SOMETIMES I HEAR SIRENS di Davide Farinella

Il grande orologio in legno di mogano, con le lancette in ferro battuto ormai arrugginite dal tempo, segna le 11:26.

La tenue luce invernale entra dalla finestra posta dietro la scrivania di Marco, anch’essa in legno di mogano. Lui è il superiore, o meglio il boss, del detective Davide, che si pone sempre con quel corpo atletico e quel viso da prima pagina di una rivista di moda o gossip. Tutto il resto che compone l’arredamento della stanza è rigorosamente fatto in legno di mogano, proprio come piace a Marco. Proprio come tutti i mobili che ha in casa. Una passione presa dalla moglie Eleonora probabilmente. Questo fa presagire un’attitudine tendente alla vecchiaia e alla pensione, oramai vicina, vista la veneranda età, che gli ha fatto mettere su qualche chilo di troppo e fatto perdere altrettanti capelli lasciandolo solo con qualche pelucco sul capo.

Entrambe le loro mani sono appoggiate sulla scrivania piena di scartoffie inutili. Pile e pile di carte bianche piene di inchiostro sprecato per cause e indagini stupide e senza senso, proprio come appare quella che si presenta a loro la mattina stessa. Proprio come i loro corpi seduti l’uno di fronte all’altro.

La bella e servizievole Maria, bussa piano, ma non aspetta alcuna risposta. Entra subito, e si porta addosso, nel giro di pochi secondi, gli occhi dei due uomini. Sul seno ovviamente, con la divisa sbottonata quanto basta per far intravedere le rotonde prosperità di Madre Natura.

Facendo finta di esser tonta, ma ben disposta alle attenzioni altrui, avanza con quel fare da gatta morta. Coi capelli legati in uno chignon avanza un passo dopo l’altro, ondulando col bacino, mentre il seno rimbalza all’impazzata, trattenuto solo dal reggiseno nero, poco sporgente dalla scollatura. Ma niente da fare, i loro occhi da falchi non si staccano, indirizzati anche dal vassoio che la donna tiene stretto tra le mani.

La donna avanza fino alla pregiata scrivania, riportando alla realtà i due sognatori. Porge un piattino a Marco:

«Tenga signore!»

Prende dal piccolo vassoio argentato una bustina di zucchero e gliela apre davanti agli occhi. Svuota il contenuto all’interno della tazza, mentre col piccolo cucchiaino al lato della stessa, Marco gira e mescola.

«E questo a lei detective!»

 Il secondo piattino arriva tra le mani di Davide, che le risponde con immensa cortesia e una voce molto più profonda rispetto a quella abituale.

«Grazie Maria.»

Gli occhi si incontrano. Blu e castani. La scintilla scatta, e la donna si morde di poco il labbro inferiore colorato di un rosso elettrico, passandoci sopra, subito dopo, con la lingua.

Marco, probabilmente per invidia e non per professionalità, li riprende subito.

«Maria!»

«Si?» la donna scosta lo sguardo da Davide e si ricompone con rapidità ed eleganza dal lato opposto della scrivania.

«Novità?» chiede con impaccio cercando di non dar nell’occhio.

Il giovane detective non ascolta le parole del vecchio, ma guarda solamente la fede dorata nell’anulare sinistro della donna. Pensa solo a chi ci sia dietro quello stupido arnese. A ostacolare le loro passioni.

«Si, sono qui dei certi signori Villa. Hanno chiesto di lei.»

«Tutti chiedono di me!»

Marco espone la propria arroganza senza quasi pensarci. Ormai abituato a farlo, non se ne rende neanche conto. E chi gli sta intorno non se ne preoccupa più di tanto. Ogni sua parola è oro colato. Lui è pur sempre il boss lì dentro.

«Falli pure entrare.»

«Bene.»

Maria si volta con la stessa eleganza femminea con la quale è entrata. Ripercorre i pochi metri che la separano dalla porta. Ora i quattro occhi, si posano sul culo. Perfetto, rotondo e bello sodo, nascosto dentro la gonna nera della divisa.

Prima di chiudere la porta, la signora gatta morta, si volta verso l’interno. Guarda di nuovo, con la stessa carica sensuale, Davide e proclama con voce calma e tenera:

«Per qualsiasi cosa, chiamatemi, sono qua fuori.»

La porta si chiude. Un leggero rumore metallico porta di nuovo al silenzio dentro l’ufficio di Marco, che si volta con uno sguardo punitivo verso il giovane.

Davide, guarda la porta, propenso nel pensare ad una qualsiasi scusa per richiamare a sé Maria, o il suo splendido corpo. Chi non è succube di quella donna vedendola passare nella stazione?

Si sente osservato, una brutta sensazione, che lo distoglie dai suoi pensieri erotici. Volta la testa e fissa Marco. Un testa a testa psicologico, ma che Davide vince già in partenza, vista la veneranda età del superiore.

«Non cambierai mai! Eh?»

Davide alza le spalle senza rispondere. Gli sorride, cosa che fa scattare una risata beffarda anche al rivale.

«Goditela finché puoi. Una volta al tuo posto c’ero io. E al mio, un altro vecchio» sospira fermandosi un attimo. «Il tempo passa per tutti. Goditela finché puoi, basta che non ti fai  beccare» porge lo sguardo sulla fede di Davide, che a sua volta la guarda pensando rattristato all’eterna prigionia.

Il giovane detective alza lo sguardo e sorride beffardo. Sbeffeggia le parole del superiore. D’altronde chi pensa alla vecchiaia con la vita davanti a sé? Le uniche preoccupazioni sono scopare, mangiare e fare carriera…e tutto subito, il prima possibile, senza aspettare. Senza ostacoli.

Questo pensiero felice, ma momentaneo, si interrompe all’improvviso bussare della porta.

Uno…due…tre…quattro tonfi con forza crescente. Solo da questo, i due colleghi riescono a capire l’agitazione presente all’esterno della stanza.

«Avanti!»

La porta in mogano si apre.

Dietro di essa, spuntano come due funghi, una coppia di sposi sulla sessantina. I coniugi Villa, Giada e Nicola. Entrambi con umili vestiti. Probabilmente perché sono gli stessi che portano da giorni e giorni. Stralciati in ogni dove, quasi come se si stessero per strappare e li lasciassero del tutto nudi davanti agli occhi di tutti. Ma a loro non interessa, o almeno così danno a intendere. Hanno altre preoccupazioni. Più gravi.

L’uomo, con la mano tremante, chiude la porta.

Lo stesso scatto metallico precedente, poi il silenzio.

Si volta di nuovo, e assieme alla moglie, sta dritto in piedi come uno stupido che aspetta un miracolo divino. Ma questo non avviene e il silenzio persiste imbarazzando i due colleghi, che si guardano l’un l’altro, inermi sul da farsi.

«Mmh» mugugna Nicola stringendo il cappello, che nel frattempo si è tolto dalla testa, tra le mani arrossate per il freddo.

