ESCALATION di Daniela Di Benedetto (prima parte)

Emilia ha parcheggiato la sua Citroen vicino alla chiesa perché il pretesto che adduce con sua madre è sempre quello:

“Sto andando in chiesa”.

Nessuno deve vederla fuori dal suo quartiere.

Seduta al volante, attende finché sente il motore della Volvo che si avvicina. Lo riconosce sempre, come un cane riconosce il motore del suo padrone.

Ecco la Volvo blu. Emilia si guarda intorno:

‘C’è qualche persona del vicinato che possa vederla in quel momento? No, nessuno.’

In fretta scende dalla sua auto e si infila nell’altra, che riparte subito. L’uomo alla guida, Gaetano, entro due ore la riporterà alla sua Citroen, ma adesso stanno andando in un motel, unico luogo sicuro. Perché a casa di lei c’è una madre arcigna in attesa, e a casa di lui una moglie.

Gaetano non è un uomo di grandi pretese. Vuole solo portarsi a letto una donna carina, perché sua moglie Elsa, dopo aver partorito due figli, si è molto ingrassata perdendo ogni attrattiva. Lui non si sognerebbe mai di chiedere il divorzio sfasciando la famiglia, vuole bene ai ragazzi, ma non può fare a meno di qualche scopata clandestina.

Ha conosciuto Emilia quando lei aveva un lavoro: faceva la cassiera in un supermercato di cui Gaetano era cliente. Una chiacchierata oggi, un domani, si sono capiti ben presto: entrambi hanno bisogno di evadere dalla realtà… finché un giorno lui le propone di prendere un caffè insieme alla fine del suo turno di lavoro. In genere lei rifiuta gli appuntamenti, ma gli occhi chiari di quell’uomo la incantano: accetta. E al secondo incontro finiscono al motel.

Eccola adesso felice fra le braccia di Gaetano, che oltre ad avere un bel paio d’occhi è un uomo gentile, e tanto le basta. Lei ha già quarant’anni ma ne dimostra meno, è snella come possono essere solo le donne che non hanno mai avuto figli. La sua bellezza non è appariscente, nessun uomo si volterebbe per strada a guardarla, ma i lineamenti sono regolari e ha una bocca delicata che il suo amante ricopre di baci. Lei non meritava di restare tutta la vita da sola per colpa di quella madre…

“Ma perché non te ne vai di casa?” le domanda Gaetano.

“E come faccio? non ho soldi. Da quando ho perso il lavoro sono ospite di mamma e sono la sua badante.”

“Ma puoi ancora cercarlo, un lavoro.”

“Quando lo avevo… era un litigio continuo. Lei la mattina mi vuole a   casa. Il pomeriggio mi è consentito uscire solo per andare in farmacia, al supermercato e in chiesa.”

Lui sospira.

“Ti sei mai posta il problema di come vivrai quando tua madre morirà, e tu avrai cinquant’anni e nessuno vorrà assumerti?”

“Magari! Magari morisse. Ha 70 anni e dice sempre che sta morendo, con quella malattia che si ritrova. Invece resta viva. Non sono una sprovveduta, sai? Quando mamma si toglierà di mezzo, io erediterò la casa di quattro vani, e per me è grande. La venderò, comprerò un monovano, e coi soldi rimasti aprirò un’attività. Un negozio di gastronomia. Cucinare è l’unica cosa che so fare, e in Italia la gente pensa solo al cibo.”

Lui sorride.

“Non è l’unica cosa che sai fare, non buttarti così giù.”

“Sì, invece. Che me ne faccio di un diploma di ragioniera, quando mia madre non ha voluto pagarmi l’università? Già zoppicava, quando mi diplomai, e mi disse che non dovevo più studiare, dovevo stare a casa per assisterla. Quando le ho disobbedito trovandomi quel posto di cassiera, fu una guerra. E poi il supermercato fallì, e lei ci godeva, la stronza. Volevo che io dipendessi da lei, con quei due soldi di pensione che prende.”

Gaetano annuisce.

“E’ per questo che ti ha adottata? Per farsi assistere?”

