LO SPAZIO DI UN MOMENTO di Marisa Ugliano

Sandro era accovacciato sul divano, rannicchiato nella posizione fetale. 

A Luisa faceva strano vederlo così, come dire, fragile, piccolo, non più imponente.

Spesso Sandro la intimoriva, anche se era certa ciò non fosse sua intenzione.  Era solo il suo modo di fare, si diceva Luisa, mentre lo guardò ancora una volta prima di andare in cucina. 

Adesso, lì così inerme, rannicchiato, Sandro le faceva molta tenerezza. Avrebbe voluto abbracciarlo, spostargli i capelli dalla fronte.  Ma aveva paura di svegliarlo, o peggio ancora, di infastidirlo. 

Luisa si avviò verso la cucina e, silenziosamente, si mise a lavare della frutta che avrebbe poi tagliato a pezzetti e mescolato nello yogurt, pronta per quando Sandro si sarebbe alzato.  Luisa avrebbe insistito perché Sandro si riposasse, stesse seduto sul divano a guardare la tv.   

Quando venne discussa la terapia, infatti, a Sandro era stato consigliato di riposare il più possibile, e di fare una dieta salutare di verdura e frutta.

Luisa sbirciò verso la sala: Sandro stava ancora riposando, nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato. Probabilmente per un paio d’ore sarebbe rimasto in quella posizione, immobile, quasi inesistente.

In questo momento lo sentiva così vicino a lei, forse perché spesso anche lei si sentiva immobile, quasi inesistente. La sua presenza in questa vita era legata al suo scopo verso gli altri. Lei non si sentiva di esistere come entità autonoma.  Se non avesse vissuto per qualcuno, Luisa non sarebbe stato nessuno.

Quando aveva incontrato Sandro non stava cercando un uomo, un compagno. Stava cercando una ragione per essere.

La mattina dopo la loro prima notte insieme, Luisa aveva preparato la colazione.  Sandro si era seduto al tavolo con noncuranza.  Già da subito non c’era stato disagio fra i due. Luisa chiese, così all’improvviso, a sorpresa di Sandro ma anche di sé stessa per la domanda inaspettata:

“Hai qualche segreto?”

Cosa avesse spinto Luisa a fare quella domanda era forse una serie di ragioni, non facilmente identificabile, fra cui la voglia di avere qualche controllo su una situazione che sembrava importante già da subito.

“No,” rispose Sandro laconico, sorseggiando il caffè nero….

Ma dopo qualche istante di silenzio, Sandro aggiunse:

“A dire il vero, forse, se si può definire un segreto, ho una cosa che spesso non rivelo…” seguì una pausa di silenzio che per Luisa fu penosa.

“Ho una malattia del sangue che si è manifestata qualche anno fa. Per ora tutto sotto controllo. Posso avere una vita normale, ma questa malattia esiste, e forse un giorno dovrò fare una terapia se la malattia comincerà a svilupparsi in modo aggressivo.”

Luisa lo ascoltò. Non sapeva che tipo di malattia esattamente si trattasse. E non si sentiva al momento di fargli altre domande.  Ma pensava di aver capito tutto.  O perlomeno aveva capito quel che lei doveva capire per certo: ora sapeva che lei quell’uomo lo avrebbe amato.

E dopo soli due anni da quel mattino a colazione, arrivò la notizia della chemio.

“Non possiamo più aspettare” disse l’oncologo. “I linfonodi sono gonfiati e la milza potrebbe esplodere.”

E con quella diagnosi non c’era trattativa. 

Nel frattempo, Sandro si era messo in lista d’attesa per un trapianto al midollo, nella speranza di trovare un donatore che fosse un match.  E Luisa aspettava con lui.  Aveva perfino fatto lei stessa il test DNA per vedere se avesse potuto essere lei il mitico match. Anche se sapeva in cuor suo che essere un match aveva forse meno possibilità di quelle di vincere la lotteria.  Ma a Luisa piaceva sognare e fantasticare. Era un po’ la sua modalità di sopravvivenza.

“Luisa, prepari del te?”, chiese Sandro dalla sala.

“Arrivo”, rispose Luisa, accingendosi ad accendere il bollitore. 

