LO PESTIFERO MAL di Guido Carretta

genere: UMORISTICO

Negli annali dell’Ospitale di S.Maria Nuova di Firenze si legge che, sul finire del 1200, in una fredda mattina di marzo, una coppia di pellegrini che venivano dall’Estremo Oriente furono ivi ricoverati  in gravissime condizioni.

I due, marito e moglie, furono probabilmente le prime vittime di quella terribile epidemia che, scoppiata nel nord dell’Italia, si sarebbe poi rapidamente diffusa in tutta la penisola e in grande parte dell’Europa e del mondo allora conosciuto.

Secondo altri storici invece, il primo contagiato fu Filippo il Bello re di Francia (1268-1314), tanto che la malattia, con riferimento alla sua corona regale, sarebbe stata in seguito denominata Coronal morbo.

Profondi furono lo sconcerto e il terrore che attanagliarono tutta Firenze.

Vi furono confronti e discussioni accese nelle pubbliche piazze e nelle sedi di Corporazioni, Arti e Mestieri. La gente si accapigliava, ognuno diceva la sua, chi pregava e chi imprecava.

Quasi tutti avevano un rimedio “sicuro” da proporre.

Era invalsa perfino l’abitudine di utilizzare la cosiddetta “maschera”, una pseudo-protezione costituita da una striscia di stoffa che andava a coprire naso e bocca poiché qualcuno ingenuamente riteneva che la pestilenza potesse trasmettersi addirittura attraverso il respiro.

Quando l’uso della maschera divenne obbligatorio ci furono forti proteste e scoppiarono anche dei tumulti.

Grande, perciò, era la preoccupazione delle autorità tanto che il Console della Corporazione Maggiore dei Medici e degli Speziali, messer Roberto Esperanza, su sollecitazione del Priorato della città, allo scopo di individuare le cause del morbo ed i rimedi per poterlo più efficacemente combattere, aveva deciso la creazione del Consiglio tecnico-medicale, un cenacolo che annoverava tra le sue fila i più noti dotti, medici e sapienti del tempo, in particolare gli studiosi del corpo umano, allora detti “virologi”, dal latino “vir” (uomo).

Su suggerimento di tale Consiglio, vennero emesse numerose disposizioni di legge, definite DPCM (Deliberazione dei Priori e del Consiglio Medicale), volte ad evitare gli assembramenti (dove più facile era il contagio), limitando ad un massimo di mille il numero degli accessi alle piazze e agli altri luoghi pubblici.

Poi, però, per le vibrate proteste della popolazione, tale numero venne progressivamente ampliato tanto che il DPCM più noto fu chiamato anche la legge del “Mille e non più mille”.

Il Console Esperanza istituì inoltre, un lasciapassare, una sorta di documento di color verde, chiamato “Verde-Passi” che consentiva il libero accesso in quei luoghi ad autorità, clero e raccomandati vari (da cui l’espressione passar col verde).

Anche un fiorentino oggi famoso, Dante Alighieri, rimase molto colpito, se non nel fisico quantomeno nell’animo, dal diffondersi di questa terribile epidemia, tanto da cantarla in una sua breve composizione poetica in endecasillabi (come è noto Dante soffriva di un raro disturbo neurologico che lo costringeva ad esprimersi esclusivamente in endecasillabi, anche nel linguaggio di tutti i giorni, utilizzando spesso termini dal significato piuttosto oscuro che necessitavano di lunghe e laboriose spiegazioni).

Prima di leggere la composizione poetica sono perciò necessarie alcune delucidazioni:

  • Il termine loccato usato dal poeta ha il significato di “serrato, rinchiuso in casa” e deriva dal britannico lock down
  • Quando parla della muchina Dante fa riferimento ad un unguento medicale salvifico, ricavato dal muco di cane o di cavallo, che veniva cosparso sulle mani e si riteneva ingenuamente che potesse costituire una barriera di protezione all’ingresso dell’infezione.
  • Quando il sommo poeta parla di vaccinazion non si riferisce certo alla vaccinazione come la intendiamo noi oggi (a quei tempi non esisteva ancora) ma, più probabilmente, intende parlare di “vaticinazione”, riferendosi a quelle forme di divinazione pubblica effettuate in quel periodo da astrologi, medici e virologi.
  • Quando, infine, il poeta afferma: è arrivato Filiol, fa riferimento a Francesco Paolo Figliuolo, nobile condottiero lucano, generale delle truppe degli alpestri, che raggiunse una discreta notorietà per il suo impegno nel mantenimento dell’ordine pubblico e nel contenimento dell’epidemia.

Ma veniamo finalmente al componimento che s’intitola:

LO PESTIFERO MAL

Nel mezzo del cammin di nostra vita

Mi ritrovai loccato in gran paura

Che orribil pandemia l’era sortita

Combatter smascherati è cosa dura

Esto germe viral, selvaggio et forte

Che nel pensier rinnova la paura

Così, meschin, contra la malasorte

La bocca mi coprii, tutto tremante

Et pur lo naso mio ch’è grando et forte.

Poscia con la Muchina, trepidante

Tentai di imporre lo distanziamento

Ad una folla torva et gracidante

Perché si tien cotesto assembramento?”

 Sornion I’ chiesi a due pulchre donzelle

“E’ la vaccinazion, stai pur contento”

Rispuosero gratiose le due belle

È arrivato Filiol, dal reggimento,

E quinci usciremo, a riveder le stelle”.

Un’annotazione curiosa: pare che l’odierna iconografia che rappresenta il sommo poeta dotato di un naso piuttosto pronunciato derivi proprio da questa sua breve composizione e, in particolare, dal verso autoironico. Et pur lo naso mio ch’è grando et forte.

Certo sentire al giorno d’oggi raccontare questi avvenimenti può far sorridere. Oggidì, con il progredire della Scienza e della Medicina tutte queste cose non sarebbero mai potute succedere.

Ma non bisogna scordare che stiamo parlando di fatti accaduti centinaia di anni fa.

Un’altra epoca. Tutto è diverso oggi. Tutto molto diverso.

LO PESTIFERO MAL di Guido Carretta

genere: UMORISTICO

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