“Già. All’epoca aveva 35 anni, era sposata, ma avendo una malattia genetica si guardò bene dal mettere al mondo figli. Chiese una bimba in adozione e… non dichiarò la malattia, che ancora non si notava. E invece di pretendere una neonata, volle me che avevo cinque anni, una richiesta facile da soddisfare. Suo marito è morto d’infarto subito dopo e non ricordo quasi niente di lui. È rimasta sola con me, diceva sempre che dovevo essere il bastone della sua vecchiaia, ma io all’epoca non capivo molto. Quando ebbi quindici anni lei iniziò a zoppicare vistosamente e mi spiegò cosa fosse la distrofia muscolare. Quella stronza puttana. Adottarmi per avere una badante.”

“Ma se tu ora volessi sposarti o lavorare, non potrebbe impedirtelo, Non vedo come.”

“Troverebbe un modo. Tu non conosci quella strega.”

Certo, mamma troverebbe un modo. Emilia ricorda bene come sua madre fece fuggire l’unico corteggiatore “regolare” che lei abbia mai avuto.

La ragazza, all’epoca trentenne, educata all’antica, voleva seguire i riti tradizionali del fidanzamento siciliano e disse alla madre che un certo Gino, persona per bene con serie intenzioni, aiutante di un commercialista, voleva venire a casa a prendere un tè. Le sembrò strano, in primo tempo, che mamma acconsentisse senza fare domande… Ma certo, acconsentiva perché, se avesse detto di no, sua figlia avrebbe incontrato quell’uomo fuori di casa. E fuori l’anziana non avrebbe mai avuto modo di conoscerlo e di spaventarlo.

Così Gino si presentò con un mazzo di tulipani e prese il suo tè ignaro dell’uragano che si sarebbe abbattuto sulle sue speranze entro mezz’ora. Infatti, mentre chiacchierava con Emilia in salotto, una donna visibilmente zoppa e con un braccio storto fece il suo ingresso.

“Buonasera”, disse “Sono la madre di Emilia”.

“Piacere, Gino” rispose lui alzandosi.

“Stia pure comodo.” Lei sedette in poltrona cercando di esagerare apposta le sue difficoltà di movimento. “Mi scusi il ritardo” disse “ma faccio fatica a lavarmi e a vestirmi, vede come sono combinata…”

Lui si sforzò di sembrare afflitto.

“Ha avuto un incidente?”

“No. Ho la distrofia muscolare e peggiorerò a poco a poco finché finirò su una sedia a rotelle.”

L’uomo rabbrividì.

“Conosce questa malattia genetica?” proseguì l’anziana.

“Ne ho sentito parlare.”

“Immagino che sappia che è ereditaria.”

Emilia capì in quel momento dove andasse a parare il discorso.

“Ma io non sono…” iniziò.

“Mia figlia ha buone probabilità di ereditare la malattia” ghignò l’altra, interrompendola.

“Ma non è vero!” esclamò la giovane “Sono stata adottata!”

“Oh. Adesso rinneghi la tua mamma.”

Emilia lanciò al fidanzato uno sguardo carico di disperazione.

“Non le credere” disse “Lei non voleva partorire figli malati e mi ha adottata. Sono sanissima.”

L’anziana si stirò nella poltrona sorridendo.

“Se sei sanissima o no, si vedrà fra qualche anno” ribatté.

Gino era così sconcertato da restare muto.

Allora Emilia cambiò argomento e cercò di estromettere la madre dalla conversazione; poteva solo sperare che il giovanotto credesse a lei e non alla perfida ammalata…

Ma a partire dall’indomani lui si rese irreperibile.

Sono passati dieci anni da allora, e ovviamente la distrofia è peggiorata. Mamma passa dal letto alla poltrona reclinabile e viceversa, appoggiandosi a Emilia: per fortuna pesa solo 60 kg. La figlia la lascia col pannolone quando deve assentarsi da casa per più di un’ora.

I polmoni ancora funzionano, quindi l’anziana può respirare autonomamente e può parlare, la sua voce rauca continua a infastidire Emilia con rimproveri e commenti cattivi. Ma parla più lentamente di prima perché c’è qualche problema ai muscoli facciali, ed è inutile dirlo al medico perché non esiste un rimedio.

