a pensare tutta la notte. Finora ho condotto questi preparativi convincendomi di non volere altro. Non ho neanche grossi rimpianti per i miei allievi, per la verità neanche una foto ricordo di una delle tante classi.

Potrò smettere di guardare con invidia Valeria e Maria Grazia, prepensionate della Regione Siciliana, libere già da dieci anni. Eppure, dentro quel faldone ci sono trentacinque anni di servizio, iniziati in una scuola media di Collesano e terminati in un Istituto Alberghiero di Palermo; una carriera, delle aspettative, alcune disillusioni, tanta stanchezza, capelli bianchi, un rapporto con il prossimo sempre più difficile.

Quando arrivai all’Istituto Alberghiero pensavo che per i miei allievi l’inglese fosse una materia fondamentale. Poi però ho capito che la loro principale ambizione non era quella di diventare direttore di Hotel quanto barman acrobatico: spendevano le loro giornate in Istituto preparando cocktail e poi ubriacandosi con questi, mentre i miei colleghi acconsentivano, terrorizzati dallo spauracchio della dispersione scolastica.

Adesso potrò seguire le mie amiche nelle loro attività rilassanti: palestre mattutine, corsi di ricamo e di cucina, tè pomeridiani, mostre, concerti, conferenze del Goethe Institute. Ma non devo lasciarmi andare, ho concluso l’ultimo anno scolastico della mia vita, sono una retired teacher, ma ho ancora tanti anni davanti a me.

Ora sono finalmente libera, non per la cucina ed il ricamo ma per organizzare le mie giornate in autonomia, al ritmo delle mie passioni; voglio tradurre, ho già due romanzi e a settembre ne arriverà un altro, poi andrò spesso in Inghilterra e finalmente avrò il tempo di frequentare il turno pomeridiano degli Amici della Musica.

Cosa più importante: cerchiamo di mantenerci in buona salute.

Colazione: 4 mandorle, una coppetta di muesli e yogurt, 4 nespole.

Pranzo: insalata di radicchio, lattuga e germogli di soia, 70 gr. di formaggio caprino, due gallette di farro.

Merenda: 3 nespole e due gherigli di noce.

Cena: melanzane alla griglia, una fetta di pane tostato e un hamburger di soia.

Due cicli di addominali.

Mezz’ora di footing a villa Trabia.

Mattina: consegnati i documenti in Provveditorato.

Pomeriggio: battesimo del piccolo Emiliano.

La famiglia di mio fratello è improvvisamente impazzita: la piccola Camilla resta incinta prima di aver terminato gli studi? Che bella notizia! Non si sa chi sia il padre? E chi se ne frega! Lo battezziamo anche se siamo tutti atei? Certo! Una bella occasione per far festa e per versare qualche lacrima di commozione! Non li riconosco più, hanno perfino fatto confezionare le bomboniere!

Poi un leggero rinfresco.

Certo ai miei tempi mi avrebbero buttata fuori di casa, ma adesso, non so… almeno un «potevi stare più attenta!» a me sarebbe scappato. Comunque, bel pomeriggio con loro, è tutta la famiglia che ho.

Ho colto l’occasione per chiedere ancora ai miei nipoti come funziona il nuovo account e-mail nel quale mi hanno trasferito un mese fa, perché ho il sospetto che mi arrivi meno posta di prima. Continuano ad assicurarmi che non posso perdere neanche una mail perché hanno deviato quelle di libero su gmail, ma ho paura per gli estratti conto della banca, le comunicazioni degli Amici della Musica e dell’International House, insomma non dovevo fidarmi. Avevano insistito loro dicendo che libero non funziona più, così sono i miei nipoti, sanno tutto loro, smanettano e ti presentano le cose facili mentre era sicuramente meglio restare alle mie abitudini.

Mangiato in modo tanto incontrollato che è meglio non parlarne, ma non potevo fare altrimenti.

Tradotto poco, ma era una giornata speciale.

Tre cicli di addominali alla sera.

Mancano meno di due settimane alla partenza e devo ancora fare un’infinità di cose. Fino a che si lavora sembra che non ci sia altro al di fuori di quello e adesso saltano fuori tremila incombenze: a parte i documenti della pensione che già li ho consegnati tutti, c’è la lavanderia, le bollette, le ferie di Daniel, il condominio, che giusto ora si accorgono che c’è una perdita d’acqua al terzo piano. Maria Grazia che mi propone i saldi e non sarebbe male comprare un costume nuovo, sempre che non sia di quelli che lascia il sedere di fuori, poi stamattina ci mancava quello strano incontro con un cane.

Stavo mangiando muesli e yogurt in cucina quando in lontananza ho visto un’ombra scura, era in corridoio, Iì per lì non ci ho fatto caso, poi ci ho ripensato e sono andata a guardare: un grosso cane marrone stava accovacciato sul pavimento mangiando qualcosa. Ho lanciato un urlo ed è accorso Daniel, oggi è la giornata di Daniel.

«Che succede, signora!»

«Che ci fa questo qui?»

Daniel s’è messo a ridere:

«Non so signora.»

«Deve essere entrato con te, ieri sera non c’era.»

«Non so signora.»

«Come non sai? Non ti sei accorto che entrava?»

«Con me non c’era forse entrato quando arrivato posta.»

«Ma come fa ad entrare un cane senza che nessuno se ne accorge? Su, aiutami a cacciarlo via!»

Una fatica! Abbiamo aperto la porta e quello è rimasto incollato al pavimento con quella schifezza da rosicchiare.

«Dai Daniel, buttagli via la schifezza!»

«Signora se prendo schifezza cane morde me.»

Il cane non pareva tipo da mordere, s’era messo a pancia all’aria e sembrava pure sorridere.

Gli abbiamo buttato via la schifezza, forse un cornetto rubato al bar, e quello manco s’è seccato, né ha mostrato di volerlo ancora, era diventato di piombo, abbiamo iniziato a spingerlo verso la porta, c’è voluta tutta la forza di due persone per sostituirlo allo zerbino della porta di casa sul pianerottolo, ed è restato là, tutto il giorno. C’era quando sono andata a fare la spesa, così mi sono lamentata col portiere:

«Possibile che entra un cane nel palazzo e lei neanche se ne accorge?»

«Non è che posso stare sempre a guardare.»

«Forse dovrebbe.»

«Biïi…»

Di sera ho guardato un film stupido in TV e poi mi sono collegata ad internet per vedere il sito di Repubblica, che da quando abbiamo perso le ultime elezioni non voglio più comprare un giornale, Berlusconi chiede l’immunità e l’UE bacchetta l’Italia, ma perché mi rovino il fegato a leggere? A Palermo invece le cliniche private insorgono contro i controlli del nuovo assessore, francamente non ho alcuna propensione a sposare la loro causa. Ho controllato la posta col nuovo sistema, dove non ci capisco molto.

Colazione: muesli e yogurt.

Pranzo: ratatuille di verdure.

Merenda: 1 barretta ai cereali.

Cena: riso integrale con verdure, 5 albicocche.