Una volta messa la bustina nella tazza, doveva poi ricordarsi, come le aveva insegnato Sandro metodicamente, di iniziare il cronometro per lasciare la bustina riposasse nell’acqua calda almeno dieci minuti.

C’erano molte regole in quella convivenza. Quella era la casa di Sandro. Lui era stato molto generoso con lei. Le aveva detto di sentirsi a casa propria, e non le aveva chiesto nessun aiuto con le utenze. Ma Luisa, di suo, andava spesso a fare la spesa, perché voleva in qualche modo contribuire, altrimenti si sarebbe sentita a disagio.  Lei era sempre stata economicamente indipendente.  E non solo non voleva essere di peso, ma voleva soprattutto essere d’aiuto.

Ed ora, con la chemio, Sandro avrebbe avuto bisogno di un bell’aiuto. Il trattamento sarebbe durato dodici settimane. Ciò significava che l’intera estate sarebbe stata trascorsa a casa, ad aspettare l’intervallo fra una sessione di chemio ed un’altra.

Stava arrivando l’autunno. Per Luisa quella era la stagione meno desiderata. Nemmeno i colori e le sfumature ruggine e dorate delle foglie la allettavano. Tutto le ricordava la morte, in autunno.

Almeno l’inverno era più veritiero.  In inverno si sapeva di certo che la bella stagione era finita e non c’era più possibilità di menzogna, o di illusione. Ma con l’inverno si aveva almeno la speranza di una risurrezione a primavera, mentre si attendeva con trepidazione una rinascita, nuovi germogli, una nuova vita.

Anche le belle giornate autunnali dalla luce dorata infastidivano Luisa. Le sembrava la dimostrazione di una vita piena di colori che sta sbiadendo, senza possibilità di appello.  Tutto ciò che le ricordava la morte per lei era sentenziante.

Ma in ogni caso, anche quando tutto sembrava morire, Luisa non evitava di osservare quell’evolversi di vita.  Anzi, ogni giorno lei guardava fuori dalla grande vetrata della zona giorno, e vedeva scorrere le stagioni, che si manifestavano con palcoscenici diversi, attraverso la boscaglia su cui si affacciava il patio.   Guardava quella metamorfosi di vita con curiosità…

Ma sebbene apprezzasse la natura, a Luisa mancava il bisbiglio della città, il poter uscire in centro senza guidare, incontrare delle amiche per un aperitivo. Ora abitava in provincia, fra il verde, perché aveva affittato il suo appartamentino in centro per andare ad abitare con Sandro. Si era detta che la provincia, la quiete, il verde le avrebbero fatto bene.  E poi c’era Sandro, e forse tutto il resto poteva passare in secondo piano.  Cosa serviva abitare in città se non si aveva l’amore?

Dalla vetrata della zona giorno entrava tanta luce, e Luisa, che ora viveva sull’affitto del suo appartamento e non lavorava per dedicarsi a Sandro, trascorreva molto tempo e a volte addirittura si perdeva ad osservare quello scenario: uccelli che saltellava da un albero ad un altro, rami che dondolavano nel vento, foglie che cadevano titubanti facendo mulinello.

Era un continuo movimento, ed un giorno, osservando intensamente, Luisa pensò che alla fine, in autunno, anche nella morte c’è tanta vita…

Un venerdì pomeriggio, il telefono suonò all’improvviso, e Luisa si accinse a rispondere in fretta, prima che lo squillo potesse disturbare troppo Sandro che lavorava da casa.

Era Giulia.

“Ciao, Luisa, ti andrebbe di incontrarci in centro stasera verso le ore venti, per una pizza con Paola e Stefania? Dai che ci raccontiamo un po’…”

Luisa era tentata. Da quando era iniziata la chemio per Sandro, Luisa non era più uscita con le amiche. Ma le avrebbe fatto strano lasciare Sandro a casa, da solo, per andarsi a divertire.  Si sentiva più a suo agio, e senza conflitti di colpa, a rimanere appollaiata sul divano, vicino a Sandro, a guardare la tv.

È vero che ora, essendo finita la chemio terapia forse avrebbe potuto permettersi un’uscita. Dopotutto Sandro non era invalido e la chemio aveva fermato il corso aggressivo della malattia. 

Luisa ci stava pensando. E Giulia, avendo interpretato un’esitazione, cominciò a fare un po’ di pressione.

