ESCALATION di Daniela Di Benedetto (versione integrale)

Emilia ha parcheggiato la sua Citroen vicino alla chiesa perché il pretesto che adduce con sua madre è sempre quello:

“Sto andando in chiesa”.

Nessuno deve vederla fuori dal suo quartiere.

Seduta al volante, attende finché sente il motore della Volvo che si avvicina. Lo riconosce sempre, come un cane riconosce il motore del suo padrone.

Ecco la Volvo blu. Emilia si guarda intorno:

‘C’è qualche persona del vicinato che possa vederla in quel momento? No, nessuno.’

In fretta scende dalla sua auto e si infila nell’altra, che riparte subito. L’uomo alla guida, Gaetano, entro due ore la riporterà alla sua Citroen, ma adesso stanno andando in un motel, unico luogo sicuro. Perché a casa di lei c’è una madre arcigna in attesa, e a casa di lui una moglie.

Gaetano non è un uomo di grandi pretese. Vuole solo portarsi a letto una donna carina, perché sua moglie Elsa, dopo aver partorito due figli, si è molto ingrassata perdendo ogni attrattiva. Lui non si sognerebbe mai di chiedere il divorzio sfasciando la famiglia, vuole bene ai ragazzi, ma non può fare a meno di qualche scopata clandestina.

Ha conosciuto Emilia quando lei aveva un lavoro: faceva la cassiera in un supermercato di cui Gaetano era cliente. Una chiacchierata oggi, un domani, si sono capiti ben presto: entrambi hanno bisogno di evadere dalla realtà… finché un giorno lui le propone di prendere un caffè insieme alla fine del suo turno di lavoro. In genere lei rifiuta gli appuntamenti, ma gli occhi chiari di quell’uomo la incantano: accetta. E al secondo incontro finiscono al motel.

Eccola adesso felice fra le braccia di Gaetano, che oltre ad avere un bel paio d’occhi è un uomo gentile, e tanto le basta. Lei ha già quarant’anni ma ne dimostra meno, è snella come possono essere solo le donne che non hanno mai avuto figli. La sua bellezza non è appariscente, nessun uomo si volterebbe per strada a guardarla, ma i lineamenti sono regolari e ha una bocca delicata che il suo amante ricopre di baci. Lei non meritava di restare tutta la vita da sola per colpa di quella madre…

“Ma perché non te ne vai di casa?” le domanda Gaetano.

“E come faccio? non ho soldi. Da quando ho perso il lavoro sono ospite di mamma e sono la sua badante.”

“Ma puoi ancora cercarlo, un lavoro.”

“Quando lo avevo… era un litigio continuo. Lei la mattina mi vuole a   casa. Il pomeriggio mi è consentito uscire solo per andare in farmacia, al supermercato e in chiesa.”

Lui sospira.

“Ti sei mai posta il problema di come vivrai quando tua madre morirà, e tu avrai cinquant’anni e nessuno vorrà assumerti?”

“Magari! Magari morisse. Ha 70 anni e dice sempre che sta morendo, con quella malattia che si ritrova. Invece resta viva. Non sono una sprovveduta, sai? Quando mamma si toglierà di mezzo, io erediterò la casa di quattro vani, e per me è grande. La venderò, comprerò un monovano, e coi soldi rimasti aprirò un’attività. Un negozio di gastronomia. Cucinare è l’unica cosa che so fare, e in Italia la gente pensa solo al cibo.”

Lui sorride.

“Non è l’unica cosa che sai fare, non buttarti così giù.”

“Sì, invece. Che me ne faccio di un diploma di ragioniera, quando mia madre non ha voluto pagarmi l’università? Già zoppicava, quando mi diplomai, e mi disse che non dovevo più studiare, dovevo stare a casa per assisterla. Quando le ho disobbedito trovandomi quel posto di cassiera, fu una guerra. E poi il supermercato fallì, e lei ci godeva, la stronza. Volevo che io dipendessi da lei, con quei due soldi di pensione che prende.”

Gaetano annuisce.

“E’ per questo che ti ha adottata? Per farsi assistere?”

“Già. All’epoca aveva 35 anni, era sposata, ma avendo una malattia genetica si guardò bene dal mettere al mondo figli. Chiese una bimba in adozione e… non dichiarò la malattia, che ancora non si notava. E invece di pretendere una neonata, volle me che avevo cinque anni, una richiesta facile da soddisfare. Suo marito è morto d’infarto subito dopo e non ricordo quasi niente di lui. È rimasta sola con me, diceva sempre che dovevo essere il bastone della sua vecchiaia, ma io all’epoca non capivo molto. Quando ebbi quindici anni lei iniziò a zoppicare vistosamente e mi spiegò cosa fosse la distrofia muscolare. Quella stronza puttana. Adottarmi per avere una badante.”

“Ma se tu ora volessi sposarti o lavorare, non potrebbe impedirtelo, Non vedo come.”

“Troverebbe un modo. Tu non conosci quella strega.”

Certo, mamma troverebbe un modo. Emilia ricorda bene come sua madre fece fuggire l’unico corteggiatore “regolare” che lei abbia mai avuto.

La ragazza, all’epoca trentenne, educata all’antica, voleva seguire i riti tradizionali del fidanzamento siciliano e disse alla madre che un certo Gino, persona per bene con serie intenzioni, aiutante di un commercialista, voleva venire a casa a prendere un tè. Le sembrò strano, in primo tempo, che mamma acconsentisse senza fare domande… Ma certo, acconsentiva perché, se avesse detto di no, sua figlia avrebbe incontrato quell’uomo fuori di casa. E fuori l’anziana non avrebbe mai avuto modo di conoscerlo e di spaventarlo.

Così Gino si presentò con un mazzo di tulipani e prese il suo tè ignaro dell’uragano che si sarebbe abbattuto sulle sue speranze entro mezz’ora. Infatti, mentre chiacchierava con Emilia in salotto, una donna visibilmente zoppa e con un braccio storto fece il suo ingresso.

“Buonasera”, disse “Sono la madre di Emilia”.

“Piacere, Gino” rispose lui alzandosi.

“Stia pure comodo.” Lei sedette in poltrona cercando di esagerare apposta le sue difficoltà di movimento. “Mi scusi il ritardo” disse “ma faccio fatica a lavarmi e a vestirmi, vede come sono combinata…”

Lui si sforzò di sembrare afflitto.

“Ha avuto un incidente?”

“No. Ho la distrofia muscolare e peggiorerò a poco a poco finché finirò su una sedia a rotelle.”

L’uomo rabbrividì.

“Conosce questa malattia genetica?” proseguì l’anziana.

“Ne ho sentito parlare.”

“Immagino che sappia che è ereditaria.”

Emilia capì in quel momento dove andasse a parare il discorso.

“Ma io non sono…” iniziò.

“Mia figlia ha buone probabilità di ereditare la malattia” ghignò l’altra, interrompendola.

