VENDETTA D’AMORE di Francesca Rivolta (parte prima)

genere: ROMANCE

Era una sera come tante, in una casa “bene” della provincia di Milano.

Alina aveva con sé la solita scheda Internet, con la quale chiamava Pavel.

“Meno male che stasera la rete non è satura e la voce arriva bene”, pensò Alina, sollevata, quando poté sentire la voce di Pavel.

Il suo interlocutore e ragazzo si trovava a San Pietroburgo per lavoro.

Alina non era con lui a causa del visto; se non sarebbe tornata in Italia entro il 6 settembre, data lì indicata, per lei sarebbero stati dolori; mentre Pavel sarebbe tornato in Italia il 30.

Inutile dire che Alina ne fosse felice. Presto sarebbero stati insieme di nuovo, a Roma, dove Alina avrebbe svolto uno stage di un mese presso il Parlamento Europeo.

Durante la conversazione, Alina raccontò a Pavel che un suo compagno di studi all’istituto Smol’ny (americano e un tantinello più vecchio di lei) le aveva chiesto per prima di entrare nel suo gruppo di studio. Ah, sì, e pure la seguiva dappertutto come un cagnolino.

«Evidentemente non aveva capito che noi due stiamo insieme!» disse Alina a Pavel, ridendo.

Quest’ ultimo le rispose:

«E perché avrebbe dovuto capirlo? Mi conosci, Alina, non vado in giro a sbandierare i miei sentimenti!»

Fu come se Alina avesse ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Strinse il telefonino così forte da farsi diventare le nocche bianche.

Continuava a parlare con Pavel come un automa, mentre nel petto il dolore le montava sordo.

Alla fine, chiuse la conversazione, con grande sollievo.

Gli tirò dietro tutte le parolacce in spagnolo che sapeva.

«Ah sì? Non doveva capirlo? Come quella volta a Pisa che non sapevi come presentarmi ai tuoi amici? Dopo un anno e mezzo che stiamo assieme?» e giù, altri insulti.

Alla fine, le venne un’idea.

Si calmò.

“Umm…. dov’è il numero di Dimitri?”

Dimitri era un amico di Pavel, che viveva a Roma. Aveva contatti nel mondo del cinema e aveva messo su una ditta di computer.

Era stato lo stesso Pavel a presentarli, un anno prima. Dima era un suo ex compagno di scuola, che si era sposato con un’italiana più vecchia di lui di dieci anni, Ramona.

Dima e Alina avevano chiacchierato come vecchi amici, fin dalla prima volta che si erano incontrati.

Si erano poi rivisti una seconda volta a Pisa in maggio e per salutarla, Dima era letteralmente volato nelle braccia di Alina.

Insieme a loro, c’erano Pavel e altri amici. Dima e Alina anche quella volta chiacchierarono fitto fitto per tutta la sera.

Poi Pavel non aveva più soldi nel telefonino e per chiamare Alina (a suo parere, in bagno da troppo tempo) aveva usato quello di Dima…così Alina registrò il suo numero.

Dima fisicamente era il tipo ideale di Alina: biondissimo, con gli occhi color fiordaliso, magro e muscoloso. Soprattutto, nemmeno Alina gli dispiaceva.  

Alina lo chiamò con la scusa di dirgli che ormai aveva trovato casa a Roma senza problemi. Naturalmente Dima la invitò ad incontrarlo, con Pavel.

Al telefono risero e scherzarono molto.

Alla fine del colloquio, Alina pensò:

“Pavel, ora ti sistemo io! Vedrai a Roma!”

Sua madre, dona Alba, entrò in camera sua, avendola sentita bestemmiare come un marinaio.

Alina aveva ancora il viso bianco dall’ira. Dona Alba gliene chiese il motivo.

Lodò la pazienza e il sangue freddo della figlia. Ci fosse stato al telefono suo marito e avesse osato dirle una cosa simile, avrebbe anche lei ricoperto don Corrado di insulti, ma direttamente al telefono.

Suggerì inoltre di non farsi trovare nemmeno in stazione, quel giorno, a Roma.

Ma Alina insistette, adducendo il fatto che ormai aveva promesso e che non avrebbe fatto la figura dell’inaffidabile.