“Ci sei mancata. Non ti si vede più…sei stata risucchiata da una vita domestica…”

“Stasera non posso ma ti prometto che alla prossima sarò disponibile, perdonami, Giulia…”

Luisa sapeva che Giulia la giudicava, perché di questi tempi Luisa dava di sé stessa un’immagine di donna sottomessa, proprio lei che era spesso la femminista in quel gruppetto di amiche, le quali erano per la maggior parte maritate. Ma era contenta di non essersi impegnata per la sera. Non aveva voglia di affrontare il mondo. Aveva a malapena energia per il suo spazio, e per quello di Sandro, naturalmente.

Sandro era impegnato al computer. La sua professione di ingegnere informatico lo portava ad essere estremamente dettagliato, analitico, spesso petulante. Ma Luisa ammirava la sua intelligenza, anche se la sua pragmaticità, le sembrava, spesso venisse a discapito di una emozionalità. 

Luisa si avvicinò a Sandro seduto al computer abbracciandolo da dietro le spalle e baciandolo sul collo, mentre lui, senza reagire, continuò a scrivere al computer.  Ma una mancata reazione non significava che Sandro non apprezzasse gli abbracci di Luisa. Anzi! 

Luisa era certa che questi piccoli gesti lo rassicurassero e gli dessero una conferma dell’affetto, anzi dell’amore, che lei aveva per lui. Alla fine, Sandro le aveva chiesto di andare ad abitare con lui quasi da subito. Voleva una compagna che si prendesse cura di lui. E sebbene titubante per tale impegno Luisa aveva accettato. Perché alla fine, senza amore era come essere morti, e perfino l’indipendenza, senza amore, non avrebbe avuto un valore.

Ogni giorno, verso le ore 14:00, quando era certa che fosse arrivato il postino, Luisa si recava alla cassetta postale situata in fondo al vialetto del giardino che circondava la villetta per scoprire se fosse arrivata qualche lettera importante.  Era diventato un rito.

Luisa aspettava con ansia l’arrivo di un aggiornamento sulla ricerca di un perfetto match per il trapianto del midollo osseo.  E forse Sandro, anche se lui orgoglioso non diceva nulla, aspettava pure lui con ansia una possibile comunicazione.  Ma conoscendo il suo carattere, Luisa sapeva che lui non si sarebbe mai esposto a dire qualcosa al proposito. Lui era un realista. Se il perfetto match si fosse trovato, sarebbe stato fantastico, ma nell’attesa Sandro non si sarebbe perso in futili conversazioni di speranza…

Ogni volta che Luisa andava alla cassetta della posta aveva un rito: si accendeva una sigaretta. La fumava con piacere, anche se con un po’ d’ansia di essere scoperta da Sandro. Infatti, fumava di nascosto. Sandro le aveva vietato di fumare, per il suo bene naturalmente.  E Luisa non voleva combattere una battaglia per una conquista che non aveva grosse giustificazioni. Fumare è ovviamente nocivo alla salute. Sandro aveva ragione e Luisa voleva evitare conflitti. Ma si giustificava a fumare una sigaretta di nascosto perché aspettare un possibile riscontro sull’esito della ricerca di un potenziale match le procurava grande ansia.  Doveva solo essere accorta di mangiare una mentina o una gomma prima di rientrare in casa. Sandro era attentissimo a tutto, ed era spesso un’ardua impresa nascondergli anche una minima cosa….

No, non si sentiva limitata nella sua indipendenza. Luisa aveva scelto di stare con Sandro ed era comprensiva anche durante qualche battibecco e conflitto.  

Luisa diceva che ogni coppia ha le proprie inevitabili divergenze.  Le loro, ad esempio, erano ideologiche. Luisa aveva una filosofia di vita molto idealistica, e da qui le sue idee politiche erano molto socialiste, ma non utopiche ed ingenue come asseriva Sandro, che al contrario di lei era molto conservatore.

Spesso dovevano lasciare perdere i dibattiti politici, altrimenti avrebbero cominciato a discutere in una maniera piuttosto accesa.  Quella era una delle circostanze dove Luisa esprimeva la sua idea in maniera più libera. Non aveva grossa simpatia per coloro che non hanno molta empatia sociale, e almeno su ciò sentiva il dovere di non compromettere.

