IL VIAGGIO DI GIORGIO di Ennio Buonanno

«La guerra arriverà presto anche qui, amore mio e, quando arriverà, io non potrò più proteggervi. Dobbiamo andare via!»

Giorgio ascoltava il padre rivolgere con voce determinata quelle parole alla madre, mentre le stringeva le spalle tra le mani, quasi supplichevole, dolce.

Sua madre si chiuse il viso tra le mani e pianse, in modo sordo, quasi senza un lamento.

Entrambi i genitori erano convinti che i tre bambini stessero dormendo da un bel po’, ma non conoscevano il segreto di Giorgio.

*****

Effettivamente le due sorelline dormivano da almeno mezzora, cosa che Giorgio aspettava accadesse ogni sera, prima di incontrarsi con la sua fatina.

La prima volta era successo un anno prima, il giorno del suo terzo compleanno, quando suo padre l’aveva portato in un luogo magico: alla fine della festa, quando tutti erano andati via, gli aveva bendato gli occhi con un bandana nero e, piano piano, l’aveva guidato in qualche parte del bosco, dove le luci della città non riuscivano più ad illuminare.

L’aveva fatto posizionare in piedi chissà dove; poi, gli aveva sussurrato:

«Ora puoi togliere la benda!»

Giorgio aveva tenuto gli occhi chiusi per tutto il viaggio, curiosissimo, e non li aprì subito; prima volle sentire, percepire i suoni, anche solo per un attimo.

Una volta aperti gli occhi, non poté che spalancarli immediatamente: era in mezzo ad un nugolo di luci che volavano tutt’intorno a lui. In mezzo a due alberi alti fino al cielo, milioni e milioni di lucciole danzavano, volavano, disegnavano l’aria: sembrava di volare in mezzo alle stelle.

«Papà, è bellissimo. Grazie! … »

Cominciò a muoversi piano piano su sé stesso, per paura di impaurire le lucciole.

Concluso un giro, guardò di nuovo verso il padre, fermo oltre il nugolo di lucciole, a distanza sufficiente da non disturbare la magia.

«Papà, è bellissimo, vieni anche tu!»

«Non posso,» rispose il padre «sono troppo grande.»

«Ti prego, vieni» ribatté Giorgio, tendendo la mano.

Come rispondendo ad un comando, una lucciola si staccò dalla mano tesa di Giorgio e si diresse verso il padre, posandosi sul bavero della camicia, vicino all’orecchio.

Il papà si sentì come se qualcuno lo tirasse a strattoni verso Giorgio e, dopo una leggera resistenza, si lasciò andare e raggiunse il figlio dentro il nugolo di lucciole.

Allargò le braccia e guardò verso l’alto così come aveva fatto Giorgio prima di lui, sentendosi come un bambino.

Abbassò lo sguardo verso Giorgio, che lo stava guardando con la stessa espressione con cui lui stava guardando il figlio poco prima; si chinò e si abbracciarono, felicissimi.

Poco distante, senza farsi vedere, la mamma di Giorgio applaudiva silenziosamente, mentre lacrime di amore e felicità le accarezzavano le guance.

Sì, era proprio quella la felicità.

Da quella sera, ogni sera, una lucciola si affacciava alla finestra della camera di Giorgio, come a bussare.

Ci volle qualche giorno prima che Giorgio si decidesse ad aprire: la lucciola entrò, si diresse verso il letto di Giorgio e vi si posò.

Giorgio socchiuse la finestra in modo da lasciare abbastanza spazio perché la lucciola potesse uscire e si diresse verso il letto; si mise di nuovo sotto le lenzuola e appoggiò la testa sul cuscino.

La lucciola ansò a posarsi accanto a lui.

Si addormentò e fece bei sogni.

Le notti successive, appena la lucciola si posava sul cuscino, Giorgio le raccontava i bei sogni fatti la notte prima – o almeno quelli che ricordava ancora – e poi si addormentava.