Stamattina ero nello spogliatoio della piscina, avevo appena finito la doccia quando ha chiamato Vittorio, mio fratello: sua moglie Isabella era caduta mentre asciugava il bambino dopo avergli fatto il bagnetto, il piccolo per fortuna era caduto sul letto ma lei s’era sicuramente fratturata una gamba ed erano al pronto soccorso. L’ospedale è a due passi dalla piscina comunale, così sono corsa lì in bicicletta. E’ stata una giornata orrenda, fra radiografie, attese e diagnosi, e Isabella sempre in barella a soffrire. La frattura è scomposta e si dovrà operare, ma non si sa quando, così nel frattempo l’hanno ricoverata senza ingessatura e con dei dolori lancinanti.

Sembra che a Palermo certe famiglie facciano “prove di ricovero ospedaliero” ogni mese perché tutte le altre pazienti erano già fornite di cuscino, posate, tegamini, lenzuola, sedia a sdraio per la parente che assiste, noi invece eravamo assolutamente sprovvisti.

Poverini! Stavano per trasferirsi nella casa di villeggiatura e il programma è andato all’aria. Ora c’è Il problema di Camilla e del bambino, perché lei deve preparare tre materie per settembre e Vittorio vuole che sia io ad accompagnarla alla casa al mare, ma non se ne parla nemmeno, già sto preparando i bagagli per Linosa.

M’ero dimenticata del cane, a quanto pare è sempre rimasto sullo zerbino, protetto dall’animo caritatevole dei bambini dei miei vicini e dal junk food che gli lanciano dalla porta.

Mangiato: colazione regolare con latte di soia e cereali. Alle quattro del pomeriggio un panino al prosciutto dal distributore automatico dell’ospedale. Niente cena.

Una corsa serale a Villa Trabia.

Stamattina sono uscita a piedi e il cane mi ha seguito per strada. Sono entrata all’ufficio postale convinta di averlo seminato e lui è rimasto fuori dalla porta girevole, quella lo deve aver fatto spaventare, ma quando è arrivato un badante con vecchietto in carrozzina e s’è fatto aprire l’altra porta, il cane s’è intrufolato dentro venendosi a sedere accanto a me. Ho ammannito sorrisi a destra e a manca precisando che io con quel cane non c’entravo niente, la gente sembrava guardarmi senza partecipazione.

«Professoressa Tesoriere – mi ha poi detto il cassiere quando è arrivato il mio turno – lei è una persona tanto precisa, l’unica a pagare le bollette nella stessa settimana in cui le arrivano, dovrebbe allora sapere che qui non si possono introdurre cani.»

«Il cane non è mio.»

Difficile farlo credere, l’animale mi stava accanto con l’aria affettuosa e deferente di chi ha dormito nel mio letto fin dalla nascita.

«Chi glielo ha mollato?» Ha risposto quello, alzando gli occhi sugli occhiali con aria compassionevole.

«Nessuno. È lui che ha deciso di seguirmi. Non gli ho dato né una carezza né un pezzo di pane.»

«Siamo in estate e la gente si disfa dei cani, se lo tenga, guardi, è proprio bello!» – mi dice osservando l’animale ruffiano che per farsi adulare s’era seduto tutto fiero, sembrava un cane di porcellana, di quelli che si vendono all’ingresso dell’autostrada.

«Non se ne parla nemmeno, i cani sporcano e sono un impiccio!»

Ho comunque apprezzato la sua discrezione, poteva accennare al fatto che sono sola e ormai in pensione e il cane avrebbe potuto farmi compagnia, ma s’è astenuto.

Di nuovo in strada ero sicura di averlo seminato, ma ancora una volta me lo sono trovato al passo, camminava accanto a me come se ci fosse un guinzaglio invisibile a legarci, è proprio un attore!

Però al negozio biologico no, mi sono detta, lì mi conoscono tutti e rischio di fare brutta figura, così fuori dalla porta ho pensato bene di rivolgergli la parola.

«Tu stai seduto qui e non entrare. Seduto!» – Non dovevo farlo, il cane non aspettava altro che una mia attenzione, qualsiasi, anche un rimprovero, così s’è messo nella sua posa da cane di porcellana tutto scodinzolante, poi ha alzato la zampa come per darmela sulla mano, ma non ho ceduto.

«Bel cane, che razza è?» – Mi fa un signore.

«Non è mio, se vuole se lo può portare a casa.»

«Non oserei mai, si vede che vuole stare con la sua padrona.»

Alla fine, ho pensato di andare in piscina in bicicletta per seminarlo, ma quello mi ha seguito correndo e quando in viale del Fante ho accelerato, quel poveretto s’è messo ad ansimare come un vecchio enfisematoso.

Però è arrivato fino all’ingresso della piscina, ha visto dove legavo la bici e s’è accovacciato lì accanto deciso ad aspettarmi. In piscina ho fatto trentacinque vasche, preso un po’ di sole con Francesca e Valeria, ho fatto la doccia, messo le mie creme e il mio olio nei capelli, preso una barretta al bar mentre le mie amiche si inngozzavano di calzoni e pizzette. Quando sono tornata alla bicicletta lui era ancora lì accanto, abbandonato in un sonno di pietra. Ho iniziato a slegare la bici stando attenta a non produrre alcun rumore, quando ho visto la palpebra del cane alzarsi controvoglia, come dicendo fra sé e sé: dormirei un’intera settimana ma il dovere mi chiama, è arrivata la mia padrona e il mio compito è quello di seguirla ovunque vada… s’è stiracchiato come se le sue ossa fossero annodate in un groviglio, come se i suoi muscoli fossero tutti un dolere e s’è rimesso in marcia dietro di me. Che dire? Mi ha fatto pena e ho fatto il tragitto di ritorno piano piano per non farlo stancare ulteriormente.

È rimasto sullo zerbino della porta per il resto della giornata, ho sbirciato più volte dallo spioncino, quello s’è organizzato: beve dall’acqua del sotto-pianta della kenzia del pianerottolo, che a Daniel glielo dico sempre di non annegare le radici in quel modo! Poi i bambini dei vicini devono avergli buttato dei pezzi di salame e dei biscottini, non è certo l’alimentazione più sana per un cane. Ma a pensarci bene quei bambini stamattina erano in partenza con mamma e valigie, chi ha dato quel cibo al cane? Pomeriggio in ospedale da Isabella.

Mangiato: colazione: 1 coppetta di muesli e yogurt, 3 fette di melone;

barretta in piscina;

pranzo: insalata greca con 70 gr. di feta, quattro gallette di kamut;

merenda: 3 nespole e due gherigli di noce;

cena: melanzane e peperoni alla griglia, una fetta di pane tostato e g 100 di fesa di tacchino;

Un’ora di nuoto.

Stamattina sono andata molto presto a correre a Villa Trabia e il cane mi ha seguita, mi stava sempre dietro, certe volte pure mi veniva davanti rischiando di farmi cadere. Ho controllato la statua caduta che era ancora li, il capo ripartizione mi aveva assicurato che in settimana l’avrebbero portata via, ma santa pazienza! Dopo tutte le diffide che gli ho mandato, ci vuole un mese per avere il parere dei restauratori della Soprintendenza

Regionale? Nel frattempo, non la si può neanche toccare, metterla amorevolmente in un magazzino perché «Senza L’autorizzazione delle autorità preposte il bene pubblico non può essere preso in consegna…» Mi sono fermata a guardarla, come per dire: «Cara mia, sei l’ennesima vittima di una burocrazia insensibile.» Anche il cane s’messo a fissarla: il busto da un lato, la testa dall’altra, un torso liscio e ben disegnato, un seno florido, un pube appena coperto, prima o poi qualcuno vi scriverà una frase sconcia… fosse stata una santa sarebbe già restaurata, ma è una dea pagana e per lei la Soprintendenza può aspettare, fino a che andranno tutti in ferie e se ne riparlerà a settembre.

