MIO MARITO? UNO SCONOSCIUTO di Rodolfo Antonio Zanardi

genere: ROMANCE

PROLOGO

Non pensavo che al funerale di mio marito ci fosse una così grande partecipazione.

La chiesa era gremita e molte persone erano rimaste all’esterno.

È vero che lui nella vita aveva conosciuto molta gente, persone di ogni estrazione sociale, amici d’infanzia, compagni di scuola, di sport, colleghi di lavoro, clienti, fornitori, ma non mi figuravo una partecipazione così imponente.

La bara era là di fronte a me e non mi capacitavo della sua scomparsa così improvvisa e inaspettata. Aveva sempre avuto un fisico forte, non aveva mai sofferto di malattie impor-tanti. Qualche frattura cadendo dalla bicicletta, durante gare sportive, da cui si era sempre ripreso in maniera gagliarda.

Niente lasciava supporre che, a soli sessantasei anni, mentre viaggiava per lavoro, un brutto incidente se lo portasse via. L’ambulanza intervenne prontamente, ma invano, era clinicamente morto al momento del terribile urto. Nonostante i tentativi di rianimazione e tutte le cure prodigate durante il trasferimento, quando arrivò all’ospedale era spirato.

Mi sovvenne che un giorno gli avevo chiesto se avesse paura della morte.

– Paura? – mi aveva risposto – Perché? È una cosa inevitabile, siamo nati per morire, a partire dalla nascita il vivere è un correre verso la morte, il nostro non è che un transito, l’accettazione di questo fatto ineluttabile è l’unico modo per vivere liberi, l’importante è essere sempre preparati quando Lei arriverà. C’è chi vive e fa le cose di ogni giorno pensando di non morire mai, senza curarsi di quando non ci sarà più, lasciando magari gli eredi nei guai. E c’è chi invece si comporta come se quella che sta vivendo sia l’ultima giornata di vita e fa il necessario per non lasciare nei problemi chi resta. “Estote parati.” Bisogna sempre essere pronti all’arrivo ineluttabile di Atropos: io lo sono sempre e quando giungerà non sarò colto impreparato.

Aveva sempre detto che, nel caso si fosse ammalato gravemente, non voleva che ci fosse per lui un accanimento terapeutico. Me lo aveva ripetuto più di una volta. È stato esaudito, è morto sul colpo, non ha sofferto, nessun accanimento per lui, se non quello di una morte ingrata. Guardavo assorta la bara. Pensavo a come mi avesse sempre precisato che lui non voleva essere cremato, né messo in un loculo.

– Voglio essere abbracciato dalla Madre Terra e tornare a lei, da dove sono venuto.

Si sentiva ancora giovane e pieno di vita, di progetti, e di voglia di fare. Pur dicendo di essere sempre pronto, era lontano dall’immaginare di finire i suoi giorni così, colto improvvisamente da quella che lui chiamava la Signora con la Falce. Funere mersit acerbo. Troppo presto!

– Se Cesare era ancora un adulescens quando aveva oltre trent’anni io a cinquanta mi sento ancora un iuvenis – diceva.

A questi ricordi mi sentivo il cuore sprofondare nel petto. Ero così assorta in questi pensieri, quasi non mi accorsi che il prete aveva cominciato la messa.

Con un linguaggio ieratico e aulico stava pronunciando le antiche formule del necrologio e, con un panegirico, ricordava per sommi capi la figura di Massimo.

Ero come trasognata, quasi non ascoltavo le parole di ammirazione e di stima che, ancorché mio marito non fosse stato un frequentatore di chiese, il prelato pronunciava.

I miei pensieri rincorrevano tanti episodi della nostra vita assieme.

In maggio sarebbe stato il ventiseiesimo anniversario del matrimonio. Ci conoscevamo da quarantasei anni. Non c’eravamo sposati giovani. Il nostro era stato un incontro da ragazzi, lui aveva vent’anni ed io quindici, una cosa durata un breve periodo e poi ognuno per la sua strada.

Solo il caso ci aveva rimessi insieme quasi vent’anni dopo. Ora ero vedova. Quando pensavo a tante donne di mia conoscenza rimaste sole, non credevo che lo sarei diventata anch’io.

Vedova!

Una parte di me se n’era andata, mi senti-vo incompleta, come tante altre a cui il marito è mancato.