“Ma non è vero!” esclamò la giovane “Sono stata adottata!”

“Oh. Adesso rinneghi la tua mamma.”

Emilia lanciò al fidanzato uno sguardo carico di disperazione.

“Non le credere” disse “Lei non voleva partorire figli malati e mi ha adottata. Sono sanissima.”

L’anziana si stirò nella poltrona sorridendo.

“Se sei sanissima o no, si vedrà fra qualche anno” ribatté.

Gino era così sconcertato da restare muto.

Allora Emilia cambiò argomento e cercò di estromettere la madre dalla conversazione; poteva solo sperare che il giovanotto credesse a lei e non alla perfida ammalata…

Ma a partire dall’indomani lui si rese irreperibile.

Sono passati dieci anni da allora, e ovviamente la distrofia è peggiorata. Mamma passa dal letto alla poltrona reclinabile e viceversa, appoggiandosi a Emilia: per fortuna pesa solo 60 kg. La figlia la lascia col pannolone quando deve assentarsi da casa per più di un’ora.

I polmoni ancora funzionano, quindi l’anziana può respirare autonomamente e può parlare, la sua voce rauca continua a infastidire Emilia con rimproveri e commenti cattivi. Ma parla più lentamente di prima perché c’è qualche problema ai muscoli facciali, ed è inutile dirlo al medico perché non esiste un rimedio.

Questa storia dei muscoli facciali ha compromesso anche la masticazione; quindi, la figlia la nutre con cibi morbidi, prevalentemente formaggini spalmati, yogurt, omogeneizzati, purè di verdure, frullati di frutta. Viene trattata bene, la vecchietta. Percepisce la pensione di invalidità con indennità di accompagnamento, e per fortuna non deve pagare affitto, la casa è sua. Ma i soldi bastano appena per il cibo e le bollette, Emilia non compra un vestito nuovo da quando aveva il suo stipendio…

Cerca almeno di mangiare decentemente. Non può permettersi i dolci, ma un etto di prosciutto crudo due volte alla settimana non glielo deve togliere nessuno. Non si può campare solo di pasta col pomodoro e polpette.

Adesso, alle ore 17, si trova nella salumeria del supermercato Deco. Ha preso un numerino ed è arrivato il suo turno, ma prima che possa aprire bocca sente dietro di sé una voce maschile che dice:

“Buongiorno Giovanni!  A casa tutto bene?”

Lei si gira e vede un uomo di bell’aspetto sui quarant’anni. Il saluto era rivolto al salumiere, e beh, mica si può impedire a qualcuno di salutare un amico.

“Sì, signor D’Aleo, a posto!” risponde Giovanni.

“Mi grattugia due etti di parmigiano?” dice lo sconosciuto.

Emilia resta allibita: quello le ha rubato il turno…Ma se si tratta solo del parmigiano, non vale la pena di litigare.

 Lei tace.

“E poi” continua D’Aleo, vedendo che il formaggio è pronto “mi fa due etti di speck e due di ricotta.”

“Senta” interviene Emilia a questo punto “Era il mio turno, ho il numero 12.”

L’uomo la guarda come si guardano le persone moleste.

“Oh, mi scusi” dice “Io ho il 13 e credevo che fosse il mio turno, lei non l’ho vista.” Ma non annulla la richiesta fatta, anzi conferma con un sorriso, “speck e ricotta, per oggi basta”.

Emilia sta ribollendo di rabbia. Nonmi ha vista? Sono invisibile? Certo, non sono vestita in modo sexy, ho una maglietta larga. Non sono truccata, la mia faccia passa inosservata, ma non sono invisibile.  Lui mi ha scavalcata apposta. Chi si crede di essere?

Il signor D’Aleo prende il proprio pacchetto, dice “grazie” al salumiere e va via senza guardarla.

Giovanni invece pare mortificato.

“Scusi, signora, credevo che il 12 l’avesse l’altro cliente…”

“Un etto di San Daniele” risponde lei, senza accettare le scuse. 

Davvero quella stupidaggine le ha rovinato la giornata. Perché quell’uomo maleducato è dotato di una bellezza speciale, somiglia a Rock Hudson, e forse è convinto di poter avere tutto ciò che vuole, magari è pure circondato da donne bellissime, in confronto alle quali Emilia è invisibile. Scialba. Lei ha un amante carino, ma Gaetano inizia a mostrare i segni dell’età, le rughe intorno agli occhi, le guance un po’ cascanti. Lo ama così com’è, ma le manca l’autostima e certe volte pensa di essere per lui solo un ripiego, perché se il suo uomo fosse bello come un divo del cinema non avrebbe scelto lei… E poi Gaetano è solo un rappresentante di commercio che viaggia sempre, torna stanco e vuole trovare un corpo caldo che lo accolga, non importa chi sia la donna…

Sì, spesso Emilia è in preda a questi pensieri. E ora si sente travolgere da un’ondata di odio verso il signor D’Aleo, il fortunato gaudente che esibisce quel bel sorriso sicuro, con quella bella dentatura che lei gli sfonderebbe a pugni. È ancora rossa di rabbia quando va alla cassa a pagare il prosciutto e i cibi della mamma.

La cassiera è una ragazza nuova, carina, coi ricciolini neri. Avrà non più di 25 anni e sarà stata assunta con uno di quei contratti che privilegiano i giovani a condizione che accettino una paga più bassa degli anziani. Ricciolina è al suo primo giorno di lavoro e vuole essere gentile a ogni costo.

Sorride nel vedere gli acquisti di Emilia e domanda:

”Maschietto  o femminuccia?”

‘Che cosa…?’

Ah, già: gli omogeneizzati. Emilia ha 40 anni e potrebbe essere mamma di un bebè.

“No”, risponde “Questi sono per mia madre malata.”

“Oh”, dice Ricciolina “mi dispiace.”

Emilia pensa che la ragazza sia simpatica. Forse perché anche lei fino a due anni fa era cassiera in un supermercato, sa cosa significa essere sfruttati per mille euro al mese, fare il turno festivo o essere chiamati nel giorno libero per sostituire una collega assente.

Non ha amiche, Emilia, perché sua madre non le ha mai concesso tempo per averne. Forse avrebbe potuto stringere alcuni legami nell’ambito della parrocchia, ma… non va mai in parrocchia. Ha solo fatto credere a Mamma di andarci.

E ora la coglie il desiderio di avere come amica Ricciolina. Chissà se una venticinquenne e una quarantenne possono avere qualcosa in comune, a parte il fatto di aver lavorato in un supermercato. Chissà. “Ci vediamo” dice con un sorriso.

Gaetano sta tardando. È la prima volta in tre anni di relazione clandestina, chissà se gli

è accaduto un evento imprevisto.

Emilia sta in attesa nella propria auto, passano le 17:00, le 17:20, e non sente il rumore familiare della Volvo.

