L’ISOLA DELLA MENZOGNA di Antonio Soriano

genere: AVVENTURA

CAPITOLO DUE

La porta della strana costruzione era di legno massiccio.  Benché malandata, appariva robusta.

Fabrizio tentò una spinta energica senza conseguenza. Chiamò in aiuto Federico ma, anche il nuovo tentativo non sortì effetto. L’entrata era irrimediabilmente impedita.

Il gruppo si mise alla ricerca di una via d’accesso alternativa, risultato infruttuoso. L’edificio si presentava dotato di numerose finestre ma erano tutte sbarrate.

«L’unico modo per entrare è di forzare la porta principale» propose Fabrizio.

Così dicendo, con una rapida rincorsa, caricò la porta. Ripeté l’operazione varie volte. Alla fine, dopo un ennesimo tentativo, il portone cedette e, con uno schianto fragoroso, si piegò verso l’interno.

Lentamente e con cautela, i quattro uomini entrarono in fila indiana con in testa Fabrizio. Le due donne li seguirono a distanza.

L’ambiente non era illuminato. A piccoli passi, avanzarono all’interno della costruzione.

Nel buio, Federico urtò contro un tavolo e qualcosa cadde per terra. A tentoni cercò di individuarla e raccoglierla.

In quel mentre, l’uomo del coltello, che aveva tentato di aggredire Fabrizio e che, poi, era stato disarmato dagli altri e si era calmato, riuscì ad individuare un interruttore.

Il luogo dove si trovavano si illuminò.

«Bravo Fabio» lo lodò una delle due donne.

Realizzarono che era una specie di sala mensa con, al centro, un grande tavolo pieno di stoviglie non lavate, diversi barattoli e varie bottiglie piene, dall’apparenza contenente acqua.

Per terra c’era l’oggetto caduto per l’urto di Federico, un semplice barattolo di pesche sciroppate.

C’erano diverse sedie.

Adiacente ad una delle pareti spiccava una dispensa assai fornita. Vi erano stipati generi alimentari di ogni gene.

Federico, che era particolarmente goloso, individuò una scatola piena di barrette di cioccolata. L’aprì e ne iniziò a mangiarne alcune dicendo:

«Avevano un’aria così invitante che non sono riuscito a resistere. Volete favorire?»

«Ci sono provviste per tantissimi giorni» notò Fabrizio.

«Già, mi chiedo come mai ci sia tutta questa merce» replicò Federico

Le loro osservazioni furono interrotte da improvvise grida di aiuto. Sembravano emesse da una donna e provenivano oltre una porta chiusa che dava nella dispensa.

Federico si precipitò a girare la maniglia, ma la porta non si aprì. Si approntò a darle una spallata ma fu fermato da Fabrizio:

«Non è una buona ide, la porta è blindata, non sarà facile buttarla giù. C’è solo un modo per aprirla, trovare la chiave.»

Mentre i due giovani discutevano, nella stanza risuonò un colpo di pistola diretto sulla serratura della porta. Fabio, l’uomo del coltello, teneva in mano l’arma che aveva appena sparato.

«Adesso la butteremo giù in un istante» disse con un gesto di sfida.

«E questa, da dove viene fuori?» chiese Fabrizio con un gesto di disappunto.

«Non devo darti nessuna spiegazione. Anzi, ringraziami. Avrei potuto usarla prima per ucciderti» rispose quegli, ritornato nuovamente ostile.

I due ragazzi non commentarono e si concentrarono sulla porta che, con un’energica spinta, cedette repentinamente.      

Tutti entrarono nel nuovo ambiente che, con stupore, realizzarono essere un laboratorio chimico.

Infatti, nonostante la poca luce che filtrava dalla sala mensa, si potevano scorgere diverse provette, sistemate sopra un tavolo da lavoro.

Qualcuno di loro trovò un interruttore e la stanza si illuminò confermando la sua destinazione con l’aggiunta di numerosi monitor accesi.

Si concentrarono sugli schermi che riproducevano i luoghi dove loro avevano vissuto gli ultimi avvenimenti.

«Dove diavolo siamo finiti?» si domandò Marta, la ragazza con il trauma alla caviglia.

Nel mentre tutti erano raccolti sulla visione, un’altra ragazza, visibilmente spaventata, piombò alle spalle di Fabio, gli diede uno spintone e si precipitò fuori correndo disordinatamente verso l’aperto.

Federico fu il primo a riprendersi dalla sorpresa e si lanciò al suo inseguimento. La raggiunse in breve e la bloccò.

«Aiuto. Chi siete? Cosa volete da me?» urlava la giovane.  

