OTTOPALINDROMO di Eleonora Cabiddu

I pontili sul mare si dice che siano otto: di questi almeno si è sicuri. Esternamente e da lontano sono solo un insieme di ferro rosicchiato dalla salsedine; sono scheletri di ruggine e pendono lì, con le gambe a mollo nell’acqua.

IL NUMERO TRE

Si ha sempre un po’ di timore di ciò che non si vede. Per questo nascono i mostri: proprio perché si alimentano della paura che noi stessi creiamo. Allora si iniziano ad immaginare cose. Tuttavia, la linea è molto sottile, a volte, tra reale e surreale. Spesso questa linea viene valicata.
Il buio, come la nebbia, fa presagire che qualcosa vi si stia nascondendo, che questi due fenomeni siano solo un pretesto per mascherare qualcosa, o per mimetizzarlo e creare un surreale gioco di illusione.
A volte capita, passeggiando in riva al mare, di incontrare dei punti in cui c’è una maggiore concentrazione di foschia, oppure inaspettatamente si crea un banco di nebbia.
Nessuno ci fa mai caso, ma nascosto in mezzo alla coltre si può intravvedere una bassa ringhiera: è il pontile numero tre.
Si trova perennemente avvolto da una spessa nebulosa, e per chi va di fretta è difficile accorgersi della sua presenza: la passerella ne viene completamente inghiottita.
Se si va sulla passeggiata dove si ipotizza – secondo alcune voci – che ci sia il numero tre, ci si imbatte quasi con assoluta certezza in un vecchio signore dall’aria grigia, con un cane dal muso imbianchito dalla vecchiaia, che racconta una strana storia plumbea, a chi la vuole ascoltare. Attenzione ai vecchi che si propongono come cantastorie: quello che vanno dicendo spesso è ciò che è successo.
Così, intabarrato da sciarpa e cappello scoloriti, davanti ad una tazza di caffè acquoso e insapore, il vecchio improvvisato cantastorie prese a narrare ciò che i suoi occhi (non) avevano visto.

Un giorno plumbeo come un altro, in un orario indefinito che poteva essere benissimo mattina presto, ma anche sera, in una stagione di mezzo in cui tutto tende al grigio, in quel tempo ambiguo e in quel luogo senza tempo, due persone egualmente vestite da cappotti informi, dal tono tendente all’antracite – o forse blu scuro? o addirittura nero?- scavalcarono in una sequenza identica di movimenti, il cancello del pontile numero tre.
In quello stesso momento, lui, un ignaro vecchio passante canuto, uscito per portare a spasso il cane, notò questa scena. Li vide scomparire piano nella fitta nebbia; si accese una sigaretta e aspettò che qualcosa accadesse per tutta la sua durata. Infine fece l’ultimo tiro: il fumo uscì dalla bocca, si mischiò al resto del grigiore attorno. Nulla era accaduto in quella sigaretta di tempo; quindi sbuffò e riprese la sua passeggiata.
Sulla via del ritorno, più sul tardi, per chissà quale motivo, si fermò nello stesso identico punto in cui si era fermato prima, senza sapere bene come avesse fatto a riconoscere il luogo. Si accese un’altra sigaretta, liberò il cane e si sedette sulla sabbia greige, e aspettò. La nebbia stava lentamente dissolvendosi, eppure tutto rimaneva indistinto. Proprio mentre gli parve di scorgere due sfocate sagome scure, la cortina si affievolì sempre più rapidamente. Le indistinte silhouette avanzavano, la nebbia svaniva. Erano lì; il vecchio diede un tiro alla sigaretta; un rivolo di fumo gli arrivò all’occhio, che lo fece lacrimare. Svanì il fumo, si asciugò la lacrima. La nebbia si era dissolta completamente, e con essa il pontile numero tre. Sulla sabbia, nessun altro passeggiava: le uniche orme erano quelle del cane.

Ottopalindromo è un racconto di Eleonora Cabiddu

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