‘Però esistono i cellulari. Può avvisare se ritarda, no? O se non può venire!’

Niente. Alle 17:40 lei è davvero stufa, anzi offesa. Che fare? Ha detto a sua madre che va alla riunione dell’Azione Cattolica che si svolge dalle 17:00 alle 18:30, quindi l’anziana attende il suo ritorno per le 19:00, non prima. Emilia non ha voglia di stare in auto fino a quell’ora.

Può telefonare all’amante e domandargli cosa è successo, ma se per caso lui è con la moglie, non risponderà… beh, proviamo. Tre squilli. Emilia fa squillare tre volte e chiude, così lui richiamerà quando potrà.

Infatti, Gaetano si fa vivo alle 17:55.

“Pronto!” esclama lei “Che cazzo hai fatto?”

“Scusami. Il problema è che ti devo dire una cosa ma non trovavo il coraggio. Devo fare appello a tutte le mie forze per dirtelo.”

Il cuore di Emilia sospende i battiti.  Mi lascia…

“Parla” è l’unica   risposta che le viene in mente.

“Mia moglie ha deciso di sottoporsi a un intervento bariatrico e di liposuzione.”

“E allora? È costoso? Stai cercando i soldi?”

“No, non è quello il problema. È che Marina lo fa per me.”

Emilia tace e attende spiegazioni.

“Mi ha detto chiaramente che vuole migliorare il suo aspetto per piacermi. Sente che mi sta perdendo. Non è stupida, non sa niente di te ma… se non faccio più sesso con lei, intuisce la ragione.”

“Tano, cosa c’entra questo col nostro appuntamento di oggi?”

“C’entra. Io non me la sento più di tradirla. Ero pronto per venire da te e poi non ce l’ho fatta.”

La bocca di Emilia è secca come se subentrasse un senso di paura. “Vuoi dire che mi stai lasciando? Dopo tre anni d’amore? E me lo dici al telefono?”

“Lo so, sono uno stronzo. Ma in realtà sono stato stronzo a tradire mia moglie. Lei sta dimostrando che ci tiene molto a me, l’intervento è doloroso e le porterà via anche i suoi risparmi. È lei che paga.”

“È solo il tuo senso di colpa che dà ordini al tuo cervello?” dice Emilia “Oppure stai pensando che tua moglie diventerà bellissima e non ti servirà più un’amante?”

Sente un respiro pesante prima della risposta.

“Non posso negare che Marina ha un bel viso e che da snella diventerà appetibile, ma a parte questo… se penso che la donna che ho sposato in chiesa sta facendo un sacrificio per me, ed è un sacrificio doloroso…”

“Doloroso un cazzo!” esplode Emilia “Per te conta solo l’aspetto fisico! Solo quello! I tre anni che hai trascorso con me servivano solo a fare sesso! Le nostre conversazioni, le nostre confidenze, non contavano niente?”

“Mi dispiace…”

“Ti dispiace cosa? Di non avermi mai amata? Di avermi presa in giro?”

“Non ti ho presa in giro, Emilia. Ti ho voluto bene e te ne voglio ancora tanto.”

“Ma non desideri più vedermi!”

“Emilia, potremmo restare amici, ma credo che tu non riusciresti ad accettarlo.”

“Qui ti do ragione, non voglio essere tua amica. Non dopo essere stata offesa in questo modo.”

“Offesa? Tesoro mio, io non ti ho offesa, io…”

“Vaffanculo, Gaetano!”

Lei spegne il telefono. Sta tremando tutta e ha le lacrime agli occhi, le sue pulsazioni sono accelerate come se avesse la febbre.

‘Oh, mio Dio. Cosa farò senza di lui? Sono sola, completamente sola con quel mostro di mia madre.’

Lascia libero sfogo al pianto, tanto nella sua auto non la vede nessuno. Non riesce a odiare il traditore, lo ha amato sul serio… gli ha sempre confidato tutti i pensieri che le venivano in mente e lui è il solo uomo che l’abbia mai ascoltata, ma l’unica cosa che voleva era un corpo snello di donna. Marina diventerà magra, Emilia non serve più a nulla, la sua anima è un fagotto da buttare nella spazzatura. Con chi potrà fare conversazione, ormai?

Non riesce a sopportare quell’idea. Visto che ha posteggiato accanto alla chiesa, tanto vale entrarvi e cercare una breve oasi di pace. Si asciuga le lacrime e scende dall’auto.

La chiesa è silenziosa, poiché la riunione che lei ha disertato è in sacrestia. Non c’è nessuna preghiera di gruppo alle 18,20, solo due vecchiette vestite di nero recitano il rosario sedute in prima fila, una pronuncia mezza Ave Maria, l’amica risponde con la seconda metà. E vanno avanti senza degnare di un’occhiata Emilia che va a inginocchiarsi davanti alla statua del Sacro Cuore.

“Gesù” mormora “Non posso vivere così. Fammi morire, oppure fai morire mia madre. O me o lei. Non possiamo più stare insieme. Ti prego, Gesù. Se lei muore adesso, io potrò avere una vita normale, ma fra qualche anno sarò troppo vecchia e non mi vorrà nessuno. Se devo restare sola, è meglio che mi venga un tumore fulminante subito. Ti prego…”

Sono le 18:30 ed è finita la riunione dell’Azione Cattolica, i partecipanti vanno via da un’uscita secondaria, mentre l’anziano parroco entra in chiesa e nota quella donna disperata che prega. La conosce di vista, poiché Emilia, anche se non va alle riunioni, frequenta regolarmente la Messa domenicale. Quindi lui le si avvicina.

“Figliola” dice “Posso fare qualcosa per te?”

Emilia fa cenno di no con la testa.

“Ti vuoi confessare? Ho tempo, dirò la Messa alle 19:00.”

La donna lo guarda fra le lacrime.

“No”, risponde “perché non posso essere assolta.”

Per evitare altre domande, si alza e va via.

Non si era mai sentita infelice fino a questo punto. È come se la fine del suo amore le avesse fatto prendere coscienza di colpo delle condizioni miserevoli in cui versa la sua vita. Perché si può perdere un amante e continuare per la propria strada, sì, ma in genere quando lo si perde si fa un inventario di quel che resta. E ciò che resta a Emilia è un inferno.

Niente affetti, niente figli, niente lavoro. Niente soldi, niente divertimenti, niente libertà e nessuno con cui parlare. Solo una madre malata esigente e cattiva.

Emilia adesso non capisce se odia tutto il mondo o se invece desidera affezionarsi a qualcuno: segue la propria routine come un robot, ma ogni tanto i sentimenti riaffiorano, piange di nascosto e maledice sua madre. Non riesce invece a maledire Gaetano, perché l’ha amato tanto e deve ancora convincere sé stessa di aver commesso uno sbaglio amandolo. Anzi, se potesse, lo rivorrebbe.

