ALBERGO AD ORE di Fabio Losacco

Quella mattina Vanessa era emozionata come non le capitava da molto tempo.

Aveva compiuto 45 anni da pochi giorni e dire che fosse ormai una donna fatta era decisamente un eufemismo ma, ugualmente, in quel momento si sentiva come una ragazzina al primo appuntamento.

Del resto, quello era.

Un primo appuntamento.

Con uno sconosciuto.

Però non era proprio uno sconosciuto.

Con Ettore avevano parlato moltissimo dopo aver fatto “match” in una delle tante chat di incontri. Prima messaggi, poi lunghe chiamate ed infine, come era naturale che fosse, il grande, atteso, sofferto giorno dell’incontro dal vero.

Non c’era nulla di male in fondo.

Erano due persone adulte e pienamente consapevoli di quello che stavano facendo, solo che erano entrambi sposati, ed entrambi con figli. E Vanessa non solo non aveva mai tradito suo marito ma nemmeno si era mai trovata, anche per un solo istante, a desiderare di farlo.

Anche per Ettore era la stessa cosa, almeno così le aveva assicurato e lei non aveva motivo di dubitarne.

Entrambi avevano preso un intero giorno libero dai rispettivi impegni di lavoro per stare assieme e non essere pressati dalla fretta.

Erano settimane che preparavano la cosa, comprese le diverse giustificazioni da utilizzare qualora fossero sorte delle complicazioni inaspettate.

“Un piano perfetto” si era detta, anche se quella frase la faceva sorridere per quanto le pareva esagerata.

Si dovevano incontrare all’uscita di Firenze Impruneta, dove c’era un vasto parcheggio con un gran via vai di gente. Sarebbero stati gli occhi di tutti a renderli anonimi, perché nessuno nota la singola rondine all’interno di uno stormo.

Vanessa era in anticipo, come sua abitudine, ed era scesa dall’auto parcheggiata ad aspettarlo.                                                                                                  

Il cielo era azzurro, la temperatura mite, la primavera inoltrata. Tutto era perfetto per far passare qualche minuto, magari dando la possibilità al tamburo del suo cuore di rallentare un po’.

Lui arrivo subito dopo, anche lui in anticipo ed anche lui con una gran voglia di vederla e di dare un volto alla voce ed alle infinite parole.

Quando Ettore stava ancora parcheggiando lei lo aveva già riconosciuto.

“Tutte le donne sono un po’ streghe” le ripeteva sempre sua madre ed ora anche lei ne aveva avuto la riprova.

“Vanessa, vero?” disse lui, avvicinandosi con passo sicuro.

Era decisamente un uomo di classe, alto, slanciato e con indosso vestiti sportivi ma di gusto. Sfoggiava due occhi neri, profondi ed intelligenti, che esprimevano la soddisfazione di averla finalmente davanti a sé.

Vanessa capì subito di essergli piaciuta e fu compiaciuta ancora di più del fatto che la cosa era innegabilmente reciproca.

“Ettore?”

In quell’istante si accorse che il suo cuore si era stranamente calmato.

Entrambi ebbero la medesima sensazione di conoscersi da sempre.

“Sei molto attraente se posso permettermi” disse lui.

La sua voce, senza essere filtrata dal microfono, le sembrò ancora più bella.

“Anche tu sei un bell’uomo” disse Vanessa e sentì che il suo volto si tingeva di rosso come quando le capitava di mangiare troppe fragole. Del resto, era proprio quella la loro stagione.

Il momento tanto atteso era arrivato e tutti e due erano evidentemente affascinati ed imbarazzati al tempo stesso.

Forse, al parcheggio dell’autostrada, si stava compiendo una piccola magia.

La stessa in cui entrambi speravano ardentemente.

I rispettivi mariti, moglie, figli e figlie erano in quel momento lontani e c’erano solo loro due.

Vanessa vinse la sua naturale ed inguaribile timidezza e depositò sulla guancia di Ettore un bacio leggero.

Lui sapeva di dopobarba e di buono, mentre lei aveva invece un profumo semplice e leggero fatto dell’essenza di fiori.

Un attimo dopo erano in macchina e si stavano lasciando Firenze alle spalle.

La camera era piccola e pulita, arredata con un’evidente eleganza minimalista. 

Entrambi si erano tolti i soprabiti e li avevano abbandonati sulle due sedie che erano ai piedi del letto. Poi avevano stappato la bottiglia di spumante che avevano comprato ad un autogrill prima di arrivare.

Infine, avevano brindato con i bicchieri di carta e fatto con la bocca il rumore che avrebbe dovuto accompagnare l’incontro dei cristalli.

Come due ragazzini.

“Sono felice di essere qui con te” disse lui. Aveva un sorriso che esprimeva gioia e sincerità.

“Anche io sono molto contenta.”

In quel momento non le importava di aver raccontato delle bugie all’uomo che aveva accanto da tanti anni e che era il padre dei suoi due figli. In fondo era stato lui a dimostrarsi incapace di soddisfare le sue esigenze.

Magari succedeva, a tutte le coppie prima o poi, solo che tanti preferivano fare finta di nulla. 

Lei però non ci era riuscita. Ecco tutto.

“Non c’è nulla di male in quello che stiamo facendo” disse Ettore, come se avesse la capacità di leggerle nei pensieri.

“Ne sono convinta. Altrimenti non sarei qui.”

Lui le prese la mano e la sentì fredda.

“Non hai paura vero? Non voglio che tu ti senta in ansia per colpa mia.”

Ma Vanessa non era per niente in ansia. Al contrario.

Stava così bene con lui e non desiderava altro che andare avanti.

