SYNEIDISIS di Daniele Mugnaini

genere: FANTASCIENZA

Anno 2174. Isola artificiale di Han-Agon. Carcere di massima sicurezza, comparto n.11/54.

Mentre il dottore compilava i moduli necessari all’autorizzazione, Rodijak se ne stava seduto, in silenzio.

L’unico segno che tradiva la sua apparente calma era il convulso tremolio della gamba sinistra, preda di uno spasmo involontario dovuto all’eccitazione e alla paura.

Il ticchettare frenetico della pianta della scarpa contro il pavimento e il picchiettare della penna elettronica del dottore sul display, erano gli unici suoni che pervadevano l’etere.

«Smettila. Per favore» intimò quest’ultimo, sforzandosi di non cedere all’ira.

«Scusi dottore ma…».

Rodijak pensò di giustificarsi, ma abbandonò immediatamente l’impresa nel momento in cui il dottor Hussner abbassò inesorabilmente la testa, senza dargli il tempo di finire la frase.

Hussner non era il tipo di persona che praticava l’ascolto del prossimo. Voleva soltanto che Rodijak non facesse rumore. Non gli importava niente delle sue scuse o dei suoi sentimenti.

«Bene, è tutto pronto, devi soltanto mettere una firma qui».

Hussner fu subito rasserenato dall’aver concluso quel lavoro. Per lui rappresentava soltanto una seccatura.

Ruotò le dita sul tavolo sbloccando lo schermo interattivo e il documento, che fino a quel momento Rodijak aveva visto girato al contrario, divenne leggibile.

Rodijak raccolse la penna dal tavolo per firmare.

Poi esitò.

«Posso farle soltanto una domanda, dottore?»

«Sbrigati. Ho altro da fare».

«Come mi accorgerò di essere al bivio? Insomma… una volta lì, come potrò scegliere la cosa giusta da fare?»

Il dottore incredulo abbassò gli occhiali sulla punta del naso e fissò Rodijak con uno sguardo famelico, quasi avesse voluto divorarlo pur di farlo sparire dalla sua vista.

«Questa è l’unica possibilità che hai di fare qualcosa di buono nella tua vita e ti preoccupi dei dettagli? Ti ricordo che sei recluso a vita nel carcere di Han-Agon con l’accusa di omicidio. Quali alternative pensi ti riserverà il futuro, Rodijak?»

«Proprio per questo vorrei sapere …».

«Cristo, non posso crederci» sbottò Hussner. Premette tre o quattro volte all’angolo dello schermo e dopo pochi attimi apparve la faccia di un uomo.

«Sì?» chiese la faccia sconosciuta.

«Sono Hussner» annunciò svogliatamente il dottore con un filo di voce, come se un peso enorme gli impedisse di respirare.

«Qualche problema Hussner?» rispose pimpante la voce dall’altro capo.

«Sono qui con Rodijak. Non vuole firmare. Dice che ha delle domande».

La faccia sconosciuta, perplessa, rimase in silenzio per qualche istante.

«Mandalo da me» disse poi terminando la chiamata senza attendere la risposta da parte di Hussner.

Il dottor Hussner chiamò una Guar-d-roid.

Le guardie del carcere erano anonimi androidi che si occupavano di svolgere i compiti più pericolosi: placare le rivolte, intervenire contro chi infrangeva le regole del carcere e scortare i detenuti ovunque avessero l’ordine di andare.

La faccia sconosciuta comparsa poco prima sullo schermo apparteneva al dottor Terri.

Il suo laboratorio non era un luogo particolarmente frequentato dai detenuti, anzi era piuttosto insolito che Terri avesse a che fare con gli esseri umani durante la sua giornata lavorativa.

Terri era formalmente un ingegnere che collaborava con il carcere, ma di lui si diceva che fosse un genio. Era l’inventore e il promotore di tutta una serie di dispositivi e macchinari all’avanguardia che si occupavano di ottimizzare le dinamiche del carcere, migliorarne l’efficienza e la sicurezza. Era lui ad aver progettato e realizzato le Guar-d-roid.

Ultimamente lavorava a un progetto segreto e aveva ottenuto dall’amministrazione il via libera per un reclutamento su base volontaria rivolto a chiunque, tra i detenuti, avesse voluto sperimentare il suo nuovo macchinario.