Oggi è mercoledì, cosa dice l’agenda? Fare la spesa, come ogni mercoledì. Va al supermercato verso le 17:00, compra le solite cose, e mentre si avvia verso la cassa nota la figura odiosa del signor D’Aleo. Ricorda il nome, è stato detto dal salumiere.

D’Aleo si crede il bello del quartiere e in quel momento sta molestando la cassiera Ricciolina. Sì, Emilia è certa che la stia molestando, perché dopo aver pagato e aver messo la spesa nei sacchetti lui continua a parlare con la ragazza, adescandola con sorrisetti inequivocabili, e lei è imbarazzata. Si vede bene che non gradisce il corteggiamento, forse l’uomo le sta chiedendo di uscire insieme… e Ricciolina è nervosa, prova a sorridere in modo forzato. Emilia è stata una cassiera, tempo fa, e anche lei ha avuto conversazioni intime con un cliente, ma si trattava di Gaetano e le piaceva. Non la metteva a disagio. Invece Ricciolina è a disagio, forse è fidanzata e non le interessano le avventure, oppure è una questione di età, visto che lei è sui venticinque anni   mentre lo sfacciato è sui quaranta. Insomma, Emilia riesce perfettamente a percepire l’insofferenza della ragazza e capisce di poter interrompere quel corteggiamento.

Porta la propria merce alla cassa e sbatte con forza un sacchetto di mele come se il rumore potesse spaventare il nemico. Sbatte anche i vasetti degli omogeneizzati rischiando di romperli… D’Aleo, senza guardarla in faccia, dice alla cassiera:

“Ne riparliamo” e va via strizzandole l’occhio.

Emilia in quel momento si sente la sorella maggiore di Ricciolina e non può fare a meno di darle del tu.

 “Cosa c’è?” dice “Quello ti ha   molestata?”

La cassiera tarsale. “No, beh… non mi ha toccata. E nemmeno mi toccherà.”

“Ma ti ha fatto delle proposte? Come si è permesso?”

Ricciolina alza le spalle. “Lo fanno tanti uomini” dice rassegnata.

“Non è una giustificazione.” Emilia tira fuori dal carrello il resto della sua roba. “Quello che fa questo signore è un reato, lo sai che è un reato? Io avrei chiamato la polizia.”

Lo sguardo della ragazza diventa supplichevole. “Signora, ma lei non lavora qui” dice “Io ci lavoro…”

“Capito. Allora, se lui lo fa di nuovo, tu sopporti?”

“Non lo rifarà.” Ricciolina chiude il discorso e digita i prezzi dei prodotti. “Ventidue e sessanta.”

Emilia paga e va via col suo sacchetto di spesa, ma in lei è rimasta tanta rabbia da sfogare. Pensa agli uomini attraenti che credono di poter avere qualunque donna vogliano… mentre lei, quarantenne scialba e malvestita, merita solo che le venga rubato il turno in salumeria.

All’uscita si accorge che D’Aleo è ancora davanti al supermercato e sta chiacchierando con un anziano.

Conosce la gente del quartiere, eh? Non può abitare lontano da qui.

Emilia si ferma e finge di cercare qualcosa nella borsa, ma in realtà sta aspettando che il mascalzone smetta di parlare. Quando lui inizia a camminare, lo segue a prudente distanza finché non lo vede entrare in un portone che memorizza.

‘Via Giotto 10. Siamo vicini di casa.’

Anche oggi la mamma fa i capricci. Dice che in poltrona sta scomoda e dà la colpa alla figlia.

“Non sai sistemare neanche un cuscino sotto il mio culo!”

“Mamma, il cuscino è messo benissimo e me l’hai fatto spostare cinque volte!”

“E non va bene. Mettimi a letto.”

“Ma sono le 11 di mattina e ti sei alzata alle 9!”

“E allora? Sono stanca, la poltrona è scomoda. Voglio tornare a letto.”

Emilia subisce. Ad ogni passaggio letto-poltrona e viceversa deve sostenere il peso della madre e le viene mal di schiena, ma qual è l’alternativa? Non ci sono soldi per pagare una badante.

Alle 12, mentre sta cuocendo la salsa per condire la pasta, sente chiamare di nuovo.

“Emiliaaaa!”

“Che c’è?” dice accorrendo.

“Fammi alzare.”

“Credevo che volessi pranzare a letto.”

“No. Fammi alzare.”

“Ma ti sei coricata un’ora fa!”

“Voglio vedere il TG delle 12.”

Non si può discutere con Mamma. Ma non ha la demenza, si tratta di cattiveria pura: vuole disturbare Emilia il più possibile perché ha la colpa di essere sana e deve scontarla rompendosi la schiena col peso dell’ammalata. Meno male che oggi è giovedì…

Le riunioni dell’Azione Cattolica sono il lunedì e il giovedì, e lei dice sempre che ci va. Anche se non ha più l’amante con cui incontrarsi, esce lo stesso, pur di non stare con sua madre. E l’anziana, che a modo suo è religiosa anche se tormenta il suo prossimo, non fa obiezioni se la figlia va due volte alla settimana in chiesa, anzi con la Messa della domenica fanno tre volte.

Dunque, oggi alle 17:00 Emilia può lasciare l’ammalata sola in casa e decide di andare al centro commerciale. Non ci è mai andata in vita sua ed è ora di provare nuove esperienze… Può fare acquisti? Con quali soldi?

Quando lavorava aveva messo da parte 300 euro e non voleva toccarli, li considerava un fondo cassa per eventuali spese mediche, ma… Al diavolo le spese mediche! Se Emilia si ammalasse adesso, si lascerebbe morire senza curarsi, non le importa più di nulla. Quindi mette nella borsa quei soldi per spenderli al centro commerciale.

Entrando, non fa caso alla cupa tettoia grigia che potrebbe dare ad altre persone un senso di claustrofobia: no, a Emilia sembra di respirare un’aria più sana e più pulita rispetto a quella che respira a casa propria, con l’odore di vecchiaia e di urina stantia. Si guarda intorno e vede tante cose carine, giocattoli, bijoux, vestiti, lingerie…

Si ferma incantata di fronte a un abito sexy esposto su un manichino. È verde, scollato, corto e pure aderente. Sicuramente, sta bene addosso a una donna snella, ma lei non ha mai provato nulla del genere.

“La posso aiutare?” dice una giovanissima commessa dai capelli viola.

Emilia indica il vestito:

“C’è un camerino per provarlo?”

“Certo. Che misura le prendo? 46 o 44?”

“Non saprei” risponde la cliente, che ha sempre portato magliette larghe e gonne con l’elastico a vita.

“Glieli do tutti e due.”

Emilia va nel camerino, titubante, e prova prima la taglia 46. Entrerebbe anche a una donna che pesa 5 kg più di lei; tuttavia, non pare grande perché è elasticizzata e aderisce al corpo. La donna si guarda allo specchio meravigliandosi di dimostrare sei o sette anni di meno. Ha la pelle chiara e i capelli castani, quindi il verde le sta bene, ma le starebbero bene pure altri colori vivaci.