Dona Alba balbettò:

«Come vuoi, Alina, ma per questa volta hai il mio appoggio per l’inaffidabilità. Ora dormi, la notte ti porterà consiglio.»

Facciamo un passo indietro e vediamo chi sono Alina e Pavel.

Alina Beatriz Redaelli Hurtado y Herrera era nata a Granada il 12 ottobre 1981, da madre spagnola e padre italiano.

Era bellissima.

Un po’ piccola di statura, ma con occhi e capelli neri e la pelle scura. Aveva un viso da Madonna del Murillo.

Sotto questa apparente dolcezza, aveva ereditato, dal padre (un lombardo), il carattere inflessibile e, dalla madre, l’orgoglio e la passionalità spagnola.

Figuratevi che carattere aveva…

Da un anno amava Pavel, corrisposta, stando a quello che diceva lui.

Era nato a S.Pietroburgo nel 1971, aveva i capelli biondo scuro e gli occhi azzurri. Era stato campione di judo e di scacchi.

Aveva però un grosso problema: aveva un figlio di quattro anni da una precedente relazione.

L’ex moglie, Immacolata, viveva a Brindisi col bambino.

Alina avrebbe anche sopportato questa situazione, se Pavel non avesse citato Brindisi a ogni piè sospinto.

Per questo motivo avevano litigato furiosamente diverse volte.

Pavel si difendeva dicendo che Alina vedeva sempre “quello che non c’era”.

Per esempio: lui raccontava con dovizia di particolari quello che la famiglia di Immacolata faceva o diceva e Alina lo implorava di smetterla? Erano i nonni di suo figlio, che diamine!

Non sapeva esattamente dove fosse Immacolata e ne era preoccupato? Era pur sempre la madre di suo figlio, no?

Conservava ancora tutti i suoi numeri di telefono, quelli ormai non più attivi compresi? Gli servivano, punto e basta. Alina non doveva impicciarsi.

Alina aveva quindi deciso di non indagare più sul passato di Pavel, per due motivi: uno, perché ogni volta ne spuntava fuori una nuova; due, perché ogni volta ci soffriva sempre di più.

Pavel poi non era abbastanza furbo da ricordarsi ciò che aveva detto, così ogni volta si contraddiceva. Questo fatto disturbava Alina non poco, avendo un’ottima memoria.

Per esempio: una volta Pavel, presente anche dona Alba, aveva raccontato ad Alina che Immacolata aveva allattato il loro figlio Daniele per circa quattro mesi.

Un po’ di tempo dopo, a San Pietroburgo, aveva detto ad Alina che Immacolata aveva allattato Daniele per un solo mese.

Capirete che Alina non ne poteva più di queste bugie e non gli credeva più quando Pavel le diceva di amarla.

Così Alina e dona Alba partirono per Roma.

In treno discussero di Pavel. Dona Alba, dopo lo sfogo di quella sera, raccomandò ad Alina di non perdere la pazienza, di non “tagliare” bruscamente. Le ricordò che ogniqualvolta lei si era trovata in situazioni di bisogno vero e proprio, Pavel l’aveva aiutata.

Allo stesso tempo, non negava che sua figlia per quegli aiuti stava pagando un prezzo troppo alto.

Arrivarono a Roma, incontrarono Pavel e si diressero verso la casa di Alina.

Non le piacque: era a pianterreno, non arrivava la luce del sole e sarebbe stato alquanto rumoroso. La padrona di casa le snocciolava tutte le celebrità che erano passate da lì.

Alina pensava:

“Sarà, ma Rupert Everett e le ragazze di Miss Italia quando avranno visto un po’ di luce?”

Intanto che Alina si guardava intorno, studiava il comportamento di Pavel, per sapere se dare un taglio netto oppure no. Non pensava minimamente che Pavel sarebbe andato a trovarla spesso, conoscendo la sua spilorceria.

Ricordava il giugno precedente, quando si era trasferita nella casa al mare dei suoi genitori per risparmiare, a poco più di un’ora di treno da Pisa.

Pavel trovava ogni scusa per rimanere a Pisa e farsi raggiungere da Alina.

La più gettonata? Secondo lui 3 euro per il biglietto del treno, da spendere ogni giorno sarebbero stato troppi.