«Si?» Marco esorta i due coniugi ad esporre il tutto, ma ancora niente. Silenzio.

Davide si volta a fissare con gli occhi sbarrati prima Marco, che non si volta, ma rimane concentrato sugli ospiti sempre più strambi e indesiderati, poi di nuovo sulla coppia stessa.

«Quindi?» anche il giovane detective, innervosito dal silenzio sempre più imbarazzante, li esorta come può.

La testa si sporge in avanti, come per staccarsi dal collo e arrivare proprio di fronte a Nicola per urlargli con quanta più forza:

«NON ABBIAMO TEMPO DA PERDERE QUA!»

 Ma non si stacca e si limita solo al leggero spostamento.

«Signori Villa, potete per favore, dirci qual è il problema? Abbiamo tante cose da fare stamattina!»

L’aggiunta dell’ultima frase è solamente allegorica. In realtà tutti sanno che non hanno nulla da fare a parte mangiare ciambelle e giocare a qualche solitario sul computer. Solo Davide ha veramente altro da fare.

Finalmente, la donna prende coraggio e si avvicina. Squadra il marito, incapace di prendere posizione ed esporre i fatti. Inerme e inetto. Piccolo e insignificante essere. Gli è stato concesso il dono della parola, ma non ha neanche la vaga idea di come usarla. Piuttosto era meglio che comunicasse a versi o gesti come qualsiasi muto o sordo, sicuramente più espressivo e comprensibile.

«Siamo qui» la donna esita e abbassa la testa «per nostro figlio.»

«Andrea» la prima parola sensata proveniente dall’uomo è il nome del figlio. Forse questo nome gli ha riportato un attimo di lucidità, poi sfociata immediatamente nello stesso mutismo selettivo precedente.

«Si, Andrea» ribatte la moglie.

«Ok, ma se continuiamo con questo passo, facciamo notte. Giada, Nicola» il capo scandisce come non mai i loro nomi, ormai innervosito e impaziente.

Alzano entrambi le teste all’unisono.

«Cos’è successo a vostro figlio Andrea? Possiamo saperlo, o deve rimanere tra voi?»

Davide ascolta Marco senza guardarlo. Trova il suo modo comprensibile, ma inopportuno. Nessuno, a parte quei due individui, sa cosa sia successo, o forse neanche loro. Ma prenderli in giro su un fatto ancora sconosciuto, e magari tragico gli sembra offensivo e inutile, proprio come nella situazione “erotica” precedente alla loro entrata.

“Vecchio decrepito e malandato, mi fa proprio pena. Inutile agli altri e ancora più a sé stesso” pensa tra sé e sé il giovane.

«Scusate l’impertinenza del mio collega.»

Davide parla finalmente e la sua voce calma, rassicura la coppia, mentre infastidisce Marco, che lo squadra storcendo la bocca dopo un breve sorso dalla tazza di caffè.

«Siamo molto di fretta, come vi ha già detto il mio collega. Non vogliamo che vi stressiate nel raccontarci tutto, ma se non riuscite a parlare adesso con noi, potete mettervi fuori e spiegare tutto alla nostra assistente Maria. La signora che vi ha fatto entrare.»

Al solo pensiero, Davide pare entusiasta. La rivedrà pure lui stesso. Cosa c’è di meglio, levarsi di dosso un caso apparentemente inutile e riaccendere la fiamma. Un pensiero invitante, che sfuma alle parole della donna.

«No,» due lettere secche «siamo venuti oggi, e oggi finiamo!» Giada sospira a pieni polmoni ed espira in un’unica botta. «Nostro figlio Andrea è scomparso da tre giorni» si porta la mano davanti agli occhi per coprire le lacrime di paura e dolore che iniziano a solcare sulle guance.

La toglie poco dopo levandosi le ultime gocce rimaste, ma nulla può nascondere gli occhi gonfi e lucidi che si fermano sul soffitto. Un sospiro profondo e roco:

«Non sappiamo dove sia e siamo preoccupati!»

«Come tutti i genitori in questa situazione, penso!»

Ancora una volta, l’impertinenza e la finta sagacia di Marco risultano estranei al mestiere e alla professionalità che esercita.

“Stupido stronzo insensibile” Davide si convince sempre di più nella sua testa, giorno dopo giorno, che quell’uomo a parte le stelle al valore e la posizione all’interno della stazione, non valga un beneamato cazzo. “Stupido coglione. Vorrei vedere te al loro posto. Tuo figlio scomparso da tre giorni. Vorrei vedere se ridi ancora dopo e ti viene voglia di poggiare quegli occhi da porco sulle assistenti più giovani di venti, se non trent’anni.”

Ma i pensieri sono solo pensieri, e tali rimangono. Davide non vuole perdere il lavoro per dei pensieri, anche se veritieri e condivisi da molti, se non da tutti, all’interno di quel posto.

«Si, ma non risponde al telefono. Chiamate, messaggi. Non l’aveva mai fatto prima!»

«Ha sentito i suoi amici signora?» Davide cerca di darle conforto mantenendo la stessa voce calma.

«Si, l’unica cosa che ci hanno detto, è che doveva uscire con una ragazza.»

«Chissà perché sempre le donne intrigano gli uomini in situazioni ostili» il pensiero ironico passa veloce nella testa del detective, che si riprende subito. «Sa come si chiama per caso questa ragazza?»

«No, non ci diceva mai niente delle sue relazioni, e noi non volevamo insistere. Sa, sono cose personali!»

«Peccato, sarebbe stato utile» l’impertinenza di Marco questa volta ha delle fondamenta salde, e per quanto difficile da ammettere, ha totalmente ragione.

«Si, sarebbe stato utile» rimarca Davide, accarezzandosi la barba curata. Il silenzio torna e pervade la stanza, finché gli occhi di Davide si illuminano:

«Signora, può darmi il nome e il numero di telefono di questo amico di suo figlio?»

«Certo, lo prendo subito» la mano con la fede che risplende, si perde all’interno della borsetta nera. Fruga e si sposta tra le varie cianfrusaglie presenti. Esce con un telefono antiquato, ancora a tasti. Se lo porta davanti alla faccia (La vecchiaia gioca brutti scherzi, e la vista è uno di questi). Accende lo schermo e apre la rubrica piena di contatti di altre anziane signore. Si avvicina al giovane detective e gli porge il telefono:

«Lo prenda lei per favore, non vedo bene. Cerchi Cristian, amico di Andrea tra le parentesi.»

Davide, senza pensarci, prende il telefono della donna e digita il nome, come detto da lei. Lo trova.

Tiene il telefono in una mano, mentre con l’altra entra all’interno del soprabito, da cui estrae un piccolo taccuino con la coperta rigida e una penna attaccata al lato. Lo apre e segna il numero su un foglio bianco, con il nome del ragazzo subito sotto.