Tornata a casa mi sono chiesta cosa fare del cane per la visita a Isabella, perché in questa città gli ospedali sono diventati regni incontrastati di branchi di cani randagi, magari potrebbero contagiare le pulci al trovatello o coinvolgerlo in una rissa. Così, per lasciare l’animale sul pianerottolo, sono sfuggita dal retro e scesa dalla scala di servizio. Stessa cosa ho fatto nel pomeriggio per uscire con le mie amiche.

Siamo andate con Francesca, Valeria e Maria Grazia a prendere un gelato da Ilardo e abbiamo parlato della nostra vacanza a Linosa, Francesca ha confermato dal 12 luglio fino a Ferragosto.

Ho assaporato una porzione di gelato al riso, tuffata nel ricordo di un Foro Italico ancora mortificato dai bombardamenti con una bimbetta che stazionava in carrozza col nonno, mentre il cavallo nitriva spernacchiando infastidito dal sole e un cameriere dalla giacca bianca e sgualcita portava un vassoio coperto da una cloche di alpaca. La cupola argentata veniva sollevata in alto e apparivano tre prismi di gelato variopinti, il nonno ed il cocchiere avevano la cassata siciliana che io non volevo per via dei canditi, così mi spettava il gelato di riso, stucchevole anche quello, ma riuscivo ad apprezzarlo per compiacere il nonno che si era messo elegante, col vestito chiaro di lino irlandese e il panama in testa. Tanto assorta nei ricordi non mi ero accorta di un battibecco fra Francesca e Valeria da una parte e Maria Grazia dall’altra, quest’ultima era come sempre a criticare qualcosa:

«Non capisco che ci trovate in questo posto così popolare, guardatevi intorno, sono tutte puttane e magnaccia!»

«Ma che stai dicendo – rispondeva Francesca – guarda lì quel caro papà con le sue bambine, guarda quella più alta com’è bella ed eterea, ha uno sguardo intelligente.»

«Sei sicura sia il loro papà? Guarda quelle altre due come sono truccate, e guarda l’altro tavolo, quella tenutaria sta rimproverando la sua bambolona…» a me la signora, un tipo magro col naso aquilino, diafana e vestita di bianco, più che una tenutaria sembrava una professoressa di lettere, una dottoressa, insomma qual cosa di innocuo, e la ragazza era tutta finta e sguaiata ma niente di più di tante mie allieve.

«E guarda quei due guardoni…» continuava, ma a questo punto mi sono risvegliata dal gelato al riso e sono intervenuta.

«No a quelli tutto puoi dire tranne che questo, quello è il professore Valdarni, un vecchio collega, sarà di quelli che vogliono catechizzare pure il banco e la sedia ma ti posso assicurare che non s’è mai preso licenze con gli studenti, né maschi né femmine. Quello accanto poi è un rappresentante di libri, talmente timido che in sala professori non riesce a fermare un solo collega, un giorno dopo il fuggi fuggi generale siamo rimasti io e lui, mi ha fatto pena e gli ho preso L’importanza di chiamarsi Ernesto per una quinta.»

Insomma, Maria Grazia, tanto ha detto e tanto ha fatto che ci ha fatto alzare dal tavolino e siamo finite un po’ più avanti, al Kursaal Kalesa Club, tipico locale costoso e alla moda che non tollero, avrà pure un bel giardino ma per me Iardo è un’istituzione. Ora il pensiero che a Linosa venga anche Maria Grazia mi terrorizza, da quando il marito l’ha mollata, e riesco a capire il perché, non possiamo dirle di no, ma già immagino il suo impatto con l’isola, non le piacerà niente. Noi occupiamo le stesse stanze in famiglia ormai da dodici anni, abbiamo la stessa goletta dove tuffarci e prendere il sole, un minuscolo bar in piazzetta, un ristretto gruppo di amici che amano quell’isola quanto noi, speriamo che Maria

Grazia non ci rovini tutto.

Mangiato: colazione: 1 coppetta di fiocchi di avena, 1 mela;

pranzo: merluzzo bollito, insalata di carote, patate e pomodori, una fetta di pane di Monreale;

merenda: un gelato al riso; cena: cuscus alle verdure;

quattro cicli di addominali;

niente footing.

Oggi la piscina comunale era chiusa ma almeno stavolta ero stata avvertita in tempo, è tutto l’anno che va avanti così, per la gioia di quei disutili degli LSU che si divertono a fare parole crociate di fronte ad una vasca deserta. La verità è che i nuovi dirigenti sono degli inetti. Di nuovo footing a villa Trabia, devo ammettere che mi andava bene per via del cane. Per lui arrivare in viale del Fante, dopo la corsa di giovedì, sarebbe stato troppo, stamattina sullo zerbino guaiva, credo per i dolori muscolari. Siamo andati ancora una volta a controllare la statua ma stavolta non c’era! M’è venuto il panico e sono corsa dentro la Casena, negli uffici dell’assessorato, per chiedere cosa fosse successo, ma era sabato e non c’era nessuno, così sono andata a cercare il custode:

«Ca, si fici u cani?»

«Non è mio, è un bastardo che mi sta seguendo da alcuni giorni.»

«Bieddu è l’armalo!»

«Ma dov’è finita la statua, non è che se la sono rubata?»

«Noni, sa pigghiaru assira! Vinniru ch’ddi du comuni c’un camion, un trafficu… si stava rumpiennu cchiu as-sai..

«Posso solo immaginare l’amorevolezza dei gesti.»

E siamo rimasti in tre a guardare, io il cane e il custode, l’impronta lasciata dal marmo nella terra umida e una scritta a stampatello nel muro SCIMMIETTA TI AMO ROBY.

Ho fatto un altro giro lungo il perimetro della Villa e mi sono seduta sulla panchina vicino al ponte a bere dalla borraccia, ovviamente col cane accucciato sui miei piedi, quasi a farmi male, poi improvvisamente l’animale s’è rizzato d’un colpo correndo verso una ragazzina.

Una tipetta carina, bionda, con una canottiera ed un paio di calzoncini corti. Lei ha cominciato ad urlare:

«Prospero!? Che ci fai qui?»

Ecco come si chiamava: Prospero! Ma come mai sarei potuta arrivare a quel nome? In verità ieri avevo provato con i soliti nomi da cane e lui non aveva mai mosso un muscolo, ma a Prospero non avrei mai pensato. Insomma, mi sono alzata e sono andata incontro alla ragazzina, anzi a quel viluppo di cane e ragazzina, lacrime di lei, leccate in faccia e pipi addosso di lui.

«Sono felice che il cane abbia finalmente ritrovato la sua padrona.» – Le ho detto accorgendomi di provare un sentimento ascrivibile ad una leggera gelosia.