Aveva sempre la sensazione che quei sogni li vivesse davvero, tanto erano intensi.

*****

Giorgio chiamò la lucciola ‘fatina’ ed era proprio mentre stava raccontando il sogno della notte prima che aveva sentito i genitori discutere.

Si era alzato e aveva camminato silenziosamente verso la porta della propria camera, aprendola piano, in tempo per sentire suo padre parlare della guerra in arrivo e vedere la mamma piangere, il padre abbracciarla, per poi accennare anche lui una lacrima.

*****

Il giorno della partenza arrivò con una velocità che non si aspettava, probabilmente con la stessa velocità con cui si stava avvicinando la guerra.

Il papà aveva sistemato tutto per un lungo viaggio, ma aveva detto alla madre di preparare solo quanto servisse davvero: due piccole valigie, una con l’essenziale per i due genitori, una con l’essenziale per i tre bambini.

Durante il viaggio il papà era sempre allegro, nonostante avesse lasciato dietro di sé tutto quanto aveva faticosamente sognato e costruito; parlava di una terra dove c’era sempre il sole e dove c’era un grande fiume che, millenni prima, aveva fatto nascere una delle più grandi civiltà di tutti i tempi.

La mamma, invece, rimase triste per tutto il viaggio, con lo sguardo perso oltre il finestrino laterale dell’auto.

Viaggiarono per ore e ore, fino al cadere della notte.

Nonostante tutti i tentativi, tutti gli alberghi erano pieni – che ci faceva tutta quella gente lì? – così dovettero dormire in auto. Un albergatore fu così gentile da offrire loro un posto nel parcheggio coperto e una piccola saletta con bagno, per tutelarli dal freddo e per poter permettere alla famigliola di lavarsi e cambiarsi.

Non erano soli in quel parcheggio, anzi…

Durante la notte, come disturbato da un rumore, il papà si svegliò e, prima di riaddormentarsi, vide una lucciola posata sul collo di Giorgio.

Sorrise, ritenendolo un buon auspicio.

*****
Ripreso il viaggio il mattino successivo, la meta fu un parcheggio a ridosso di una spiaggia.

Il papà di Giorgio prese le due valigie e andò avanti, quasi a voler trainare l’intera famiglia col suo entusiasmo; si fece superare giusto il tempo per un ultimo sguardo commosso alla sua auto, poi di nuovo avanti, risoluto.

Poco prima della spiaggia, passarono in mezzo a due cordoni di uomini con le armi – non sembravano per niente poliziotti o soldati, a dire il vero – e poi mettere in fila, insieme a tante altre famiglie come la loro.

Davanti a loro c’erano quattro barconi sgangherati, che agli occhi di Giorgio e delle sue sorelline sembravano vere e proprie navi.

Giorgio vide il papà dare un mazzetto di soldi bello grande all’ultimo signore col mitragliatore, per poi girarsi verso loro e, con un gran sorriso, dire:

«Andiamo, l’Africa ci aspetta, sarà la nostra nuova casa!»

Giorgio aveva sentito parlare alla televisione di questi viaggi della speranza, da un’Europa ormai a pezzi, verso l’Asia e l’Africa; il papà dirà poi, durante il viaggio, di aver scelto l’Africa perché convinto di poter ricominciare da sé in qualche regione intorno al Nilo.

Mentre stavano salendo sul barcone, il papà chiese, sempre sorridente:

«Com’è previsto il tempo al largo?»

«Sali e sta zitto!» rispose il tipo col mitragliatore in una mano, mentre porgeva l’altra, pigramente, a chi avesse avuto bisogno di aiuto per salire sulla passerella che portava alla nave.

A Giorgio non piacque.

*****

Passarono tre giorni.

La nave era così pesante, così piena di persone, che avanzava molto più lentamente di quanto avessero previsto i marinai, o quelli che sembravano esserlo.

