UN GIORNO COME TANTI di Francesca Gabriel

Mi reco alla messa domenicale.
La chiesa è gremita di gente come ogni festività: nella mia parrocchia siamo millecinquecento persone di stili e caratteri diversi. Per questo abbiamo ben quattro preti che si alternano nel celebrare la messa.
Sorrido quando vedo chi c’è oggi, che c’è proprio don Luciano. Lui è il più strambo di tutti i preti.
È il momento della predica.
Il don sale sull’altare, stringe in mano il microfono:
«Sono andato l’altro giorno a trovare la Gina. Mi ha regalato una bottiglia di prosecco. Io la stringevo, mentre scendevo le scale, e sognavo la degustazione appena giunto a casa… Ma ho preso male il gradino e…. pam! Tutto il vino per terra!»
Già ridacchio mentre il don prosegue la predica:
«Sono rotolato anche io dalle scale; ma vabbè! ….»
La Gina mi ha raggiunto e, tutta preoccupata, mi ha chiesto:
«Si è fatto male don Luciano? ….»
Ascolto imperterrita il racconto, ormai sono abituata alle sue strampalate prediche:
«Chi se ne frega, se mi sono fatto male! No, non mi sono fatto niente! … Ma il vino! ….»
Il don urla mentre ripete:
«Si è rotta la bottiglia! Il vino è andato dappertutto! Che spreco!»
La gente ride, mentre lui prosegue:
«Ero disperato, che mi è saltata la degustazione!»
Io sghignazzo, mentre il don prosegue, con la faccia affranta:
«Forse mi avrebbe fatto male berlo tutto in una sera! …» fa una pausa, poi aggiunge «Ma perché vi racconto questo? … Perché il vangelo è su Cana!»
«Ooohh!» sussurro mentre don Luciano riprende:
«E Gesù disse: ‘donna, è finito il vino a queste ca… di nozze?’»
La platea, ops, i parrocchiani tacciono per un lungo istante.
Qualcuno sussurra tra la folla qualcosa che non comprendo.
Davanti a me, vedo una signora avvicinarsi col viso all’orecchio del marito:
«Ma doveva proprio dirla quella parola lì?»
Mi viene in mente che, in tempi passati, i parrocchiani sbattevano la porta in faccia a don Luciano, quando questi suonava loro i campanelli per benedire la casa.
«Tutti comunisti!» concludeva il prete.
«E Gesù tramutò l’acqua in vino!» conclude il prelato.
Ecco, forse la predica è giunta al termine.
«Sì, cari miei, Gesù fa anche questo!» aggiunge in fine.
Ridacchio, ma va?
«Una volta avevo una fidanzata,» riprende il don Luciano, mentre io penso che la predica non è conclusa «si chiamava Costanza ed io la amavo con parecchia costanza!» riprende don Luciano sorridendo sotto i baffi.
«Questo prima di mettere l’abito religioso, certamente! Ma ne ho avute tante, tante di fidanzate io prima! Centinaia!» rincara la dose.
Io lo osservo a bocca aperta:
«Che ne trovassi io uno di fidanzato! Uno che sia uno! Mi andrebbe bene!» penso.
Ma, ora, si avvicina il momento della pace.
In questa occasione, don Luciano ama fermare la messa, per scendere dall’altare e tendere la mano agli amati parrocchiani (e stringere più mani possibile, per il tempo che ci vuole).
Temo che, dopo questa predica, gli amori diminuiranno ancora; e le porte in faccia aumenteranno.
Ripenso al tempo passato, quando io stessa non tendevo la mano, che proprio non sopportavo un prete così, troppo strampalato e diverso dal resto del mondo.
Ma poi ho capito che la cristianità è accettare le persone per come sono, ed essere estroverso è solo un pregio.
Ora gli tendo la mano.
Gliela stringo forte.
Lui, mentre ricambia il gesto con calore, osserva i fogli appoggiati sul mio banco (dove ho preso nota di tutto quanto ha detto).
«Cin, cin!» esclama subito dopo.
E sia un ‘cin, cin’ alla vita!

Un giorno come tanti è un racconto di Francesca Gabriel

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