NON AVERE RIMPIANTI di Rossella Vigilante

genere: FANTASY

I 3 regali

17 giugno 2017

La sirena dell’ambulanza ha un suono assordante, ma io non la sento.

Sono confuso, immobile, con una maschera dell’ossigeno sul viso.

I dottori mi stanno attorno, quasi non li vedo.

In mezzo a quel caos mi sento in pace, come se stessi su un’amaca sospesa tra le palme di una spiaggia bianca.

Tutta la mia vita mi sembra lontana. La voce di mia moglie, i volti dei miei figli, sono quasi svaniti nella mia mente.

Stranamente sento la voce di mio padre quando mi diceva da bambino:

«Smettila di guardare nel vuoto e di sognare ad occhi aperti. La vita si vive da sveglio»

Di solito è serio, burbero, ma alla fine è solo un uomo estremamente sincero.

Sento sempre più silenzio intorno a me e vedo tanta luce e pace.

Mi sveglio in una stanza bianca, vestito di bianco su un letto bianco.

Sono solo.

Scendo dal letto e inizio a girarmi intorno.

È piuttosto spartana la camera. Ci sono un letto, un comodino e una luce abbagliante. La stanza non ha alcun odore, niente di familiare.

Guardo la porta della stanza. È tutta bianca quasi mimetizzata con i muri. Si nota solo grazie alla maniglia perché è di un dorato lucido, vistoso ed elegante.

Quel posto mi da tanta serenità, ma allo stesso tempo angoscia.

Scendo dal letto, apro la porta della stanza, e mi ritrovo in un corridoio lunghissimo con centinaia di porte come la mia. Non si vede la fine da ambo i lati del corridoio.

Esco dalla stanza e inizio a camminare.

«C’è nessuno?» dico ad alta voce sentendo l’eco della mia stessa voce.

Mi guardo alle spalle e poi mi rigiro in avanti, ma niente. Nessuna risposta.

«C’è nessuno?» urlo nella speranza di ricevere qualche risposta.

Ancora una volta, silenzio.

Preso dalla curiosità provo ad aprire una delle tante porte. Giro lentamente la maniglia di una porta, ma non si apre.

Riprovo con le seguenti, ma non si apre nessuna di loro.

Sono leggermente nel panico, mi sento incastrato. Inizio a bussare in maniera quasi impaurita su una porta urlando:

«Ehi! Qualcuno mi sente? C’è qualcuno?»

«Perché hai paura?» dice una voce femminile alle mie spalle. È una voce leggera, calma. È come sentire una piuma nel vento.

Mi volto e vedo una donna. Ha un aspetto ordinario, capelli lunghi, lisci, scuri, occhi marroni, ma ci puoi vedere il mare calmo d’estate guardandoli attentamente. Ha una lunga veste viola scuro che le copre i piedi e le braccia.

Mi sento quasi imbarazzato voltandomi verso di lei. Ho perso il controllo poco fa. La guardo, ma non so cosa risponderle. Solo una domanda riesco a porgerle:

«Dove sono?»

Lei mi sorride e mi dice:

«Sei dove vanno tutti!»

Sono confuso, non capisco la risposta. Lei sorride ancora, mi prende la mano e mi dice:

«Vieni con me!»

Prende una chiave dorata molto bella dalla sua tasca. La infila nella serratura di una porta poco distante da noi.

Quando gira la chiave mi accorgo di una cosa strana, sulla chiave c’è il mio nome.

Sono sempre più confuso, ma comincio a pensare a una possibile risposta a tutto questo. Ho solo paura della conferma.

Apre la porta.

I miei pensieri sono esatti. Vedo il mio corpo su un lettino di un ospedale. Sono lì, fermo pieno di graffi sul volto, sporco di sangue e una benda avvolge la mia testa:

«Sono morto?» le chiedo con un nodo in gola.

«Ancora no» risponde lei.

Mi avvicino al mio corpo.

È strano vedermi dal di fuori. È come vedere una persona con le sembianze simili alle mie. Non sembro io.