Spesso erano quelli che non avevano niente da perdere, i condannati a vita, a sottoporsi agli esperimenti più audaci.

Per questo Rodijak quel giorno venne a trovarsi nel laboratorio di Terri.

«Ti hanno spiegato come funziona?» chiese Terri a Rodijak senza neanche salutarlo.

Terri era impegnato nella messa a punto di un insolito dispositivo e sembrava totalmente assorbito dal suo lavoro. Stava armeggiando a dei cavi che sbucavano da una poltrona e andavano a collegarsi a una sorta di ruota gigante.

«Puoi andare» intimò poi alla Guar-d-roid che piantonava la porta.

«Mi dispiace, ma non posso lasciare incustodito il detenuto» rispose l’androide.

«Stupidi protocolli di sicurezza» borbottò Terri infuriato.

La Guar-d-roid non dette segno di alcuna reazione.

Terri accennò con la testa in direzione di Rodijak, pretendendo da lui la risposta alla domanda che gli aveva rivolto poco prima.

«Allora?»

«Mi… mi hanno detto che parteciperò a uno studio sulla capacità del carcere di migliorare le mie risposte…» temporeggiò Rodijak. Non riusciva a ricordare il termine esatto.

«Recondite» intervenne sospirando Terri che continuò prendendo la parola mentre osservava dubbioso una piccola scatola che teneva in mano, dalla quale penzolavano dei cavi.

«Va bene, va bene, mio caro Rod, ma a parte questo, ti hanno spiegato come funziona veramente il Syneidisis?»

Terri aveva sottolineato quel “veramente” con enfasi. Era sicuro che nessuno avesse spiegato alcunché a Rodijak.

«So soltanto che mi addormenterete e che dovrò rivivere in sogno una situazione simile a quella che mi ha condotto qui. Poi giunto al bivio dovrò fare la scelta giusta e voi analizzerete la mia attività cerebrale».

Terri dondolò lentamente la testa.

«Più o meno» bofonchiò deluso dalla vaga e dozzinale descrizione di Rodijak.

Terri viveva come un oltraggio ogni tentativo, da parte dei suoi simili, di descrivere in termini semplici il suo lavoro.

«Fey, passami lo scanner» ordinò poi al suo assistente robot.

Dopodiché si lanciò dietro le spalle la scatola che fino a quel momento aveva stretto tra le mani.

Questa, simile al cadavere esanime di un piccolo animale, andò a schiantarsi sul pavimento, scivolando nell’angolo più lontano della stanza.

Fey era un droide che lo aiutava nelle fasi di montaggio dei macchinari, ma soprattutto si occupava dell’unica cosa che Terri non era in grado di fare: tenere in ordine il laboratorio.

Infine, rivolto a Rodijak riprese:

«Più precisamente vogliamo scoprire se la tua è stata una reazione isolata oppure se c’è una predisposizione a compiere atti aggressivi o violenti. Se questa è la tua natura probabilmente metterti in carcere avrà salvato delle vite, ma in ultima analisi quello che ci interessa è: il carcere ti ha migliorato, oppure no? Ti ha insegnato qualcosa, oppure ti ha soltanto nascosto, tenuto sepolto in profondità come una mina inesplosa? E soprattutto: se dimostri che sei stato vittima di una circostanza e che in altre occasioni simili non avresti ucciso, allora… vorrebbe dire che ci siamo sbagliati sul tuo conto, che forse puoi essere reintegrato nella società, che non sei così pericoloso come crediamo. In conclusione, Rod, voglio che tu sappia che io non ti giudico. Sai come la penso? Ognuno di noi talvolta ucciderebbe qualcuno, ma poi per qualche motivo non lo fa. La vita è solo una grande giostra di occasioni mancate. Potrei benissimo esserci io al tuo posto o il dottor Hussner».

Rodijak spalancò gli occhi.

Non aveva capito l’importanza di ciò che si apprestava a fare. Essere reintegrato nella società. Se fosse stato così avrebbe potuto finalmente riabbracciare la sua famiglia, rivedere Egle e Jonas, i gemelli. I suoi figli dovevano conoscere la verità e non vivere con lo stigma di avere un padre assassino. E poi c’era Lana, sua moglie, l’unica ad averlo creduto innocente fin dal primo momento.

Si chiedeva soltanto cosa avrebbe dovuto fare.