«Scusi signora, mi può dire il cognome, se lo sa ovviamente?»

«Credo sia Sulejmani, o qualcosa del genere, è albanese.»

«Perfetto, grazie!» segna il cognome. «Potrebbe darmi anche il numero di suo figlio già che ci siamo?»

«Certo. Lo segna lei o glielo scrivo io?»

«Faccia pure lei» il detective porge il taccuino e la penna alla donna, che in pochi istanti, strizzando gli occhi per la fatica, scrive le dieci cifre che compongono il numero telefonico del figlio, Andrea Villa.

Poggia, infine, il taccuino sul tavolo.

Davide lo gira nel verso giusto e lo guarda. Le due cifre sono le uniche piste per il caso, se così si può definire.

Dato quanto esposto e le uniche piste possibili, Marco accantonerà tutto di sicuro, visto anche l’astio contro quei due individui per cui non prova né pena, né nulla. Solo indifferenza insensata. Ma che ci vuoi fare? Sono poche le cose che quell’uomo non sopporta, a parte sé stesso.

La coppia saluta con timidezza. Nicola non alza neanche gli occhi. Poveretto, chissà cosa starà passando per la sua testa. Paura, rimorso, nulla. Neanche lui lo sa. Escono dalla porta, e il silenzio torna, questa volta pesante, pericoloso. Ogni parola potrebbe essere fatale nello scontro tra i due uomini.

Davide si limita a sospirare.

«Cosa ne pensi Davide?»

«Ti interessa davvero?» l’ironia pungente con cui le parole escono dalla sua bocca, fanno inarcare Marco e lo mettono in condizione di doversi difendere e rimettere i ruoli in ordine.

«Divertente. Davvero. Ti ricordo solo una cosa …»

«Sì, sì, lo so, non c’è bisogno di dirlo ogni volta» il giovane interrompe il vecchio. «A volte mi chiedo se ti rendi conto di come ti comporti con gli altri.»

È la prima volta che una frase del genere esce dalla bocca di Davide. Ha paura, ma sa che se verrà cacciato via, avrà altre possibilità.

Stranamente, però, Marco si chiude in sé stesso e rimane in silenzio per alcuni istanti, finché consapevole della frase del collega, parla:

«Sì, ma non posso farci nulla» il tono stranisce il giovane detective.

Debole, sincero e diretto.

«Mi dispiace. Se vuoi, scelta tua, puoi proseguire il caso. Fammi sapere, così faccio aprire le pratiche» aggiunge subito dopo.

Davide rimugina più volte, in pochi attimi, su quello che è appena accaduto, ma la porta dell’ufficio si apre di nuovo, di scatto.

Entrano rapidi nella stanza Jonathan Piras e Nicolas Bonazza, giovani detective anch’essi, ma meno sagaci. Si piazzano coi loro corpi atletici e possenti davanti alla scrivania. In piedi ai lati di Davide.

«Ma che cazzo di modi sono questi? Bussare no? Stavamo parlando, io e lui» indica Davide con un piccolo gesto della mano.

Entrambi sono consapevoli del fatto che non stavano parlando di niente. Il boss voleva riprendersi solo dal colpo al cuore e all’orgoglio. E magari fare qualche confessione a quello che nella sua testa, in un futuro prossimo, siederà al posto suo.

«Tra poco andiamo, non preoccuparti» esce dalla bocca di Jonny.

Sembra che tutti i detective sulla Terra parlino allo stesso modo. Calmi, rilassati, voce profonda e determinata. Non un errore grammaticale, non un sussulto, niente di niente.

«Non so voi, ma questa mattina è partita in modo molto strano. Sia per me, che per Nicolas.»

«Quindi?»

«Sono venute due famiglie. Da me i signori Ferraretti, e da lui i signori Fatoum. Entrambi i figli sono spariti nel nulla da un paio di giorni. Nessuno sa niente. Loro, amici o chiunque altro. Hanno solo una cosa in comune.»

Davide interrompe il collega finendo la frase per lui:

«Un incontro con una ragazza?»

I due colleghi si fissano e Jonny annuisce scuotendo la testa avanti e indietro.

I quattro presenti rimangono in silenzio e pensano se tutto questo abbia un senso. Se per caso i tre casi, così simili, siano uniti da un sottile filo, quasi invisibile. Forse. Tre giovani, tre famiglie, tre scomparse. Tre donne.

«Direi che ho sentito abbastanza. Davide, devo darti ragione per la seconda volta oggi» la sua voce trema di poco. D’altronde lui è solo il boss, non più un detective ormai. Pare normale che non sappia controllare la voce.

«Ti affido il caso. Portati dietro pure questi due coglioni!»

«Certo.»

«Andate via. Maria!» la voce del boss tuona forte e rimbomba nell’ufficio.

La gatta morta entra poco dopo col solito passo sensuale. Ora, oltre i primi quattro occhi, anche i secondi quattro si fissano sulla piccola sfilata. Strano pensare come un ufficio così “importante” possa diventare in pochi secondi una passerella.

Al passaggio, la mano calda e soffice della donna sfiora la gamba di Davide. Un sussulto del corpo. Un piccolo brivido gli corre lungo la spina dorsale e si ferma alla testa. Chissà cosa starà pensando…

«Andate e non perdete tempo» interrompe bruscamente quell’uomo.

Alla vista delle bocce e del rossetto è tornato alla normalità e ha cancellato le confessioni appena fatte trapelare. Stupido uomo.

Ai tre giovani detective non resta altro che uscire dalla stanza senza alcuna esitazione.

La porta si chiude, ma Davide continua a pensare alla donna dietro di essa, che in un modo o nell’altro gli viene ingiustamente tenuta lontana. La vorrebbe solo vedere. Almeno questo è quello che direbbe adesso. Poi ogni volta chiederebbe, osando, qualcosa in più. Come dargli torto. Almeno non è vecchio e viscido.

Quella stessa mattina, Davide e i due coglioni, così come li chiama sempre il boss, si mettono al lavoro assieme, nell’ufficio privato del primo. Molto pulito e con un ordine quasi maniacale, che dimostra come ogni minimo dettaglio per lui sia assolutamente rilevante come pista da seguire. Tutti seduti comodi sulle loro sedie in pelle nera. Taccuini alla mano e appunti segnati su una lavagnetta di sughero. Numeri, nomi, piste, collegamenti, tutto quello che gli passa per la testa.

«Non è molto, ma da questo dobbiamo partire» gli occhi dei due coglioni, alle parole di Davide, si attaccano alla lavagnetta.

Eh, sì, in pratica è poco più che niente. Le pratiche, tuttavia, sono già state aperte e ora bisogna almeno provarci.

Ma come muoversi?

Bella domanda!

«Io sentirò questo Cristian Sulejmani.»

Il numero e il nome compaiono chiaramente su un post-it bianco con una bella calligrafia, elemento che sottolinea ancora una volta la grazia del detective.

