LIVIO di Flavia Zago

Foto di Stefan Keller da Pixabay

L’angolo della strada aveva una curvatura quasi conica e la luce del lampione gli conferiva un movimento rotatorio.

Notte piovosa.

Nonostante il bavero alzato ed il cappello, quella pioggia sottile riusciva ad entrare nelle fibre della stoffa.

La giacca che indossavo non mi piaceva ma era la prima cosa che avevo trovato prima di uscire di casa.

Era successo tutto velocemente… Dimenticavo qualche dettaglio?

La televisione aveva dato la notizia del ritrovamento di una scatola di Lexotan accanto ad un sacchetto nero contenente dei vestiti.

Altri oggetti sparsi, tra cui un coltello da cucina insanguinato, come in una caccia al tesoro portarono al ritrovamento di un uomo.

Tutto questo quindici giorni prima ma senza particolari rilevanti, quasi fosse  una notizia di cronaca come tante.

Il notiziario di mezzanotte aveva dettagliato il luogo del ritrovamento, un sentiero che porta al Santuario della Madonna del Monte.

L’ispettore Cavallo disse che sul petto della vittima vi erano dei tagli profondi e geometrici, una simbologia usata nei sacrifici pagani.

I risultati dell’autopsia sarebbero stati dati a breve.

Mi dispiaceva di quella morte.

Aspirai le ultime boccate dalla sigaretta senza conservare il filtro, ormai ero zuppa, era ora di rientrare, domani sarebbe stata una giornata impegnativa.

Al mattino mi svegliai arrugginita, l’umidità della notte trascorsa sotto l’acqua si faceva sentire.

Accesi la tv, su canale 51 avrebbero sicuramente dato aggiornamenti sul “caso Lexotan”, così veniva definito.

Ascoltavo distratta le notizie, pandemia, politica…

Finalmente la cronaca: nessuna novità, ma per la prima volta mostrarono la foto dell’uomo.

Spensi il televisore, feci la doccia, misi pantaloni, maglione e fuori a passo svelto verso il centro.

Volevo andare da Riccardo a comprare il giornale, forse qualche particolare di cui non sapevo poteva esserci.

Ci conoscevamo dal mio trasferimento, era un uomo ciarliero ma quella mattina non parlammo, presi solo il giornale e mi allontanai.

Individuai una panchina libera sulla piazza e mi sedetti sicura che lì, tranquilla, mi sarei potuta addentrare nell’articolo.

Il giornalista iniziava con il riassunto dei giorni precedenti ma niente novità.

Potei vedere la foto della vittima: un uomo sulla cinquantina, occhi scuri, fronte alta e capelli neri.

Buttai il giornale in un cestino, dirigendomi al lavoro assorta nei miei pensieri, tanto che, quasi andai a sbattere contro la porta a vetri della banca.

Mi sentii prendere alle spalle da Paolo e ci salutammo affettuosamente.

Decidemmo di recarci al terzo piano facendo le scale, mentre salivamo gli chiesi se avesse sentito parlare del caso di cronaca non ancora risolto.

Rispose che l’aveva seguito con attenzione e che aveva saputo di un pastore il quale aveva notato una donna che prima del ritrovamento, camminava distratta non preoccupandosi del buio calato di lì a poco.

Arrivati al piano ci dirigemmo verso le nostre scrivanie dandoci appuntamento per il giorno dopo.

Quella sì era una notizia che mi incuriosiva, stuzzicava la mia passione per le indagini.

Per l’azienda era ciò che facevo: chiedevo informazioni più o meno ufficiali per i capi.

Le ore erano trascorse veloci, avevo terminato le pratiche da sbrigare, mi serviva cibo e valeriana.

Mi attardai in chiacchiere con il fornaio e in macelleria, tutti avevano delle ipotesi sul caso di cronaca che ormai aveva rimpiazzato l’argomento principe, la pandemia.

Ringraziai per questo quel pover’uomo che ne aveva fatto le spese.

Come tutte le piccole cittadin,e anche questa era composta da gente che si conosceva molto bene; un ambiente un po’ stagnante.

Era tardi, ormai la farmacia era chiusa, quella sera avrei risolto con una doppia camomilla.

Con lo sguardo sull’asfalto, camminavo lentamente, avevo bisogno di quiete e l’andatura la favoriva.

