DIAMONDS di Luca Secondino

Foto di Stefan Keller da Pixabay

Suonò il campanello e fece un lungo respiro.

Il signor Franco gli aprì la porta scrutandolo con occhi attenti, cercandogli qualcosa sul viso.

«Sono Marcello. Buongiorno» gli disse l’avventore.

«Sono qui per i dischi».

«Il signor Franco è venuto per i dischi, ricordi? Fallo entrare» incalzò una voce femminile dall’interno della casa. Era Alina, la donna di servizio.

«Oh, ma certo. Vieni, accomodati» disse il vecchio.

L’ospite lo seguì in quel bel salotto e prese posto sul divano.

Il padrone di casa si era accomodato in poltrona e cercava qualcosa in una grande scatola di cartone.

Era piuttosto entusiasta, mentre Marcello, l’avventore, riusciva a nascondere a malapena il suo disagio.

Anche la settimana precedente era andato a curiosare nella collezione di quell’anziano signore.

Le condizioni del signor Franco erano peggiorate in poco tempo, da quella volta in cui uscì di casa alle prime luci del giorno, tenendo in braccio la pesante scatola piena di dischi, CD, cassette e quaderni.

Era rimasto solo e aveva deciso di dare via tutta la sua immensa collezione: a nessuno interessava di lui, figuriamoci della sua roba; i figli erano piccoli e quella stronza della moglie non glieli faceva mai vedere.

In realtà, entrambi i figli avevano superato i cinquanta, mentre la madre, sua moglie, era morta di cancro dieci anni prima.

Per una serie di problemi famigliari, non riceveva visita tanto spesso come una volta.

Nell’ultimo periodo, poi, le sue condizioni erano peggiorate notevolmente.

I figli abitavano lontano, avevano i loro problemi, e lui non trovava il minimo sollievo nel vederli.

E neanche loro erano contenti di vedere lui perché non li riconosceva, e – quando li riconosceva – li pensava ora bambini, ora ventenni; confondeva i loro nomi, se la prendeva con la madre, con loro, e pure coi nipoti.

I momenti di tenerezza erano ormai cosa rara, ma ciononostante avevano deciso di non mandarlo in una struttura, ma di fargli vivere gli ultimi anni a casa sua.

La casa dove erano cresciuti, dove lui e la moglie si erano trasferiti con l’arrivo del primo figlio.

La casa dove si erano ritrovati dopo otto anni di separazione, e dove avevano deciso di godersi la vecchiaia insieme.

Quella mattina era uscito in pantofole e senza cappotto, nonostante il freddo di gennaio.

Alina lo aveva ritrovato poco dopo, nei pressi del bar dietro casa.

Gli disse che l’aveva fatta spaventare, lo coprì e lo rassicurò: se voleva vendere tutto, lei avrebbe messo gli annunci su internet e avrebbe fatto venire a casa le persone interessate.

Marcello era il primo e unico cliente.

La settimana precedente aveva passato un’ora a farsi raccontare dal vecchio tutte storie confuse legate alla sua collezione, e alla fine era andato via a mani vuote.

Anche stavolta stava accadendo più o meno la stessa cosa.

«Ecco, questo, per esempio» e tirò fuori dalla scatola Sex Machine di James Brown. «Questo è meraviglioso: a quanto me lo vende?» chiese subito l’avventore.

«Vede, me lo ha regalato Ginevra, mia moglie, per il nostro decimo anniversario, soltanto un paio di anni fa».

Marcello era impassibile.

«Se ne accorge, poi ci rimane molto male» concluse il signor Franco con la smorfia di chi non vuole far dispiacere una persona cara.

«No, questo non te lo vendo. Tutti, ma questo no» gli disse scuotendo la testa.

Marcello non sapeva cosa dire.

Il vecchio era vedovo ormai da anni e il decimo anniversario era stato circa cinquant’anni prima.

Cambiò discorso.

«Ha una gran bella collezione, complimenti. Suona anche?» disse indicando il pianoforte a coda in mezzo al salotto.

Il signor Franco lo guardò stupito e poi scoppiò a ridere, alzandosi dalla poltrona.

Era stato un grande pianista jazz.

Aveva suonato in giro per il mondo e collaborato con artisti di spicco italiani e internazionali.

Le pareti della sala erano tappezzate di foto che testimoniavano i suoi successi.

C’erano anche tante locandine di concerti e di film per cui aveva scritto le musiche.

Sul piano erano appoggiate una dozzina di vecchie cornici con foto di famiglia.

Si mise a suonare, nonostante qualche difficoltà.

La sua era stata una carriera brillante, ma che troppo spesso lo aveva tenuto lontano da casa, facendogli dimenticare della sua famiglia.

Quando tornava, portava sempre dei regali e rimaneva con i figli nei pochi momenti liberi tra un impegno e l’altro, senza mai esserci davvero: passava le notti fuori per interminabili sessioni in studio o per eventi a cui non mancava mai.

Quando poi lavorava per il cinema, pur rimanendo a Roma, era come se fosse in tour in Sudamerica.

Aveva conosciuto donne bellissime e con alcune di loro si era anche concesso dei periodi di vacanza, mentre sua moglie Ginevra si divideva tra il lavoro e i figli: soltanto anni dopo si rese conto che erano diventati adulti senza di lui.

Si mise a suonare un motivo di Duke Ellington e poi partì con un pezzo suo.

«Questa la conosci?».

«Sì» disse Marcello senza troppo entusiasmo «è sua».

Stava suonando il tema principale di Diamonds, uno dei suoi più famosi che gli era valso diversi premi minori in tutta Europa e una candidatura ai David di Donatello.