C’era un modo per vincere contro il Syneidisis?

«Dottore, deve aiutarmi. Mi dica cosa devo fare per uscire di qui e lo farò. Io non sono un assassino».

Terri sbottò in una risata divertita e irriverente.

«Conosco la tua storia Rod, io ti credo, ma non hai capito, non posso fare niente. L’unico che può aiutarti sei tu stesso. Non ho alcun controllo sul Syneidisis. È gestito da un’intelligenza artificiale. La prima cosa che ti consiglio di fare è tornare da Hussner e firmare quel documento, altrimenti sei fuori. È l’unico modo per dimostrare la tua innocenza».

Terri premette qualcosa su una tavoletta digitale e il Syneidisis prese vita.

Rodijak annuì.

«Portalo da Hussner» intimò poi alla Guar-d-roid.

Rodijak sfilò rapidamente davanti all’androide che prese a seguirlo per il corridoio.

Quindi non sa niente del Syneidisis e non sa niente degli altri, sussurrò Terri appena Rodijak se ne fu andato. Poi pensieroso si mise al lavoro. Doveva ancora ottimizzare alcuni collegamenti.

«Speriamo che stavolta vada tutto bene, Fey».

«Andrà bene dottor Terri, abbiamo risolto il problema».

«Non lo so, ho una strana sensazione, come se mi fossi dimenticato qualcosa. Sarà il mio innato pessimismo, ma dobbiamo stare attenti. In fondo tutto questo potrebbe anche essere già accaduto».

«Cosa vuol dire dottore?».

Terri si interruppe quando sentì il rumore dei passi della Guar-d-roid che si avvicinava.

Rodijak era già tornato. Terri non si aspettava di vederlo ricomparire così in fretta.

«Cosa potrebbe essere già accaduto?» chiese il detenuto.

Terri colto alla sprovvista esitò. Aveva la brutta abitudine di pensare ad alta voce. Non era certamente il tipo di persona a cui confidare un segreto.

«I Cenaia Reed. Oggi giocano la finale del campionato. Stavo dicendo a Fey che non ricordo a che ora sarà la partita. Potrebbero già essere ufficialmente i campioni del blocco nord continentale».

Per fortuna la sua mente esplosiva riusciva spesso a trovare scuse elaborate e piuttosto credibili abbastanza in fretta da non metterlo nei guai.

Rodijak sorrise.

«No. La partita inizia alle diciotto. I Cenaia non sono campioni di un bel niente ancora e non lo saranno».

Poi fattosi serio continuò:

«Io sono pronto, ho firmato. Cosa devo fare?»

Terri fece cenno a Rodijak di avvicinarsi.

«Non dirmi che tifi per i Green Tumble?» asserì minaccioso avvicinando la faccia alla sua.

«Perchè?» rispose Rodijack in tono altrettanto minaccioso.

«Potrei anche decidere che non vale la pena farti sedere sul mio magnifico macchinario».

Rodijak fece uno scatto verso il dottore e la Guar-d-roid, fulminea, lo afferrò per il braccio, immobilizzandolo.

«Stiamo solo scherzando. Non vuole uccidermi. Lascialo» disse Terri alla Guar-d-roid, incapace di cogliere simili sfumature nei rapporti umani.

La Guar-d-roid allentò la presa e la smorfia di dolore sul viso di Rodijack scomparve.

«Non volevi uccidermi, vero?»

«Io non ho mai voluto uccidere nessuno» si lamentò Rodijak ancora dolorante.

«Scusa. Ancora le Guar-d-roid non sono perfette come vorrei, ma ci sto lavorando».

«Quindi dottore?» chiese Rodijak.

«Una volta seduto e collegato al Syneidisis lui scansionerà la tua memoria e ti riporterà esattamente nella stessa situazione in cui ti sei trovato dieci anni fa, quando hai ucciso quell’uomo. In quel momento il Syneidisis creerà l’inserzione, un breve intervallo di tempo in cui potrai modificare la tua scelta. Te ne accorgerai perché quel vuoto sarà riempito da qualcosa, probabilmente un deja-vu. Quello sarà il segnale. A quel punto la storia andrà avanti seguendo la tua scelta e potrò registrare la tua reazione».

Rodijak ascoltò attentamente e annuì.

Terri fece una pausa.

«Rod, sai cos’è un deja-vu?» domandò sospettoso.

