DA ODESSA CON AMORE di Giulia Casellato

Sono qui da un anno, non ricordo come ci sono arrivata.

La “casa” che ora mi ospita è un edificio grande, con giardino. Qui sto con tanti altri bambini e delle insegnanti che si prendono cura di noi.

La direttrice, quando la sento parlare con le insegnanti, non nomina mai questo posto come una “casa” e nemmeno come “casa dei bambini”, lo chiama, invece, istituto o orfanotrofio.

Io qui passo la maggior parte del tempo a giocare. Il momento peggiore della giornata per me è la sera. In stanza siamo in sei, ci sono tre letti a castello, tutti facciamo sempre fatica a dormire, non perché ci sia particolarmente confusione, ma perché siamo noi ad essere sempre agitati.

La parola “casa” l’ho pensata io per questo posto, per renderlo più confortevole, più familiare, meno estraneo.

Tutti noi bambini qui vogliamo una famiglia e sappiamo di non avercela, per svariati motivi siamo diversi dai nostri coetanei che hanno una casa, una mamma e un papà che si prendono cura di loro e conducono una vita comune.

Ogni tanto, però, anche qui da noi ci sono belle notizie: Paula e Joseph sono stati adottati qualche settimana fa, per loro ora c’è una famiglia e tanto amore. Anche io aspetto la mia mamma e il mio papà, mi ha detto la direttrice che ora toccherà a me andare via dall’istituto e vivere con una famiglia.

Oggi è il gran giorno: conoscerò i miei nuovi genitori.

Sono molto emozionata e mi sono svegliata presto, li aspetto nella sala principale, mi ha detto una maestra che dovrebbero arrivare a momenti.

Arrivano ed è tutta una festa di sorrisi. Non capisco quello che dicono, ma percepisco che sono ben intenzionati e mi vogliono già bene.

Mi parla la direttrice rassicurandomi che i miei genitori che ho conosciuto oggi, mi verranno a prendere tra qualche giorno e mi porteranno in una famiglia.

La sera non riesco a dormire, troppi sono i pensieri che si affollano per la mente: dove andrò? Che lingua dovrò imparare a parlare? Sarò in grado di integrarmi? Come sarà la mia nuova famiglia?

Preparo, ora, la mia borsa, la direttrice ha detto di fare in fretta, mamma e papà sono arrivati e mi stanno aspettando per partire.

Saluto i miei amichetti, ci abbracciamo e strilliamo, non vorremmo lasciarci. Mamma mi si fa vicino e mi prende per mano, mi lascio condurre fuori dal cancello, e dopo poco non scorgo più dalla strada l’istituto.

Da Odessa andiamo a Kiev, lì si concludono le pratiche dell’adozione, per permettere il rientro con me in Italia.

Mamma inizia a insegnarmi alcune elementari parole in italiano.

Passa qualche giorno e sbarchiamo all’aeroporto di Venezia. Da Venezia alla mia nuova casa c’è più di un’ora di automobile, penso di non avere mai visto così tante luci nella notte, come quelle che scorgo dal finestrino.

Arriviamo a casa dei nonni, genitori di mia mamma, lì ci attende la famiglia al gran completo: zii, cugini, nonni, non manca proprio nessuno. Mamma ha organizzato una festa per il mio arrivo.

Termina la festa, piena di colori, luci e sorrisi, io con mamma e papà andiamo a casa. La mia nuova casa è grande e spaziosa, mi ci troverò bene sicuramente.

Il giorno seguente inizia la mia nuova vita, c’è una grande differenza tra il prima e il dopo. In orfanotrofio c’erano tanti altri bambini, facevamo tutti di mattina un chiasso insopportabile, qui, invece, nella nuova casa c’è silenzio.

Mamma mi continua a impartire lezioni di italiano, devo imparare questa lingua per poter comunicare, ora conosco solo l’ucraino e mi è difficile farmi capire.

A settembre inizia la scuola, mamma e papà ci tengono che io ci vado subito, così il primo giorno di scuola vado con mia cugina che frequenta due classi più di me, nella nuova scuola. Non sono molto attenta alle lezioni, preferisco giocare durante la ricreazione in giardino, però mi piace molto l’ora di italiano; infatti, dopo appena tre mesi di scuola parlo fluidamente l’italiano e la maestra è molto sorpresa della rapidità con cui l’ho imparato.

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