Lo aveva composto per la colonna sonora di un film italo-francese, ormai dimenticato dal grande pubblico, ma divenuto un cult.

Marcello, che lo conosceva bene, se lo stava gustando appoggiato al davanzale.

«Questa la suono sempre ai miei figli. Sai?» disse senza smettere di suonare.

«È un brano bellissimo» disse l’acquirente.

«Gliela suono ogni volta che posso. Arriveranno ad odiarla».

«No, non penso».

«Sa perché gliela suono sempre? Perché è il mio modo per dirgli che gli voglio bene. Io li amo. E amo pure la madre».

Anche la signora Alina seguiva questa scena da lontano.

«L’ho scritta per loro, pensando a loro, in questa casa, su questo pianoforte. Se ha vinto tanti premi è merito loro. Sono loro i miei diamanti, altroché».

A Marcello venne spontaneo mettergli una mano sulla spalla, ma si fermò.

Il signore concluse il pezzo all’improvviso, come se gli fossero cadute le dita.

Alzò lo sguardo confuso e sorrise.

Si tirò in piedi e disse: «Allora, prima che tornino i bambini, che poi fanno confusione: prendi questi» porgendogli un paio di raccolte jazz e soul e una sua colonna sonora minore.

«A quanto me li vende?».

«No, non voglio niente. Lei apprezza la buona musica, ha riconosciuto pure il mio pezzo preferito al pianoforte».

Fece una piccola pausa a labbra socchiuse, con gli occhi che per un attimo cercarono il titolo.

Lasciò perdere.

«Ma tu hai figli?» gli chiese all’improvviso.

«Sì, un ragazzo di quasi 14 anni».

«Io ho un maschio e una femmina più o meno della stessa età» commentò con entusiasmo.

«Perché non lo porti con te, la prossima volta che vieni? Anche tua moglie, chiaramente».

Il compratore non sapeva cosa rispondere, ringraziò e uscì.

Aveva suonato a quella porta solo un paio d’ore prima, e non sapeva se sentirsi ringiovanito o invecchiato di dieci anni.

Dio solo sapeva quanto gli costassero quelle visite.

Abitava a più di un’ora di macchina, stava chiudendo le pratiche per il divorzio e cercava di utilizzare il poco tempo libero per stare con il figlio adolescente, specialmente nei fine settimana: stava crescendo e voleva essere un padre presente.

Marcello aveva una sorella più giovane che soffriva di depressione e viveva al Nord da anni.

Aveva cercato di farla riavvicinare a Roma più volte, specialmente nell’ultimo periodo, ma senza successo.

Le aveva parlato degli incontri col signor Franco, di quanto fosse solo e completamente eroso dall’Alzheimer, ma per lei era soltanto una perdita di tempo. 

Durante un fine settimana spiegò la situazione al figlio.

Francesco era un adolescente tranquillo, soffriva molto per la separazione dei genitori e tendeva a chiudersi in sé stesso, consolandosi con tanta musica e strimpellando il pianoforte.

Gli faceva piacere incontrare il signor Franco, e decise di accompagnare il padre il sabato successivo.

«Non ha nessuno, a parte noi».

Quel sabato pomeriggio, il vecchio compositore fu lieto di vederli, anche se parlò poco. Chiese al ragazzo: «A te piace la musica?».

«Sì, abbastanza. Suono un po’ il pianoforte».

«Bravo! I miei figli non hanno mai suonato niente. Ti sembra giusto?».

Marcello lo spronò indicandogli il piano: «Francesco, facci sentire qualcosa».

Il signor Franco tirò su lo sguardo e mosse gli occhi tra il ragazzo e suo padre, come se avesse ripreso vita improvvisamente.

Fece una carezza al ragazzo e sussurrò il suo nome.

Aveva gli occhi lucidi e disse a Marcello: «Lo avete chiamato come me».

Il padre del ragazzo rispose sorridendo: «Eri stato molto contento di avere un nipote con il tuo nome».

Intanto il vecchio gli teneva la mano.

Non tremava, ma due lacrime gli scorrevano tra le rughe del viso.

Si rivolse al ragazzo e poi a suo padre, e con voce commossa li ringraziò: «Venite più spesso, quando volete. Mi fate così contento».

Poi chiese a Marcello: «Come stai? E tua sorella? Non la vedo e non la sento da tanto. Studia?».

«No, è grande anche lei. Ha due figli praticamente della sua età» disse indicando Francesco.

Ci fu un attimo di silenzio.

Il vecchio guardò Marcello negli occhi e gli chiese scusa.

Il figlio lo rassicurò con un veloce abbraccio.

Si sentiva scoppiare.

Aveva cercato così a lungo di odiarlo che ora gli sembrava soltanto di aver sprecato le sue energie.

Si abbracciarono sulla soglia e si salutarono.

All’improvviso Franco si spense e tornò la sua espressione assente, aveva già dimenticato.

Trovò riparo in poltrona.

Rimase confuso per qualche minuto e poi, senza fretta, si mise al pianoforte.

Alina lo teneva d’occhio mentre riordinava la sala: «Tutto bene signor Franco?».

Ma non ottenne risposta.

Il vecchio poggiò le mani sulla tastiera, e con molta incertezza iniziò una melodia bellissima.

Quando si spalancò il tema principale, la grande sala si riempì di una gioia contagiosa. Si voltò verso Alina, che lo stava osservando.

«Sai che brano è?» la mise alla prova.

«Certo che lo so» rispose lei «è Diamonds».

Il signor Franco sorrise soddisfatto senza mai fermare le mani, e sussurrò: «È la canzone per i miei ragazzi».

DIAMONDS è un racconto di Luca Secondino presentato al progetto letterario “I sassi neri”.

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