In quel momento pensai che ci fossero molte più vedove che vedovi. Non ci avevo mai riflettuto, ma è così. Nella coppia, in generale, la moglie è più giovane e in media le donne vivono più a lungo, mi resi conto che è una cosa logica che le vedove siano più numerose.

Data la sua forte fibra, avevo sempre immaginato che, prima di lui, me ne sarei andata io. In fin dei conti solo cinque anni ci separavano.

Mi suonava strano questo sostantivo “vedova”, eppure lo ero diventata anch’io. “Vidua” ero vestita di nero. Pensavo all’etimologia: “viduus”. Vuoto, privo, mancante. E che cos’è una vedova se non una donna privata della presenza del marito?

Mi stavo rendendo conto di questo senso di vuoto, non avrei più visto i suoi occhi azzurri, né sentito la sua calda voce e la sua risata contagiosa, non avrei più passato la mano fra i suoi biondi capelli, quando con le sue carezze mi accendeva di desiderio, quando con i suoi baci mi faceva palpitare il cuore, quando faceva vibrare ogni fibra del mio essere.

Ero rimasta sola e non riuscivo a capacitarmene.

Come avrei impiegato le mie giornate senza la sua cara presenza? Quando un’amica o una conoscente restava vedova, al di là della disgrazia, mi pareva una cosa normale, specialmente se si trattava di una persona anziana e ammalata: prima o poi tutti ce ne dobbiamo andare.

Si ha la sensazione che queste cose capitino sempre solo agli altri, ma qualche volta gli altri siamo noi.

I miei pensieri correvano ai ricordi, a quando l’avevo conosciuto e a tanti episodi della nostra vita in comune. La sola cosa che mi riempiva la testa in quel momento era un senso di vuoto. Che strana cosa riempire con un senso di vuoto!

Inseguivo i ricordi.

Ci eravamo conosciuti alla fine degli anni Cinquanta in una festa fra amici. Me l’aveva presentato il comune amico Anthony.

Stalle sotto – gli aveva detto – quella è una che ci sta –. Non so da che cosa Anthony avesse dedotto questa sua idea, sicuramente non gliene avevo dato l’occasione di pensarlo, e soprattutto io non mi ritenevo “una che ci sta”.

Probabilmente era una spiritosaggine inventata per burlarsi di lui.

Tuttavia, Max l’aveva preso sul serio e si era dato subito da fare.

In seguito fra noi non c’era stato niente di così impor-tante. Eravamo andati assieme in molte gite collettive al mare o in montagna, spesso in qualche festicciola in casa di uno o dell’altro degli amici comuni. Erano i tempi del Rock and Roll, si ballava e ci si divertiva. Niente di straordinario, qualche carezza, qualche bacio, qualche abbraccio. E, anche se lui si dava da fare per avermi, io gli avevo sempre resistito, non mi piaceva la frase che gli aveva detto Anthony e facevo di tutto per ostacolare i suoi propositi, anche se in qualche occasione ero stata sul punto di cedere.

Diceva di amarmi e che gli piacevo tanto.

Anche lui mi piaceva, mi ero Innamorata dei suoi occhi azzurri, del suo sguardo ardente e dei suoi capelli di un biondo dorato e luminoso.

Avevamo fatto qualche fantasia per un futuro assieme e, anche se eravamo tanto giovani, lui sembrava molto convinto di quello che diceva.

Poi, a un certo momento, quasi all’improvviso, partì per il servizio militare, si era arruolato in un corpo speciale dei paracadutisti e aveva firmato per un corso che lo avrebbe impegnato per quattro anni. Diceva che là poteva sperimentare cose che nella vita non avrebbe potuto permettersi mai, come fare il rocciatore, il sommozzatore, il paracadutista, lo sciatore, viaggiare in Italia e all’estero.

Io invece credevo che si fosse stufato di me perché non gli avevo ceduto e quindi pensasse che non l’amassi.

– Ho sempre tempo di trovarmi un lavoro e fare la persona seria – diceva – laggiù avrò anche la possibilità di studiare e di laurearmi. A Pisa c’è una importante facoltà di viticoltura e enologia. Ho sempre desiderato conoscere a fondo questo ramo dell’agricoltura e, anche se mi sono diplomato alla scuola agraria, non mi sembra sufficiente e per questo ho pensato di frequentare l’università: voglio prendermi una laurea e credo che ci riuscirò. Ma c’è anche un motivo non secondario: sono sempre stato un estimatore del nettare di Bacco. Non mi capiterà facilmente un’occasione del genere. Può anche darsi, se mi trovassi bene, che decida di fermarmi per sempre e di abbracciare la carriera militare. Un ragazzo che correva in bici con me si è arruolato due anni fa e ha già il grado di sergente, dice che ha un buon stipendio, che a Pisa si mangia molto bene per pochi soldi e che la città è piena di belle ragazze che amano divertirsi.