«Voi sentite gli altri due. Finito, tornate qui e mi dite quello che avete scoperto, ok?»

 Anche nell’impartire gli ordini, visto che è lui a capo dell’operazione, Davide è gentile e garbato.

I due uomini annuiscono ed escono ubbidienti dalla stanza, fuori la quale iniziano subito a parlare al telefono.

Davide, rimasto solo nella tranquillità della stanza, compone il numero dell’amico di Andrea e si porta il telefono all’orecchio.

«Sì? Pronto!»

«Parlo con Cristian Sulejmani?»

«Sì, chi parla?»

«Davide Farinella, detective. Posso rubarle un momento?»

«Sì, sì, sono in pausa da lavoro tanto. È successo qualcosa?»

«Lei conosce un certo Andrea Villa?»

«Sì, perché?»

Il tono della voce cambia. Molto probabilmente, dopo la chiamata della madre di Andrea, si aspettava una chiamata simile.

«Volevo chiederti qualche informazione su di lui, se non ti dispiace.»

La calma pervade la frase e rassicura l’interlocutore al capo opposto.

Rasserenato da tale stato d’animo, il ragazzo accetta e anzi propone, visto l’imminente ritorno al lavoro, a Davide un colloquio faccia a faccia in un piccolo irish pub poco distante dalla propria postazione.

In poche frasi concise, l’appuntamento è fissato per qualche ora più tardi.

Il tempo rimanente, Davide lo passa in maniera inutile. Seduto sulla comoda sedia a curiosare su internet. E quando finalmente giunge l’ora prefissata, spegne tutto ed esce dalla stazione.

Il tragitto in macchina vola anche grazie alla radio che gli tiene compagnia con un po’ di musica classica, la sua preferita. Forse è proprio da questo amore musicale che è nata in lui una cura maniacale ai dettagli e una calma pazzesca, a tratti fastidiosa agli occhi di chi gli sta intorno.

Parcheggia la macchina lungo un piccolo viale e scende avviandosi verso l’irish pub. All’esterno sono presenti poche persone in cerchio che chiacchierano, bevono birre e fumano, sollevando vari rivoli di un fumo denso grigiastro.

Ma di Cristian Sulejmani non c’è traccia.

Decide perciò di entrare, senza ulteriori esitazioni, all’interno. Magari è proprio lì dentro che lo aspetta. Infatti, varcata la porta a vetrate oscurate, si ritrova immerso in un’atmosfera soave, che lo accoglie e lo indirizza al bancone, dove proprio Cristian è in attesa con le mani intrecciate tra loro e le braccia tese.

Lo sgabello girevole ruota di poco e Davide ci si siede sopra guardando il ragazzo. Ventidue anni massimo. Capelli corti, neri pece. Una barba ispida gli contorna il volto segnato dalla stanchezza del lavoro.

«Cristian, giusto?»

Il ragazzo si volta e annuisce, porgendo la mano al detective, che la stringe con forza mascolina e la scuote con rapidità. Il ragazzo, forse non abituato ad incontri del genere, o a qualsiasi incontro di “affari”, mostra debolezza nella stretta. Ha molto da imparare. La stretta di mano tra uomini e la prima presentazione, e pone subito i ruoli della conversazione.

«Una birra?» chiede gentilmente il ragazzo, che ottiene una risposta affermativa. «Dai, offro io.»

Il barista prepara due pinte di una luccicante birra chiara. Quello che ci vuole dopo una giornata di lavoro. Dopo tutto bere una birra durante un incontro del genere ti aiuta a non risparmiare l’interlocutore e a tirar fuori qualsivoglia dettaglio, anche il meno irrilevante.

E, tra tutto l’ambaradan di informazioni private e non di Andrea, finalmente salta fuori l’unica pista iniziale. Forse la più importante però. Cristian racconta passo per passo le parole e le conversazioni con l’amico sulle varie uscite con più ragazze tramite un sito d’incontri online. Lui stesso l’aveva consigliato all’amico dopo la fine di una relazione. Lo vedeva abbattuto e voleva aiutarlo a trovare una nuova fiamma. O anche solo un passatempo che lo distogliesse dalla malinconia e la solitudine provata.

Su queste parole, proprio Davide si sofferma. Si rivede in tutto e per tutto. Il matrimonio l’ha reso debole e noioso. Il sesso era diventato passeggero e ormai neanche più piacevole. Una sorta di routine in modalità aerea, con l’autopilota. Capiva appieno la scelta di cercare qualcuno con cui creare emozioni forti, anche se istantanee. Anzi l’idea lo portava immediatamente alle rotondità della bella e seducente segretaria.

Sorso dopo sorso, Cristian entra nei dettagli più minuziosi e sconci. Tra amici ci si raccontano tante cose a livello sessuale. Molto probabilmente anche ingigantite per porsi grandi e potenti davanti agli altri, nascondendo la propria impotenza e insicurezza.

Fatto sta che nelle pagine bianche del proprio taccuino, Davide segna tutto con estrema precisione. Lettera dopo lettera, informazione dopo informazione.

Fatto ciò, beve l’ultimo sorso di birra e ringrazia il giovanotto per il tempo e le importanti confessioni, lasciandolo poi solo ai propri pensieri e alla seguente birra.

La macchina riporta Davide alla stazione, dove ormai tutto sta per essere chiuso. Entra di fretta nel suo studio, portandosi appresso Nicolas e Jonathan. Tutti parlano, uno alla volta, del medesimo sito d’incontri online. Un caso? Non c’è da crederci.

Ciò porta Davide a far chiamare Maria. La prima volta che la vede dalla mattina. Freme, ma per una volta, l’ansia e il caso lo distolgono dall’erotismo.

La donna, presi gli ordini, corre fuori dall’ufficio del detective e corre a chiamare Alessandro Bocchi, tecnico informatico ormai presente da anni alla stazione. Prima hacker di fama nazionale arrestato per essere entrato in più social network e banche rubando dati di vari account e denaro virtuale. Arrivato lì grazie ad una collaborazione durante un’indagine postale. Senza di lui, quei coglioni non ce l’avrebbero fatta.

L’uomo, come si può presupporre dalla professione e dalla passione riservata all’informatica e all’elettronica, si presenta con una faccia paffuta circondata da una lunga barba ed un paio di occhiali da vista. A differenza dei vari detective, il fisico lascia sicuramente a desiderare. Forse qualche pasto di troppo e nessun movimento per smaltirlo. Una vita passata su una sedia non è proprio il massimo.

Si chiude la porta dietro e rimane in piedi, con un’espressione di sofferenza. Vorrebbe sedersi, ma quelle sedie non sono per lui questa volta. Le gambe tremano, ma non ci deve pensare. Ora è il momento di ascoltare i superiori, si riposerà dopo.

La squadra presenta la situazione al collega, che inizia immediatamente a porgere domande mirate sull’utilizzo informatico nell’operazione.