Rodijak passò ininterrottamente dall’annuire al negare, continuando a scuotere la testa.

«Un deja-vu è quando hai l’impressione di aver già vissuto una situazione o di aver già visto qualcosa, anche se sai che non è mai avvenuto. Non saprai di trovarti nel sogno, non ricorderai la nostra conversazione, per te sarà come la prima volta, ma il deja-vu dovrebbe darti qualche secondo di vantaggio, distrarti quanto basta da permetterti di recuperare lucidità e cambiare la tua scelta».

 Rodijak si fece pensieroso.

«Ti senti bene?» gli chiese Terri, insolitamente preoccupato per lui.

«Sì, perché?»

«Allora accomodati».

«Qualcosa non va dottore?»

Terri scosse la testa perplesso, si mise la maschera protettiva sugli occhi e si avvicinò al quadro di comando. Guardò Rodijak e lo salutò sbandierando la mano per aria.

«Buona fortuna Rod» sussurrò prima di avviare la procedura.

Il mondo intorno a Rodijak mutò velocemente. Il laboratorio di Terri si trasformò in un parcheggio. Il cielo divenne scuro. Quella notte Rodijak camminava verso la sua auto, era appena uscito dal supermercato quando delle grida avevano attirato la sua attenzione. In fondo al parcheggio, nella zona non illuminata dai lampioni, un uomo e una donna stavano litigando. Sulle prime aveva pensato fosse il solito litigio di coppia, ma poi aveva visto l’ombra dell’uomo tendere il braccio e colpire la donna. Aveva sentito il tonfo prodotto dall’urto del corpo di lei contro l’asfalto. Doveva intervenire. Qualunque fosse il motivo del litigio, non poteva più ignorare quello che stava accadendo: adesso era qualcosa che lo riguardava personalmente.

Salito in auto aveva messo in moto e rapidamente si era diretto in fondo al parcheggio, puntando i fari contro i due.

Poi si era fermato, era sceso dall’auto e aveva continuato a piedi, dirigendosi verso l’uomo.

«Cosa vuoi? Vattene, è meglio per te» aveva detto l’uomo a Rodijak.

Rodijak non si faceva intimidire facilmente. Era piuttosto alto e robusto, non temeva lo scontro fisico. Guardò la donna rialzarsi da terra.

«Aiutami» gridò lei.

Il suo volto era coperto di sangue.

In quel momento Rodijak ebbe la sensazione di aver già visto quella donna. Eppure, non la conosceva, ne era sicuro. Pensò che al suo posto avrebbe potuto esserci Lana oppure sua figlia Egle. Quella faccia era la faccia di tutte le donne che subivano una violenza ed esprimeva un dolore che apparteneva all’umanità intera.

L’uomo, nel frattempo, aveva estratto una pistola e l’aveva puntata contro Rodijak.

«Forse non hai capito signorino, ti merita rimettere il culo sulla tua macchina e andartene. Non sono fatti tuoi».

Rodijack si fermò e indietreggiò d’istinto di fronte all’arma.

Ebbe ancora la sensazione di aver già vissuto quella scena, era come se fosse già accaduta, ma sapeva che non era possibile.

Quella notte, la notte dell’omicidio, Rodijack era tornato indietro e una volta salito in auto, aveva investito l’uomo. Preso da una furia e da un disprezzo incontenibile aveva marciato con l’auto sul corpo ormai inerte dell’aggressore, riducendolo a una massa informe, una poltiglia sanguinolenta.

La donna si era alzata ed era corsa via in preda al terrore.

Rodijak in quel momento non ricordava niente di tutto ciò, ma provava l’urgenza di fare qualcosa.

Frastornato scosse la testa e invece di salire in auto e investire l’aggressore, cercò di farlo ragionare.

Era al bivio. Si avvicinò ancora.

«Lascia perdere amico, stai facendo un grosso errore».

Rodijak prese tempo e attese di essere abbastanza vicino da poter disarmare l’uomo.

La donna terrorizzata rimase immobile.

Qualcosa crepitò poco distante.

Si udì un fruscio provenire dalla chioma di un albero. Un uccello notturno volò sopra le loro teste.

Rodijak approfittò della distrazione per lanciarsi sull’uomo.

Nel buio si udì lo schianto di uno sparo.