Non è il mio cane, è il cane di Max!»

«Bene, allora, dato che lei lo conosce, lo riporterà a questo Max.»

«E chi lo sa dov’è Max? Se ne è andato senza neanche un messangerino o un SMS, quello stronzo!»

«Non potrebbe aiutarmi a trovarlo, dirmi come si chiama di cognome, dove abita?»

«Ma chi è lei, uno sbirro?»

Così è andata via lasciando Prospero che guaiva, speravo lui volesse seguirla come fa con me, invece no, è rimasto al mio fianco con quel solito senso del dovere «vorrei ma non posso, il mio posto è accanto a questa sessantenne single, ormai in pensione.»

E così sono tornata a casa rimuginando: Prospero, Max, Max, Prospero. Due nomi, due indizi.

Max.. Max… pensavo… non conosco nessun Max…

Più tardi sono andata in bicicletta al negozio biologico e al ritorno un disgraziato, con una di quelle automobili fuori scala che sembrano carri armati, mi ha stretta contro un’altra auto fino a farmi cadere. In questa città sono ormai abituata a queste cose, ma poi mi sono accorta che c’era anche quel rappresentante di libri che ieri da Ilardo non ho salutato, manco mi ricordo il suo cognome mentre lui ricordava il mio, anche se storpiato. Mi sono imbarazzata a trovarmelo lì che cercava di darmi una mano, non tanto perché ieri non avessi salutato lui e Valdarni, ma perché improvvisamente mi sono vista attraverso i suoi occhi, ed ero una donna anziana in difficoltà, comunque è stato gentile; avrei dovuto adottare qualche altro dei suoi libri, ma ormai è tardi. Stanotte mi tocca stare da Isabella, sua sorella ha già fatto due nottate.

Le notti negli ospedali siciliani sono esperienze paragonabili soltanto alla detenzione in carcere. Sei metri quadrati, otto letti e sedici donne che respirano la stessa aria, un bagno turco senza vantaggi depuranti, guai ad aprire una finestra altrimenti «ci ammazziamo», come ha detto una donna mastodontica che assisteva la figlia.

Povera Isabella, non so come faccia ancora a sorridere.

Alle sei del mattino sono stata mandata via dalle inservienti che dovevano pulire il pavimento e mi sono avviata alla fermata. Stavo per prendere l’autobus verso casa quando è passato quello per Mondello, direzione opposta, e vi sono salita in un balzo. Nonostante fosse domenica a quell’ora la spiaggia era semideserta, il mare piatto e trasparente, così ho fatto una lunga nuotata salvifica, cercando di togliermi di dosso il sapore dell’ospedale, poi mi sono avviata verso casa mentre già arrivavano le prime famiglie cariche di ceste, canotti ed ombrelloni; era il mio primo bagno della stagione.

Di pomeriggio ha telefonato Vittorio, la situazione di Isabella non è incoraggiante perché il primario ha detto che per l’operazione c’è ancora da aspettare a meno che non si vada in una clinica privata, del resto, dice il luminare, paga tutto la Regione Siciliana, a meno che il nuovo assessore non riveda le convenzioni. Non credo che abbiamo alternative a meno che non la carichiamo su un aereo per farla operare al nord Italia. Vittorio mi ha poi chiesto ancora di accompagnare Camilla al mare.

Lo so che la loro casa è bella e comoda, con la discesa a mare e la piscina, la donna di servizio e il giardiniere; ma per me il mare è solo quello di Linosa, con i miei amici e le mie abitudini. Insomma, dove sono gli altri due suoi figli? Lo chieda a Francesco o a Giorgio.

Di sera il cane era sempre dietro la porta e gli ho messo latte e cereali in una ciotola, preferisco che mangi roba più genuina, anche se in realtà gli ho ammannito quel tipo di cereale non biologico che Camilla ha dimenticato l’altra settimana, poi ho riempito d’acqua il sotto-pianta. Mi sono collegata ad internet per conoscere le ultime notizie e controllare la posta e mentre leggevo le mail m’è saltato agli occhi il nome Max. Dove avevo già sentito questo nome? Non ci avevo ancora fatto caso ma in gmail compare a destra in basso l’invito alla chat, roba adatta ai miei nipoti. Insomma, c’era uno strano invito «Max ti invita a parlare.» Lo sapevo che questo gmail era per adolescenti!

Oggi abbiamo trasferito Isabella alla clinica Santa Anastasia, Vittorio ha pagato il supplemento per la camera singola così le notti può farle lui, l’operazione è per domani. Lì ci sono lenzuola, piatti di porcellana, letti ortopedici e belle infermiere, semmai mancano i medici di guardia. All’ingresso grandi cartelli di protesta contro il nuovo assessore alla sanità che vuole mettere in discussione le convenzioni con le cliniche private, la Sicilia sembra averne più di tutte quelle d’Italia messe insieme. Di pomeriggio footing a villa Trabia, col cane Prospero che ormai è la mia ombra. Non c’era traccia della ragazzina in calzoncini.

Prima di andare a dormire ho guardato il cane dallo spioncino, aveva già mangiato e bevuto senza sporcare, il suo padrone deve averlo educato bene. Ho anche notato, quando mi segue per strada, che fa i bisogni nelle aiuole, guardandomi tutto vergognato, in questo caso io rallento il passo gironzolando intorno per non fargli fretta, gli fa male lasciare il bisogno a metà, magari sarebbe anche il caso che comprassi quei sacchetti per raccogliere gli escrementi.

Comunque, dopo aver controllato il cane mi sono detta di ricontrollare la posta, la verità è che volevo capire cos’era quell’invito:

«Max vuole parlare con te» a quel punto ho telefonato a Camilla per sapere come funzionano queste chat.

«Zia, c’avrai l’innamorato segreto, in gmail puoi invitare a chattare solo se conosci l’indirizzo e-mail, sarà qualcuno che conosci.»

«Ma se il mio indirizzo non lo sa quasi nessuno?»

«Che ne so io, zia Virginia, magari è un tuo collega.»

«Ma scusa non è possibile che sia qualcuno che spara inviti a caso, con nomi di donne inventate?»

«Con un indirizzo come zxxxx1454? L’hai scelto tu così complicato proprio perché eri terrorizzata delle mail da sconosciuti.»

In realtà ha ragione Camilla ma io, sul serio, non conosco nessun Max. Finita la conversazione con lei sono rimasta li a guardare il monitor con quell’invito che lampeggiava. Poi mi è cascata la testa per un colpo di sonno e sono andata a letto.

Non ho più voglia di parlare di diete ed esercizi.

Mi sono svegliata alle sei e ho tradotto per un’ora, poi sono andata in clinica per l’operazione di Isabella. Alla fine, è andato tutto bene ma ci ha messo troppo tempo a risvegliarsi dall’anestesia. In realtà io ero terrorizzata perché non sapevamo chi fosse l’anestesista e, dopo l’operazione, i medici sono andati via lasciandoci con un’infermiera, secondo me neanche diplomata. In mezzo a questi pensieri mi tornava continuamente alla mente quel Max.