– Se le tue aspirazioni sono queste, ho fatto bene a non starci, come ti ha consigliato Anthony, ancorché tu abbia tentato più volte! Fai bene a seguire i tuoi desideri, ma non pensare che io stia ad aspettarti, mi piaci, sento di amarti, ma quattro anni sono tanti! Tanto più se decidi di fare il militare di carriera, in una città piena di belle ragazze che amano divertirsi e dove si mangia bene con poca spesa. Se hai questa intenzione è meglio che tu ti fermi per sempre e ti prendi una di quelle, se ci sta. Io ho intenzione di iscrivermi a medicina, ho sempre avuto la passione di studiare il corpo umano e di abbracciare la carriera di medico. Ma non si sa mai, può darsi che io cambi idea, però, per il momento, non voglio ipotecare il futuro con una persona che non ha le idee tanto chiare e non posso mantenere un legame senza che ci siano dei contorni precisi.

– Potresti venire anche tu a Pisa, c’è anche là un’università.

– Bravo! E come camperei? Tu avrai un buon stipendio e, in caserma, vitto e alloggio assicurati, ma io?

– Potrei affittare un miniappartamento dove potresti alloggiare.

– No grazie. Vai pure per la tua strada, ma non pensare che io ti segua, è giusto che tu abbia le tue aspirazioni, ma anch’io ho le mie. E poi siamo tanto giovani abbiamo tutta la vita davanti. Può darsi che tu ci ripensi, come potrei farlo anch’io, e che le nostre strade si incrocino nuovamente, in-tanto ti auguro buona fortuna.

– Quando avrò una licenza verrò a cercarti. Non posso dimenticarti. Ti voglio bene. Buona fortuna anche a te – mi rispose con un velo di malinconia.

Pensai che fosse veramente dispiaciuto ma che l’attrazione per la vita avventurosa che quel reggimento gli offriva fosse più forte di ogni altra cosa. Di tanto in tanto veniva a casa in licenza, orgoglioso della sua divisa da paracadutista, e mi chiedeva se avessi trovato un altro. Per diverse volte gli risposi che no, che non avevo trovato nessuno che mi piacesse. Circa un anno e mezzo dopo, invece gli comunicai che mi ero fidanzata col suo amico Anthony.

– Ah! – esclamò – lui aveva detto che sei una che ci sta! E ci sei stata?

– Ti sembrano domande da fare? – gli risposi incavolata.

– Uh! Come te la prendi! Se state assieme immagino che qualcosa succederà. Anthony è uno che non fa niente per niente. E poi se siete fidanzati non giocherete mica alle belle statuine. Dimmi: gliel’hai data?

– Smettila! Ti ripeto che non sono domande da fare!

– Non importa che tu me lo dica, se lo troverò glielo chiederò io.
– Ah, sì? E che cosa gli chiederesti?

– Semplice. Gli direi. “Anthony, ti sei fidanzato con quella che ci sta: c’è stata?”

– Beh! Prima che te lo racconti lui, te lo dico io. Sì, sono quella che ci sta – gli risposi mentendo – e facciamo l’amore ogni volta che ci aggrada!

Mi spiacque di avergli risposto in un modo così arrogante, lo vidi veramente mortificato a questa notizia, ma la sua insistenza fastidiosa mi aveva rotto le scatole.

Mi augurò di cuore di essere felice con Anthony, mi salutò, si girò sui tac-chi di scatto e se ne andò, ma non mi sfuggì che era commosso e che si era voltato improvvisamente per non farmi notare che aveva gli occhi lucidi.

Mi si strinse il cuore e avrei voluto non essere stata così cattiva con lui, tanto più che al momento non c’ero ancora stata, ma mi aveva provocata e non avevo saputo tenere a freno la lingua.

Non lo rividi per un bel pezzo e mi ero quasi dimenticata di lui, anche se, di tanto in tanto, incontrando qualche amico comune o frequentando quei luoghi che avevamo visitato assieme, il suo sorriso radioso mi tornava alla mente.