Ogni notte, Giorgio aspettava la sua fatina, ma ormai non riusciva più a raccontarle bei sogni perché, nonostante la sua compagnia, non riusciva più a farne.

Il papà era invece rassicurato dalla presenza di quella lucciola che, per non farsi scorgere dagli altri, badava bene a rimanere spenta, dopo essersi posata sul collo di Giorgio.

Durante quella notte, però, Giorgio sentì qualcosa di strano, di intenso, come i sogni che faceva quando era a casa: si sentì sollevare, ondeggiare nell’aria e poi sentì tutta l’acqua intorno a lui. Credette di star sognando per qualche secondo, pertanto gli sembrò di aprire gli occhi solo nel sogno e gli sembrò di vedere tutti quei tonfi intorno a lui come fossero parte del sogno.

Fu solo quando gli sembrò di vedere una delle sue sorelline, in uno di quei tonfi nell’acqua, che si destò del tutto e capì che non era un sogno: era stato buttato in acqua, nel mare, al largo, insieme a tanti bambini tutt’intorno a lui.

Il papà di Giorgio si accorse troppo tardi di quanto stesse succedendo, ma abbastanza in tempo da gridare, lanciarsi contro i marinai che stavano lanciando tutti i bambini a mare, e svegliare tutti gli altri genitori che dormivano ignari di quanto stesse succedendo ai loro figli.

Fu ricacciato indietro, colpito da un calcio sul petto:

«I bambini sono troppi. Se non li buttiamo via, affonderemo tutti!» gridò il marinaio.

«No, no, non va bene. Così non va bene!» sembrarono pensare insieme tutti i genitori, che si avventarono sui marinai, fermando almeno a quel punto la strage di bambini.

In acqua ce n’erano almeno due dozzine, per quel che si vedeva, ma chissà quanti altri non si vedevano al buio.

Al buio, però, si vide una luce piccola come uno spillo, immersa nell’acqua fredda e buia del mare, espandersi e diventare sempre più grande.

In questa luce, a tutti sembrò di vedere un delfino, ma ormai la nave aveva preso velocità e si era allontanata. I bambini buttati a mare neanche si vedevano più e lo sconforto e la disperazione colpì ogni persona presente sulla nave.

I marinai si erano ritirati nella cabina di pilotaggio, puntando le armi a loro protezione.

Non erano fieri di quello che avevano fatto, ma erano stati costretti, altrimenti la barca sarebbe prima o poi affondata; in qualche modo dovevano pure trovare una scusa per sopravvivere, ogni volta, ad ogni viaggio.

Ne facevano salire sempre troppi su quei barconi, sempre troppi!

*****
Quando furono fermati da una nave militare il mattino successivo, i genitori si affrettarono subito a chiedere ai militari di arrestare tutti i marinai, raccontando quanto fosse successo durante la notte.

I militari si guardarono tra loro, increduli; il primo di loro, fece un passo avanti e, con le mani in avanti come a voler calmare gli animi, disse:

«Credo che i vostri figli siano salvi. Li abbiamo trovati su una spiaggia poco distante da qui, sono una trentina circa.»

Immaginate la gioia dei genitori, la speranza e la paura che fosse soltanto una bugia per tenerli calmi.

*****

Mezzora di viaggio ancora, trainati dalla nave militare; poi, giunti vicini alla costa, i militari calarono a mare un motoscafo, facendovi salire i genitori dei bambini dispersi, per portarli sulla spiaggia dove avevano trovato i bambini naufragati.

La gioia fu immensa: riabbracciare i propri figli dopo averli creduti morti, riabbracciare i propri genitori dopo aver creduto di non rivederli più.

Ancora non si chiedevano come fosse stato possibile, ancora nessuno di loro ringraziava un dio, il mare o qualsiasi altro nome avessero dato ad un miracolo.