Cerco di accarezzarmi il viso ma la mia mano non riesce a toccarlo.

Abbasso la testa e le chiedo

«Se non sono morto, perché non sono nel mio corpo?»

Lei mi guarda, mi prende la mano e mi porta fuori da quella stanza.

Torniamo nel corridoio. Chiude la porta a chiave. Apre una porta poco distante dalla mia.

Una luce abbagliante mi costringe a chiudere gli occhi.

Sento uccellini cinguettare e il vento caldo e frizzante della primavera sul mio volto.

Siamo in un parco.

Gli alberi sono alti e pieni di foglie.

Si siede su una panchina di legno.

Mi siedo vicino a lei.

Sospira:

«Non è bellissimo questo parco?  È uno dei miei posti preferiti. Qui c’è vita, c’è serenità. Non mi stancherò mai di questo posto».

«La guardo, sembra malinconica. Mi incuriosisce capire chi è, e perché siamo qui. Ma non dico niente. Sono ancora sconvolto dalla stanza precedente.

Lei mi guarda, sorride e mi chiede:

«Non ti ricordi di questo posto?»

Mi sento spiazzato. Non sapevo di conoscere quel posto. Mi guardo attorno cercando di capire dove siamo. Non mi viene in mente niente.

Al che le dico:

«Non saprei. Non credo di esserci mai stato qui».

 Lei sorride ancora, mi guarda e mi dice:

«Forse eri troppo giovane per ricordartelo. Qui venni con i tuoi genitori, i tuoi cugini, i tuoi zii e tuo nonno da bambino. Eri piccolo, avevi appena sette anni».

Mentre parla inizio a ricordare. Mi scappa un sorriso nostalgico e anche un po’ euforico nel ricordare quei momenti spensierati in famiglia. È passato tanto tempo da allora.

Lo sguardo della ragazza è cambiato tutto d’un botto. Il suo volto è serio e triste adesso.

«Mi ricordo di quel giorno. Caddi e mi sbucciai un ginocchio. A mia madre venne un colpo nel vedermi con il sangue lungo le gambe, e invece mio padre mi rimproverò. Come al suo solito» le dico sorridendo.

«Solo questo ricordi?» mi chiede quasi seccata.

«Non lo so. Lo hai detto tu stessa, ero piccolo. Non riesco a ricordare molte cose dei 7 anni purtroppo.»

«Su questa panchina, nella quale siamo seduti, 33 anni fa, durante quel picnic di famiglia, tuo nonno ebbe un infarto e morì.»

Sono sconvolto. Mi ricordavo delle ginocchia sbucciate ma non mi ricordavo della morte di mio nonno.

«Hai ragione. Ora ricordo. Tu come lo sai?»

«L’ho portato via io!»

Sgrano gli occhi e il mio volto impallidisce. Sento i battiti accelerati, ho paura, ma devo chiederglielo:

«Chi sei tu?»

«Lei si irrigidisce, il suo volto diventa duro.  Negli occhi si vede il mare in tempesta questa volta. Mi fissa con aria misteriosa ma poi sussurra:

«Sono la morte!»

Mi si gela il sangue, ma in cuor mio me lo sentivo che era la morte.

Per istinto, mi allontano lentamente da lei, intimorito e allo stesso tempo curioso:

«Perché mi hai portato in questo posto? Perché mi hai detto che non sono ancora morto? E perché, se non sono ancora morto, mi trovo qui con te?» le chiedo disperato.

Non capisco il perché di quella situazione.