Era passato ancora qualche anno dall’ultima volta che l’avevo visto e una sera, per caso, ci incontrammo in centro.

Allora io frequentavo il terzo anno della facoltà di medicina.

Dopo i soliti convenevoli mi informò che aveva esaudito le sue aspirazioni, che era stata una bellissima esperienza, ma che aveva rinunciato a fare carriera nell’esercito. Era riuscito a laurearsi in viticoltura ed enologia e aveva trovato lavoro presso un produttore vinicolo non lontano da Verona. Mi raccontò che il suo lavoro gli dava molte soddisfazioni e che la laurea gli era stata molto utile per trovare quell’impiego.

– Allora ti sei congedato?

– Sì. Sai com’è, io sono sempre stato un po’ irrequieto. Mi sono divertito moltissimo, ma non me la sentivo di fare carriera militare, alla fine tutto stufa, comunque sono stati gli anni più belli della mia vita, ho conosciuto tanti ragazzi straordinari con i quali è nato un affetto fraterno. Ci sentiamo spesso al telefono e ogni anno, il ventitré ottobre, giorno della festa del corpo, ci troviamo a Livorno per un pranzo collettivo. Ricordiamo tutte le avventure e le belle cose che abbiamo vissuto assieme.

– E quali sono queste belle cose?

– Sono tutte cose di carattere militare che mi hanno dato tanta soddisfazione, come per esempio fare i lanci in montagna, in mare, fare un corso di esplosivi, di sommozzatore, di alpinismo, di sci, di roccia, fare lunghe marce di sopravvivenza, viaggiare in missione per tutta l’Italia e all’estero, facendo manovre con americani, francesi e con le truppe NATO. Ho fatto un corso di paracadutismo a Pau per i lanci da alta quota, e non ti sto a dire quante altre cose. Potrei scrivere un libro, se ne avessi il tempo.

Mi invitò a prendere un aperitivo e dopo alcune informa-zioni su amici comuni, mi chiese se fossi ancora fidanzata con Anthony. Gli risposi che lo avevo lasciato perché faceva il furbo, giacché, oltre a me, frequentava altre, e quindi mi ero fidanzata con un collega di corso, che mi stava sotto da un pezzo. Alla mia risposta, vidi che ci rimase male, abbozzò un sorriso forzato, e dopo qualche altra facezia ci lasciammo.

Era passato ancora un periodo di tempo molto lungo e lo incontrai una sera in centro mentre stava chiacchierando con degli amici.

Appena mi scorse mi fece cenno di fermarmi. Mi chiese se potesse offrirmi un aperitivo.

Entrammo in un bar e mi raccontò che il suo datore di lavoro era molto soddisfatto di lui e che lo considerava quasi un famigliare.

Dapprima si era occupato della coltura della vite e della vinificazione. Col crescere del fatturato divenne necessario sviluppare la commercializzazione e gli fu chiesto dalla proprietà se potesse occuparsene tralasciando, almeno in parte, il suo ruolo.

Lui ne fu ben lieto: gli piaceva viaggiare e conoscere gente. La produzione andava molto bene e anche le vendite si sviluppavano in maniera positiva. Visti i promettenti risultati, l’azienda acquisì parecchi terreni, incrementando in modo cospicuo il fattura-to.

Considerato il successo lusinghiero suggerì al principale di avventurarsi nei mercati esteri. Gli precisò che conosceva francese, inglese e un po’ di tedesco e che sarebbe stato lieto di occuparsi dello sviluppo delle vendite in Europa. Il suo datore di lavoro ne fu entusiasta, ascoltò il suggerimento di creare un marchio e di partecipare alle fiere nazionali e internazionali.

Questo incarico lo occupò moltissimo e spesso era assente per lavoro per settimane intere. La sua conoscenza del mestiere e delle lingue gli permise di stringere rapporti di lavoro e di amicizia con molti commercianti e produttori di Francia, Germania, Spagna, Inghilterra. Propose a molti di fare degli scambi di prodotto e convinse il principale di affiancare alla produzione anche la distribuzione e commercializzazione di vini e liquori stranieri.

Questa decisione fu vincente: dava uno sbocco importante alla produzione casalinga e procurava notevoli guadagni col commercio dei prodotti altrui.