Tutti, tutti erano felici, tutti tranne uno. Quando il papà di Giorgio riabbracciò la figlioletta pianse di gioia, ma quando capì che la bambina stava piangendo anche altre lacrime, le sue gli si gelarono sul viso.

I bambini erano tutti salvi, tranne uno.

Giorgio era steso sulla sabbia, come se stesse dormendo a pancia in giù, come faceva quasi ogni notte.

Il papà corse prima velocemente da lui, scacciando il fotografo che era lì; si inginocchiò nei suoi pressi, poi crollò sul fianco di suo figlio, dondolando e piangendo, dapprima da solo, poi portando a sé il corpo del figlio, continuando a dondolare, a piangere, a gridare.

Quando si sollevò sulle sue gambe, il figlio morto tra le braccia, vide una piccola lucina uscire da dietro i capelli del figlio. La lucciola era rimasta con lui.

Per un attimo il tempo intorno si fermò: lucciola si era alzata fin davanti il suo sguardo.

E lui vide!

*****

Vide Giorgio caduto in acqua, svegliarsi, veder cadere in acqua anche la sorellina, poco distante e desiderare con tutte le sue forze di correre da lei e salvarla.

Lucciola, la sua fatina, aveva sentito il suo desiderio e fece di tutto per esaudirlo.

Si era espansa, attingendo a tutta la sua energia e aveva trasformato Giorgio in un delfino.

Una volta delfino, Giorgio non aveva perso tempo, lanciandosi verso la sorellina, mettendosela sul dorso e facendosi guidare da lucciola verso la spiaggia più vicina.

Una volta messa in salvo la sorellina, lucciola era già pronta a ritrasformarlo in essere umano, ma non aveva avuto il tempo di farlo.

Giorgio si era già lanciato verso il largo, verso quella zona di mare dove gli altri bambini stavano annegando.

Aveva fatto quel viaggio quasi trenta volte, ad una velocità quasi impensabile, anche per il più veloce dei delfini.

Dopo aver salvato l’ultimo bambino, Giorgio si era arenato sulla spiaggia anch’egli, così che lucciola potesse ritrasformarlo in bambino.

La sua sorellina aveva assistito a tutta la scena, aveva visto i quasi trenta viaggi del delfino, avanti e indietro.

Quando vide il delfino trasformarsi in Giorgio, corse verso di lui, gli si chinò vicino, accarezzandolo:

«Giorgio, sei stato tu! Grazie, ci hai salvati tutti!»

«Sì, sono contento!» rispose Giorgio affannato «Adesso però sono stanco, lasciami dormire.»

E si era addormentato sorridendo, per non svegliarsi più.

*****
Quando il papà di Giorgio si destò, il tempo ricominciò a scorrere e vide la moglie corrergli incontro, disperatamente in lacrime. Lasciò che lei prendesse a sé il corpicino di suo figlio e lo stringesse, accovacciandosi; rimanendo in piedi, cominciò ad accarezzare i capelli di sua moglie e guardò verso il mare. Chiuse gli occhi, pianse ancora, ma sorrise.

Portarono il corpo di Giorgio con loro fino al campo dove furono ricoverati, per tenerlo con loro almeno una notte.

Durante il giorno le foto di quel bambino riverso sulla spiaggia avevano fatto il giro del mondo, commuovendo ogni essere umano per tutto il giorno, commuovendo il mondo per un giorno almeno, per un giorno soltanto.

*****
L’indomani, la madre di Giorgio si svegliò di soprassalto, come se avesse fatto un incubo. Camminò fino alla parte del campo dove avevano adagiato il corpo di suo figlio, per accarezzarlo un’ultima volta, prima di vederlo in una bara, prima di quell’inutile cerimonia che, se anche fosse stata nel suo credo, non le avrebbe restituito suo figlio.

Non lo trovò!

Corse ad avvertire il marito, ma nella tenda non lo trovò. Chiese a chiunque fosse intorno chi l’avesse visto.