A sentire questo, Alina andò in bestia e agì per vie traverse: spostò la sede dei suoi studi del terzo anno all’estero. Non più a Nizza ma a Lilla, così almeno avrebbero avuto una scusa migliore per non vedersi.

Ricordando questo, Alina pensava:

“Figuriamoci se si sobbarca due-tre ore di treno per Roma!”

Ma contro ogni logica, Pavel passò a trovarla spessissimo.

Ma…c’era un ma.

Lui faceva in modo di lasciare Roma sempre prestissimo la mattina, con la scusa del lavoro.

D’accordo, era un matematico, aveva bisogno di concentrarsi, ma aveva orari più flessibili di quelli di un comune impiegato! Avrebbe potuto rimanere da Alina qualche ora in più!

Il giorno 30 settembre era un martedì. Alina gli aveva perdonato l’alzataccia, in quanto doveva essere puntuale al lavoro.

Ma il week end seguente, di domenica, Pavel la fece alzare alle 6.

Allora sì che Alina si irritò sul serio.

La sera prima avevano visto i tabelloni della stazione. Ci sarebbe stato un treno esattamente due ore dopo. Alina, con le dovute cautele glielo propose, ma lui le rispose:

«Alina, non è che non voglio stare con te, ma sono indietrissimo col lavoro. Quando arrivo vorrei trovare la mensa ancora aperta. Hai visto anche tu che è molto economica e io sono spesso tirato coi soldi!»

Alina sapeva benissimo che con Pavel era inutile discutere. Ma ciò non le impedì di pensare:

“Cosa ti cambia due ore in più qui? Mi credi una bambina di tre anni, con la scusa della mensa? Va là, quando vuoi i soldi ce li hai!”

Gli mise il broncio, a ragione.

Pavel se ne accorse e gliene chiese il motivo.

Dato che quando a Pavel si facevano notare queste scuse poco credibili si arrabbiava dando ad Alina della paranoica, lei gli rispose che aveva mal di denti.

Aprì la bocca e Pavel constatò che il dente del giudizio le faceva davvero male. Era meglio andare a casa a prendere un antidolorifico. Alina, con un sorriso falso, lo ringraziò:

«Grazie Pavel, sei proprio carino!»

A casa, Alina si distese e prese il suo Aulin.

Pavel dopo un po’ le disse:

«Va meglio?»

Alina:

«Sì Pavel. Stasera fa fresco, preferirei non uscire, il freddo non fa bene ai denti.»

Pavel insisté un altro po’ per portare Alina a mangiare fuori, ma aggiunse che non aveva molti soldi, quindi Alina avrebbe dovuto sganciare. Non era un’eccezione.

Altra cosa che mandava in bestia Alina. Pavel piangeva sempre miseria, ma intanto riempiva suo figlio di giocattoli e videocassette.

Per ripicca, gli rispose che neanche lei era ben fornita, quindi era meglio che stessero a casa.

Naturalmente anche i genitori di Alina sapevano di questa cosa e non faceva loro piacere. Va bene che l’Italia e la Spagna erano paesi molto conservatori, ma tutte le volte che Alina era uscita con gli amici, sia pure americani, svedesi o olandesi tutt’al più dividevano le spese.

Dona Alba diverse volte aveva detto che “su orgullo de hombre” era davvero sottozero, se Pavel si comportava così!

Quella volta che a S. Pietroburgo Alina aveva fatto notare a Pavel questa cosa, le aveva gridato dietro che era una mocciosa viziata, con un computer al posto del cuore. Come poteva essere tanto meschina? Sapeva benissimo che lui guadagnava poco; se voleva che le si pagasse tutto, che si fidanzasse con Felipe di Spagna!

Quando lei aveva ribattuto che lui ai tempi quasi aveva mantenuto Immacolata, le rispose (stizzito) che a quei tempi S. Pietroburgo era molto meno cara e lui era anche direttore di una Borsa.

Alina fu costretta a mandare giù questo rospo, che non aveva ancora digerito.

Fu così che Pavel se ne tornò ai suoi importantissimi impegni a Pisa e Alina al suo lavoro al Parlamento.

