BIANCO NATAL di Michela Cocca

genere: ROMANCE

I’m dreaming of a white Christmst just like the ones, I used to know

«Angelo!»

Where the treetops glisten and children listen…

«Angelo!»

To hear sleigh bells in the snow…

«Angelooo!»

Annichilito dall’urlo della moglie, Angelo Bianchi aprì gli occhi.

L’atto gli costò uno sforzo non indifferente, perché gli bruciavano.

«È pronta la colazione!»

Imprecando tra i denti per l’odiosa canzoncina proveniente dalla cucina, che tanto piaceva a suo figlio, si alzò dal letto.

Prima di scendere le scale si fermò a contemplare la sua immagine riflessa nello specchio:

“Dovrei radermi la barba” pensò “di questo passo finirò per somigliare a Babbo Natale”.

Quello che Nadia e il figlio videro la mattina del ventuno dicembre sembrava davvero Papà Natale: le gote e il naso rossi (i postumi della sbornia della notte precedente), la barba candida che ricadeva da entrambi i lati del petto, quasi a voler incorniciare la cicatrice del bypass coronarico, e un paio di boxer rossi scoloriti.

«Sono già le sette e trenta, mi dai una mano con…» disse la donna, ma non riuscì a terminare la frase, perché la mano del marito fu più veloce e raggiunse la sua guancia destra.

Il vasetto di crema e il cucchiaino caddero a terra, macchiando il pavimento, così Andrea cominciò a mordersi le mani alternativamente e a gridare.

L’uomo parve non farci caso e andò in bagno.

Nadia, tremante, si affrettò a portare il figlio nella propria cameretta e gli diede il suo cuscino tattile preferito, affinché potesse calmarsi.

Resistette alla tentazione di accarezzargli la nuca, sapendo che quel gesto non lo avrebbe tranquillizzato, o almeno non in quel momento, e tornò in cucina per pulire il pavimento.

Prese poi un altro yogurt dal frigo e un secondo cucchiaino dal cassetto delle posate, decisa a far terminare la colazione ad Andrea.

Rientrò nella sua stanza e, dopo essersi accertata che si fosse rilassato, gli porse un piccolo vassoio.

Il bambino afferrò il vasetto già aperto e la posata che era dentro con la mano destra, ricominciando a mangiare senza guardare la madre né parlarle. Con la sinistra invece continuò a tastare ritmicamente i disegni ricamati sul cuscino.

Nadia allora si alzò, prese il kit per la CAA (comunicazione aumentativa alternativa) e cercò la tessera con l’immagine di un bambino stilizzato che aveva sulle spalle uno zaino. La fece scivolare lentamente vicino ad Andrea, che la fissò per un istante e chiuse gli occhi due volte, facendole capire di aver compreso la necessità di uscire e dandole quel che rimaneva dello yogurt.

La donna allora, dopo aver riposto le stoviglie in cucina, lo portò nel bagnetto di servizio, lo lavò, lo vestì e gli diede l’occorrente per la mattinata.

Andrea si fece guidare docilmente nelle varie attività e, di tanto in tanto, tamburellava le dita di una mano sull’altra e lanciava degli acuti gridolini ogni volta che la voce del cantante (la melodia White Christmas era allo stereo in funzione loop) pronunciava “white”.

Quella parola gli piaceva tanto perché l’insegnante di Sostegno gli aveva spiegato che in inglese significava “bianco”, proprio come il suo cognome!

Nadia pensò che, nonostante il trambusto mattutino per l’(ennesimo) episodio a cui aveva dovuto assistere il bambino, fosse un giorno “sì” per portarlo a scuola.

Nel frattempo, Angelo si era preparato ed era pronto per uscire: non si era rasato, perché la somiglianza con Babbo Natale lo divertiva: anche lui avrebbe dovuto impacchettare dei doni speciali.

Andò in cucina, si versò del caffè in una tazzina e poi uscì, limitandosi a salutare con un cenno del capo la moglie e il figlio.

Lei lo seguì con lo sguardo mentre varcava la porta e si disse:

«Ora basta!”»

Qualche minuto dopo, mentre era alla guida della sua auto, Nadia rimuginava sugli ultimi dieci anni della propria vita e su quanto il rapporto con Angelo l’avesse logorata fisicamente ed emotivamente.

Quando si erano conosciuti aveva venticinque anni, un lavoro stabile e aveva chiuso da qualche mese una storia con un coetaneo, più interessato a ciò che rappresentava la sua famiglia che a lei.

Nadia era, infatti, l’unica erede di un ricco imprenditore ed era sempre stata una figlia devota, pronta ad assecondare la volontà dei genitori, ma le loro pressioni di matrice religiosa e perbenista erano state soppiantate da un tardivo moto di ribellione.