Dati, numeri, nomi, contatti, informazioni. Tutto quello che gli serve gli viene esposto in pochi minuti, mentre con aria pensosa, si gratta la barba con le dita che si immergono all’interno di essa.

«Puoi trovarci qualcosa in più?»

«Scusa Davide, ma è il mio lavoro. Ovvio!»

In poche parole, insinua la stupidità dei presenti, che fingono di non notare ciò. Non vorrebbero offenderlo e non ottenere le sue grazie professionali.

Detto ciò, non rimane più nulla da dire. Alessandro esce con difficoltà dalla stanza e si appresta ad iniziare il lavoro assegnatoli nel poco tempo rimasto prima della chiusura. Molto probabilmente finirà tutto a casa. Vive da solo. O si porta il lavoro a casa, o mangia e guarda la TV. Questo lo stimola di più.

I due coglioni si alzano per lasciare l’ufficio. Salutano il caposquadra e lasciano libera l’entrata per Maria. Porta al giovane detective una bella tazza di caffè. Utile e allietante dopo un’intensa giornata di lavoro. Nel farlo si chiude la porta alle spalle e si avvicina sfilando solo per lui. D’altronde sono soli, per chi altro se no?

Un piccolo sorso rimette in forza Davide, che distaccatosi dall’intricato caso, si lascia trasportare, a fine giornata, dalla bellezza idilliaca della donna, che si avvicina ancora sedendosi sulla scrivania.

Le mani felpate, si aggrappano al collo di Davide, impietrito, quanto eccitato. L’uomo si avvicina alla donna e la bacia con delicatezza, che si tramuta subito in feroce passionalità. Le loro mani si muovono ovunque, tra i capelli e i vestiti.

Con un sorriso pieno di malizia, la donna allontana un attimo da sé l’uomo e le mostra la mano sinistra. La fede dorata risplende come mai prima. La tocca piano piano e la sfila con forza, appoggiandola poi sulla scrivania.

Davide le sorride con la stessa identica espressione. Fa lo stesso. Per un attimo loro sono liberi e scapoli. Tutto quello che accadrà rimarrà in quelle quattro mura sicure e confortevoli.

I loro corpi si uniscono in un amplesso pieno di gioia e istintività animalesca, mentre i due gingilli dorati giacciono senza più avere alcun effetto o peso sui loro freni inibitori. Un momento che aspettavano entrambi chissà da quanto. Il famoso attimo infinito. Il tempo si dilata e tutto si concentra in un unico punto, fissato nei loro corpi.

Com’è bello quanto un semplice atto, naturale, istintivo, brutale e fugace, diventa qualcosa di più profondo che una semplice scopata. Qualcosa che unisce due anime separate da scelte sbagliate o troppo frettolose e da percorsi di vita diversi, che li hanno portati ad unirsi solo in questo preciso momento. Ne dovranno pagare sicuramente le conseguenze, ma non importa a nessuno. Per certe cose le conseguenze sono semplici ostacoli da abbattere.

Entrambi orgasmano, ma non si fermano fino alla chiamata di qualcuno all’esterno, forse il custode che avvisa la chiusura imminente della stazione. Passi vari si accavallano e si portano verso l’uscita, mentre all’interno del harem, i due amanti si rivestono e si rimettono le fedi agli anulari. Simboli di prigionia. Un ultimo bacio e fuori anche loro dalla stazione. Per strade diverse, ma con gli sguardi in continuo contatto febbricitante.

Neanche il rombo del motore riporta Davide alla realtà dal sogno ad occhi aperti. Solo la vista della casa con la quale condivide il proprio spazio lo risveglia. Una profonda e indescrivibile malinconia lo affatica e gli rende il respiro affannoso. Ogni piccolo, anche se microscopico, movimento corporeo pesa come un macigno. Il prigioniero torna in cella con la palla al piede.

Salire le scale del condominio fino al secondo piano poi. Si trascina come può col corrimano. Paradossale, proprio a lui che da giovane i genitori avevano insegnato che su c’è il paradiso e giù l’inferno. Ma erano parole al vento visto che loro si sono amati solo prima che nascesse. Poi il precipizio come ogni famiglia. Proprio questo pensa durante la scalata verso la gogna. Già il suo matrimonio lo rende infelice, pensare ad un bambino lo tormenta ormai ogni istante assieme a Caterina, la moglie che tanto ne desidera uno da tempo ormai.

La chiave di casa gira a fatica. Il primo passo è fatto. La porta si chiude e pure il secondo è andato. Il terzo richiede più sforzo.

«Ciao amore!» la voce è roca e trapela malinconia in tutta la stanza ben ordinata come l’ufficio.

Ognuno si porta un po’ di lavoro a casa e un po’ di casa a lavoro. Questo, come per Marco, ne è la prova evidente.

Caterina, una graziosa donna in abiti casalinghi coperti da un lungo grembiule, spunta da dietro la porta della cucina e si avvicina col sorriso sul volto:

«Ciao amore, ti stavo aspettando!»

Un bacio. Freddo come la stagione che sta passando. Ma non se ne rende conto, lei è davvero innamorata.

«È quasi pronta la cena!»

Un sorriso falso e tirato contorce il volto stanco del marito, che si toglie le scarpe e si infila le ciabatte, forse le cose reali più simili ad una palla da carcerato che conosce.

«Com’è andata la giornata?» la voce femminea risuona dalla cucina. Ecco che inizia il calvario e la solita noia quotidiana.

Il pranzo, invitante e fumante, metterebbe fame anche dopo mille portate e un dessert. Due pietanze divise in piatti eguali, così come piace a Caterina. Condividere tutto equamente, se non dare di più all’altro. Che pena quella donna, non si rende conto della situazione e continua a profusione con i propri sentimentalismi e le proprie avventure con un uomo che non la considera affatto, se non come una guardia demoniaca.

La cena continua tra la continua eloquenza della donna e il medesimo zittire del coniuge.

«Non hai parlato tutta la sera. Qualcosa non va?» finalmente con questa domanda la donna sembra essersi accorta di qualcosa o una sorta di Caronte.

«Sono solo stanco» le parole gli escono fuori dalla bocca da sole, e la donna ritorna come prima a intavolare il proprio monologo.

Come può credergli? L’amore è strano.

Finito finalmente il pasto, simile a quello nel braccio della morte, la donna richiama a sé Davide:

«Lo so cosa ci vuole per tirarti un po’ su dalla stanchezza.»

Detto questo si avvicina e inizia a massaggiargli con delicatezza la testa e il collo. Un bacio sui capelli, un bacio sul collo. Potrebbe accorgersi dell’odore di Maria, ma non succede.

Aiuta il marito ad alzarsi di peso dalla sedia e si buttano sul solito divano iniziando a scopare. A fatica si direbbe che non sia uno stupro. Davide quasi piange, ma si trattiene. Non vuole, almeno per ora, dire nulla alla moglie. Così rimane immobile e finge tutto il tempo, che questa volta, in maniera diametralmente opposta, dura veramente un’infinità. E allo stesso modo, l’unico punto dell’Universo e lui stesso, mentre si concentra per venire il prima possibile e porre fine a quell’irrimediabile strazio a qui è sottoposto.

