LA RISPOSTA NON È BELLA di Arianna Cinti

Quella mattina di dicembre squillò il mio cellulare:

Ciao, l’altro giorno dopo la tua telefonata ho contattato una mia amica anatomopatologa, la migliore che io conosca in ospedale, la quale si è attivata subito ed oggi mi ha letto il tuo referto. Mi dispiace dover essere io a dirtelo, ma me lo hai chiesto tu. La risposta non è bella.

La voce di Giovanna era titubante e addolorata, ma via via che mi parlava, essendo anche medico, diventava sempre più decisa nell’inquadrare la situazione ed i passi che avrei dovuto percorrere.

Ero al lavoro quel giorno e un attimo prima di ricevere la telefonata non pensavo all’esame istologico di cui attendevo l’esito. Dapprima non capii quanto la mia amica mi stesse dicendo ma poi, con il cuore in subbuglio, mi detti una chance: avrebbe potuto trattarsi di un’errata associazione del campione analizzato ai miei dati anagrafici anziché a quelli di un altro paziente? No…era chiaro che non poteva trattarsi di un errore.

Rivolta verso la parete della stanza, con il telefono dell’ufficio che continuava a squillare e il sottofondo dei passi dei colleghi lungo il corridoio, ero impietrita, senza poter né piangere, né fuggire da quel posto che all’improvviso diventava opprimente.

Da soli due giorni la direzione mi aveva assegnato l’incarico di responsabile dell’ufficio dove lavoravo. Mi stavo appunto chiedendo come festeggiare l’avanzamento di carriera e quella mattina, proprio lì, sprofondavo in un’angoscia mai provata prima.

Odio ancora quel lunedì 17 dicembre e i difficili mesi che ne seguirono, ma alla domanda dell’oncologo che anni dopo, raccogliendo le testimonianze di noi pazienti per un suo libro di memorie, chiedeva cosa avessimo imparato dalla malattia e cosa più contasse ora della nostra vita, risposi senza pensarci tanto:

Ora è bello mangiare con appetito, dormire sul mio letto e camminare a lungo, anche se piove e non ho con me l’ombrello.

Lui appuntò il concetto sul suo block-notes, soddisfatto. Oggi aggiungerei che ho imparato a voltarmi e a dire grazie.

Grazie a Laura, con cui ho diviso la camera d’ospedale durante il ricovero, aiutandoci a vicenda. Era straniera e con un lavoro precario che stava già perdendo. A volte, per problemi di facile gestione, evitavamo di chiamare l’infermiere perché ci bastavamo a vicenda. Ricordo quando, per distrarci, ho improvvisato una sfilata di moda, indossando quel poco che avevo addosso: una vestaglia color fucsia ed in tasca la mia flebo.

Ricordo anche quella mattina quando, grazie alla sua complicità, mi sono chiusa in bagno per non firmare il consenso ad una trasfusione di sangue che i medici ritenevano ormai necessaria, per uscirne poi truccata di tutto punto, davanti ai loro occhi esterrefatti, ma arresi. Ogni volta Laura rideva di gusto.

Grazie all’agricoltore che occupava la poltrona accanto alla mia, corpulento e con il viso cotto dal sole per le tante ore lavorate nei campi. Mi ha sorriso, vedendomi entrare con l’aria smarrita per la prima volta in quella stanza e, dopo aver rotto il ghiaccio, mi ha consigliato di mangiare una mela fredda ogni volta che avevo nausea, di quelle piccole e rosse che in campagna si tengono all’aperto. L’ho fatto e ha funzionato.

Grazie all’infermiera che, in una delle varie sedute di chemioterapia, ha cambiato il disinfettante che precedeva l’ago in vena, in modo che non iniziassi a vomitare subito dopo. Se la incontrassi adesso, di certo non la riconoscerei, ma ricordo l’amorevolezza con cui annusava le varie soluzioni disposte sul carrello dei medicinali e poi mi medicava ancora una volta il braccio, così che io d’incanto non sentissi più quell’odore insopportabile.

Sarò sempre grata a Maria Grazia per quella corsa di notte in ospedale, per le iniezioni che mi veniva a fare a casa quando i dolori non mi davano tregua e soprattutto per i tanti momenti di ascolto e conforto.

La depressione è arrivata senza farsi attendere, quindi ringrazio il mio neurologo, grande medico. In lui competenza e umanità si fondono in maniera rara. Finché ne ho avuto bisogno mi ha dedicato il suo tempo e, come se non bastasse, non ha mai voluto che io pagassi il suo onorario.

Grazie a Gabriella a cui avevo confidato che la cicatrice era talmente evidente da non poter passare inosservata in spiaggia. Si presentò un giorno a casa mia con una confezione regalo proveniente da una nota boutique del centro. Si giustificò dicendo di aver notato in vetrina quel costume, che non solo era stupendo ma avrebbe nascosto perfettamente la mia cicatrice. Che io ricordi, è stato il regalo che più mi ha reso felice e quanto fu bello riceverlo da lei, sempre concreta e presente.

Da chi invece è rimasto passivamente a vedere come andava, ho imparato il ruolo fondamentale della diagnosi precoce e che la salute dei nostri cari dipende anche dal singolo. 

Non tutti sono stati in grado di aiutarmi, ma di persone speciali ho avuto la fortuna di averne tante intorno a me.

A distanza di anni, ringrazio chiunque mi abbia amata e aiutata, tra cui tu, che quel giorno a malincuore prendesti il telefono per avvertirmi, amica mia.

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