Questa storia dei muscoli facciali ha compromesso anche la masticazione; quindi, la figlia la nutre con cibi morbidi, prevalentemente formaggini spalmati, yogurt, omogeneizzati, purè di verdure, frullati di frutta. Viene trattata bene, la vecchietta. Percepisce la pensione di invalidità con indennità di accompagnamento, e per fortuna non deve pagare affitto, la casa è sua. Ma i soldi bastano appena per il cibo e le bollette, Emilia non compra un vestito nuovo da quando aveva il suo stipendio…

Cerca almeno di mangiare decentemente. Non può permettersi i dolci, ma un etto di prosciutto crudo due volte alla settimana non glielo deve togliere nessuno. Non si può campare solo di pasta col pomodoro e polpette.

Adesso, alle ore 17, si trova nella salumeria del supermercato Deco. Ha preso un numerino ed è arrivato il suo turno, ma prima che possa aprire bocca sente dietro di sé una voce maschile che dice:

“Buongiorno Giovanni!  A casa tutto bene?”

Lei si gira e vede un uomo di bell’aspetto sui quarant’anni. Il saluto era rivolto al salumiere, e beh, mica si può impedire a qualcuno di salutare un amico.

“Sì, signor D’Aleo, a posto!” risponde Giovanni.

“Mi grattugia due etti di parmigiano?” dice lo sconosciuto.

Emilia resta allibita: quello le ha rubato il turno…Ma se si tratta solo del parmigiano, non vale la pena di litigare.

 Lei tace.

“E poi” continua D’Aleo, vedendo che il formaggio è pronto “mi fa due etti di speck e due di ricotta.”

“Senta” interviene Emilia a questo punto “Era il mio turno, ho il numero 12.”

L’uomo la guarda come si guardano le persone moleste.

“Oh, mi scusi” dice “Io ho il 13 e credevo che fosse il mio turno, lei non l’ho vista.” Ma non annulla la richiesta fatta, anzi conferma con un sorriso, “speck e ricotta, per oggi basta”.

Emilia sta ribollendo di rabbia. Nonmi ha vista? Sono invisibile? Certo, non sono vestita in modo sexy, ho una maglietta larga. Non sono truccata, la mia faccia passa inosservata, ma non sono invisibile.  Lui mi ha scavalcata apposta. Chi si crede di essere?

Il signor D’Aleo prende il proprio pacchetto, dice “grazie” al salumiere e va via senza guardarla.

Giovanni invece pare mortificato.

“Scusi, signora, credevo che il 12 l’avesse l’altro cliente…”

“Un etto di San Daniele” risponde lei, senza accettare le scuse. 

Davvero quella stupidaggine le ha rovinato la giornata. Perché quell’uomo maleducato è dotato di una bellezza speciale, somiglia a Rock Hudson, e forse è convinto di poter avere tutto ciò che vuole, magari è pure circondato da donne bellissime, in confronto alle quali Emilia è invisibile. Scialba. Lei ha un amante carino, ma Gaetano inizia a mostrare i segni dell’età, le rughe intorno agli occhi, le guance un po’ cascanti. Lo ama così com’è, ma le manca l’autostima e certe volte pensa di essere per lui solo un ripiego, perché se il suo uomo fosse bello come un divo del cinema non avrebbe scelto lei… E poi Gaetano è solo un rappresentante di commercio che viaggia sempre, torna stanco e vuole trovare un corpo caldo che lo accolga, non importa chi sia la donna…

Sì, spesso Emilia è in preda a questi pensieri. E ora si sente travolgere da un’ondata di odio verso il signor D’Aleo, il fortunato gaudente che esibisce quel bel sorriso sicuro, con quella bella dentatura che lei gli sfonderebbe a pugni. È ancora rossa di rabbia quando va alla cassa a pagare il prosciutto e i cibi della mamma.

La cassiera è una ragazza nuova, carina, coi ricciolini neri. Avrà non più di 25 anni e sarà stata assunta con uno di quei contratti che privilegiano i giovani a condizione che accettino una paga più bassa degli anziani. Ricciolina è al suo primo giorno di lavoro e vuole essere gentile a ogni costo.