– Come vedi le cose mi sono andate molto bene. E tu, come te la passi? Ti sei sposata?

– No, ma ho cambiato moroso un’altra volta, e tu?

– Io sono sempre alla ricerca, ma quelle che mi piacciono sono tutte sposate o fidanzate.

– Vedrai che prima o poi troverai anche tu la tua anima gemella.

– L’avevo trovata, lo sai, ma sono stato uno stupido, se quella volta ci avessi pensato seriamente…

– Eravamo tanto giovani e non credo che avrebbe funzionato. Ti auguro di trovare presto quella che cerchi.

– Anch’io ti faccio gli auguri che questo nuovo moroso sia quello definitivo.

Per molto tempo non lo rividi più.

Una sera, mentre stavo salutando una collega con la quale avevo appena cenato, lo incrociai:

– Ciao, Michela – esclamò col suo sorriso disarmante – ne è passato del tempo dall’ultima volta che siamo visti, ma tu non sei cambiata per niente, sei sempre più bella!

– Non prendermi in giro, ti prego, quando mi guardo allo specchio vedo benissimo che il tempo è passato. Come va? Ti sei sposato?

– Non ho ancora trovato quella giusta, e tu?

– Uh! Ero sul punto di farlo, avevamo già fissato la data, quando qualcuno mi informò che Giovanni, il mio fidanzato, mentre corteggiava me, frequentava un’altra. Puoi immaginare!

Tentò di minimizzare dicendo che a lui non importava niente di quella, che era lei che lo cercava di continuo, che l’avrebbe lasciata immediatamente. Ma io ho preferito mollarlo: se queste erano le premesse, puoi immaginare il seguito! E ho fatto molto bene, perché, pochissimo tempo dopo, ho saputo che l’aveva messa incinta. Ti figuri?

– Neanche tu, come me, sei fortunata in amore a quanto capisco. Quando è successo?

– L’anno scorso, capirai, dopo due anni di convivenza trovarsi una sorpresa del genere credo che scoraggerebbe chiunque a compiere il passo! Ho imparato a diffidare degli uomini in generale.

– Allora non frequenti nessuno adesso? Sei libera?

– Libera e delusa: questa esperienza mi ha quasi convinta a restare sola, almeno così non corri rischi come quelli. In fondo non si sta male neanche così. Ho il mio lavoro che mi soddisfa pienamente, una cerchia di amicizie femminili con le quali mi diverto a fare gite e viaggi. E, per dirla tutta, ho ormai già compiuto trentaquattro anni e penso che l’età del vero amore sia passata, specialmente dopo delusioni del genere. L’unica cosa che mi rammarica è che la vita non è così bella se sai che a casa non c’è nessuno felice di aspettarti quando rientri.

– Puoi sempre trovare un altro che ti aspetti alla sera.

– Non è così facile, quando mi guardo intorno non vedo nessuno di così interessante da indurmi a rischiare.

– E se lo avessi a portata di mano?

– Che cosa intendi dire?

– Non potresti prendermi in considerazione per una seconda volta? Sfortunata tu, sfortunato io, può darsi che, mettendo assieme queste due infelicità, possa scaturire qualcosa di gratificante per entrambi.

– Tu? Sarebbe stato bello se me lo avessi chiesto vent’anni fa e ti avrei preso a braccia aperte. Non ho mai dimenticato i tuoi occhi azzurri e i tuoi capelli d’oro.

– Neanche io ti ho mai dimenticata, né tanto meno ho scordato il dolce sapore dei tuoi baci. Vent’anni fa non avevo sicuramente idea di trovarmi una ragazza per la vita, non volevo illuderti, egoisticamente pensavo al mio avvenire, ho voluto fare una cosa che poi nella vita non avrei più potuto permettermi di fare. Mi sono divertito, ho fatto cose bellissime da militare. È stato entusiasmante, i migliori anni della mia vita. Ma, tornando a noi, ho perso il treno o sono ancora in tempo a saltarci su?

– Me lo stai chiedendo davvero? Guarda che potrei anche dirti sì!

– E dimmelo allora!

– Si può sempre provare, no? Voglio prendermi questo rischio. Non me ne farai pentire? Guarda che non potrei mai perdonarti.

CONTINUA

MIO MARITO? UNO SCONOSCIUTO è un romanzo di Rodolfo Antonio Zanardi

genere: ROMANCE

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