Lavorava fino alle 7 di sera, saltando spesso le pause pranzo. Dimagrì tantissimo. Però le piaceva come cambiava il suo corpo, nonostante le colleghe dicessero che stava scomparendo. Quando aveva un po’ di tempo, se ne andava in giro per Roma, spendendo e spandendo.

Una sera, tornando a casa dall’Internet cafè vicino alla Fontana di Trevi, Alina si ricordò di Dima.

Lo chiamò e fu felicissimo.

Combinarono per la domenica sera seguente, il giorno dopo il suo compleanno, quando Pavel sarebbe andato a Brindisi da suo figlio.

Finita la conversazione, Alina non sentiva rimorsi:

“In fondo non tolgo nulla a Pavel, è a Brindisi!”

Quel venerdì Pavel tornò a Roma, ma sarebbe dovuto partire alle 23.30 per Brindisi.

Con Alina sembrò andare tutto bene. Passeggiarono per Roma, andarono ad una mostra sui surrealisti, presero il gelato…

Finché Pavel attaccò a parlare di suo figlio e di quella famiglia di pazzi che si ritrovava attorno.

Alina pregava che la smettesse. Per di più Pavel aggiunse:

«Sì Alina, quest’estate volevo mandare un telegramma per avvertirli che sarei andato da loro cinque giorni…»

Alina si girò di scatto e sbottò:

«Come?»

Pavel:

«Sì, cinque giorni. Che hai da fare quella faccia?»

Alina:

«Io proprio non capisco. Punto primo: non venivi da me molto spesso perché asserivi che tre euro al giorno erano troppi… e volevi stare a Brindisi cinque giorni? Analizza bene. Per raggiungere Brindisi e tornare ci vogliono circa 100 euro, giusto? Mettici pure quattro notti in albergo…e poi dici di non avere soldi! Punto secondo: dici sempre che quella famiglia ha problemi psicologici e volevi stare dietro a loro cinque giorni? Visto che la tua matematica è così importante, come l’avresti messa?»

Pavel, con una voce che sembrava metallo:

«Ascoltami bene Alina: Daniele è mio figlio! Se quelli non mi avessero fatto impazzire, cambiandomi le date in continuazione, io altro che cinque giorni sarei stato lì! Anche un anno! È mio figlio, la vuoi capire o no? Non farmi scegliere tra me e lui, avresti la peggio al cento per cento! Quando fai così mi dai sui nervi! Specialmente con quel tuo sorrisetto sardonico!»

Alina non si scompose.

Pensò:

“Benissimo, ora tocca a me!”

Vide l’annuncio di una festa in una qualche discoteca di Roma. Alina, tranquillissima, aggiunse:

«Chissà che bella festa sarà! È proprio per domani! Peccato che Dima non possa accompagnarmi!»

Pavel, dal suo mondo:

«Perché proprio Dima?»

Alina:

«Conosce Roma e tutti i suoi più bei locali! Domenica sera cominceremo a scoprirne qualcuno insieme.»

Pavel, sbigottito:

«Cosa?»

Alina, serafica:

«Sì, con lui, che male c’è? Tanto tu non ci sei!»

Pavel, urlando:

«Cosa ti è saltato in mente? Sei stata tu a lanciare il sasso, vero? Ma lo sai che in Russia nessuna donna inviterebbe un uomo?»

Alina (dentro di sé ballando dalla gioia):

«E non farla lunga! Ha ragione mia madre, sei un provincialotto brindisino mascherato da russo! Io e Dima ci troveremo alle otto circa, ci facciamo una birra a Trastevere, poi a mezzanotte mi riporta indietro, che male c’è?»

Pavel strinse le labbra.

In vista del suo appartamento, Pavel disse, come se stesse sputando fiele:

«Lascia che lo chiami, il tuo caro amico! Ce l’hai il numero, no?»

Alina, calmissima:

«Fa’ pure! Io non ti nascondo nulla; il numero di Dima ce l’hai pure tu!»

Pavel chiamò Dima, che cascò dalle nuvole.

“Oddio” pensò quest’ultimo “se gli dico che esco con Alina, chissà quanti pasticci!”

Dopo la conversazione, Pavel tornò da Alina, dicendole, con uno sguardo di pietra:

«Molto interessante, il tuo corteggiatore non sa nemmeno che sei a Roma!»