Confesso che appena tornata a casa mi sono subito collegata. Ho notato che in gmail sulla sinistra c’era la lista dei miei contatti: Camilla, Giorgio, Francesco, Francesca, Maria Rosa, Valeria… poi ho scoperto che passando il mouse sui nomi dei miei nipoti compariva per ognuno una loro fotografia, che Camilla poteva evitare quella smorfia e Giorgio quel gestaccio, ma la cosa più assurda è che andando col mouse sul nome Max compariva la foto di un cane, e quel cane era proprio quello che stava sullo zerbino di casa mia!

La stessa macchia sul muso! Allora Max era proprio lui, l’amico della ragazzina, il padrone di quel cane?

A quel punto sono andata a ricontrollare i suoi inviti a chattare, iniziavano il giorno dopo in cui ho trovato il cane nel corridoio, un invito a sera, tutti alla stessa ora: le ventitré.

Poteva quindi essere il padrone del cane, ma come sapeva che il cane l’avevo io? Magari era soltanto uno che voleva importunarmi, sapere dove abito, ma no, il cane era lo stesso.

Così ho avuto una giornata nervosa, la cosa più evidente era che alle undici di sera un certo Max si sarebbe collegato, dovevo preparare qualcosa da scrivere in quella chat per capire se fosse veramente lui il padrone del cane.

Così L a giornata è passata fra cose stupide, letture svogliate, titoli dal sito di Repubblica, un film melenso in TV interrotto alle undici, poco prima che potessi capire se i due protagonisti si sarebbero più rincontrati.

Perché alle undici dovevo tornare in chat.

Infatti, era Iì: Max ti invita alla chat.

Ed io, tremante di vergogna, ho scritto in modo compunto:

«È per caso lei il padrone di un cane che si chiama Prospero e che da qualche giorno s’è perso nella zona di Piazza Croci, a Palermo?»

Insomma, ho scritto, poi col cuore in gola sono stata col ditino sul mouse senza avere il coraggio di premere invio, poi tutt’assieme l’ho fatto morta dalla paura.

Nulla per tre minuti… poi arriva:

«Prof. come sta Prospero?»

Prof.??? Ma chi è questo? Chi lo conosce?

“Mi scusi forse c’è un equivoco, io non la conosco.»

«Ma sono io prof., Max.»

«Forse mi confonde con una sua insegnante, io non ho allievi con questo nome.»

Che stupida! Ora sa che sono un’insegnante!

«Sono Maximo! Vivarelli della V°B!»

Oddio Vivarelli! A lui non ci avevo pensato! In realtà, a rifletterci su… i compagni lo chiamano Max, ma chi ci sta attenta a queste cose… io non do mai confidenza agli allievi. Ma guarda tu che tipo insolente, c’era da aspettarselo da uno come lui, che l’abbia fatto apposta a mollarmi il cane?

«Vivarelli, sei tu che hai introdotto il cane in casa mia?»

«Perdonami prof. non sapevo proprio a chi darlo, avevo trovato un Ryanair per Londra a venti euro, non me lo potevo fare scappare.»

«Intanto non mi dare del tu, e poi ti sembra il modo di rovinare la vita della gente? Sabato devo partire, a chi lo do ora?»

«Mi dispiace…»

“Mi dispiace, mi dispiace… ma ci pensi mai a quello che fai? Per te la vita è sempre un gioco! E poi perché proprio a me?»

Ho aspettato per dieci minuti una risposta, poi è comparsa la scritta «Max non è disponibile per la chat.

«Vigliacco!»

Qui le cose si complicano, che ne faccio del cane?

Non sono cinica al punto da lasciarlo sul pianerottolo col rischio che morto di fame vaghi per la città deserta e si faccia arrotare alla circonvallazione, ieri ho visto un cartello della «Pubblicità Progresso» con un cane dagli occhi dolci che diceva: «E tu di che razza sei? Umana o disumana?» È Vivarelli che ha abbandonato il cane ma io ormai sono involontariamente sua complice. Ho chiamato quella cretina di locandiera a Linosa che dopo dodici anni di fedeltà, in cui abbiamo sopportato le scomodità di quella che lei chiama pensione, senza mai rompere un posacenere o macchiare un asciugamano, ora si da le arie di chi sa far rispettare le regole:

«Il regolamento della mia pensione vieta i cani.»

Allora ho telefonato a Daniel:

«Ti prego, ti pago quel che vuoi se ti tieni il cane»

«In appartamento essere otto e padrone di casa non volere cibo e animali.»

«Allora ti pago per portargli da mangiare a casa mia ogni giorno.»

«Io da lunedì sostituire mio amico in pompa di benzina.»

«Perfetto, porti il cibo al cane quando smonti.»

«Pompa di benzina a Castellammare del Golfo, io dormire nella guardiola.»

Di pomeriggio sono andata a trovare Isabella in clinica, dopo l’operazione le è rimasta una strana febbre, forse è soltanto il caldo, speriamo. Comunque lì mi sono confidata con i miei nipoti, tralascio le risate e i commenti del tipo «Zia Virginia, ti sei fatta infinocchiare», l’unico suggerimento era ancora una volta quello di andare con Camilla alla casa al mare, dove il cane potrebbe stare libero in giardino.

«Però prima controlliamo che sia vaccinato e non abbia malattie, per via del bimbo» – mi fa lei, a me! Io che sono un modello di regole e prescrizioni igieniche, devo sentire la lezioncina da mia nipote? Ho detto di no ancora una volta.

Alle undici di sera mi sono di nuovo collegata a gmail, ancora c’era il mio vigliacco col punto esclamativo della sera prima, poi finalmente Max si è collegato e ha risposto:

«Prof? Ce l’ha ancora con me? Ce lo diceva sempre lei le di partire, lavorare in Inghilterra per imparare la lingua…»

«E che significa?»

«Max sta scrivendo»…. lampeggia sul monitor, aspettiamo..

«Io l’ho presa sul serio e pensavo che lei poteva contribuire al progetto. Ero venuto a casa sua per chiederglielo ma quando ho visto la porta aperta…»

«Max sta scrivendo…»

«…mi è venuta da fare una vigliaccata, ho buttato dentro il cornetto che stavo mangiando e il cane s’è fiondato…»

«Max sta scrivendo…»

«…poi il ragazzo che lavora da lei ha richiuso la porta e il gioco era fatto.»

«Quel cretino di Daniel!»

«Max sta scrivendo…»

«Prof non sia razzista con gli extracomunitari»

«Insolente!»

«Max non è disponibile per la chat»

«Max?! Max?? Ci sei??»

Oggi io e Camilla siamo andate alla casa al mare per aprirla, abbiamo portato la colf per le pulizie di stagione e il bimbo per fargli prendere un po’ d’aria, ma non ho detto di sì per la villeggiatura. Emiliano è molto simpatico, devo dire che è un bambino allegro, Cam non è poi tanto male come mamma, sembra sempre tranquilla, avrà preso da Isabella.

Siamo tornate stanche e bruciate dal sole, ma lo stesso alle undici sono tornata in chat. Ancora avevo tante domande da fargli: «Cosa ne faccio del cane? Perché Thai mollato a me e poi come fai a sapere dove abito, il mio indirizzo e-mail?»

Finalmente Max è comparso in linea.

«Perdonami prof, ma ieri sera mi sono scollegato all’improvviso, qui ad un certo punto casca la linea.