Sorride nel vedere gli acquisti di Emilia e domanda:

”Maschietto  o femminuccia?”

Che cosa…?

Ah, già: gli omogeneizzati. Emilia ha 40 anni e potrebbe essere mamma di un bebè.

“No”, risponde “Questi sono per mia madre malata.”

“Oh”, dice Ricciolina “mi dispiace.”

Emilia pensa che la ragazza sia simpatica. Forse perché anche lei fino a due anni fa era cassiera in un supermercato, sa cosa significa essere sfruttati per mille euro al mese, fare il turno festivo o essere chiamati nel giorno libero per sostituire una collega assente.

Non ha amiche, Emilia, perché sua madre non le ha mai concesso tempo per averne. Forse avrebbe potuto stringere alcuni legami nell’ambito della parrocchia, ma… non va mai in parrocchia. Ha solo fatto credere a Mamma di andarci.

E ora la coglie il desiderio di avere come amica Ricciolina. Chissà se una venticinquenne e una quarantenne possono avere qualcosa in comune, a parte il fatto di aver lavorato in un supermercato. Chissà. “Ci vediamo” dice con un sorriso.

Gaetano sta tardando. È la prima volta in tre anni di relazione clandestina, chissà se gli

è accaduto un evento imprevisto.

Emilia sta in attesa nella propria auto, passano le 17:00, le 17:20, e non sente il rumore familiare della Volvo.

“Però esistono i cellulari. Può avvisare se ritarda, no? O se non può venire!”

Niente. Alle 17:40 lei è davvero stufa, anzi offesa. Che fare? Ha detto a sua madre che va alla riunione dell’Azione Cattolica che si svolge dalle 17:00 alle 18:30, quindi l’anziana attende il suo ritorno per le 19:00, non prima. Emilia non ha voglia di stare in auto fino a quell’ora.

Può telefonare all’amante e domandargli cosa è successo, ma se per caso lui è con la moglie, non risponderà… beh, proviamo. Tre squilli. Emilia fa squillare tre volte e chiude, così lui richiamerà quando potrà.

Infatti, Gaetano si fa vivo alle 17:55.

“Pronto!” esclama lei “Che cazzo hai fatto?”

“Scusami. Il problema è che ti devo dire una cosa ma non trovavo il coraggio. Devo fare appello a tutte le mie forze per dirtelo.”

Il cuore di Emilia sospende i battiti.  Mi lascia…

“Parla” è l’unica   risposta che le viene in mente.

“Mia moglie ha deciso di sottoporsi a un intervento bariatrico e di liposuzione.”

“E allora? È costoso? Stai cercando i soldi?”

“No, non è quello il problema. È che Marina lo fa per me.”

Emilia tace e attende spiegazioni.

“Mi ha detto chiaramente che vuole migliorare il suo aspetto per piacermi. Sente che mi sta perdendo. Non è stupida, non sa niente di te ma… se non faccio più sesso con lei, intuisce la ragione.”

“Tano, cosa c’entra questo col nostro appuntamento di oggi?”

“C’entra. Io non me la sento più di tradirla. Ero pronto per venire da te e poi non ce l’ho fatta.”

La bocca di Emilia è secca come se subentrasse un senso di paura. “Vuoi dire che mi stai lasciando? Dopo tre anni d’amore? E me lo dici al telefono?”

“Lo so, sono uno stronzo. Ma in realtà sono stato stronzo a tradire mia moglie. Lei sta dimostrando che ci tiene molto a me, l’intervento è doloroso e le porterà via anche i suoi risparmi. È lei che paga.”

“È solo il tuo senso di colpa che dà ordini al tuo cervello?” dice Emilia “Oppure stai pensando che tua moglie diventerà bellissima e non ti servirà più un’amante?”

Sente un respiro pesante prima della risposta.