Lei si alza dalla panchina, mi guarda e le torna il sorriso. Chiude gli occhi per un secondo e poi li riapre e mi dice:

«Sai, tuo nonno era un uomo molto simpatico e buono. Parlammo molto il giorno in cui lo portai via. Prima di portarlo con me mi chiese il favore di fargli vedere un’ultima volta la sua famiglia, compreso te. Lo accontentai. Mi raccontò la vita di ognuno di voi, ma quando arrivò a te mi disse:

“Lui è Antonio, il più piccolo della nostra famiglia. Ha solo sette anni, non ho molto da raccontare. Spero diventi un brav’uomo e che sia felice. Spero che si crei una sua famiglia o almeno che sia felice di sé stesso e che non si vergogni mai di sé stesso. Spero diventi un uomo coraggioso in grado di portare la sua vita dove vuole lui e non dove vogliono gli altri. Spero abbia il coraggio di amare qualcuno in maniera totale senza remore o orgoglio”. Ascoltando le sue parole, mi resi conto che teneva davvero tanto a te. Così gli feci una promessa. Gli promisi che non ti avrei portato via se prima non avessi vissuto la vita che desideravi e quindi finché non fossi stato davvero felice e in pace con te stesso. Ma io ti ho osservato negli anni. Non sei mai stato davvero felice, o fiero di te stesso».

Abbasso la testa e sospiro mordendomi le labbra.

Ha ragione.

Sono in un punto della mia vita in cui non sono più felice.

Alzo lo sguardo, la guardo e mi viene spontaneo chiederle:

«Questo cosa significa?»

La sua espressione cambia di nuovo.

Fa un sorrisino e mi guarda con aria divertita:

«Significa che non posso portarti via adesso! Quando un angelo fa una promessa non può tirarsi indietro».

Sgrano di nuovo gli occhi:

«Vuoi dirmi che ho ancora tempo da vivere?»

Lei mi guarda, sorride e mi fa cenno con la testa:

«Sì. Hai ancora tempo, devi usarlo bene perché non ti capiterà un’altra volta».

Salto dalla panchina euforico. Sono incredulo di quello che mi sta accadendo. Non sono nemmeno sicuro che sia reale, quello che sta succedendo. Forse sto solo dormendo e questo è solo un sogno molto strano. Metto le mani tra i capelli camminando nervosamente avanti e indietro:

«Quindi mi stai dando tipo una seconda opportunità?»

«Tipo! Ho osservato molto la tua vita in questi anni, ho visto innumerevoli errori che ti hanno portato a vivere una vita che non ti rispecchia. So che per voi umani è difficile rimediare a certi errori, così voglio farti un regalo.»

“Un regalo?” ripeto nella mia mente. La morte mi vuole fare un regalo! Non ne capisco il motivo, ma non m’importa.”

Sono curioso e non sto più nella pelle all’idea della seconda possibilità.

«Ti dono tre poteri, ma dovrai usarli nel modo e nel momento giusto!» dice guardandomi negli occhi con aria severa e quasi minacciosa:

«Primo potere: hai la possibilità di rivivere avvenimenti del passato. Ovviamente nessuno potrà vederti, ma tu potrai vedere anche momenti in cui non eri presente, che riguardano te o la tua famiglia. Avrai a disposizione 1 ora nel passato. Potrai anche usare questo tempo per linee temporali diverse. Pensa bene quando usarlo.

Secondo potere: puoi cambiare un avvenimento del tuo presente. Se stai vivendo una situazione che pensi possa migliorare la qualità della tua vita cambiando un dettaglio per te importante, ora potrai farlo.

Terzo potere: puoi assicurarti una cosa per il futuro. Se c’è una cosa o una persona, che ti sta a cuore e vuoi a tutti i costi ci sia nel tuo futuro o vuoi assicurarti che una cosa accada nel futuro, che riguarda te o la tua famiglia, ora potrai farlo. Ovviamente, se scegli una persona in questo caso, funzionerà solo se anche lei o lui, vuole la stessa cosa. Non puoi importi sul libero arbitrio.

Questi doni sono preziosi e pericolosi. Usali con saggezza e mai per cose banali come i soldi o la pace nel mondo. Sono personali e non potrai donarli a tua volta».

Mi siedo nuovamente. 

Questi tre doni sono stupefacenti.

Sono incredulo e un po’ scettico.

Inizio a pensare si tratti di un sogno o di uno scherzo. È tutto troppo bello e irreale.

