L’ALLIBRATORE di Davide Savorelli

Nel pollaio

Io lo so perché sono qui. Mi sono ricordato. Ma non è questo il punto. Il problema è: come farò a uscirne? Anche stamattina sono stato svegliato dalla solita voce chioccia. La odio quella donna maledetta: è enorme, baffuta e sempre agghindata con un fazzolettone in testa che le fascia un’acconciatura colossale che non oso immaginare.

«Come va?» mi ha chiesto. Come se le interessasse davvero, come se davvero le importasse. Come sto, come ho passato la notte? Se ho fame, se ho bisogno di qualcosa, al di là di quello che mi procura lei con finta pietà e sollecitudine…

Ovviamente fingo di non capirla e mi limito a roteare gli occhi. Mi diverte apparire più scemo di quello che sono, ma è anche una strategia: se crede che io sia un ebete, un povero pazzo, un animale senza criterio, allora magari si muoverà a compassione e mi concederà un po’ più tempo prima di tagliarmi la testa… o forse nel intanto cambierà qualcosa…

Ma un gallinaccio spennacchiato, un tacchino albino e implume che fine potrà mai fare? Che destino potrà mai avere? Lo sento quello che pensa, anzi: lo so! Lo percepisco da come mi guarda: in quegli occhietti c’è una concupiscenza da vecchia massaia. Un’antica padrona di casa che sa far bene i suoi conti, che tira somme, che si destreggia tra debiti e crediti… che già mi immagina quale principale ingrediente di un sontuoso brodo della festa.

Ma anch’io mi diletto di matematica, sapete? Posso addirittura sostenere, e a buon diritto, che è proprio questo il mio lavoro. Si dice che sia il numero dei battiti del nostro cuore a determinare la lunghezza della nostra vita. Non capisco come facciano altri a sostenerlo con tanta sicurezza, ma io so per certo che è così. Come faccio a esserne convinto? Facile: costituisce l’elemento fondamentale della mia occupazione. Anzi, di ciò che sono… Che ero, sarebbe meglio dire.

E pensare che fino a qualche settimana fa ero qualcuno nel settore, un pezzo grosso, uno davvero importante… Azzarderei di più: dalle capacità uniche! E ora, invece, eccomi qui: in un merdoso e buio pollaio. Dovrei saltare alla gola di quella donna schifosa e farla fuori. Ecco cosa dovrei fare. Me lo ripeto ormai da giorni. Ma poi mi pento di un pensiero tanto mostruoso e rimango in un angolo di penombra a macerarmi di disappunto, disillusione e compatimento. Mi trovo rinchiuso nella peggiore prigione che potessi immaginare e non ci sono prospettive né di una fine pena né di essere graziato. Non dico di non essermelo meritato, ci mancherebbe… e tuttavia, siamo seri: questa è una palese ingiustizia! Punirmi va bene, ma così… eh, dai! E per cosa poi? Per qualche contrazione cardiaca? Che sarà mai? Un furtarello dopo tutto… Nemmeno, se si vuol essere precisi. Io i battiti del cuore non li ho mica rubati, li ho soltanto scambiati! È vero che c’è il Decalogo, ma insomma…

Comunque, è chiaro che chi mi ha giudicato aveva le sue ragioni per andarci giù pesante e a me non resta altro da fare che sottostare alla punizione.

Se la giudico eccessiva, mi chiedete? Certo! È spropositata rispetto alla colpa di cui mi sono macchiato! Intendiamoci: ho sbagliato, ne sono conscio, ma la tanto sbandierata clemenza dei miei superiori dov’è finita? Oppure si applicano due pesi e due misure? Io non lo so. Insomma, non posso saperlo perché mi sono sempre trovato in una posizione privilegiata per via del mio lavoro. Non intendo dall’altra parte della barricata, piuttosto a metà, ecco. A cavaliere tra i due versanti, se capite a cosa mi riferisco… Tuttavia, trovo che ci sia stata una severità eccessiva, questo sì.

Che professione svolgevo, mi chiedete? Ah, vi siete incuriositi ora? Certo adesso che sapete che sono malmesso, che sono nei guai, allora siete interessati, eh? Ma è naturale, lo capisco benissimo: vi conosco così bene e da così tanto tempo che mi stupirebbe il contrario!

Comunque, la mia era un’occupazione eccezionale, stupenda: più che un lavoro era una missione, proprio così. Anche se ora non so davvero se potrò riprenderlo… Maledizione! E tutto per la mia generosità! E per amore, anche… Che bestia che sei, Abadonna, mi ripeto spesso, ma ormai non si può più tornare indietro: devo farmene una ragione.

Comunque, facevo l’allibratore. Non quello meschino delle scommesse, s’intende. Io puntavo sulle vite delle persone, quotavo possibilità ed eventualità disparate, offrivo opportunità e sogni. E giocavo sporco, naturalmente, sennò dove sta il brivido, l’eccitazione dell’inatteso?