“Non posso negare che Marina ha un bel viso e che da snella diventerà appetibile, ma a parte questo… se penso che la donna che ho sposato in chiesa sta facendo un sacrificio per me, ed è un sacrificio doloroso…”

“Doloroso un cazzo!” esplode Emilia “Per te conta solo l’aspetto fisico! Solo quello! I tre anni che hai trascorso con me servivano solo a fare sesso! Le nostre conversazioni, le nostre confidenze, non contavano niente?”

“Mi dispiace…”

“Ti dispiace cosa? Di non avermi mai amata? Di avermi presa in giro?”

“Non ti ho presa in giro, Emilia. Ti ho voluto bene e te ne voglio ancora tanto.”

“Ma non desideri più vedermi!”

“Emilia, potremmo restare amici, ma credo che tu non riusciresti ad accettarlo.”

“Qui ti do ragione, non voglio essere tua amica. Non dopo essere stata offesa in questo modo.”

“Offesa? Tesoro mio, io non ti ho offesa, io…”

“Vaffanculo, Gaetano!”

Lei spegne il telefono. Sta tremando tutta e ha le lacrime agli occhi, le sue pulsazioni sono accelerate come se avesse la febbre.

Oh, mio Dio. Cosa farò senza di lui? Sono sola, completamente sola con quel mostro di mia madre.

Lascia libero sfogo al pianto, tanto nella sua auto non la vede nessuno. Non riesce a odiare il traditore, lo ha amato sul serio… gli ha sempre confidato tutti i pensieri che le venivano in mente e lui è il solo uomo che l’abbia mai ascoltata, ma l’unica cosa che voleva era un corpo snello di donna. Marina diventerà magra, Emilia non serve più a nulla, la sua anima è un fagotto da buttare nella spazzatura. Con chi potrà fare conversazione, ormai?

Non riesce a sopportare quell’idea. Visto che ha posteggiato accanto alla chiesa, tanto vale entrarvi e cercare una breve oasi di pace. Si asciuga le lacrime e scende dall’auto.

La chiesa è silenziosa, poiché la riunione che lei ha disertato è in sacrestia. Non c’è nessuna preghiera di gruppo alle 18,20, solo due vecchiette vestite di nero recitano il rosario sedute in prima fila, una pronuncia mezza Ave Maria, l’amica risponde con la seconda metà. E vanno avanti senza degnare di un’occhiata Emilia che va a inginocchiarsi davanti alla statua del Sacro Cuore.

“Gesù” mormora “Non posso vivere così. Fammi morire, oppure fai morire mia madre. O me o lei. Non possiamo più stare insieme. Ti prego, Gesù. Se lei muore adesso, io potrò avere una vita normale, ma fra qualche anno sarò troppo vecchia e non mi vorrà nessuno. Se devo restare sola, è meglio che mi venga un tumore fulminante subito. Ti prego…”

Sono le 18:30 ed è finita la riunione dell’Azione Cattolica, i partecipanti vanno via da un’uscita secondaria, mentre l’anziano parroco entra in chiesa e nota quella donna disperata che prega. La conosce di vista, poiché Emilia, anche se non va alle riunioni, frequenta regolarmente la Messa domenicale. Quindi lui le si avvicina.

“Figliola” dice “Posso fare qualcosa per te?”

Emilia fa cenno di no con la testa.

“Ti vuoi confessare? Ho tempo, dirò la Messa alle 19:00.”

La donna lo guarda fra le lacrime. “No”, risponde “perché non posso essere assolta.”

Per evitare altre domande, si alza e va via.

Non si era mai sentita infelice fino a questo punto. È come se la fine del suo amore le avesse fatto prendere coscienza di colpo delle condizioni miserevoli in cui versa la sua vita. Perché si può perdere un amante e continuare per la propria strada, sì, ma in genere quando lo si perde si fa un inventario di quel che resta. E ciò che resta a Emilia è un inferno.

Niente affetti, niente figli, niente lavoro. Niente soldi, niente divertimenti, niente libertà e nessuno con cui parlare. Solo una madre malata esigente e cattiva.

Emilia adesso non capisce se odia tutto il mondo o se invece desidera affezionarsi a qualcuno: segue la propria routine come un robot, ma ogni tanto i sentimenti riaffiorano, piange di nascosto e maledice sua madre. Non riesce invece a maledire Gaetano, perché l’ha amato tanto e deve ancora convincere sé stessa di aver commesso uno sbaglio amandolo. Anzi, se potesse, lo rivorrebbe.