Alina, senza scomporsi:

«Che vuoi, si sarà fatto due canne!»

Pensò:

“Uno a zero per me! Adesso capisci cosa vuol dire un’interferenza nella coppia?”

Mangiarono, uscirono a passeggiare un altro po’ e Pavel prese il treno per la sua Brindisi.

Tornando a casa, Alina notò alcune chiromanti a Piazza Navona, vicinissimo a casa sua.

Si fermò da una, la salutò in russo.

La sua interlocutrice spalancò gli occhi e le chiese dove l’avesse imparato così bene. Alina le rispose che glielo aveva insegnato il suo ragazzo. In merito voleva delucidazioni.

La chiromante le disse che al momento si sentiva alquanto confusa, ma che ci sarebbe stato un cambiamento in amore.

Aggiunse:

«Cara mia, conosco i miei connazionali. Per quanto siano innamorati, non tollerano troppe intrusioni. Se sarai più calma, anche lui lo sarà. Perdonami, ma dalle carte vedo che sei parecchio dispettosa; ti diverti un mondo a stuzzicarlo!»

Finirono il consulto. Alina pagò e se ne andò a casa a dormire.

Il giorno dopo trascorse alquanto pigramente.

Alina si lavò i capelli e dedicò tutto il giorno a farsi bella per Dima. Finita la cura del corpo, rimase tutto il giorno a letto a leggere l’ultimo romanzo di Isabel Allende e a sonnecchiare.

A dire il vero, non contava troppo sulla chiamata di Dima…ma chiamò.

Si misero d’accordo per le otto.

Dopo le telefonò Pavel, aggiornandola sugli ultimi sviluppi della sua telenovela. Le disse che Immacolata si trovava a Marsala per motivi di salute.

Alina al telefono gli snocciolò le solite banalità, ma pensò:

“Cosa me ne frega di dov’è tua moglie? Come se io, dopo tre anni che l’ho piantato, conoscessi tutti gli spostamenti e intrighi amorosi di Tomas, il venezuelano! Beh, sta’ a vedere che se è vero che operano tua moglie a Brescia, almeno cominceresti a farti piacere il Nord, visto che finora l’hai sempre evitato come la peste! Fa’ quello che vuoi, l’importante è che non ficchi il naso nei miei affari! E allora sarò io a darti del paranoico!”

Alle 19.30 Alina uscì di casa. Era vestita da battaglia: maglietta scollata e stringata modello Moulin Rouge, jeans a vita bassissima, cinturone modello Shakira, scarpe zeppate e.…lenti a contatto azzurre.

Visto che a Pavel non piacevano, sarebbero piaciute a Dima. Sicuramente si sarebbe inteso un po’ più di moda!

Arrivò di fronte alla libreria con un quarto d’ora di anticipo. Girellò attorno.

In mezzo alla calca, non notò Dima.

Si sentì chiamare. Si girò. Era Dima, tutto vestito di nero.

Le corse intorno, la salutò molto calorosamente. Alina rispose con altrettanto calore coi tre baci di rappresentanza e con un “E’ morto il gatto? “alludendo al suo look monocolore. Lui rise.

La fece salire in moto e se la portò a Trastevere, proponendole i locali strada facendo.

Dima aveva i gomiti attaccati alle ginocchia di Alina.

“Di solito i gomiti si tengono sollevati…” pensò Alina.

Ad un tratto le disse:

«Alina, attaccati meglio! Se voli giù sono affari miei!»

Alina:

«Ok» e mise le sue mani intorno alla vita e si schiacciò contro la sua schiena.

Attraversarono il ponte, posteggiarono e cominciarono a curiosare per il quartiere, parlando del più e del meno: i film di Gaidai (di cui Alina era una grande fan), i rispettivi lavori, la musica, i viaggi etc. Dima le augurò buon compleanno.

Alina non sapeva dove guardare e Dima appena poteva appiccicava il suo braccio a quello di Alina e di tanto in tanto lo appoggiava alla sua vita.

Finalmente trovarono un Irish pub ed entrarono.