Si era perciò dimessa dall’azienda paterna, in cui rivestiva un ruolo a suo dire inutile, e aveva cercato una casa tutta per sé dopo aver trovato un impiego come segretaria in uno studio medico, rifiutando qualsiasi aiuto economico da parte dei familiari.

Una sera, per festeggiare la nuova indipendenza, era uscita con alcune amiche e aveva conosciuto Angelo, che lavorava come cameriere nel pub dove si erano viste.

Lui le era apparso così diverso dagli altri, sia per la sua storia (era orfano dei genitori, morti in un incidente stradale, ed era cresciuto insieme al fratello con i nonni materni) che per il suo approccio così leggero alla vita…

Aveva una quindicina di anni più di lei, sbarcava il lunario con lavoretti saltuari e un giorno sarebbe riuscito a mettere da parte un gruzzoletto per trasferirsi a Granada, dove viveva il fratello.

Nadia gli credette: si sentiva in dovere di donare a quell’uomo il suo tempo, in modo da mostrargli un’alternativa più sana di stare al mondo.

Nelle precedenti relazioni non le era mai capitato di potersi prendere veramente cura dell’altro, anche perché aveva sempre intessuto rapporti alla pari, per quanto non soddisfacenti, o sbilanciati nel senso opposto.

Sentiva di voler cambiare qualcosa e aveva paura di fare della sua esistenza una brutta copia di quella dei genitori; perciò, si dedicò anima e corpo a quel rapporto. Allentò ancora di più i contatti con la famiglia di origine e si convinse di desiderare ad ogni costo quella vita così differente.

Ben presto Angelo si trasferì da lei e i primi mesi le sembrarono meravigliosi, nonostante dovesse sostenere ogni spesa da sola.

Si ripeteva il motto che il prete della chiesa che frequentava da bambina diceva spesso “Chi più ha, più dà”, ma non molto tempo dopo capì che il senso di colpa derivante dall’essere cresciuta in modo agiato le impediva di vedere la realtà per quella che era.

Il suo compagno non voleva essere salvato e quella esistenza senza troppe responsabilità né progetti concreti era appagante. Inoltre, se anche avesse voluto intraprendere qualche altra attività, sarebbe stato difficile: aveva cominciato a bere in modo preoccupante e perso i lavoretti occasionali, ma soprattutto il sogno di trasferirsi a Granada sembrava essere svanito nel nulla.

Nadia, che all’inizio aveva riversato la sua sindrome da crocerossina su Angelo, divenne una vera e propria infermiera quando ebbe un’angina pectoris e fu operato d’urgenza.

Dopo una lunga convalescenza all’insegna del recupero psicofisico, l’uomo tornò a casa e mostrò dei segnali di cambiamento, infatti chiese alla ragazza di diventare sua moglie, dicendole che l’essere stato così vicino alla morte gli aveva fatto capire ciò che era davvero importante.

Lei ci pensò molto, poiché percepì l’innaturalità di quella proposta, ma alla fine accettò perché volle dargli fiducia; qualche mese dopo le nozze le vecchie abitudini di Angelo non tardarono a tornare, ma soprattutto Nadia scoprì di essere incinta.

Inizialmente pensò di abortire, ma non riuscì a farlo: quella piccola vita dentro di sé la faceva sentire meno sola e si illuse che avrebbe potuto smussare il temperamento sempre più irascibile del marito.

La situazione, invece, peggiorò.

Angelo iniziò ad essere manesco con lei e quando fu chiaro che Andrea non era un bimbo come gli altri divenne ancora più abusante con la donna, incolpandola della disabilità del figlio.

Nadia non era disposta a crescere il bambino con un compagno simile e provò più volte a lasciarlo, ma non ci riuscì. La terrorizzava sempre più e aveva paura che, se fosse andata via di casa, lui l’avrebbe trovata e si sarebbe vendicato su di lei o su Andrea.

Quel ventuno dicembre scattò in lei un istinto di ribellione simile a quello che l’aveva pervasa ormai dieci anni prima così, dopo aver lasciato Andrea a scuola e aver fatto una dovuta sosta al distributore del carburante, si diresse verso un caseggiato di campagna all’apparenza abbandonato.

Da una finestra vide Angelo solo e intento a confezionare dosi di cocaina.

Bloccò la porta dall’esterno con un asse di legno, tirò fuori dal portabagagli la tanica che aveva riempito di benzina e vi cosparse le mura dell’edificio.

Poi si allontanò per mettersi a debita distanza, senza smettere di bagnare il terreno dietro di sé con le ultime stille del liquido.

Prese allora un fiammifero, lo accese e lo gettò sul prato. Salì infine in auto e, noncurante del boato sordo che sentì qualche secondo dopo, levò lo sguardo al cielo: nevicava.

BIANCO NATAL di Michela Cocca

genere: ROMANCE

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