Oggi è mercoledì, cosa dice l’agenda? Fare la spesa, come ogni mercoledì. Va al supermercato verso le 17:00, compra le solite cose, e mentre si avvia verso la cassa nota la figura odiosa del signor D’Aleo. Ricorda il nome, è stato detto dal salumiere.

D’Aleo si crede il bello del quartiere e in quel momento sta molestando la cassiera Ricciolina. Sì, Emilia è certa che la stia molestando, perché dopo aver pagato e aver messo la spesa nei sacchetti lui continua a parlare con la ragazza, adescandola con sorrisetti inequivocabili, e lei è imbarazzata. Si vede bene che non gradisce il corteggiamento, forse l’uomo le sta chiedendo di uscire insieme… e Ricciolina è nervosa, prova a sorridere in modo forzato. Emilia è stata una cassiera, tempo fa, e anche lei ha avuto conversazioni intime con un cliente, ma si trattava di Gaetano e le piaceva. Non la metteva a disagio. Invece Ricciolina è a disagio, forse è fidanzata e non le interessano le avventure, oppure è una questione di età, visto che lei è sui venticinque anni   mentre lo sfacciato è sui quaranta. Insomma, Emilia riesce perfettamente a percepire l’insofferenza della ragazza e capisce di poter interrompere quel corteggiamento.

Porta la propria merce alla cassa e sbatte con forza un sacchetto di mele come se il rumore potesse spaventare il nemico. Sbatte anche i vasetti degli omogeneizzati rischiando di romperli… D’Aleo, senza guardarla in faccia, dice alla cassiera:

“Ne riparliamo” e va via strizzandole l’occhio.

Emilia in quel momento si sente la sorella maggiore di Ricciolina e non può fare a meno di darle del tu.

 “Cosa c’è?” dice “Quello ti ha   molestata?”

La cassiera tarsale. “No, beh… non mi ha toccata. E nemmeno mi toccherà.”

“Ma ti ha fatto delle proposte? Come si è permesso?”

Ricciolina alza le spalle. “Lo fanno tanti uomini” dice rassegnata.

“Non è una giustificazione.” Emilia tira fuori dal carrello il resto della sua roba. “Quello che fa questo signore è un reato, lo sai che è un reato? Io avrei chiamato la polizia.”

Lo sguardo della ragazza diventa supplichevole. “Signora, ma lei non lavora qui” dice “Io ci lavoro…”

“Capito. Allora, se lui lo fa di nuovo, tu sopporti?”

“Non lo rifarà.” Ricciolina chiude il discorso e digita i prezzi dei prodotti. “Ventidue e sessanta.”

Emilia paga e va via col suo sacchetto di spesa, ma in lei è rimasta tanta rabbia da sfogare. Pensa agli uomini attraenti che credono di poter avere qualunque donna vogliano… mentre lei, quarantenne scialba e malvestita, merita solo che le venga rubato il turno in salumeria.

All’uscita si accorge che D’Aleo è ancora davanti al supermercato e sta chiacchierando con un anziano.

Conosce la gente del quartiere, eh? Non può abitare lontano da qui.

Emilia si ferma e finge di cercare qualcosa nella borsa, ma in realtà sta aspettando che il mascalzone smetta di parlare. Quando lui inizia a camminare, lo segue a prudente distanza finché non lo vede entrare in un portone che memorizza.

Via Giotto 10. Siamo vicini di casa.

Comments

  • 11/03/2024

    Molto coinvolgente. Ti cattura subito e non ti molla più,come è tipico di questa scrittrice. )nizi a leggere e non puoi più smettere- In un attimo sei dentro la storia. Un altro successo sicuro. Complimenti

    reply
  • 11/03/2024

    Molto coinvolgente. Ti cattura subito e non ti molla più,come è tipico di questa scrittrice. )nizi a leggere e non puoi più smettere- In un attimo sei dentro la storia. Un altro successo sicuro. Complimenti

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