Rodijak, lentamente, abbassò le braccia che avevano afferrato le spalle dell’uomo, e si accasciò a terra.

Tutto divenne scuro.

Poi una luce fortissima, dapprima lontana e poi sempre più vicina, lo riscaldò.

«Rod!»

Il laboratorio di Terri riprese forma e Rodijak si trovò seduto sulla poltrona del Synedisis.

«Rod, stai bene?»

Il volto di Terri si fece più nitido.

«Ma cosa… ».

«Cos’è successo Rod? Per qualche motivo non ho potuto registrare la reazione. Ce l’hai fatta?»

Rodijak ancora scosso dall’avventura vissuta poco prima rispose:

«No, ho fallito, mi dispiace».

«Cosa vuol dire che hai fallito?».

«Vuol dire che non ho ucciso quell’uomo…».

«Allora perché dici di aver fallito?» chiese Terri.

«Perché lui ha ucciso me».

Terri fece alzare Rodijak dalla poltrona.

«Bene, bene …» disse rincuorato dal fatto che Rodijak era salvo.

«Mi sembra nervoso dottor Terri, c’è qualcosa che non va? Ho sbagliato qualcosa?»

«Adesso… è meglio che torni di sopra» disse Terri senza prendere in considerazione la sua osservazione.

Rodijak sembrava non volersene andare.

Rimase seduto, quasi fosse in attesa di qualcosa.

«Quindi è sufficiente così? Sarò libero?»

Terri pensieroso si accarezzò il mento.

«Cosa significa dottore? Tutto questo non è servito a niente?»

«No, anzi è un risultato importante, almeno scientificamente, ma non sono sicuro sia sufficiente per il tuo reinserimento in società. Non abbiamo dimostrato un bel niente in fondo».

«Cosa dovevo fare? Infischiarmene della donna e lasciare che venisse uccisa al mio posto?»

«Non lo so Rod, qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto e non capisco cosa».

Terri esaminò i risultati forniti dal Syneidisis. Rodijak a quel punto si portò le mani alla faccia. Forse doveva dire tutta la verità al dottore, pensò.

«Dottor Terri, c’è qualcosa che devo confessarle» disse poi in tono più pacato.

«Confessare?» ripeté sorpreso Terri.

«Prima che lei mi facesse tornare indietro ho avuto un… come lo chiama lei?»

«Hai avuto un deja-vu?»

«Sì. Non gliel’ho detto perché avevo paura che interrompesse la procedura. Non pensavo fosse grave. Forse è per quello che non ha funzionato».

«Quando? Quando hai avuto il deja-vu?» si agitò Terri.

Rodijak abbassò la testa.

«Da Hussner, poco prima di firmare l’autorizzazione».

Terri cominciò a camminare su e giù per il laboratorio ripetendo «Lo sapevo, lo sapevo…».

«Possiamo riprovare, no?» chiese risoluto Rodijak che non aveva abbandonato il desiderio di riabbracciare la sua famiglia.

«No, non possiamo e anch’io Rod devo confessarti una cosa».

«Questo mi fa sentire meglio dottore» sorrise Rodijak, sollevato dal non essere l’unico ad avere segreti.

«Invece non dovrebbe» riprese molto seriamente Terri.

«Il Synedisis non fa quello che pensi tu, non ti fa rivivere un sogno, ma la tua vera vita».

Rodijak pensando a uno scherzo sorrise.

«La mia vera vita? Ma cosa vuol dire? Andiamo dottore, se fosse così adesso dovrei essere morto e invece sono qui. Come me lo spiega?»

Terri abbattuto sospirò.

«Non lo so, è già un miracolo che tu sia tornato. Altri prima di te non ce l’hanno fatta. Ricordi Marcus? Non è affetto da alcuna malattia degenerativa. A renderlo un vegetale è stato il Synedisis».

Rodijak rifletté per alcuni istanti.

«Quindi mi sta dicendo che io ero nuovamente in quel parcheggio quel giorno di dieci anni fa?»

«Proprio così o almeno la tua coscienza era lì».

«La mia coscienza?»

«È questo che fa il Synedisis. Può aprire un canale attraverso il quale sintonizzare la tua coscienza con un momento qualsiasi della tua esistenza e farti rivivere il tuo passato».

«Ma… mi prende in giro?»