Tra una birra e un Baileys, Alina scoprì che a Dima sarebbe tanto piaciuto studiare lo spagnolo: lo trovava così bello! Aveva pure tutti i dischi di Manu Chao, il cantante preferito di Alina.

A Pavel non piaceva, in quanto no-global ricco sfondato che pretendeva di essere amico dei poveri.

Alina tirò fuori il discorso delle TATU, che avevano fatto tanto scandalo, ricordando di aver sentito la versione russa di “All the things she said” già nel dicembre del 2000 a Odessa. Il discorso cadde così su quella città, sui passati amori di tutti e due che ancora vivevano lì, sul modo di riprendersi dalle ubriacature.

Dima beveva litri di latte, mentre Alina ci dormiva sopra e beveva cerveza.

Stavano chiacchierando da un bel po’ quando Dima la trascinò sotto la lampada e disse:

«Ma tu di che colore hai gli occhi?»

Alina:

«Scuri!»

Dima:

«Caspita, le lenti blu ti stanno da Dio, sono così naturali!»

Alina, con un caldo sorriso:

«Grazie!»

In quella, trillò il suo telefonino. Era Pavel, che chiamava da una pizzeria di Brindisi. Dopo i soliti convenevoli, sparò:

«Tu e Dima allora vi siete incontrati? Dove siete di bello?»

Alina, calma:

«A Trastevere, in un locale molto carino. Ecco Dima, te lo passo.»

Dima e Pavel chiacchierarono per un bel po’. Dima si scusò con Pavel per avergli mentito, dicendogli che non sapeva come avrebbe reagito a sapere che sarebbe uscito con la sua ragazza. Ripassò Pavel ad Alina. Le augurò di divertirsi, stizzito.

Alina gli rise in faccia, pensò:

“Ora vedi come mi sento io a sapere che hai attorno quella manica di psicopatici e che pure ci stai bene? E a sapere che alle undici passate te ne vai a zonzo? Mo’ io faccio lo stesso! Come tuo suocero o chi per esso ti ha riaccompagnato in albergo stasera, lo stesso farà Dima!”

Dima la riportò sulla Terra dicendole:

«Accidenti, che gelosone è Pavel!»

Alina rispose:

«Un uomo innamorato non è più tale, ma un radar! Lo stesso vale per le donne!»

Dima:

«Vabbè Alina, paghiamo e andiamo a fare una passeggiata! Ti va Via Veneto?»

Alina:

«Altroché!»

Dima pagò.

Fuori dalla birreria lui ed Alina continuarono a chiacchierare.

Non lo seppe nemmeno Alina come successe…aveva la mano di Dima nella sua. Sentì addosso una scarica elettrica e un caldo tropicale.

Anche Dima si stringeva ad Alina, sempre di più. Alina pregava che quel momento fosse eterno…non sentiva più la terra sotto i piedi e aveva la testa immersa nella nebbia. Ma alla fine arrivarono alla moto. Dima le diede il casco e partirono.

Per Alina quel viaggio verso Via Veneto fu come quello di una principessa delle fiabe. Si sentiva al settimo cielo, non gliene importava più nulla di quello che combinava Pavel a Brindisi.

Intanto Dima approfittava di ogni semaforo rosso per accarezzare Alina.

Alina era felice anche per un motivo un po’ venale: Dima le aveva categoricamente vietato di mettere mano al portafoglio, insistendo sul fatto che quella sera era sua ospite. Non era né sua moglie né la sua fidanzata e nemmeno Dima era miliardario!

Altro che Pavel, che faceva pagare lei con la massima leggerezza!

Ma già, Dima non aveva né ex mogli a cui pagare gli alimenti né marmocchi da viziare!

Arrivati a Via Veneto, Dima le disse:

«Avanti Alina, che fai incollata alla moto?»

Alina:

«Ora scendo!»

Entrarono per mano all’Hard Rock Café. Come da copione, Dima ordinò una vodka, mentre Alina un “Cuba libre”.

Sullo schermo scorreva il video di Lenny Kravitz “I want to get away, I want to fly away, yeah, yeah, yeah….”

Infine, Dima chiese ad Alina come avesse conosciuto Pavel e lei glielo raccontò.

Le domandò anche cosa studiasse di preciso e il perché di tutti quei viaggi.