Tutto finisce. Un bacio più freddo di quello dato al ritorno a casa.

«Ti amo!» la voce soffice della donna infastidisce le sue orecchie.

«Anche io!» cercando di rimanere il più possibile vero.

I due corpi si staccano e la moglie va a letto, mentre Davide dopo la faticaccia, rimane lì immobile con una pesantezza che lo porta piano piano al sonno, mentre i suoi ultimi pensieri si fissano su Maria.

Un unico pensiero pervade quel poco di lucidità rimastagli:

“adesso muoio di sonno per scoparti nel sogno!”

E così succede, finché si sveglia di soprassalto durante la notte. Tutto tace. Tutto è buio e tetro. La moglie giace tranquilla nel letto matrimoniale tra i propri sogni, probabilmente mirati al marito o qualche fantasia personale. Poco dopo torna a dormire senza più riprendersi fino alla mattina per andare al lavoro.

Alla centrale, passa in sordina in mezzo a tutti, rifugiandosi tra i suoi pensieri all’interno dell’ufficio. La prima a presentarsi a lui quella mattina è Maria.

“Per fortuna” pensa vacillando.

Solito caffè con tanto di un bacio e una toccatina. Una piccola risata che gli rallegra la giornata. Ora può finalmente lavorare, e fa chiamare i due coglioni, che arrivano dopo pochi attimi.

La giornata passa nel nulla più totale, in attesa di Alessandro, che quasi all’orario di chiusura entra con forza, senza neanche bussare nell’ufficio. Gli occhi rossi dietro agli occhiali palesano l’assenza di sonno. Tutta la notte, e tutta la giornata, ha portato avanti le richieste di Davide riducendo, anzi, guadagnando tempo sull’indagine. Che solerzia.

Per questo il caposquadra decide di offrirgli la propria sedia, ponendosi in piedi poco dietro di essa. Non era mai successo, ma c’è sempre una prima volta, soprattutto in casi come questi e in una giornata così allegra.

Il grosso omone appoggia il portatile e lo apre. La pagina di un sito di incontri è già aperta in tre diverse finestre. Una per ogni ragazza, che presenta con estrema cura, mentre tutti e tre i taccuini si riempiono durante il dettato.

Tre donne nettamente differenti.

La prima, contattata da Lorenzo Ferraretti, è Martina Succi, definibile come “normale”. Capelli neri, occhi pure e un bel seno.

La seconda, Anna Bussolari, ai limiti della decenza. Bruttina è già un complimento. Dimostra almeno dieci anni in più dell’età che dichiara.  In contatto con Amin Fatoum.

La terza ed ultima, trovata grazie all’account di Andrea Villa, è Barbara Pucci. Lascia tutti, Alessandro compreso, chissà cos’ha fatto la notte con quella visione, a bocca aperta. Donna sulla trentina. Bionda, occhi azzurri, tette enormi e un viso angelico.

Ora, segnato tutto, non resta che una cosa da fare: scegliere la donna da seguire. Una per ognuno.

La tensione è alta. Tutti sanno chi vogliono, ma com’è facilmente intuibile la più bella finisce nelle mani del caposquadra, che mette in poco tempo tutti a tacere.

Mai mettersi a discutere con chi sta sopra di te.

Ne mancano due, e sicuramente nessuno vorrà la più brutta, ma per lo stesso motivo, se la dovrà prendere la persona con meno esperienza. Infatti, così è.

Martina Succi spetta a Jonathan, mentre Anna Bussolari, la più brutta, a Nicolas. Il meno esperto dei tre non la prende con molto piacere, sommerso anche dalle frecciatine irriverenti dei due colleghi.

«Ti sei preso la migliore; è tutta tua; guarda che gnocca!»

 Tutto per innervosirlo e togliere un po’ di tensione, che a quanto pare fa il suo effetto.

Ridono tutti e tre.

Alla fine, anche Nicolas la prende come un gioco. Il lavoro è pur sempre lavoro e bisogna rimanere professionali in ogni caso.

I tre si lasciano decidendo di iscriversi la sera stessa al sito d’incontri e di iniziare un confronto più ravvicinato con le uniche tre sospettate, mentre poco dopo, l’ufficio si trasforma per la seconda volta in un harem.

Di nuovo Davide e Maria. Ora senza ostacolo alcuni, senza freni inibitori, com’era successo il giorno precedente. Solo sesso, o amore come meglio si userebbe per descrivere una situazione del genere. Ormai si lasciano andare alle loro pulsioni trattenute per così tanto tempo, che non hanno neppure più paura di farsi sentire all’esterno. Tanto prima o poi lo verranno a sapere tutti.

Le voci girano sempre su tutti, tranne che a Caterina a quanto pare. D’altronde lei non conosce praticamente nulla della stazione. E anche se fosse, sicuramente non gli verrebbe riferito nulla. Il lavoro non si porta a casa ripeteva sempre Davide nei primi momenti. Anche se alcuni incroci sono impossibili da tenere estranei. Lei però l’ha imparato in fretta.

La notte, subito dopo l’ennesima tortura spirituale della vita coniugale, il giovane detective si sveglia di soprassalto nel sonno. Forse causato da qualche incubo che si porta dietro da tempo. Sembra abituato alla cosa, e ormai la moglie non si sveglia o spaventa neanche più.

Si tira su a fatica e recupera il proprio portatile dal tavolino mettendosi sul divano. Lo apre e lo accende prendendo il taccuino con gli appunti segnati durante la giornata. Cerca e trova subito il sito d’incontri, a cui si iscrive seguendo con cura tutte le indicazioni. Ora è iscritto e può entrare nel vivo di esso. I suoi occhi finiscono su alcune donne tra le più disparate età.

“Quante bellezze” pensa. Quante ragazze in cerca di sesso occasionale, magari certe che poi questo si trasformi in qualcosa di serio.

Fatto sta, che dopo alcuni pensieri pornografici, decide di cercare la donna, Barbara Pucci, digitando per intero tutte le lettere con estrema cura.

Un unico risultato.

«Wow» un sibilo fuoriesce nel silenzio spettrale. Gli occhi si sgranano. La fotografia di Barbara, la stessa donna vista la mattina esce sullo schermo. Bionda, occhi azzurri, tette enormi e quel viso angelico. Cosa si può chiedere di più da una donna? Ora capisce senza ombra di dubbio tutta l’attrazione di Andrea. Ma questa donna non è per tutti. Già si nota che la bellezza nasconde dietro una pantera.