Ma alla fine, aveva messo a tacere anche la voce ideologica interna, o perlomeno non la esprimeva più. Sandro era fatto a modo suo e basta, e nonostante le sue idee autoritarie, alla fine aveva un animo generoso. Doveva accettarlo così com’era perché Luisa sapeva che alla fine non si possono cambiare le persone. E Sandro non aveva alcuna intenzione di cambiare, ma nemmeno Luisa.  Lei era rimasta fedele a sé stessa, si diceva, solo che per convenienza ed amore del cheto vivere, Luisa aveva cambiato alcuni dei suoi modi, e li aveva modificati, o meglio, adattati alla volontà di Sandro….

A volte Sandro si alzava con la febbre.

Allora per Luisa scattavano mille campanelli d’allarme. Cosa potrebbe essere? Il sistema immunitario di Sandro era risaputamene compromesso.  Ma a volte la febbre capitava quando c’era anche un’influenza in giro e forse in quel caso non ci si doveva preoccupare più di tanto. Anche perché Sandro detestava quando Luisa si mostrava troppo apprensiva. Lui voleva che lei fosse calma, in controllo, ed affrontasse la situazione in maniera lucida, proprio come faceva lui.

Ed era per tale ragione che Luisa spesso non condivideva dei pensieri intimi con lui, per paura di essere criticata o considerata ingenua, e magari pure banale. 

Luisa credeva a messaggi spirituali, ma se li avesse confidati a Sandro, forse lui le avrebbe detto che quei pensieri erano ridicoli.  

Da piccola, Luisa aveva sentito dire, anche se non ricordava da chi, o se l’avesse letto addirittura in una favola, che qualcuno doveva morire per lasciare lo spazio alla vita di qualcun altro. Anche a quella giovane età, quando aveva sentito tale asserzione, Luisa aveva capito il significato di quel principio, che in realtà le era sembrato un po’ crudele.  Ma la crudeltà di quell’aforismo venne attenuato da un pensiero che poi Luisa stessa aveva maturato:

“Quando qualcuno caro muore, per far posto ad un’altra vita, la vita che lascia il suo posto non deve scomparire, perché la possiamo tenere nel nostro cuore, dove c’è uno spazio infinito.”

Così, fin da piccola Luisa aveva trovato conforto nel credere che potesse portare nel proprio cuore migliaia di vite, e che le avrebbe conservate dentro di sé per sempre per non farle sparire dall’universo. 

Tuttavia, oggi Luisa aveva sperato tanto che non ci fosse qualcuno che aspettasse il posto della vita di Sandro per venire in questo mondo.  Ed anche se nel suo cuore c’era uno spazio infinito per l’amore, lei preferiva che Sandro stesse in quel limitato spazio fisico vicino a sé… anche se quello stesso spazio, in quella casa, con quelle regole, spesso le stava un po’ stretto. Luisa però adesso aveva uno scopo, aveva l’amore, e non le serviva null’altro, nemmeno lo spazio di un suo momento…

Il tempo trascorreva fra un raffreddore e un altro di Sandro, i suoi sbalzi di umore, le visite alla cassetta della posta di Luisa, con la sua sigaretta giornaliera clandestina…

Non era una brutta vita, si diceva Luisa. Alla fine, era a fianco dell’uomo che era la sua ragione di esistere.  Magari c’era qualche innegabile momento fastidioso fra di loro, come quando Sandro le diceva che quei suoi abiti non erano adatti alla sua età, perché sembra che lei volesse vestirsi da ragazzina. 

Ma Luisa si sentiva ancora giovane, e quarant’anni non erano molti per gli standard di oggi giorno. Tuttavia, era spesso successo che Luisa si cambiasse d’abito per Sandro. Non lo faceva volentieri, ma a volte, si diceva, era meglio indossare un vestito classico, non di suo gusto, piuttosto che imbarcarsi in una stupida lite. C’erano altre cose più importanti nella vita…

Lo stesso succedeva con i piatti che cucinava. Luisa cercava di seguire ricette che potessero piacere a Sandro; tuttavia, per qualche ragione molto spesso Sandro diceva che c’era qualcosa che non andava nella cottura, o nelle spezie, o semplicemente nella preparazione, e che Luisa avrebbe dovuto impegnarsi di più a seguire con disciplina le ricette.