Comunque, per l’ultima domanda sono trucchi del mestiere. Lei invece come fa a sapere che il cane si chiama Prospero?»

«Me l’ha detto la tua ragazza, l’ho incontrata a Villa Trabia, a quanto pare hai mollato pure lei.»

«Non è la mia ragazza.»

«Prospero non la pensa così.»

«Magari sì, ma ci sono gli effetti collaterali delle decisioni importanti.»

«Quante arie che ti dai, Vivarelli! Comunque, dammi l’indirizzo dei tuoi genitori che domani gli porto il cane!»

Ma a quel punto quel vigliacco non mi ha più risposto. Ho aspettato mezz’ora fino a quando ho letto «Max non è disponibile per la chat».

In agosto, piazzare un cane è peggio che trovare una sistemazione per la zia Bianca. «Ha prenotato?», Mi hanno chiesto tutti i rifugi canini cui ho telefonato, a quanto pare bisognava farlo con quattro mesi di anticipo e anche i dog-sitter sono tutti occupati, pure quelli con i capelli rasta che stanno in via Ferrara.

Ho pensato che l’unica soluzione fosse provare con la famiglia di Vivarelli, ma non avevo l’indirizzo, così ho telefonato alla segreteria dell’istituto e mi ha risposto Sandra.

«Professoressa Tesoriere, ancora problemi con i documenti della pensione?,

No, quelli ormai sono tutti a posto, è che chissà quando inizieranno a pagarmi.»

«Si prepari a lunghe attese.»

«Sono rassegnata, a proposito, telefonavo per avere l’indirizzo di uno studente.»

«Veramente sarebbero informazioni riservate.»

«È che gli avevo prestato un libro per gli esami di maturità e si è dimenticato di restituirmelo.»

Alla mia età raccontare bugie!

«Mi dica cognome e classe.»

«Vivarelli V° B»

«Chi, l’adottato?»

«Alla faccia delle informazioni riservate!»

«Professoressa, l’ha avuto in classe per cinque anni e non se ne è mai accorta? Ha la faccia da Indio, dev’essere sudamericano.»

«Non faccio di queste discriminazioni, dire l’adottato è come dire il negro o il terrone, comunque che fosse stato adottato non lo sapevo.»

«Lo sa anche lui che è adottato, l’hanno preso che già aveva nove anni, un’adozione difficile, ragazzo caratteriale, i genitori sono tanto perbene, sa, sono i Vivarelli della clinica Santa Anastasia.»

«Mia cognata per ora è ricoverata li, saranno pieni di soldi, immagino.»

La Sandra continuava nella sua adulazione: «Si, è gente molto benestante, ma si sono messi l’acqua in casa, queste adozioni internazionali sono sempre un problema, ti fanno il pacco col teppistello delle favelas.

«Ma che problemi ha dato? Droga, spaccio, furti, vandalismo? Io non ne ho mai saputo nulla.»

“Non lo so, i genitori ogni settimana andavano a parlare col Preside, comunque l’indirizzo è Viale delle Palme… Mondello…»

Pomeriggio di grandi ambasce, come raggiungere Mondello con un cane quando non si guida l’automobile? Ho telefonato all’AMAT e mi hanno detto che i cani possono salire sull’autobus soltanto col guinzaglio e la museruola, così sono andata al negozio per animali di via Archimede, la vecchia uccelleria che era proprio a due passi dalla fermata dell’autobus e mi sembrava un affare che mi avrebbe preso pochi minuti.

Invece arrivata Iì c’era una scena funeraria in grande stile, la vecchietta dell‘uccelleria stava seduta su una sedia appena fuori dal negozio circondata da una serie di comari del quartiere:

«E chi ce l’aveva il coraggio di dircelo – diceva sottovoce una giovane ad un’altra – che lei ogni mattina, prima di aprire a putia ci andava a raccontare i suoi fatti»

Così la vecchina continuava:

«Senza di lei non potevo iniziare la giornata, ora comu fazzu?, E le altre continuavano a dondolare il capo lamentandosi come prefiche e io non capivo cosa fosse successo.

Un ubriacone poi intercalava:

«Sì, ma a faccia unn’era buona» e allora un omacione in canottiera e la pancia ondeggiante gli alzava il braccio sul capo come per colpirlo:

«Ta zittere infamuni, tornatinni a tavierna

Non capivo di chi si stesse parlando mentre la cronaca continuava ad ingarbugliarsi:

«Ma com’è che se ne accorge solo ora che è u fattu succiesse lunedi sera? Che quando ho steso le robe di pomeriggio ancora c’era, poi a matina i sei un c’era cchiù che già se l’avianu purtata.»

Un arresto, un rapimento? Ma di che parlavano? I racconti andavano avanti con la descrizione di un doppio funerale a cui aveva partecipato tutto il quartiere, di una coppia di vecchietti che non si parlavano mai, ma che lo stesso erano stati appattati fino al punto di morire quella domenica nello stesso momento, ognuno a casa propria. Ero ormai pervasa di tribalità, quando l’uccellaia urlò inorridita:

«Mi fa ‘mpressiuni ddu postu vacanti!» indicando l’edicola votiva all’angolo fra via Ricasoli e via Isidoro La Lumia.

Svelato l’arcano, si stava parlando di una statua di gesso scolorito, una madonnina.

Ero al colmo dell’insofferenza e cercavo di sbirciare dentro l’uccelleria se per caso ci fosse qualcun altro a cui chiedere la merce di cui avevo bisogno, non c’era nessuno e sembrava fuor di luogo disturbare la vecchia in mezzo a tanto cordoglio, quando infine il panzone in canottiera sciorinò solennemente la sua proposta:

«A ‘sto punto ci mentemu un Patri Pio» E questo fu il verbo!

Di fronte ad un ennesimo Padre Pio la madonnina sembrò d’un colpo dimenticata, come se io soltanto, atea, avessi rimpianto per quella statua sbiadita ed impolverata. Perfino l’uccellaia, asciugate le lacrime, era già infervorata nei preparativi:

«Sì, però ciama fari u cancilleto ri ferro battuto… » poi rivolta a me, quasi infastidita dalla mia presenza:

«Chi buleva signura?» e senza darmi il tempo di rispondere, con un urlo acutissimo, quasi a perforarmi il timpano:

«Bicecè?! Viri chi buole a signura!»

Bicè, sortito dal nulla, mi ha così provvisto di un collare, un guinzaglio e una museruola e, a che c’ero, gli ho chiesto un collarino antiparassitario e una paletta con i sacchetti per raccogliere gli escrementi. Mi ha chiesto pure se volessi dei croccantini ma io a quelli non mi piegherò mai, mi sono fatta l’idea che sia questa roba transgenica a far diventare aggressivi i cani, comunque speravo di liberarmi di Prospero entro sera e già avevo speso abbastanza.

Così ho messo il collare con guinzaglio al cane, che per fortuna non si è ribellato, sembrava anzi che apprezzasse quell’accresciuto legame con la mia persona, e mi sono avviata verso la fermata lasciando la folla all’eccitazione organizzativa.