Per poterla ammirare meglio ingrandisce la fotografia passando gli occhi su ogni piccola parte di essa. Per togliersi qualche altro sfizio visivo, cerca su internet qualche fotografia, ma nulla di nulla. L’unica cosa che porta il suo nome è indirizzato su quel sito. Tutti gli altri esiti portano a ragazze e donne che non si avvicinano neanche di un decimo a lei. Un diamante in un mare di terra e pietre.

Visti gli esiti negativi, torna subito sul sito per poterla ammirare di nuovo. Rimane immobile con mille pensieri in testa. La vista gli fa scordare tutto, Caterina, Maria, il lavoro. Ha occhi e testa solo per lei.

«Sometimes i hear sirens» l’unica cosa che in quel momento gli passa per la testa. Non sa come mai, visto che non conosce l’inglese, né tanto meno la provenienza di tali parole. Un film? Una canzone? Una poesia? Non se lo ricorda. Ma di certo la sirena l’ha attratto fin da subito, senza neanche aprire bocca e intonare qualche nota.

Indeciso sul come muoversi. Di certo non può trattarla come una donna qualsiasi, ci vuole un appiglio forte e deciso, che lo faccia risaltare in mezzo alle centinaia di richieste che riceverà al giorno.

Pensa. Pensa. E pensa ancora. Passano minuti, e poi quarti d’ora, mentre rimane immobile sul divano fissando tonto la fotografia.

Prende coraggio, e nell’oscurità apre la casella dei messaggi, avviando così la chat. Una piccola presentazione personale, qualche galanteria rimasticata da poeti passati e un semplice “ciao”. Poteva fare sicuramente meglio, ma aspettare e rimuginare non serve a nulla.

Dopo pochi attimi di silenzio, compare una notifica di messaggio. Barbara gli ha risposto. Non pensandoci due volte, preso da un istinto tanto irrefrenabile quanto inusuale, apre in fretta e furia la chat. In sole due giornate ha portato dentro la propria vita coniugale due donne diverse.

I giochi hanno inizio. E per un’ora abbondante si conoscono meglio tra fatti personali e domande molto ambigue, a cui rispondono entrambi con estrema sagacia. Due lupi pronti ad avventarsi l’uno contro l’altro. Si lasciano momentaneamente, consapevoli che domani ricominceranno di nuovo con la stessa energia.

“Ormai ci sono” pensa con un sorriso stampato in faccia, che nell’oscurità risulta alquanto inquietante.

L’uomo torna a dormire al fianco della sposa, incosciente di quello che le sta accadendo intorno. Presa da un sonno ristoratore, che domani le farà piacere al lavoro, e al rientro del marito.

Il mattino presto, poco dopo l’apertura. I tre colleghi sono seduti nelle loro solite postazioni, illuminati da quella luce soave e morbida presente nelle prime ore delle giornate invernali. Si raccontano l’un l’altro, tralasciandolo solo pensieri personali, delle chat avute con le ragazze corrispondenti. Tutti, tranne Davide hanno fissato un appuntamento per la sera stessa. Ciò porta pressione al caposquadra, che nel parlare si porta sul sito e cerca di concludere per un appuntamento la sera stessa. Cosa che a sua volta, dopo poche ore, si concretizza.

Nicolas, poveretto, viene deriso per l’intera giornata tra una chiacchierata e l’altra.

«Gli hai detto che è una bella ragazza?» gli chiede ironico Jonathan. Ma come il giorno precedente non se la prende. Deve stare al suo posto. Poi, così si passano le giornate i detective. Pettegolezzi, risate, e poco altro in un modo di violenza e meschinità.

Organizzato tutto, i tre si lasciano prendendo tre diversi walkie-talkie sintonizzati tutti sulla stessa frequenza. Qualsiasi necessità o problema, ci si avvisa a vicenda. Anche se probabilmente non ce ne sarà bisogno. Tre donne con tre detective, la situazione è sotto controllo.

Davide vola fuori dalla stazione senza neanche salutare Maria. Si precipita, correndo lungo le strade cittadine ancora semi deserte, manca ancora poco all’orario di punta, al primo negozio di abbigliamento maschile che conosce. Non può certo presentarsi con quell’abito così “normale” e sgualcito dal lavoro. Un grigio topo, che col tempo era diventato ancora più scuro. Un regalo del padre per la sua assunzione. Da quel momento non l’aveva mai tolto, neanche un giorno. Eppure, era sempre in ordine ad inizio giornata e profumato. Fatto sta che era arrivato il momento di trovare qualcosa di nuovo e più consono. La situazione lo richiedeva, e lui non si era mai fatto pregare in situazioni simili ad uscire dai propri schemi.

Uno smoking classico, elegante e nuovo di zecca. La scelta giusta, forse un po’ troppo eccessiva, ma sicuramente adatta alla bellezza di Barbara. Esce dal negozio già con l’abito addosso, lo aiuta ad entrare fin da subito nell’atmosfera in cui tra pochi attimi, separati solo dal tragitto in macchina, si ritroverà immerso.

La via datagli, lo porta in una stradina poco fuori città. Una zona residenziale, dove sono presenti solo case singole, molto signorili a quanto sembra. Non un negozio, non un bar. Solo case e campagna dietro di esse.

Davide parcheggia davanti al civico indicato dalla donna ed esce dalla vettura, avventandosi sul campanello dell’abitazione con in mano una pregiata bottiglia di vino rosso.

Una voce soave, quella di Barbara, lo accoglie con tratti di interferenza elettronica:

«Sì? Davide?»

L’uomo accenna un semplice «Sì» e la porta scatta. La voce è veramente simile a quella di una sirena, capace di attirare a sé qualsiasi uomo, anche il più forte di cuore e volontà come Ulisse.

Percorre un lungo vialetto cementato, tutto attorniato da un bel giardino curato. Sicuramente da un giardiniere con molta esperienza. Non un filo d’erba più alto degli altri. Non una foglia per terra. Che ordine.

Superato l’intero vialetto, il grande portone dell’immensa casa si spalanca.

Eccola! Dietro di esso, si erge in tutta la sua bellezza e sensualità, Barbara. Ancora più bella che in foto. Alla vista, un piccolo sussulto corre lungo la schiena dell’uomo, che si riassetta subito dopo.

Classica presentazione formale tra due sconosciuti. Il vino regala un sorriso sul volto della donna, che si complimenta per l’ottima scelta.

“Ottima mossa” si ripete nella testa ormai succube degli occhi, che si perdono non solo alla visione paradisiaca della sua bellezza, ma anche all’estrema cura scenografica dell’arredamento.

“Sicuramente i soldi non le mancano” un altro pensiero da tenere per sé.

Tra le varie presentazioni e le varie galanterie, i due, si apprestano nel sedersi a tavola. Tutto, come il resto, è di una maniacalità assoluta. Tovaglia bianco panna, piatti dello stesso colore, calici di cristallo ai lati opposti della bottiglia portata dall’uomo. E per creare un’atmosfera ancora più intima e soave, varie candele poste tutt’intorno alla tavola stessa, e alla stanza, che illuminano i dipinti astratti appesi alle pareti.