“Come va?” domanda la commessa dietro la porta.

“Benino, ma…quanto costa?”

“Settantanove e novanta.”

Sono 80 euro e lei ne ha 300 nella borsa. Se lo può permettere, apre la porta e si mostra alla ragazza che esclama:

“Oh! Lei è uno schianto!”

“Grazie. L’avete anche in turchese?”

“In turchese ho un modello simile ma con le bretelline a filo.”

“Me lo fa vedere?”

Così, Emilia prova il modello turchese, e anche quello mette in evidenza le sue curve regolari. Decide di comprare entrambi i capi, con grande gioia della commessa che dice: “Signora, se lei si truccasse sarebbe una bomba sexy.”

Non è una cattiva idea.

Stringendo a sé il pacchetto dei vestiti come se fosse un tesoro, Emilia va al negozio dei cosmetici e con soli 12 euro acquista rossetto, cipria, eye liner. Sono fatti in Cina ma funzionano.

Compra anche un paio di orecchini bijoux (due anelli dorati che brillano) e infine una parrucca dello stesso colore castano dei suoi capelli, che però ha un taglio giovanile con la frangetta. No, non vuole una parrucca più vistosa, non deve mica battere il marciapiede. Va bene il castano, ma con quel taglio pare appena uscita dal parrucchiere, mentre in realtà non ci va mai.

Ha speso più di 200 euro e non vede l’ora di capire come va tutto l’insieme…Così si infila nella toilette del centro commerciale, indossa il vestito verde, la parrucca, gli orecchini, e si trucca accuratamente.

Il risultato la sorprende, pare un’altra persona e non può presentarsi a casa così, che direbbe sua madre?

A malincuore si toglie tutto quel che ha indossato e si ripulisce dal trucco. A casa deve arrivare la solita donna sciatta, però è bello sapere che tutto può cambiare. Tutto cambia, se proprio lo si vuole. È stata una bellissima giornata.

Stamattina Emilia si lava in fretta, si pettina in fretta ed è molto silenziosa. Mamma capisce subito che ha qualcosa in mente.

Alle 7:30 l’anziana è già pulita e sistemata nella sua poltrona, la figlia mette una bottiglia d’acqua e un bicchiere sul tavolino accanto a lei. Lo fa sempre quando deve uscire, ma quell’orario è insolito.

“Esci? “, dice Mamma, “Ma dove vai, così presto?”

“A fare le analisi del sangue.”

“Perché?”

“Perché ho nausea e non digerisco nulla.”

L’anziana tace. Non le va di restare sola, ma non può impedire alla figlia di fare un prelievo di sangue. Quell’uscita mattutina gliela farà pagare in qualche modo.

Alle 7:35 Emilia è fuori, ma ha mentito, non deve sottoporsi a un prelievo. Vuole solo posizionarsi con la sua auto davanti al portone di via Giotto, n. 10 per vedere se il signor D’Aleo va a lavorare.

Chissà a che ora esce, ma un lavoro mattutino deve averlo perché ha circa 40 anni e fa la spesa sempre nel pomeriggio come Emilia. E non ha l’aspetto di un operaio che alle 7:00 è già in cantiere, la sua nemica sta tirando a indovinare…

Infatti, eccolo. Lui esce alle 7:50 e si infila in una Fiat Punto verde scuro che Emilia segue inosservata.

Il posto di lavoro di D’Aleo non è vicinissimo: è nel quartiere Noce.

Beh, sarebbe uscito a piedi se avesse avuto la sede sotto casa. Adesso parcheggia, scende dall’auto e si introduce in un ufficio postale che alle 8:10 è ancora chiuso perché i clienti vengono ricevuti dalle 8:20 in poi.

Ma qualcuno gli apre: questo può significare solo che il bel prepotente è impiegato là.

‘Impiegato alle poste. Che fortuna. Sarà facile stanarti.’

Alle 8:20 l’ufficio apre i battenti, ma Emilia non ha più nulla da fare lì; mette in moto la propria auto e va via.

Stavolta trova traffico, è l’ora di punta. Pazienza.

Arriva a casa alle 8:50 e sua madre, immobile nella poltrona, le comunica:

“Sono tutta pisciata. Lavami.”

Emilia resta allibita.

“Ma come è possibile? Sono stata assente solo per un’ora e venti!”

“E allora? Ho bevuto tutta l’acqua, avevo sete. E poi non potevo tenerla.”

La figlia lancia uno sguardo desolato alla bottiglia vuota: sa che l’anziana l’ha fatto apposta. Sa che è una punizione.

Ma almeno oggi ha scoperto qualcosa di utile su D’Aleo, il suo capro espiatorio.

Alle 8:00 del mattino Emilia ha già lavato sua madre e ora la sta pettinando, in silenzio. Non ha detto una parola da quando si è alzata e l’anziana è a disagio.

“Lo sai”, dice “che ti sei dimenticata di darmi il buongiorno?”

Nessuna risposta.

“Ce l’hai con me? Ahi, mi stai tirando i capelli!”

‘Non è vero, brutta strega, non te li sto tirando, ma non voglio raccogliere provocazioni oggi’.

La madre mormora:

“Lo so. Sono cattiva con te certe volte. Me ne rendo conto. Ma hai provato a metterti nei miei panni? Emilia, la mia vita non ha senso. Nessun senso. Forse con la rabbia mi illudo di dargliene uno.”

La figlia sente un briciolo di pietà, ma è solo per un istante: nessuno ha mai provato a capire come si sente lei. Perciò risponde:  

“Nemmeno la mia vita ha senso. Ora ti metto il pannolone perché devo uscire, e stavolta puoi pisciare quanto vuoi. Non mi freghi.”

“E dove vai?”

È sparita l’arroganza dalla voce dell’anziana, la domanda ha un tono umile, come se temesse di essere abbandonata sola in casa per sempre.

“Vado all’ufficio postale a pagare la bolletta Enel e potrei perdere tempo.”

“Non la pagavi dal tabaccaio?”

“Sì, ma ieri ho scoperto che ha il computer guasto e la bolletta scadrà prima che glielo aggiustino.”

Ha imparato a mentire. Mamma annuisce e si lascia mettere il pannolone:

‘Oh, finalmente un giorno senza capricci.’

Prima di uscire, Emilia riesce a indossare il vestito verde senza farsi vedere dall’anziana. Poi, in auto completa la trasformazione: parrucca, orecchini, cosmetici. È pronta. La nuova Emilia mette in moto e va all’ufficio postale del quartiere Noce.

Ha davvero la bolletta da pagare e c’è un po’ di folla, ma funzionano tre sportelli e lei vede D’Aleo allo sportello uno. Prende il numero 36, ma quando giunge il suo turno viene chiamata allo sportello due e non si presenta.

Finge di non esserci.