Non avete capito, eh? Bene, cercherò di farvela più semplice. E se io vi dicessi una cifra? Che so? Tipo: 3 miliardi, 153 milioni, 600mila? Ancora niente? No? Eppure, questo numero dovrebbe esservi piuttosto familiare… Ah, che sciocco, dimenticavo! Voi non ci fate mai caso, a meno che non ne abbiate davvero bisogno, allora sì che vi interesserebbe! Voglio darvi un piccolo aiuto: quei 3 miliardi, 153 milioni e 600mila non sono mica soldi, no davvero. Non indovinate? Niente, ancora? Vabbè, mi vedo costretto a rivelarvelo io: è il numero di battiti del cuore di una vita media.

Come sono arrivato a una somma del genere? È facile! Addirittura, banale, direi! Se consideriamo un’ottantina di contrazioni del miocardio al minuto, moltiplicate per i minuti di una giornata, per i giorni di un anno per un’esistenza di 75 anni, allora l’ammontare è appunto 3 miliardi, 153 milioni e 600mila. Naturalmente sto parlando di uno standard generalizzato, con le dovute variazioni che dipendono dall’età, dallo stato d’animo, dal lavoro, dalle emozioni… dalle infinite variabili che si trovano in una vita. Insomma, consideratela in questo modo: dal momento in cui il cuore fetale si forma e comincia a battere, il vostro non è altro che un grandioso conto alla rovescia.

E vi dirò di più… ma questa è davvero una confidenza che non dovrete mai rivelare a nessuno, mi raccomando. Fin dall’inizio, il numero di battiti del cuore di ciascuno di voi è stato inesorabilmente, irrevocabilmente stabilito.

Che c’è? State facendo qualche calcolo? Non vi affannate. Non ne vale la pena, credetemi: tanto non c’è nulla che voi possiate fare per cambiare le carte in tavola. Ciò che avete già combinato finora, mescolato a quanto è stato fissato dal principio, determina il vostro numero di battiti residui. Nessuno lo può conoscere a priori… nessuno tranne me. Eh sì, ve lo dicevo che ero un pezzo grosso anche se ora, a vedermi così, non mi dareste un centesimo. Io e solo io, insieme a uno sparuto gruppo di colleghi, so quanti ne rimangono a ognuno di voi. Certo, qualcuno saprà che, in generale, quanto minore è la frequenza cardiaca, tanto maggiore è l’aspettativa di vita. Ad esempio, se un colibrì fa 600 battiti al minuto, la sua esistenza è misurabile in due o tre anni. Lo stesso vale, più o meno, per un criceto. Al contrario, una tartaruga, con i suoi 6 battiti al minuto, si stima, con una discreta accuratezza, che possa campare 150 anni.

Detto così sembra semplice, vero? Meno battiti uguale più vita. E invece no. E sapete meglio di me il perché… le preoccupazioni e le ansie, così come le gioie, ci fanno aumentare i battiti. Per non parlare dell’amore, miei cari. La quasi totale piattezza del nostro tracciato cardiografico sarebbe l’ideale, ma varrebbe poi la pena vivere così, in una stasi perenne nel timore di consumare più velocemente il tempo che ci resta? Ovviamente la risposta è negativa: e chi vorrebbe trascorrere in questo modo insignificante gli anni, pochi o tanti che siano, che vi vengono concessi? Perciò ciascuno di voi, incurante e ignorante di quale sia la cifra finale, si impegna, e uso di proposito questo verbo, per premere sull’acceleratore, per consumare, per dilapidare affannandosi il tesoro di battiti del cuore che possiede.

Però, e qui sta il bello, quando la vita vi mette di fronte a scelte drammatiche, allora avvertite come stanno le cose. Magari in maniera indistinta, nebulosa, ma intuite vagamente quali siano i meccanismi che determinano il vostro essere. Tuttavia, non sapete cosa fare, è chiaro: non potete tornare indietro, non potete correggere gli errori del passato. Forse pensate di ovviare agli sbagli precedenti ripromettendovi di cambiare… Eh, miei cari, fosse così facile. Ma ve lo dico chiaro e netto: non si può. O meglio: si può ma non potete farlo voi. Ed è proprio a questo punto che entro in gioco: io posso… Mi correggo: io potevo farlo. Potevo regalarvi ulteriori battiti sottraendoli a qualcuno oppure potevo consentirvi di donare i vostri ad altri. Qual era il mio tornaconto? Scommettevo sulle vostre scelte e quindi….

Ecco che torna la vecchia stronza! Non mi dà pace, sapete? Devo subito rimettermi mogio mogio in un canto: se nota che sono troppo vivace o ingrasso, non arriverò alla prossima luna piena. Invece devo resistere. Sono persuaso che già qualcosa si sta muovendo e che forse la mia prigionia non durerà ancora così a lungo. Speriamo. Ma non appena la papessa rusticana se ne va, voglio raccontarvi qualcosa di più sulle mie abilità e anche alcune storielle stuzzicanti che mi sono accadute: così almeno il tempo passa e non mi annoio, mentre voi non starete lì ad auscultarvi di continuo.

CONTINUA

L’ALLIBRATORE è un romanzo di Davide Savorelli

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