La cena inizia con due bistecche al sangue. Un sapore eccellente, prese sicuramente da uno dei migliori macellai in città. Delicate, ben spezziate e salate, che col vino vanno a nozze.

Chiacchiere per tutta la cena, come con la moglie, ma a differenza di quella situazione, qui Davide sorride finalmente. Reso tonto da un’attrazione fisica, aumentata dal grazioso abito da sera rosso succinto su tutte le curvature. Un bel modo per mettersi in mostra e catturare una preda così tanto debole.

Tra una cosa e l’altra, la donna dichiara di essere l’amministratrice generale di un istituto di bellezza in crescita esponenziale. Ecco come fa ad avere tutto questo lusso.

Mentre Davide, per non creare sospetti, si inventa un lavoro remunerativo, ma abbastanza comune.

Beh, che dire, la cena va a gonfie vele e il vino aiuta senza dubbio, tanto che alla fine, al dessert, la bottiglia è bella che vuota.

Il pasto e le presentazioni finiscono definitivamente. È ora di passare alla prossima base. La cosa succede molto in fretta. Un’altra bottiglia di vino. Un divano e una vicinanza gravitazionale. Le labbra si toccano e il cuore di Davide parte all’impazzata. Se non fosse così giovane, sarebbe morto d’infarto di sicuro.

Nel mentre, lo smoking sfila dalle braccia di Davide e cade a terra.

La coppia si sposta con grande velocità dal soggiorno alla camera da letto, dove tutto si consumerà meglio.

Barbara lo spinge sul letto e lì gli dice di rimanere, mentre lei va a prepararsi. Prima di farlo, accende un piccolo giradischi con un vinile di musica classica sconosciuta, che comunque crea l’atmosfera adatta. Prima le candele a cena, e ora a musica. La prossima cosa, sarà meglio di tutto ciò.

Davide rimane sul letto obbedendogli. L’aspetta con ansia. Finalmente sta per andare a letto con una ragazza da copertina. Una di quelle che sogni una vita intera, ma che mai pensi di abbindolare. Si denuda in maniera goffa e veloce. Tutto all’aria. L’unico problema è che aveva un compito. Quella è la sua unica pista e non ha cercato neanche per un momento indizi su Andrea Villa. Ovviamente ora se n’è scordato, ha di meglio che pensare a lui.

Un piccolo rumore di interferenza lo distrae per un momento dall’avventura idilliaca, ma dopo pochi attimi già se ne frega. Dall’interno dello smoking, il walkie-talkie riproduce alcune parole contorte di Nicolas. Parole che mai nessuno sentirà perché la musica le copre. Ma soprattutto perché dopo pochi attimi l’attenzione del detective si concentra solo sulle nudità di Barbara, tornata da chissà dove. Che corpo! Mai visto niente di simile. Mai in vita, e forse neanche in un porno.

La donna si scaraventa con forza e aggressività sull’uomo, che si lascia trasportare da tutta questa voracità.

In pochi attimi, dopo vari baci, l’amplesso ha inizio.

La vagina ha una consistenza strana, mai sentita prima, comunque più piacevole delle esperienze passate. Forse per le donne così belle, anche il resto è migliore.

La donna comanda e Davide non se ne preoccupa. Gode e basta, quando a un tratto vari rumori provengono dalla donna. Non sono classici ansimi o gemiti. Ma rumori incomprensibili.

Il detective nell’udirli, china la testa verso la donna, che si contorce in modo uniforme e apparentemente impossibile anche per la miglior ginnasta mondiale. Ma proprio in quel momento, lei viene con un piccolo acuto, che si smorza in pochi attimi.

La pelle si squarcia e una sorta di mostro alieno ne esce. Verde e grigio. Tutto puntiglioso e con un viscidume che cola lungo tutto il corpo, se si può definire tale.

La testa, o quello che è, si abbassa e si punta dritto contro Davide. I suoi occhi marroni si fissano su delle linee orizzontali e nere, che si spalancano all’improvviso lasciando sopra e sotto la linea stessa un rosso elettrico.

«Ma che cazzo?» le ultime parole e l’ultimo pensiero di Davide, immobile dall’inizio dell’evento. Di un uomo posto di fronte alla morte.

Una cosa simile ad una mano si ritrae verso l’alto e subito, con gran rapidità, si abbassa e si conficca in pieno petto di Davide. Ne estrae il cuore rosso sangue, ancora pulsante. Lo alza al cielo, quasi a contemplarlo e lo inserisce all’interno di un foro posto poco sotto agli occhi. Circolare e pieno di grosse lamine, che si dirigono tra le più disparate direzioni.

È morto.

Da giovane speranzoso e pieno di erotismo, a un insignificante cadavere presto in putrefazione.

È ora?

Ora quel mostro sconosciuto chiude il corpo all’interno di un sacco. Furbo oltre che mostruoso. Così non dovrà pulire le scie di sangue dopo. Percorre l’intera casa e scende varie scalinate che portano alla cantina. La luce si accende piano piano, neon dopo neon.

All’interno di essa un’orribile visione.

Cadaveri tutti nudi di uomini e donne. Tutti ammassati, tra cui molto probabilmente anche quello di Andrea Villa. E pensare che era ad un passo da lui. Carcasse in putrefazione. Scheletri e interiora sparse ovunque. Le mosche gli tengono compagnia. E ora il cadavere di Davide con loro. Un nuovo amico per tutti, e un nuovo trofeo per Barbara, se questo è il suo vero nome.

Quel mostro si muove tra le salme e si ferma davanti ad un macchinario meccanico poco più alto. Ci entra e scompare. Qualche rumore elettronico e dall’interno una forte luce bianca che irradia la stanza.

Quello che ne esce subito dopo, al suono del citofono di casa, è a dir poco singolare. Un uomo in carne ed ossa. Bello e palestrato, che si appresta a salire le scale e chiudersi dietro la porta della cantina, lasciando così da soli i malcapitati.

Una donna si presenta a lui, e lui a lei. Galanterie varie con grandi sorrisi, la donna entra e si fa avanti nell’abitazione, incosciente di ciò che accadrà, mentre nella cantina, migliaia di uova giacciono pronte all’imminente schiusa.

La calca formata dalle tre mogli dei tre detective scomparsi è inarrestabile alla stazione la mattina seguente alle 11:26. Si precipitano all’interno dell’ufficio di Marco, che alle richieste sull’accaduto, non ha risposte, né ipotesi dato che non ha seguito per un istante il caso.

Maria con tutta la gentilezza possibile porge a tutti una tazza di caffè e se ne esce il più rapidamente possibile, non sopporta la vista di Caterina, che annuncia di essere incinta al boss. Un figlio senza padre non può crescere sano e forte in questo mondo.

SOMETIMES I HEAR SIRENS è un racconto di Davide Farinella

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