In autobus Prospero mi si è seduto accanto e stava buono senza disturbare nessuno. Passando da Pallavicino abbiamo incrociato un Padre Pio, ormai la città ne è piena: occhi come spilli che ti puntano da aiuole fiorite, più curate dei parterre all’italiana della Palazzina Cinese. Ogni statua circondata di devozione, cancelletti in ferro battuto, panchine, trine, ex voto… presto avrebbero avuto la compagnia di un ennesimo clone, posto all’angolo fra la via Ricasoli e la via Isidoro La Lumia, di cui personalmente non sentivo il bisogno. Di nuovo ho avuto nostalgia della vecchia ed innocente Madonnina, poi mi è venuta in mente la statua di Villa Trabia, che era rimasta per terra troppo a lungo, poi mi sono resa conto che non avevo ancora capito cosa c’entrassero con la madonnina i due vecchietti morti domenica.

Durante i miei pensieri una scritta di strass mi ballava sulla faccia invitando anche me: shall we dance. Era il seno morbido e prosperoso di una ragazza, che ballonzolava come il budino di Arlecchino ad ogni scossone dell’autobus, stretto in una maglietta impalpabile color confetto, con il formale invito affidato a degli strass argentati incollati a rilievo, chissà se certuni pensano mai al significato delle parole che si portano addosso!

Per fortuna avevo il guinzaglio perché arrivati su viale delle Palme il cane, per la prima volta, non voleva più seguirmi, tirava dall’altro lato guaendo e pensavo addirittura di aver sbagliato indirizzo, ma quando ho premuto il campanello ho capito. Da dietro il cancello s’è sentito il latrare di un’orda di cani feroci e Prospero ha fatto un balzo indietro terrorizzato. S’è aperta poi una fessura del cancello dalla quale è fuoriuscita la faccia atterrita di una ragazza filippina e uno sull’altro quattro musi di Doberman ringhianti e con la bava alla bocca.

«Desidera?»

«Sono la Professoressa Tesoriere dell’Istituto Alberghiero, vorrei parlare con i padroni di casa, ho qui il cane del figlio.»

«Dottore in clinica, in casa solo Signora.»

«Potrebbe chiamarla?»

«Torno subito.»

Dopo dieci minuti abbondanti vedo percorrere il viale da una signora in pareo che si fa largo fra i Doberman festanti, ammannendo carezze e baci.

«Buoni, buoni, la professor è un’amica… professoressa Tesoriere, non ci siamo mai conosciute, ancora debbo ringraziarla per l’aiutino che ha dato a Maximo

durante gli esami.»

«Non sono solita dare aiutini agli esami e comunque quest’anno non ero in commissione, non so cosa le abbia riferito suo figlio.»

«Non so, ha detto che senza di lei non ce l’avrebbe mai fatta…»

Prospero non era affatto attratto da quella che credevo fosse la padrona della sua casa, anzi stava nascosto dietro le mie gambe.

«A quanto pare Maximo le ha lasciato il cane» mi fa la signora e a quel punto, non so come, un istinto inconscio mi ha impedito di infierire sul ragazzo.

«Sì, l’ha dato a me prima di partire, ma adesso devo partire anch’io e vorrei riconsegnarlo a casa.»

«Maximo è partito?»

«Non se ne è accorta?»

«Maximo vive in un appartamento nel centro storico, glielo abbiamo fatto ristrutturare tre anni fa, ha preso Prospero quando già stava là, del resto qua con gli altri cani..»

«Lo vedo.»

«E questi sono solo quelli da guardia, in casa ne ho altri quattro: due Labrador, un Alano e un Setter, sa io amo i cani, ho perfino la licenza di allevatrice.»

“Ma non è troppo giovane, Maximo, per abitare da solo?»

«La cameriera ha le chiavi e va tre volte a settimana a pulire e a lasciare qualcosa di cucinato, del resto Maximo ha ormai vent’anni.»

«Tre anni fa diciassette.»

La signora a quel punto venne verso di me socchiudendosi alle spalle il cancello e abbassando la voce, forse vergognandosi di essere a quell’ora per strada in pareo.

«Professoressa, non è facile giudicare queste situazioni, è Maximo che è voluto andare via ed era già scappato di casa tre volte, il nostro è sempre stato un rapporto sofferto. Noi abbiamo fatto tutto quello che umanamente si poteva fare, ma ha sempre rifiutato ogni nostro gesto: ha avuto il motorino appena compiuti i quattordici anni e ha preferito girare con una bicicletta usata, spero non rubata, a diciott’anni ha avuto la macchina nuova che è ancora in garage, neanche la patente ha preso. Sempre a mischiarsi con gente bassa! La nostra clinica era casa sua, ma fra paramedici e chirurghi l’unico mestiere che lo attirava era quello del signor Carmelo, l’addetto al banco delle accettazioni, così s’è impuntato con l’Istituto Alberghiero per fare il receptionist. Alle fine è sembrata anche a noi la cosa più opportuna dato il suo rendimento scolastico, del resto la nostra clinica è anche un grande albergo e servirà sempre un direttore.»

Avrei potuto dire che in camera di Isabella l’aria condizionata era guasta e mancava il telecomando ma sembrava che avessi perduto la parola, così la signora continuò:

«È che non ha ambizioni… – poi guardando sconsolata Prospero – .. anche lui, con tanti bei cani che abbiamo in casa, c’era bisogno di andare a prendere per strada quel bastardone

A quel punto avrei voluto che Prospero si mettesse nella sua solita posa di cane di porcellana con la pancia in dentro ed il petto in fuori, per far vedere quanto era bello, invece stava tutto moscio, con la testa calata e lo sguardo colpevole, così toccò a me:

«Questo cane è stupendo!»

Erano le sette di sera e piuttosto che in direzione della fermata dell’autobus mi spingevo con Prospero verso la spiaggia, il mio desiderio era quello di lasciarlo libero ma non per disfarmene, volevo soltanto farlo correre.

Giunti li c’era un bel tramonto e qualche bagnante ancora in acqua, Prospero non voleva staccarsi da me, così ci siamo seduti sulla battigia a guardare il mare mentre dietro di noi sfilavano gruppetti di persone che facevano footing, anzi lui guardava me agitandomi la zampa sporca di sabbia umida, voleva darmela, gliel’ho presa e mi sono anche fatta leccare, poi mi sono slacciata i sandali e ho lasciato che le onde piatte e tiepide della sera carezzassero anche i miei piedi oltre la sabbia della battigia.

Mi sentivo sfinita mentre mi frullavano nella testa frasi disordinate di quella giornata… «una adozione difficile… noi abbiamo fatto tutto quello che umanamente potevamo fare… questi sono soltanto i cani da guardia, ne abbiamo altri quattro dentro casa… gli abbiamo fatto ristrutturare un appartamento in centro…», quella donna, che all’inizio mi era parsa insopportabile, un’incarnazione di tutto quello che odio in questa città, adesso a poco a poco mi appariva umana; dal ricordo del suo viso impacciato apparivano ora delle rughe, vedevo occhi impauriti e pensierosi che prima non avevo colto, chi ero in fondo io per giudicare? Non avevo voluto figli e degli adolescenti conoscevo solo il volto scolastico.