«Tranquilla. Siamo tuoi amici. Vogliamo solamente sapere cosa sta succedendo» disse Federico mentre sopraggiungevano gli altri. 

«Lasciami! Chi siete?» urlò lei.

«Potremmo farti esattamente la stessa domanda. Chi sei?» replicò lui. 

 «Mi chiamo Lucia, mi sono svegliata in questa maledetta sala. La porta era bloccata e non sono riuscita a uscire. Ho gridato diverse volte invocando aiuto, per attirare l’attenzione. Mi sentivo sola e ho avuto tanta paura. Poi, ho sentito molta confusione provenire dalla stanza in cui c’eravate voi. Ho sentito anche dei colpi di pistola. Mi sono, perciò, nascosta e ho cercato di scappare quando vi ho visto. Non vi conosco, ho paura di voi. Ho perso, purtroppo, la memoria» disse in modo concitato Lucia che aveva lo stesso nome della prima ragazza incontrata da Fabrizio sulla spiaggia.

«Bene. Hai idea del motivo in cui ti trovavi rinchiusa in quella stanza?» domandò Federico, speranzoso che ella potesse dare un qualche indizio alla vicenda che stavano vivendo.

«Non ho idea di ciò che mi sia successo. Non ricordo nulla. So che sono nata 34 anni fa, sono allergica al burro di arachidi e odio il pesce» concluse la giovane.

«Cosa ci fanno tutte quelle telecamere? Qualcuno ci sta osservando?» domandò Federico, più a sé stesso che alla nuova Lucia.

Infine, la ragazza sembrò calmarsi e, insieme, raggiunsero gli altri.

Appena arrivati, irruppe Fabio con la faccia stralunata.

«Presto, venite, c’è una cosa da verificare!» urlò.

Tutti lo seguirono.

«Stavo cercando un bagno. Credevo di averlo individuato, ma mi sono fermato. Sentite questo tanfo orribile che provenire dal suo interno?» disse sempre più stravolto.

Davvero, un odore nauseante, insopportabile inondava quel posto.  

«Dobbiamo vedere cosa c’è dietro quella porta!»  disse Federico dando l’ennesima spallata all’uscio. 

La scena che gli si presentò era orribile.

Steso per terra c’era il cadavere di un uomo. Giaceva riverso, con le spalle appoggiate ad una vasca da bagno, con un rivolo di sangue che le era fuoriuscito dalla bocca ed un vistoso foro di pallottola in fronte

«Non credo sia morto da tantissimo tempo. Il sangue sembra ancora fresco» osservò Fabrizio.

Tutti avevano la mano a protezione del proprio naso e della bocca.  

«Qualcuno lo ha ucciso, lo ha chiuso all’interno e ha provato a uccidere in anche noi. Solo che non è riuscito a portare a termine il suo piano» gridò ancora Fabio, con in mano la sua pistola che roteava minacciosamente in direzione degli altri a turno.

«Cosa vuoi fare? Spararci e ucciderci tutti quanti?» gli urlò Fabrizio.

«Se questo servirà a salvare la mia vita, stanne sicuro che lo farò. Magari incomincerò proprio da te» replicò Fabio senza abbassare l’arma.  

«Non è una buona idea. Oltretutto, non ti sono rimaste molte pallottole. Ti consiglio di risparmiarle» lo invitò Fabrizio di rimando. 

«Ecco, lo sapevo! Sto diventando il vostro capro espiatorio. Mi incolperete e mi farete fuori. Ma io sono armato e voi non mi fate paura. Non provate a seguirmi o sarà peggio per voi» aggiunse l’altro sempre più agitato e uscendo all’aperto.

«Deve solamente calmarsi. In quello stato, non potrà mai esserci d’aiuto. Potrebbe fare una pazzia. Lasciamolo andare a schiarirsi le idee» disse la prima Lucia.

Federico, con cautela, ispezionò il cadavere di quell’uomo. Cercava un qualche indizio o documento per risalire alla sua identità.

La ricerca fu infruttuosa. 

«Qualcuno sta tentando di ucciderci» concluse ritornando nella stanza dei monitor dove lo avevano preceduto gli altri.

Fabrizio era concentrato sulle immagini.

«Hai visto qualche particolare che può aiutarci?» gli chiese Federico.

«Sì, guarda. Questo è esattamente il punto in cui mi sono risvegliato» rispose l’altro indicando la spiaggia sullo schermo.  

«Una cosa è certa. Qualcuno sta cercando di sopprimerci.»

CONTINUA

L’ISOLA DELLA MENZOGNA è un racconto di Antonio Soriano

genere: AVVENTURA

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