Tra una congettura e una riflessione, alzai gli occhi, mi resi conto che stava calando la sera. Vedevo il lampione in lontananza e pensai alla sera prima all’inquietudine provata. La luce dell’imbrunire mi riportò l’immagine della donna di cui Paolo aveva parlato, la percepivo come un’ombra.

Arrivata davanti la porta di casa girai la chiave ed entrai, un piede dopo l’altro giunsi in soggiorno tolsi la giacca e portai le cose in cucina.

Guardai i ripiani vuoti, non ricordavo quando era stata l’ultima volta che avevo fatto la spesa.

Mi sentii stanca e decisi di concedermi una pausa prima di cucinare.

Fumavo raramente, ma desideravo una sigaretta, doveva esserci da parte un po’ di tabacco.

Aprii ogni cassetto di casa ma nulla, infilai la mano sotto il cuscino di mezzo del divano ed ecco le Camel, ne accesi una.

Preso il telecomando la televisione si illuminò sul notiziario regionale appena iniziato.

Tra un anello di fumo e l’altro attesi pazientemente il servizio sulla cronaca nera.

La sigaretta era quasi alla fine e finalmente ecco Cavallo parlare ai microfoni incalzato dalle domande dei giornalisti.

Riassunse brevemente i punti salienti di quello che sembrava essere un giallo: il luogo del ritrovamento del cadavere e le informazioni date dal pastore.  

L’identikit della donna non aveva fatto progressi, confermava che il sangue sul coltello era della vittima.

L’autopsia evidenziava la presenza di una dose massiccia di sonnifero, il notiziario si concluse e così la mia sigaretta.

Il mio stomaco si faceva sentire, quindi mi diressi ai fornelli; un piatto di pasta sarebbe stato capace di tacitarlo.

Ingurgitai la pietanza, misi il pigiama e mi accoccolai sotto le coperte.

Stanca e infreddolita, il sonno mi raggiunse in fretta.

Filtrava già la luce del giorno, non avevo chiuso le imposte la sera prima.

Spingendomi su con le braccia guardai la sveglia: le sei? Troppo presto.

Le mie gambe si mossero svogliatamente e a piedi nudi raggiunsi il bagno.

Mi girai e diedi uno sguardo al letto, era talmente torturato che sembrava ci avessero dormito tre persone.

Mi spostai in cucina convinta che un buon caffè avrebbe fatto miracoli.

Riempii la caffettiera e aspettai fiduciosa il gorgoglio di quel liquido nero che un po’ mi ricordava il sangue rappreso.

Il tg di ieri sera mi aveva impressionata?

Ecco il miracolo mattutino, versai in una tazza la quantità di caffeina necessaria a svegliarmi, il caffè nero bollente raggiunse le pareti del mio stomaco.

Presi rapidamente forma ed energia, con la tazza in mano entrai in bagno, mi guardai allo specchio: faccia stropicciata come al solito.

Doccia rapida, spazzola e poco trucco… l’immagine riflessa era piacevole, mi vestii facendo finta di non vedere il disordine delle stanze.

Le otto: avrei potuto raggiungere la piazza del paese e infilarmi nel bar a chiacchierare con la gazzetta del paese, la cassiera, sapeva tutto di tutti per poi arrivare alle nove in ufficio in tutta tranquillità.

Eccomi all’entrata della Santander avviandomi come sempre per le scale.

Non amavo l’ascensore mi sembrava una bara volante.

Mi sentii chiamare era Paolo, mi faceva dei segni. Mi fermai, e lui si avvicinò con fare misterioso dicendomi che al notiziario del mattino l’ispettore aveva detto che c’era un sospettato.

Deglutii la saliva che mi bloccava la gola mentre sentivo una stretta allo stomaco.

Non capivo la mia reazione ma non avevo risposte, solo un grande vuoto nella testa.

Alla mia postazione cercai di concentrarmi sul lavoro, con pochi risultati, e decisi quindi di prendermi la giornata libera.

Che piacere trovarmi all’aria aperta, respirai camminando verso casa con il vuoto nella testa.

Arrivata al solito lampione mi sedetti alla sua base e accesi l’ultima Camel.

Essere lì mi riportò a quella pioggia sottile della sera in cui come un fuggitivo uscii di casa spinta dall’emotività. 

Mi chiedevo se il tassello mancante nella testa avesse a che fare con la foto dello sconosciuto.

Finita la sigaretta, tenni stretto nella mano il filtro: ne avevo un barattolo pieno, c’era sempre qualcosa che meritava di essere conservato.