Rodijak era confuso. Aveva sempre sentito dire che solo nei film era possibile tornare indietro nel tempo.

«Purtroppo, no e la cosa peggiore è che non abbiamo estrapolato alcun dato utile. Sembra che la registrazione sia scomparsa nel momento in cui sei morto».

«Questo non è possibile», esclamò terrorizzato Rodijak.

Terri si abbandonò sulla poltrona del Synedisis.

«Infatti, Rodiak, non è possibile mandare un corpo indietro nel tempo, né nella sua linea, né in una linea temporale diversa. Si infrangerebbero svariate leggi fisiche, ad esempio la legge di conservazione dell’energia, ma il tempo è una delle quattro dimensioni che formano lo spazio-tempo e anche se normalmente noi siamo in grado di percorrere la dimensione temporale solo in una direzione, in avanti per la precisione, non vuol dire che ciò che è passato non esista più. Nello spazio, quando ti allontani da una città, questa non smette di esistere e puoi sempre tornarci. Diciamo che, in questo caso, la città è il tuo corpo nel passato. Con il Syneidisis è possibile riportarti in uno dei qualsiasi momenti passati in cui il tuo corpo già esiste, questa è l’unica condizione necessaria. Purtroppo, però non sappiamo ancora cosa accade dopo la creazione di un bivio, né tantomeno cosa accade se si muore durante la regressione. Probabilmente la coscienza rimane intrappolata nella nuova condizione. Per questo Marcus e gli altri…».

Rodijak non sapeva cosa dire.

Il discorso del dottore, per quanto rimanesse oscuro nei particolari, aveva un senso visto da quella prospettiva. Non capiva però come mai allora avesse fallito. Forse nel suo caso non c’era una soluzione? Forse l’universo non prevedeva un’alternativa? Rodijak si sentì ignorante e inerme di fronte a quei concetti del tutto astratti e grandiosi. Se Terri non aveva una soluzione di certo non poteva averla lui.

«Voglio tornare laggiù» disse poi rivolto a Terri.

«Non credo sia una buona idea».

«Invece rimanere in carcere per tutta la vita lo è?» affermò Rodijak.

Terri sospirò, alzando le spalle.

«Non so cosa sia giusto fare, devi decidere tu, ma non posso non metterti in guardia dal pericolo che stai correndo. Hai riflettuto sulle conseguenze di un eventuale fallimento?»

«Ha detto che può rimandarmi in un qualsiasi momento della mia vita?» chiese Rodijak ignorando la domanda di Terri.

«Sì, in teoria. Ma non abbiamo mai provato a spingerci oltre i tempi delle pene detentive previste dal carcere e comunque non prima che la tua coscienza si sia formata. Non posso farti tornare neonato, per intenderci».

«Mi rimandi all’inizio dell’anno 2140, allora».

«Posso chiederti perché?»

Sul volto di Rodijak si stemperò un’espressione sognante.

«È l’anno in cui sono nati i miei figli, Egle e Jonas, ed è il periodo più bello della mia vita».

Terri passeggiò nervosamente su e giù per la stanza.

«Non ne uscirai Rod. Credo che tutto questo sia già accaduto».

«Quindi era questo ciò di cui stava parlando prima, la partita non c’entrava niente… Ma certo, adesso ho collegato tutti i pezzi. Se siamo qui vuol dire che ho fatto la scelta sbagliata e che sono finito in carcere, che ho ucciso quell’uomo. Ecco perché ho avuto il deja-vu al momento della firma, quello era il bivio. Sto già rivivendo la mia vita passata. Questo vuol dire che mi ha rimandato indietro per permettermi… di non firmare. Lei ha già preso questa decisione dottore, quindi cosa aspettiamo?»

Terri chiuse le palpebre e abbassò la testa.

«Non è proprio così Rodijack. Se siamo nuovamente a questo punto della storia non è possibile che abbia rimandato indietro te, ma è probabile che…».

Qui Terri si fece pensieroso, quasi cercasse di ricordare qualcosa di irraggiungibile nel profondo della memoria.

«È possibile che sia io a essere tornato indietro, e questo vuol dire solo una cosa».

Poi Terri ebbe un deja-vu. Smise di parlare e rivolse lo sguardo verso il basso.

Rodijack non capiva quello che il dottore voleva dire.

«Dottore? Insomma, non ci capisco più niente. Cosa significa che lei è tornato indietro?»