Attende che vada via l’ultimo cliente di D’Aleo e si precipita allo sportello uno prima che venga chiamato il nuovo numero.

“Mi scusi” dice all’impiegato “Ho il 36 e devono avermi chiamato mentre ero distratta.”

L’uomo potrebbe anche mandarla a quel paese e dirle di rifare la coda, ma la guarda con interesse e sfodera un sorriso.

Certo, è un cacciatore di femmine e si trova di fronte a una donna carina, sexy, appetibile. Non riconosce affatto la signora scialba che ha incontrato un paio di volte al supermercato, perché lui non si sofferma mai a guardare quelle che indossano una maglietta   sformata e un paio di jeans, specie se portano i capelli legati a coda di cavallo.

“Si accomodi” dice a Emilia “Ma noi non ci siamo già visti? Ho la sensazione di conoscerla.”

Una scusa per attaccare bottone o un vago ricordo dei lineamenti?

“Mi pare improbabile” risponde lei “perché non abito in questo quartiere. Sto in via Rubens.”

Lui solleva lo sguardo, meravigliato, e la donna prosegue:

“Sa, quel quartiere in cui tutte le strade hanno nomi di pittori? Via Rubens, via Giotto, via Caravaggio…”

“Pazzesco!”, esclama l’impiegato “E’ dove abito io!”

“Sul serio?”

“Ma certo, sto in via Giotto. Ecco perché mi pare di averla già vista.”

“Che coincidenza” dice lei.

“E come mai è venuta in questo ufficio? Ce n’è uno anche nella nostra zona.”

“Sono di passaggio, mia madre abita qui vicino” mente Emilia.

Lui ha in mano la bolletta già timbrata, e la donna gli porge due banconote da 50 euro attendendo il resto. Deve pagare 95,22. D’Aleo spinge verso di lei un biglietto da 5 euro dicendo:

“Per caso ha ventidue centesimi?”

“Non credo” risponde Emilia frugando nella borsa.

“Va bene, non ha importanza.”

Lei lo fissa con occhioni ingenui.

“Non può darmi quattro e settantotto?”

“Non ho tutte queste monete, ma si figuri, me li darà la prossima volta.”

“È difficile che io torni qui, visto che non è il mio quartiere.”

“Se proprio vuole darmeli, ci potremmo vedere nella zona nostra.”

Emilia sorride: la fa ridere l’idea di incontrare uno sconosciuto apposta per dargli due monetine, ma D’Aleo fraintende quel sorriso, per lui la scintilla è scoccata.

“Ehi!” esclama “Sul serio, io sono single, e tu?”

‘Incatenata a mia madre’, vorrebbe rispondere lei, ma ormai ha dato il via a una serie di bugie.

“Single anch’io, divorziata.” Non può dichiarare di non aver mai avuto un uomo, perché con quel nuovo aspetto non è credibile.

“Mi pare perfetto” commenta l’impiegato. Scrive qualcosa su un pezzo di carta e glielo porge dicendo:

“Questo è il mio numero di telefono. Chiamami. Purtroppo, adesso devo lavorare. Se potessi uscirei subito e ti porterei al bar per offrirti un caffè.”

‘Mascalzone’, è l’unica parola che le viene in mente, ma prende il biglietto. In fondo è quello che voleva, no? Per questo ha cambiato look ed è andata fin lì.

“Vada per il caffè, alla prossima volta” risponde, e D’Aleo le strizza l’occhio.

“Non mi deludere, bellezza.”

È la prima volta che qualcuno la chiama “bellezza”. Peccato che non possa andare a casa conciata in quel modo, in automobile rimuove la parrucca e il trucco, torna a essere la casalinga anonima di sempre e si toglierà il vestito sexy prima che lo veda sua madre.

Lei sente la mancanza di Gaetano. Le mancano gli occhi verdi, la voce sensuale, le mani morbide di quel bastardo che l’ha abbandonata. E D’Aleo non è proprio il suo tipo, ma le piace portare avanti il gioco della seduzione, perché è qualcosa che non ha mai fatto in vita sua. Qualcosa che le dà una ragione per uscire di casa.

Al primo appuntamento col nuovo corteggiatore indossa il secondo vestito nuovo, quello turchese. Come al solito si trucca in auto, si mette la parrucca e un paio di orecchini che non sono bijoux: stavolta si tratta delle perle di sua madre montate in oro bianco. Vuole fare bella figura.

D’Aleo si presenta puntualmente nel bar che hanno concordato. Lei è talmente soddisfatta di essere riuscita nel suo intento che i suoi occhi splendono, e l’uomo può fraintendere quello splendore, come se la sua preda provasse gioia nel vederlo. Le sorride.

“Non so nemmeno come ti chiami” dice, sedendo al tavolino con lei.

“Manuela.” Le piace mentire su tutto.

“Io Erminio. Che lavoro fai?”

Non vuole fargli scoprire che è disoccupata, ma siccome lui l’ha vista all’ufficio postale alle  9:00  di mattina, libera, bisogna inventare qualcosa  di  adeguato.

“Ho un lavoretto part time, niente di che. Tre pomeriggi alla settimana aiuto un notaio a sistemare le sue carte.”

“Tre pomeriggi?”

“Sì, resto libera il lunedì e il giovedì.” Sono le famose giornate dell’Azione Cattolica, quelle in cui la madre le consente di uscire, infatti, oggi è lunedì.

“Sarai pagata poco, immagino.”

“Sì, ma prendo gli alimenti dall’ex marito e tiro avanti.”

L’uomo annuisce.

“Perché hai divorziato? Ti tradiva?”

“Non so…  ma era violento.”

“Ti picchiava?”

“Sì, quando era ubriaco.”

Emilia si sta divertendo con le bugie.

“Che stronzo. Io non ho mai alzato le mani su una donna, e dire che qualcuna lo avrebbe meritato.”

“Hai avuto tante donne, eh?”

“Beh, non mi posso lamentare.”

‘Bastardo’, pensa lei, ‘e quelle che hai molestato quante sono? Quelle che non ci stanno?’

“Ho la sensazione che tu cambi una donna al mese” gli dice apertamente.

Lui sfoggia un sorriso da grande seduttore.

“Può capitare che una duri poco, sì, ma dipende da come si comportano. Alcune vogliono troppi regali, o pretendono il matrimonio.”

“Non è per la tua voglia di cambiare?”  insiste Emilia.

“Ma no… perché cambiare, se si trova quella giusta?”

“E comunque non la sposeresti.”

“No, mi piace la libertà e i figli costano un botto”

“Qui   ti do ragione. Anch’io penso che i bambini siano un peso, nell’epoca di crisi in cui viviamo.”

“Oh, allora andremo sicuramente d’accordo.”

Si avvicina una cameriera giovane.

“Cosa prendete?” domanda.

“Gelato di nocciola” risponde Emilia.

“Uguale per me” dice il suo cavaliere.