Entrata in casa spensi la luce della camera, mi buttai sul letto e mi assopii.

Sognai di rincorrere qualcuno senza mai riuscire a raggiungerlo.

Ricordo di aver appoggiato per una frazione di attimo la mano sulla sua schiena.

Al mattino mi svegliai tardi.

Con indolenza tolsi il pigiama e indossai i soliti pantaloni.

Mentre mangiavo davanti alla compagna di sempre, la tv, quando l’inquadratura televisiva si fermò sul primo piano dell’assassinato.

Concentrai la visuale sugli occhi dell’uomo, mi sembrava di conoscerlo, ma non poteva essere…

Scacciai il pensiero spensi tutto e via sotto le coperte, mi sentivo spossata ed il calore delle coperte mi portò in un sonno profondo.

Mi risvegliai sudata e agitata, qualcosa era avvenuto, ricordavo di conoscere quell’uomo, era Livio.

Ci eravamo conosciuti attraverso internet qualche anno prima, ma frequentati in modo discontinuo.

Avevo avuto dei sentimenti forti nei suoi confronti ma non ricambiati con la stessa intensità, ormai era tutto alle spalle.

Mi riaddormentai dopo essermi rigirata nel letto per un po’.

L’indomani non ascoltai notiziari né comprai quotidiani per non leggere e ripensare a quella storia.

Sentivo che era meglio seppellire tutto dove era stato fino a qual momento.

Telefonai in ufficio, mi feci passare Paolo per spiegargli che non mi sentivo bene, chiese se mi servisse aiuto pratico, risposi di no, ma che sicuramente lo avrei chiamato se fosse stato necessario.

Mi chiusi in casa sentendomi al sicuro nel mio disordine, nessuno sarebbe potuto entrare senza il mio permesso.

I giorni successivi furono di veglia e sonno, frammenti di momenti in comune con Livio, immagini attraverso le quali mi sforzavo di ritrovare ricordi che mi liberassero dal senso di colpa.

La memoria andava all’ultimo giorno, quello fatale in cui gli dissi che non volevo più vederlo, l’avevo ascoltato mentre chiacchierava al telefono con quel tono incoraggiante riservato alle donne verso cui provava simpatia.

Quel tono non lo sopportavo più e decisi che tra noi sarebbe finita.

Mi alzai dal letto con una fortissima emicrania aggravata dal continuo squillare del telefonino, chissà chi era il rompiscatole.

Lessi sul display Paolo e lo chiamai.

Era arrabbiato con me per averlo fatto preoccupare; da due giorni non rispondevo.

Tentai di giustificarmi ma con poca convinzione.

Mi presi i rimproveri in attesa di sapere il motivo di tanto strepitio, finalmente giunse al dunque: l’ispettore aveva dichiarato che il caso Lexotan era senza soluzione.

L’ultimo indiziato era stato scagionato e all’orizzonte non si vedevano colpevoli.

Paolo sembrava felice della non soluzione di quel rompicapo e lo salutai con affetto. Assorta nel pensiero di come gli avvenimenti potessero prendere risvolti inaspettati, mi accorsi di muovermi a rallentatore, avevo bisogno di energia?

Cercai qualcosa di dolce in cucina, rovistai ovunque senza trovare alcunché.

L’ultima speranza era l’ultimo cassetto, nel quale mettevo cose che volevo tenere ma anche dimenticare; tirai, ma era chiuso a chiave.

Dovevo trovare la chiave, ma dove poteva essere?

In giro per casa c’erano altre chiavi, ma nessuna era simile quelle del mobile in cucina; era diventata una scommessa, presi lo zaino della palestra e infilai le dita in ogni zip e finalmente la trovai.

Orgogliosa della mia ostinazione e piena di desiderio, finalmente aprii quello scrigno, me un odore forte mi fece indietreggiare con la testa.

Lentamente estrassi il suo contenuto: un maglione che non trovavo da tempo in cattive condizioni e un copriletto accartocciato.

Con timore lo aprii.

Era così intriso di sangue rappreso da sembrare di carta pesta.

Ne forzai le pieghe, e al suo interno trovai una bottiglia di Lexotan.

Sentii un conato di vomito, ma non riuscii ad arrivare alla tazza del bagno e riversai il contenuto dello stomaco sul pavimento.

Sudavo e avevo brividi di freddo… eppure mi sentivo leggera.  

CONTINUA

LIVIO è un romanzo di Flavia Zago presentato al progetto letterario “I sassi neri”

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