Del resto, sia lei che Ettore avevano dei desideri che i rispettivi compagni non erano mai stati in grado di soddisfare ed avvicinandosi a grandi passi verso il mezzo secolo, entrambi avevano semplicemente compreso quanto fosse stupido continuare a rinunciarvi.

“Io sono pronta” disse semplicemente.

“Anche io. Ho portato tutto il necessario e davvero non aspetto altro” rispose Ettore con altrettanta semplicità.

Vanessa sentì un tuffo al cuore.

Il momento tanto desiderato era arrivato ed adesso erano soli in quella piccola stanza con tutto il resto della loro vita chiuso finalmente fuori dalla porta.

Lei pensò che, se anche solo un mese fa, le avessero raccontato ciò che stava per accadere non ci avrebbe mai creduto.

Adesso invece avvertiva solo il rimpianto di non essersi decisa prima.

Insieme al desiderio di recuperare tutto il tempo perduto.

Lui si alzò e andò ad aprire la valigetta che aveva appoggiato sulla piccola scrivania che completava l’arredamento della stanza.

“Sono certo di avere bene interpretato i tuoi gusti, Vanessa. Che poi sono anche i miei.”

“Lo so bene. Ho capito fin da subito quanto fossimo affini.”

Ettore sorrise. Anche lui era emozionato, ma pensava fosse poco virile mostrare la sua momentanea debolezza.

In fondo era un uomo all’antica, anche se adesso si trovava in una camera d’albergo con una donna che non era sua moglie.

Vanessa sorrise. Chissà perché ogni parola che sentiva pronunciare da quell’uomo le sembrava sempre così perfettamente adatta al momento ed al suo stato d’animo. Quella sensazione non l’aveva mai provata con suo marito, nemmeno quando erano giovani ed erano capaci di passare interi pomeriggi in infinite sessioni amorose dalle quali uscivano appagati e spossati.

“Vanessa, ieri ho pensato ad un gioco che potrebbe rendere tutto più interessante. Solo se ti va ovviamente. Non voglio importi nulla che tu non condivida.”

A lei venne quasi da ridere.

Sapevano entrambi cosa desideravano ed erano consapevoli di trovarsi assieme proprio per colmare reciprocamente i vuoti delle loro vite. Avevano gli stessi desideri e se lo erano ripetuto fino alla noia, stupiti di trovare, l’una nell’altro, un groviglio di così identici sentimenti, desideri ed emozioni.

Ed allora a cosa avrebbe mai potuto opporsi?

“Per me va bene. Mi affido completamente a te.”

Ettore tirò fuori dalla sua borsa un nastro di seta nera che luccicava alla luce soffusa della finestra. 

“Vorrei bendarti e poi che ti distendessi sul letto. Ti va?”

Vanessa annuì.

Era eccitatissima da quell’idea.

Lui con delicatezza le coprì gli occhi e con altrettanta delicatezza l’accompagnò mentre si adagiava sul letto.

Il cuscino era morbido e sapeva di sapone e di ammorbidente.

Ettore era stato bravo a scegliere quel posto. E se ci fosse venuto con altre donne per fare la stessa che stava per fare con lei?

Si sentì per un attimo trafiggere dal dardo avvelenato della gelosia, poi però lasciò che la cosa le scivolasse via lontano.

Adesso voleva solo godersi quel momento tanto atteso e tutto il resto poteva attendere.

“Sei pronta?”

Lei fece di sì con la testa.

Sentì Ettore armeggiare ancora nella sua borsa e poi percepì un movimento del letto.

Capì che lui si era seduto accanto a lei.

“Allora comincio.”

Vanessa non stava più in sé dall’impazienza.

La voce di Ettore divenne improvvisamente profonda ed allo stesso tempo ancora più suadente.

Ed iniziò.

«Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.»

Lei rimase per un istante interdetta. Conosceva bene quell’incipit ma, forse per l’emozione, non riusciva a trovarne l’incastro nel puzzle della sua memoria. Forse però era solo troppo arrugginita dalla vuota monotonia della sua vita quotidiana.

Dopo una piccola, studiata pausa, degna di un attore consumato, Ettore continuò.

«Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito».

Come aveva fatto a non riconoscerlo subito? Si sentiva proprio una stupida!

“L’ho riconosciuto!” disse con tono trionfante e, pur senza vederlo, percepì la luce del bel sorriso di Ettore.

“Lo so che sei bravissima” disse lui accarezzandole lievemente la mano.

“Continua a leggere ti prego. Hai una voce bellissima.”

E lui continuò.

Quando uscirono dalla camera avevano letto quasi un terzo del romanzo, ridendo, commentando e commuovendosi ad ogni singola frase e ad ogni singolo passaggio.

Lei era stata bendata per un bel po’, poi però si erano scambiati i ruoli e Vanessa aveva scoperto quanto la gratificasse leggere quelle splendide parole per quell’uomo che, pur conoscendola appena, sembrava in grado di condividere ogni incastro delle ruote dentate del suo animo.

All’imbrunire purtroppo erano stati costretti ad interrompersi. La giornata era volata via leggera ed ognuno doveva riprendere gli usuali percorsi della propria esistenza.

“Vorrei ci vedessimo ancora” le disse Ettore con voce bassa ma ferma. Lei si voltò e gli depositò un bacio lievissimo sulle labbra, asciutte per le troppe parole che avevano pronunciato.

“Anche io voglio rivederti.”

Il portiere dell’albergo con aria indifferente li guardò scendere ed uscire tenendosi per mano.

Le coppiette clandestine che popolavano quel posto quasi mai si tenevano per mano quando uscivano.

“Innamorati” si disse.

Poi riprese a leggere il libro che aveva davanti

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