Lei guarda la cameriera: avrà forse vent’anni, una pelle da bambina. È sicura che Erminio le farebbe proposte oscene se non avesse un’ospite in quel momento.

Oh, sì! Quel pezzo di merda sta fissando le gambe della ragazza, e solo quando lei si allontana riporta lo sguardo su Emilia.

“Come va la tua vita?” le domanda.

La donna alza le spalle.

“Come quella di tanti altri. Mi annoio ma ho passato di peggio.” Non vuole nominare sua madre, quello è un tasto troppo dolente.

“Non vai ogni tanto a divertirti?”  indaga lui “Al cinema, a teatro, a ballare?”

“Lo facevo nei primi anni di matrimonio ma ora non ho un accompagnatore.”

“Da quanto hai divorziato?”

“Tre anni.”

“E in questi tre anni non c’è stato nessuno?”

Lei scuote il capo.

“Ma come? Una bella donna come te non ha avuto corteggiatori?”

“Magari qualcuno era interessato ma non mi piaceva.”

“Allora mi devo ritenere fortunato se hai accettato l’appuntamento con me?”

“Fortunatissimo” risponde lei con un sorriso forzato. Quanto lo detesta!

“Se provvedessi io a farti divertire? Sono le 17:20 e dopo il gelato potremmo andare al cinema Lux a vedere il film delle 18:00. Ti va?”

Lei rabbrividisce. Vedere un film a quell’ora significherebbe tornare a casa alle 20 e non ha mai fatto così tardi, che direbbe sua madre?

“Ma”, dice timidamente “che film danno?”

“Un film comico con Paolo Calabresi. Si ride, sai. Me ne ha parlato mia sorella.”

Emilia ci pensa su. Non va al cinema da quando aveva otto anni e l’idea è allettante. La mamma? Dopo tutto, ha il pannolone, può aspettare.

“Va bene” risponde.

Sono le ore 20:00.

Emilia, soddisfatta del film, è nella propria auto e si sta togliendo il trucco aiutandosi con la luce dello specchietto. Sa che tornando a casa affronterà una tempesta, ma non gliene frega niente.

Appena infila la chiave nella toppa, sua madre la sente entrare e urla:

“Emilia! Ti sei degnata di tornare?”

Lei non risponde. Non può farsi vedere finché non si sarà tolto il vestito turchese, quindi va direttamente nella propria stanza, mentre l’anziana grida di nuovo:

“Emilia! Disgraziata, dove sei stata tutto questo tempo?”

Lei abbassa le spalline del vestito e le fa scivolare giù. Si accorge di dover fare pipì urgentemente, la vescica è piena dopo oltre tre ore fuori di casa. Va in bagno mezza nuda.

“Emiliana!  Che cazzo fai? Dove sei?”

“Lasciami pisciare, va bene?”

La figlia tira lo sciacquone, indossa una vestaglietta leggera e finalmente va nella stanza di Mamma.

 “Cosa c’è? Ti cambio   il pannolone?”

L’anziana è blu per la rabbia.

“Voglio sapere dove sei stata” ansima.

“Lo sai. In chiesa. E all’uscita siamo andati al bar.”

“Siamo andati, chi?”

“Io e altre persone del gruppo. Avevamo voglia di un gelato e di una chiacchierata, è proibito?”

“E tu lasci una moribonda sola in casa per andare al bar?”

“Non sei moribonda e io ho diritto a vivere!”

Emilia prende un pannolone pulito ed è chiaro che vuole chiudere la discussione, ma la madre non è di quell’idea.

“Tu hai un uomo!” esclama, come se la accusasse di  un peccato  mortale.

“Non è vero. Ma se lo avessi, non sarebbero affari tuoi.”

La bocca deforme dell’anziana cerca di contrarsi in un  ghigno  di  disprezzo, ma i muscoli facciali  non  glielo  consentono.

“Cosa vorresti fare?” dice “Sposarti a quarantun anni?”

Emilia apre il pannolone senza rispondere.

“E chi ti vorrebbe?” continua la madre “Lo sai che non hai attrattive, vero? Se un uomo ti dà appuntamento, ti porterà a letto, ti userà e poi ti lascerà… nessuno ti vorrà per sempre.”

La figlia tarsale. Quelle parole la feriscono perché ciò che l’anziana descrive è già successo. Gaetano l’ha usata in quel modo, ma lei non può dare alla madre la soddisfazione di confermare. Ricaccia indietro il nodo che le stringe la gola e risponde:

“Quando avevo un corteggiatore serio, tu gli hai fatto credere che avrei ereditato la tua malattia. E io non ti perdonerò mai.”

L’altra ridacchia.

“Quello…? Sembrava Paperino!”

“Doveva piacere a me, non a te.”

“Voleva solo scoparti, come tutti gli altri.”

“E tu che ne sai?” urla Emilia “Cosa puoi vedere da quella fottuta poltrona? Eh? Solo gli spettacoli di Maria De Filippi in TV, solo quelli puoi vedere! Cosa sai della vita reale?”

Solleva l’anziana con poco garbo, desiderando che il pannolone pulito sia velenoso e che il veleno venga assorbito dalla pelle. Ma queste cose accadono solo nei romanzi di Agatha Christie.

Al terzo appuntamento Erminio inizia ad allungare le mani ed Emilia non reagisce. Si lascia toccare anche se la cosa le fa schifo.

“Io vivo da solo” mormora lui “Possiamo andare a casa mia? Il tuo corpo mi sta facendo impazzire.”

Lei annuisce con un mugolio. È pronta per l’avvenimento e ha con sé una borsa più grande del solito.

L’appartamento di via Giotto è in un condominio signorile e il portiere sorride nel vedere Erminio con una nuova donna. Chissà quante ne ha portate a casa. Emilia non è diversa dalle altre, ha il vestito verde corto ed è tutta truccata con due grandi anelli dorati alle orecchie.

In camera da letto lei si sfila quel vestito e rimane in lingerie: Erminio la guarda con desiderio.

“Su”, dice “sdraiati.”

“Ce l’hai un preservativo?” domanda lei.

“No. Lo so che non hai malattie, e io sono sanissimo.”

“Ma sei scemo? Io sono ancora fertile, vuoi diventare padre? Ce l’ho io, l’arnese.”

Si mette a frugare nella borsa, ma il primo oggetto che tira fuori non serve per il controllo delle nascite.

Lo infila nel reggiseno e l’uomo non se ne accorge perché si sta spogliando, poi lei prende il profilattico e glielo porge.

”Voglio stare sopra” dice.

“No problem” concede Erminio, coricandosi supino.  

Mentre indossa il preservativo, Emilia cerca di non guardare, ha ribrezzo del suo membro. Poi, si mette a cavalcioni su di lui senza togliere le mutandine.

“Stai comodo?” sussurra.

“Sì”.

“Rilassati un momento.