«Quello che temevo Rod. Tutto questo è già accaduto».

«Non… non capisco».

«Rimarrai chiuso in un loop, o meglio, la tua coscienza lo sarà. Significa che rivivrai sempre la stessa sequenza di eventi, anche se non ne sarai consapevole. Arriverai fino al punto in cui ti ho rimandato indietro e accadrà tutto quello che è accaduto fino ad adesso. Questo però non vuol dire che non soffrirai; ucciderai infinite volte quell’uomo, finirai infinite volte in carcere, ti dovrai separare infinite volte dalla tua famiglia. Ecco perché sono tornato indietro, per permetterti di cambiare la tua scelta e cercare di rompere il loop, almeno credo…».

Rodijack era perplesso.

«E perché avrebbe fatto tutto questo per me, dottore?»

«Non l’ho fatto soltanto per te, ma anche per me. Mi sento in colpa. In colpa per quello che il Syneidisis ha provocato non solo a te, ma anche agli altri. Non posso convivere con questa colpa. Speravo di aver risolto il problema, speravo di poter mettere a posto le cose… le persone meritano una seconda possibilità, un secondo giro su quella giostra, caro Rod, anche tu».

Rodijak sorrise.

Terri non capiva.

«Lo trovi divertente?»

Rod prese a negare scuotendo la testa e il suo sorriso si trasformò in una risata vera e propria.

«Allora?» chiese Terri, sgomento di fronte a quella reazione.

Rodijack esaurì la risata liberatoria e poi, con tutta calma, prese a parlare.

«In ogni caso qualcuno soffrirebbe dottore. Se non ucciderò quell’uomo, nel parcheggio, forse lui ucciderà la donna, causando dolore alla sua famiglia e ai suoi figli infinite volte e come potrò io vivere felicemente con mia moglie e i miei figli sapendo questo? Non riuscirei a dimenticare di non aver cercato di impedire quello che è successo. Io mi troverò lì quel giorno. Sarà un caso? Avrebbe potuto esserci qualcun altro al mio posto? Sì, certo. Avrebbe potuto non esserci nessuno? Sicuro. Ma forse… forse dottore non c’è altro da fare, forse è così che deve andare, è solo uno dei tanti modi e io… non so se c’è qualcuno che abbia responsabilità di questo, non so se c’è un dio, ma nel caso lascio a lui la patata bollente. Non voglio essere responsabile degli errori degli altri, ma soltanto dei miei. Se devo pagare, pagherò il mio sbaglio. L’uomo nel parcheggio morirà e io finirò in carcere. Questo lo sappiamo già, non è vero dottore?»

«Già», rispose Terri, ormai senza parole.

Rodijak si mise seduto sulla poltrona del Syneidisis.

Terri predispose il macchinario e si abbassò gli occhiali protettivi sul volto.

«Addio Rod», sussurrò e avviò l’operazione.

Dopo pochi istanti il corpo di Rodijak si svuotò di ogni vitalità. I suoi occhi ormai fissavano un luogo che non era lì.

Terri si rivolse alla Guar-d-roid.

«Vai a prendere una carrozzina e portalo insieme agli altri».

L’androide si mosse e uscì dal laboratorio. Terri staccò il corpo di Rodijak dal Syneidisis e l’abbracciò.

«Perdonami, se puoi» disse parlandogli all’orecchio.

In quel momento, inspiegabilmente, la bocca di Rodijak si contrasse lievemente, quasi avesse voluto sorridergli. Fu un movimento appena percettibile, ma Terri lo notò.

Scrutò negli occhi di Rodijak, cercando di rintracciare un barlume di presenza nelle profondità di quello sguardo vacuo, ma gli occhi di Rodijak rimasero persi nell’immenso vuoto che si ostinavano a fissare.

Poi tutto intorno a Terri iniziò a mutare. L’immagine del laboratorio si sovrappose a quella di un laboratorio pressoché identico. Terri si svegliò. Il droide Fey scollegò Terri dal macchinario.

«Come è andata dottore?»

Terri si alzò barcollando un po’.

«Male» rispose sgranchendosi le gambe e le braccia.

Poi, avviandosi verso l’uscita, sussurrò:

«O forse bene, chissà».

SYNEIDISIS di Daniele Mugnaini

genere: FANTASCIENZA

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