Quel pomeriggio autunnale, uggioso e triste, Luisa e Sandro avevano fatto l’amore. Era in quei momenti che Luisa lo amava di più, non perché fosse un maestro nell’arte di seduzione, ma perché quando erano intimi, lui le sembrava un bambino. Era forse il momento in cui lui si spogliava di ogni copertura e la sua essenza era esposta, anche se per poco. Luisa spesso si trovava ad osservarlo mentre lui era preso dall’estasi del momento, quando sembrava entrare un’altra dimensione, dove però Luisa non riusciva mai a raggiungerlo completamente.

Si chiedeva in quale mondo andasse, da solo come sempre, in quel momento. E lei lo guardava, mentre il piacere gli contorceva un po’ il viso, e a volte le pareva di vedere la scena in maniera distante, come se fosse dall’atra parte di un muro di vetro. Luisa non riusciva mai, nemmeno in quei momenti di intimità, a sentire una connessione completa con Sandro, anche se in quei momenti c’era una maggiore e preziosa vicinanza, rimanevano comunque sempre due unità separate.

Ma Luisa sapeva che probabilmente tutti gli uomini sono più capaci di fisicità che di emotività. Però dopo aver fatto l’amore, veniva il momento più tenero. Allora, in quel momento Luisa mostrava il suo affetto senza riserve. Poteva baciarlo, accarezzargli i capelli senza lui che si infastidisse, e stringerlo forte come se lui fosse solo suo.

E Sandro, rilassato, si lasciava fare. Finalmente non esercitava più alcun controllo. Nello spazio di quel momento, lei pensava che Sandro fosse veramente la sua ragione di essere…

La chemio era finita da qualche settimana, mentre l’autunno incalzava verso l’inverno. Luisa si sentiva malinconica, e forse per qualche ragione inappagata.  Era il cattivo tempo, si diceva Luisa. 

Si era recata sul patio. C’era un’aria piuttosto fredda. Sentì un corvo fare il suo verso. Poi si mise ad osservare un uccello di medie dimensioni, con qualche piuma bluastra. Non sapeva che uccello fosse, ma era certa che se l’avesse chiesto a Sandro, lui l’avrebbe identificato. Sandro era sempre molto informato, su tutto. Però ora ciò non le interessava chiederglielo. Era presa dal guardare quell’uccello che irrequieto volava da un ramo all’altro. O forse non era irrequieto, era solo libero e spavaldo. Le piume gli si arruffavano un po’ con l’aria, ma era sempre bello.

Un volatile senza freni. Pensò per un attimo a sé. Di raro i suoi pensieri erano rivolti a sé.  Quello spazio dentro di sé un po’ la intimidiva. Lei si preoccupava quasi sempre per ciò che le accadeva intorno, o per ciò che accadeva alle persone che amava; scrutarsi non era un esercizio che faceva di frequente.

Ma in quel momento si stupì a chiedersi che uccello lei fosse, o anzi, che uccello le sarebbe piaciuto essere. Senza dubbio avrebbe scelto di essere un’aquila, perché era così maestosa, così regale, così inaccessibile…

All’improvviso Sandro chiese a Luisa che avrebbe fatto per cena, e stranamente Luisa si infastidì un po’, perché Sandro aveva interrotto il filo dei suoi pensieri.  L’uccello blu se n’era volato via. 

“Non voglio mangiare tardi come al solito”, borbottò Sandro.

Stava iniziando a piovigginare, e per qualsivoglia ragione a Luisa prese tutto ad un tratto una voglia matta di andare in bici, e di correre sulla provinciale, quasi ciò fosse una dimostrazione di libertà, il suo modo di volare come un’aquila. 

Si infilò una giacca ed indossò gli scarponcini. Fece poi segno a Sandro che sarebbe uscita per un po’.

Sandro non ebbe tempo di replicare, con le cuffie seduto al computer per una conferenza di lavoro, che Luisa già era uscita dalla porta in fretta e furia, onde evitare qualsiasi domanda di Sandro sulla cena o su dove sarebbe andata a quell’ora, così all’improvviso, quasi avesse un appuntamento. 