Sento il suo sguardo addosso. È minaccioso e allo stesso tempo rassicurante. Sto davvero parlando con la morte? Sono davvero così fortunato da ricevere questi doni?? E perché proprio io?

 Mille domande mi risuonano nella testa, ma i pensieri si fermano appena sento la sua voce parlarmi ancora:

«Io ti terrò d’occhio nel tempo che ti rimane. E quando potrò o se tu ne sentirai il bisogno, ti verrò a trovare. Ma ricordati, io non ti potrò aiutare ancora e non mi potrai toccare, a meno che non te lo dica io. Ora non sei umano, ma dopo sì».

Mi si gela il sangue. Penso alle conseguenze nel caso infrangessi quest’avvertimento. Credo che porti a morte certa e non credo mi darà un’altra possibilità.

«Capisco. Va bene» annuisco come se sapessi davvero cosa mi volesse dire.

Perché mai dovrei toccarla tra l’altro?

Continua a guardarmi con occhio serio senza distogliere nemmeno per un attimo lo sguardo. Mi sento in soggezione sotto il suo sguardo.

Sorride leggermente.

Mi prende per mano e il suo sguardo passa da serio a quasi divertito.

Mi sorride dicendomi:

«Ora andiamo. È tempo di tornare»

«Tornare dove?»

Mi guarda con tenerezza:

«Devi tornare nel tuo corpo. Devi tornare in vita prima che gli organi cedono e non potrò più far niente».

Mi alzo di scatto prendendo la sua mano lasciandomi guidare da lei.

Usciamo dalla porta e torniamo nel corridoio bianco. Dopo esser stati all’aperto quel corridoio sembra quasi buio. Le porte sembrano aumentate nel frattempo. Chiude a chiave la porta con cura lasciandosela alle spalle quasi con nostalgia appoggiando la mano sulla porta e sospirando.

Torniamo alla prima porta, la stanza in cui mi sono svegliato. Sembra più piccola e quasi soffocante adesso:

«Ora ti devi sdraiare».

Mi siedo sul letto e prima di sdraiarmi, preso da un pizzico di panico, le chiedo:

«Cosa succede adesso? Cosa devo fare? E se mi succedesse un altro incidente?»

Sorride abbassando la testa:

«Sai benissimo che non è stato un incidente».

Mi guarda.

Abbasso la testa. Mi sento uno stupido ad aver mentito alla morte.

«Ora cerca di vivere. Non ti preoccupare del resto. Ora hai tre aiuti in più.»

«Ma come faccio ad usarli?»

«Devi solo chiedere! Come ti ho già detto, verrò spesso a trovarti.»

Fa una pausa e dice:

«Bene è il momento.»

Si avvicina a me. Sento il suo corpo vicino al mio e mi viene l’istinto di allontanarmi. Non so perché.

«Per riportarti in vita e per darti quei poteri devo darti un’altra cosa.»

Inizio a pensare di tutto in questo momento. Sento il cuore in gola e con un filo di voce tremante le chiedo:

«Cosa?»

Si avvicina ancora. Siamo a faccia a faccia. Sento il suo respiro su di me.

Mi sorride e mi bacia.

Le sue labbra sono fredde e calde allo stesso tempo.

È come baciare per la prima volta, un bacio intenso. Non avevo mai baciato in quel modo qualcuno.

Mi stupisco del coinvolgimento che mi suscita.

Si stacca lentamente, apre gli occhi e mi dice:

«Con questo bacio ora torna in vita. Buona fortuna!»

Mi sorride e sento gli occhi chiudersi.

La testa è diventata pesante e mi girare vertiginosamente.

Non riesco più a vedere niente, è tutto confuso.

Mi lascio andare.

Il suo viso diventa un’ombra lontana, poi tutto bianco.

Un rumore fastidioso mi costringe ad aprire gli occhi ma vedo tutto offuscato. È un bip frequente.

Vedo delle ombre attorno a me che piano piano si trasformarono in volti. Sono medici e dottori che cercano di rianimarmi. Sento l’ossigeno nei polmoni e il cuore battere.

Sono tornato!

CONTINUA

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