Dopo qualche tentativo, le indicarono la fine del promontorio, verso la scogliera.

Il marito era giù, in piedi sulla battigia, a salutare verso il mare; poco lontano, verso l’orizzonte, un delfino saltava verso il largo.

Lo raggiunse e gli si affiancò, intontita.

Lui le raccontò tutto, a partire dalla notte delle lucciole, della piccola luce che seguiva il loro figliolo ogni notte, della visione avuta sulla spiaggia il giorno prima.

Raccontò anche che, durante la notte, lucciola aveva ronzato tutt’intorno al proprio viso, svegliandolo e l’aveva guidato fino al corpo di Giorgio, invitandolo a toccarlo.

Toccandolo, aveva visto il corpo morto di Giorgio entrare nel mare e, come per magia, riprendere vita.

Non ci aveva creduto, ma aveva pensato fosse giusto seppellirlo lì, nel mare dove aveva salvato tanti bambini come lui, compresa la sorellina, e non sotto tre volgari metri di terra.

L’aveva preso e portato alla spiaggia, scortato da lucciola, era entrato nell’acqua fino a bagnarsi la vita e aveva lasciato andare il figlio nel mare, dopo l’ennesimo ultimo bacio.

Appena il corpo di Giorgio fu completamente sommerso, lucciola si era lanciato su di lui, ancora una volta espandendosi – come qualche notte prima – e aveva avvolto il corpo di Giorgio.

Un bagliore e poi, poco più in là, un delfino aveva cominciato a saltellare nell’acqua; del corpo di Giorgio e della lucciola non c’era più traccia.

Il delfino si era avvicinato, l’aveva accarezzato col muso prima nelle mani, poi sul viso.

Aveva giocato tutta la notte con lui, così come facevano quando la guerra non era vicina e il giorno dopo non c’era scuola, non c’era lavoro.

Lei guardò un’ultima volta verso l’orizzonte, accarezzò il viso del marito, diede le spalle al mare e si incamminò verso il campo, verso le sue figlie.

*****

Nei mesi successivi, centinaia di naufraghi furono sottratti alla morte in quelle acque; tutti raccontarono di essere stati salvati da un delfino.

Ogni giorno che il mare lo permetteva, il delfino si avvicinava al promontorio, nella speranza che lui fosse lì, ad aspettarlo.

E lui era lì, ad aspettare anche col mare agitato, che il delfino si avvicinasse per un saluto, un saltello, un grido.

Non era più entrato in acqua, né il delfino si era abbastanza avvicinato da chiederglielo.

Nei mesi successivi, il delfino si fece vedere sempre meno, così poco da preoccuparlo.

Una notte in cui le stelle sembravano così vicine da poterle toccare, non riuscendo a dormire, pensò di andare a passeggiare sulla spiaggia.

Erano passati pochi minuti, quando sentì un fruscio nell’acqua del mare avvicinarsi lentamente.

Era lui e non era da solo: una delfina e un delfino più piccolino erano insieme a lui.

Arrivarono fin quasi a riva, lui si lanciò verso di loro.

Con delicatezza accarezzò prima la delfina – come a volersi presentare – e poi, ancor più delicatamente, il piccolo delfino.

Guardò negli occhi il delfino più grande:

“E’ ancora Giorgio” pensò “oppure sono diventato pazzo?”

Il delfino lo accarezzò col muso e lui si lanciò in acqua: se quella era pazzia, allora voleva essere pazzo.

Abbracciò il delfino, chiudendo gli occhi, cadendo ancora in acqua, rischiando di affogare.

Quando uscì dal mare, alzò gli occhi e vide: le stelle si erano adagiate tutt’intorno a loro, creando un nugolo di luci brillanti, come milioni di lucciole.

IL VIAGGIO DI GIORGIO è un racconto di Ennio Buonanno

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