Prese la bici dal retro del cortile e comincio a pedalare con una forza che stupì anche se’ stessa. L’aria si stava facendo ancora più fredda, ma il vento fra i capelli le sembrava ora esilarante. Che freschezza, che libertà, pensò Luisa.  Luisa si sentì quasi eroica, come se avesse fatto un gesto rivoluzionario, uscire da casa così, senza permesso di sorta. 

Non c’era molta gente in giro. Si ricordò che oggi non aveva ancora controllato la posta, e l’avrebbe fatto senz’altro al ritorno. Ma ora voleva solo godersi quel momento. Si sentiva stranamente libera, in quello spazio, in quel momento…Forse avrebbe perfino fumato una sigaretta.

L’aria era fredda e cominciava il crepuscolo. Ma c’era ancora sufficientemente luce da permettere a Luisa di scrutare il cielo. E guardando in su’ vide un uccello che faceva strani giri baldanzosi. Luisa voleva credere che fosse lo stesso uccello che aveva visto prima dalla vetrata del patio, che magari l’aveva seguita, ma non capiva se alcune delle sue piume fossero blu.

Chissà come ci si sente ad essere così liberi, pensò Luisa. E poi un triste pensiero le venne in mente: chissà a chi lascerà il posto della sua vita quell’uccello quando morirà… Luisa non riusciva a distogliere lo sguardo da quel volatile caparbio, i suoi occhi rivolti verso il cielo, mentre una pioggerellina leggera cominciò a cadere.  Lassù Luisa scrutò non solo quello sbattere d’ali, ma anche una libertà che volteggiava ineccepibile, con leggerezza, quasi danzando…

L’impatto fu improvviso, inaspettato, violento. Il camioncino travolse in pieno Luisa che si era distrattamente spostata sulla mediana della strada mentre osservava la libertà di quel volo, nel cielo….

Supina sull’asfalto, Luisa guardava ancora in alto, con un’aria quasi di sorpresa. Chissà cosa le passò per la mente, nello spazio di quell’ultimo momento, in bilico fra due universi.  Forse il suo ultimo pensiero fu per Sandro.  O forse per Luisa l’ultimo pensiero fu quello di un volo libero, e la consapevolezza che tutto, e forse nulla, ha senso, a parte che la vita dovrebbe essere un volo baldanzoso, in un nostro spazio, in un nostro momento. O forse in quel momento, Luisa si chiese a chi avrebbe lasciato il posto di una vita, e in quale cuore la sua sarebbe finita. Ma probabilmente, in quel momento non ci fu tempo per nessun pensiero finale, solo lo spazio di un istante per un ultimo respiro, per la vita…

Erano le ore diciannove e il telefono di Sandro continuava a squillare.

Lui si era ostinato a non rispondere alle prime due chiamate perché non riconosceva il numero, ma quando il cellulare gli squillò per la terza volta, con lo stesso numero sconosciuto, finalmente si arrese.

“Pronto” disse in tono seccato – doveva finire una relazione di lavoro che era fastidiosa e richiedeva dettagli finanziari. E poi cominciava ad avere fame, ed era seccato che Luisa ritardasse a rientrare e nulla fosse stato pianificato per cena.

“Si’, sono io” rispose asciutto.

I momenti seguenti videro l’espressione di Sandro cambiare da sorpresa ad incredula. “Ma siete sicuri, insistette Sandro?”

A telefonata finita, Sandro guardò intorno alla stanza, girò su stesso, buttò il cellulare sul tavolo, e si mise le mani nei capelli.

Poi si sedette. Non ci poteva credere, era davvero vero? Era una situazione surreale, incredibile.  Avevano trovato un donatore perfetto al novanta percento. Era successo, era davvero successo. Era un miracolo.  Ora avrebbe avuto l’opportunità ad una nuova vita. Incredulo, si ripeteva ad alta voce:

“Hanno trovato un match, hanno trovato un match…” e le lacrime arrivarono, inaspettate, incontrollabili.  

In quel momento Sandro non pensò più né alla relazione di lavoro, né a Luisa, né alla cena …

Non era più l’ingegnere informatico in controllo.

Lo spazio di quel momento apparteneva solo a lui, a un nuovo lui, ad una esaltazione forse mai provata prima. 

In quel momento, per Sandro, nel suo cuore, uno spazio infinito, dove tanto amore avrebbe trovato posto, insieme a tutta la gratitudine per la promessa di una nuova vita.

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