Alina rispose a tutto. Mentre parlava, Alina pensava:

“Evidentemente Pavel non gli ha raccontato granché di me, mentre Dima avrebbe saputo perfino dire quante volte al giorno vomitava Immacolata quand’era incinta! Dai sorrisini che Dima ha fatto quando io ho accennato al passato di Pavel, vuol dire che la sa molto, ma molto lunga!”

Poi il discorso passò su: come marinavano la scuola, compagni, professori, etc. Stufatosi dell’Hard Rock Cafè, Dima propose:

«Alina, qui c’è troppa gente. Andiamo fuori che è meglio! Ti piacerà passeggiare per Via Veneto, ne sono sicuro!»

Alina:

«Volentieri!»

Dima pagò 25 euro. Per Pavel sarebbe stata una somma astronomica, se spesa con Alina, normale se investita in cianfrusaglie per suo figlio.

In quella squillò il telefono di Alina. Era ancora Pavel, che voleva sapere come stava andando la serata. Alina disse che erano all’Hard Rock Cafè e altre banalità del genere.

Inutile dire che a Pavel stava montando il sangue alla testa.

Le disse:

«Ad ogni modo, ci vediamo domani a Termini, perché ti devo ridare l’ombrello. Se non ti vedo, pazienza, vuol dire che stanotte ti sei data proprio alla pazza gioia! Buonanotte cara e fa’ che né tu né Dima siate troppo ubriachi per guidare!»

Alina mise giù.

Dima rise:

«Non molla, eh?»

Alla fine, uscirono, sempre per mano. Dima strinse Alina ancora di più e la baciò, a lungo, lentamente, come se avessero tutto il tempo del mondo.

Alina lo strinse ancora più forte. Oramai tutti e due avevano passato il Rubicone.

Passeggiarono ancora un po’ per Via Veneto, sempre abbracciati. Si guardarono: uno sguardo carico di significato, che valeva di più di tanti bei discorsi.

Tornarono alla moto, in silenzio. Arrivarono al vicolo di Alina. Senza una parola Dima posteggiò e seguì Alina dentro casa. Se la prese ancora tra le braccia, dicendole tra un bacio e l’altro:

«Mio Dio, sai da quanto me lo sognavo questo? Da quando ti ho rivisto a Pisa! Una cosa del genere non me la sarei mai aspettato! Oh Alina, sei una dea, sei così bella! Alina, Alina…»

Continuarono ad abbracciarsi e baciarsi e in breve si ritrovarono sotto le coperte.

Alina gli rispose:

«Questa è la migliore cura contro i farneticamenti di Pavel su Brindisi!»

Dima:

«Ci pensavo fin dall’inizio: come fate voi due a stare assieme? Siete…opposti!»

Alina:

«Non chiedermelo, nemmeno io lo so con chiarezza!»

Dima:

«Di’ un po’ Alina, non sei “soshla s uma”?»

Alina:

«Puoi dirlo forte!»

Dima:

«Pure io…sei così dolce, morbida e calda! Ora ho capito perché Pavel è geloso!»

Alina:

«Guarda che lo sono pure io!»

Risero, continuarono. Si leccarono, baciarono, succhiarono fino allo sfinimento, addormentandosi come bambini.

Alina disse a Dima:

«Non sono minimamente pentita per quello che ho appena fatto! Se Pavel vuole continuare a rintronarmi la testa con Brindisi, che faccia pure! Io farò altrettanto con te, su come sei divertente e su come tu mi faccia sentire una regina!»

Dima:

«E come non potrei? Starei tutto il giorno con te, a guardarti, a stringerti…Credevo che a ventun anni fossi ancora una ragazzina a letto; invece, sei una donna fatta e finita! In dieci anni di matrimonio non ho mai fatto l’amore così, né prima né dopo Perché diavolo Pavel ti ha incontrata prima di me e abbiamo così tanti anni di differenza?»

Risero ancora.

Purtroppo, Dima le disse:

«Piccola, devo proprio andare!»

Ramona lo aspettava per le 12.30.

Si congedarono con un lunghissimo bacio e con un “Buonanotte Cenerentolo!” da parte di Alina.

Ancora non immaginavano dove li avrebbe portati quella semplice notte

CONTINUA

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