Nel frattempo, cercavo di ricordare Max, un allievo di contorno, superficiale e ridanciano, certe volte invece chiuso, per i fatti suoi. Ora vedevo la faccia olivastra da Indio, un naso affilato, uno sguardo sottile, intelligente e canzonatorio, cercavo di mettere a fuoco i suoi occhi quando improvvisamente mi tornò alla mente una sua espressione completamente diversa, intensa, appassionata: Max leggeva Shakespeare in inglese.

Improvvisamente capii e sentii i piedi affondare nella sabbia ammorbidita dalle risacche della sera.

Cercai di nuovo nella borsa l’indirizzo della famiglia Vivarelli, forse Sandra mi aveva dato anche il numero di telefono, c’era.

«Signora, mi scusi se la disturbo ancora, volevo sapere esattamente quando Maximo ha preso il cane.»

«Mi dispiace non riesco a ricordarlo.»

Ma io seppi come solleticare l’indole dell’allevatrice:

«È che devo portarlo dal veterinario, per via dei vaccini.»

«Aspetti allora, che cerco di fare mente locale, credo che sia stato nel febbraio del 2006.»

Come sospettavo, terzo anno, inizio del secondo quadrimestre, leggemmo The Tempest, Max passava la parte di Prospero. Corsi subito a casa, volevo essere lì per le undici e arrivai con molto anticipo.

«Perché hai chiamato Prospero il cane?»

« … We are such stuff

As dreams are made on; and our little life

Is rounded with a sleep...»

«Sir, I’m wex’d;

Bear my weakness; my old brain is troubled…Ti dissi quel giorno quanto eri bravo?»

« Sì, anche che avrei dovuto fare l’attore, ed è per questo che sono qui.»

Trentacinque anni di insegnamento della lingua inglese, spesi a «veicolare una disciplina» senza alcun coinvolgimento emotivo, a suggerire un soggiorno in Inghilterra perché è quello che dicono tutte le professoresse di Inglese, a leggere Shakespeare perché è quello che suggerisce il programma del terzo anno, a consigliare ad un ragazzo la carriera di attore tanto per dire qualcosa di gentile. Poi scoprire che questa banale, semplice frase, ha cambiato una vita, ha fatto sì che qualcuno capisse finalmente cosa dovesse pretendere per sé following a dream.

Forse il motivo per cui la gente comunica in chat è che si può nascondere una voce rotta dal pianto mentre le tue lacrime non inzupperanno mai un foglio di carta.

Ma forse lo stesso lui si è accorto, dal mio silenzio:

«Professoressa? È andata via?»

«No, ci sono, ma tu dove sei adesso?»

«A Penzance, in Cornovaglia, è ad un passo da…»

«Land’s end, la fine della terra.»

«Lo sa che è il punto più ad ovest e vicino all’America, casa mia?»

«Conosco la Cornovaglia.»

«Ieri sono salito sulla scogliera più alta e ho visto l’oceano, mitico! I Fari, quanto mare…»

«A sea that makes widows

«Lo sa che quando il mare è in tempesta i guardiani devono calarsi nel faro dall’elicottero?»

«Max sta scrivendo…»

« ..ma ora è estate e il mare è calmo, anche se non è il mare siciliano, né quello mio.»

«Che progetti hai?»

«Sono qui per la stagione, faccio un po’ di moneta lavorando in un ristorante sul lungomare, mi danno anche l’alloggio, stacco ogni sera a quest’ora.»

«Max sta scrivendo…»

«Poi a settembre mi sposto a Londra, in inverno ci sono le audizioni nelle scuole di recitazione.»

«Credo che non sia una cosa semplice.»

«I know, but I want to follow my dream

«You are right, ma ti dovrai preparare bene. Se poi ti servirà una lettera di presentazione in inglese, quella potrei scriverla io.»

«Max sta scrivendo…»

«…forse da lei mi servirà qualche aiuto in più della lettera di presentazione.»

«Vedrai che ce la farai .. •»

«Grazie.»

Stanotte Prospero dormirà dentro casa.

Sono rientrata in città ormai da un mese. All fine non sono più andata a Linosa, ho accettato la proposta di Camilla perché lei insisteva e insisteva anche mio fratello, ma ho ceduto soprattutto per due ragioni: potevo portare Prospero e in quella casa c’è il wi-fi. Siamo state bene insieme. Nel frattempo, Vittorio ha dovuto portare Isabella a Bologna per rifare l’operazione, il ferro che le avevano impiantato a Palermo aveva creato un’infezione, ecco perché la sera le veniva la febbre, adesso sono tornati, ma lei è molto provata e si prevede una ripresa difficile.

Camilla è molto seria, al mare riusciva a studiare ed anche ad occuparsi del bambino, mi sono sempre chiesta come si fa ad avere due impegni tanto pesanti contemporaneamente. È decisa a non perdere alcuna sessione d’esame e in questa settimana ha preso un trenta e due ventisette. Io ho cercato di aiutarla come meglio potevo. Nel pomeriggio portavo Emiliano in passeggino a fare lunghe passeggiate sul lungomare, con Prospero accanto che è stato vaccinato e controllato ben bene dal veterinario, ma lo stesso non lo facevo avvicinare al bambino. La sera insistevo perché Camilla uscisse, le dicevo che mentre il piccolo dormiva era inutile starlo a guardare in due. Poi alle undici, quando ero sola con Emiliano accanto addormentato, mi collegavo in chat con Max.

Un’invenzione prodigiosa, Max poi mi ha convertita a messenger perché ci sono le faccine da scaricare, me lo ha installato Camilla e i due hanno fatto pure amicizia.

È in chat che ho insegnato a Max come cuocere l’uovo in tegamino e la pasta al sugo, come dividere i jeans dalle lenzuola nei lavaggi a gettone, come stilare un CV e riempire un’application form.

In chat abbiamo ripassato i conditionals e i phrasal verbs, gli ho suggerito di chiedere scusa ad Alma, la ragazza in calzoncini che ho incontrato a Villa Trabia e che adesso è di nuovo la sua ragazza.

Ha ripreso i contatti con la famiglia Vivarelli e anche se vorrebbe mantenersi da solo gli ho consigliato di accettare il loro aiuto, senza però svelare che per me si tratterebbe di una sorta di re-distribuzione del reddito.

Non ho più avuto il tempo di scrivere il diario e forse sono ingrassata due chili, ma non importa, anche perché Camilla ha fatto il calcolo della massa corporea e ha scoperto che ero sotto di cinque, forse stavo esagerando.

Traduco sempre moltissimo ma mi sono anche piegata alle lezioni private, un’altra idea di Max, la chiama «associazione per la fuga consapevole», insegno gratis l’inglese ai ragazzi che vogliono trasferirsi all’estero, qui per loro non c’è futuro e con questa crisi si prevede una nuova valanga di disoccupati.

Preparo anche Camilla, ha chiesto l’Erasmus in Inghilterra e forse andrò con lei, qualcuno dovrà tenerle il bambino mentre studia e così potrò dare un po’ d’aiuto anche a Max.

Il perché un ragazzo indio abbia scelto di farsi adottare dall’insegnante meno comunicativa di un Istituto affollato da buoni maestri, resta per me un mistero, poi mi sorge il dubbio che sia stato lui ad adottare me. E se l’estate del 2008 fosse un altro dei prodigi del mago Pro-spero? Questa volta incarnato in un cane di porcellana?

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