”Gli massaggia il collo ai lati, con un buon lavoro di pollici, e intanto inizia a dondolare le anche, sente l’eccitazione dell’uomo che cresce, sente la sua erezione. Gaetano le ha insegnato tanto, Gaetano è stato l’unico.

“Sei brava a fare i massaggi” dice Erminio.

“Oh, sì. Chiudi gli occhi, c’è una sorpresa.”

Lui obbedisce, estatico. Poi non capisce più nulla: possibile che sia una lama quella che sente?

Apre gli occhi e vede che il viso di Emilia ha cambiato espressione. È una maschera di ferocia.

“Ma cosa…”

L’uomo non riesce più a parlare, il fiato va via perché lei gli ha tagliato la giugulare col bisturi che aveva nascosto nel reggiseno.

“Questo” dice “perché hai molestato la cassiera del supermercato. È una persona seria e non sa che farsene di un bastardo come te.”

‘Come fa a saperlo? Chi è questa donna…?’

Emilia sferra un secondo colpo di bisturi, sempre alla gola.

“E questo” dice “perché credi che il mondo sia tuo e mi hai fregato pure il turno dal salumiere.”

Gli restano pochi secondi prima di morire dissanguato, ma bastano per ricordare, per riconoscere la sua assassina. Quando l’ha vista per la prima volta non aveva nulla di attraente, era…era…

La curiosità rimane nei suoi occhi spenti spalancati.

Emilia si alza e si rende conto di essere tutta sporca di sangue, ma l’aveva previsto. Nella sua borsa c’è un piccolo sacchetto di   plastica azzurra dove infila reggiseno, mutande e bisturi. Butterà quella roba a casa propria nell’immondizia indifferenziata, sapendo che nessuno va a frugare tra i rifiuti di un condominio per recuperare un piccolo involucro, a meno che non si senta il pianto di una bestiola chiusa viva nel sacco.

Va in bagno a lavarsi accuratamente, poi tira fuori dalla borsa biancheria pulita, una maglietta sformata e una gonna da vecchia signora. Indossa tutto… ha portato con sé pure uno straccetto di cotone bianco, lo bagna e lo usa per togliere il trucco. Finiranno nel sacchetto azzurro anche questa pezza e il preservativo del morto, che ha sfiorato le cosce di lei: non devono restare tracce del suo DNA in giro. Neppure un granello di forfora. Ripulisce attentamente tutto e cancella le impronte digitali.

Quando lascia l’appartamento ha ripreso il suo aspetto di tutti i giorni: è la donna poco appariscente che nessuno guarderebbe, ed esce dal palazzo mentre il portiere parla con un fattorino. Non si gira verso di lei, ma anche se la vedesse non la collegherebbe con la sensuale signora che accompagnava Erminio.

Emilia si mette al volante della propria auto e prima di arrivare a casa fa una sosta accanto al bidone degli abiti usati: lì infila il vestito verde – perfettamente pulito, poiché   se lo era tolto prima del delitto – e la parrucca. Non servono più, la donna numero due non deve più esistere.

Può rilassarsi, ha compiuto la sua missione e nessuno ha visto nulla. È elettrizzata dalla vendetta, anche se non sa di che cosa si sia vendicata. Sarà forse la bella sensazione di dare il fatto suo a un prepotente… oppure lei odia tutti gli  uomini per quel  che  Gaetano le  ha fatto.

Arriva a casa e si aspetta di sentire le urla di sua madre, ma stavolta l’ammalata non grida. È immobile nella sua poltrona.

“Mamma?”  chiama Emilia. Nessuna risposta.

“Mamma, come va? Ti serve qualcosa?”

Poi si accorge che l’anziana ha un respiro molto rumoroso. Un’influenza basterebbe a ucciderla, nelle sue condizioni. Forse, è giunta l’ora che si tolga di mezzo?

È venuto il medico ed Emilia ha dovuto assistere a uno spettacolo orribile: lui ha aspirato il muco alla paziente con uno strano macchinario, spiegando:

“E’ solo un’influenza, ma sua madre non riesce a tossire, i muscoli sono compromessi; quindi, non espelle il muco con la tosse e si deve aspirare per evitare che soffochi.”

“Capiterà ancora?” domanda Emilia sconcertata.

“Beh, la distrofia può solo peggiorare. Nei pazienti con polmoni immobili si forma muco anche senza influenza e alla fine respirano tramite tracheotomia, ma non è ancora il caso di sua madre.”

“Quanto può… durare?” La figlia spera di sentirsi dire che ormai è questione di pochi mesi, invece il dottore risponde:

“Ancora vivrà, se ben curata. Stia tranquilla.”

Non parla di ospedale. Certo, gli ospedali sono pieni da quando esiste il Covid, e si tende a far restare i pazienti a casa loro. Emilia aveva sperato di liberarsi di sua madre lasciandola in un reparto di lunga degenza, dove gli infermieri si sarebbero presi cura di lei gratis, invece no, tocca ancora alla figlia badare all’ammalata. Sempre a lei. Ha un raptus di rabbia e prende a pugni una porta quando il medico va via, non smette finché non sente un forte dolore alle nocche.

“Cazzo!” impreca “Cazzo, cazzo cazzo!”

Si volta verso sua madre e si accorge che è perfettamente vigile.

“Hai capito?” le dice “Non morirai.  Resterai ancora qui a rompere le scatole per mesi, per anni. Sì, per anni. Ti sembra bello? Non preferiresti morire, mamma? Non preferiresti morire a questo punto?”

L’anziana, sfinita dall’aspirazione, le risponde solo con un battito di palpebre.

‘Non sarò libera finché non diventerò vecchia e brutta e non mi vorrà nessuno…’

Emilia non vuole piangere davanti a sua madre, quindi va in bagno e si sfoga in un pianto rabbioso. Sa che la sua vita annegherà nel ruolo di infermiera, e non avrà mai un uomo…

Ma poi, è certa di volere un uomo? Oppure li odia tutti? Le pare di avere ancora sotto le dita il sangue di Erminio, ne sente l’odore e lava le mani continuamente. Dopo l’euforia del delitto spavaldo è nauseata da ciò che ha fatto, prova schifo all’idea di aver visto nudo quell’uomo, di averlo toccato. In certi momenti vuole credere che sia stata una fantasia: lei non ha ucciso nessuno.

‘Potrei essere libera solo se trovassi al più presto un uomo ricco. Lui mi prenderebbe con sé, mi porterebbe via da qui e mia madre resterebbe con una badante pagata…’

Ma il corteggiatore non esiste. Quello sì che è una fantasia. L’omicidio commesso invece è realtà.

‘Perché l’ho fatto…?’

Rivolge la domanda a sé stessa ma non trova risposte.

Erminio D’Aleo ovviamente non si è presentato al lavoro ieri e l’altro ieri, e non ha avvisato nessuno. Ha anche una sorella che lo cerca invano; nel giro di due giorni lo cerca tanta gente, finché la sorella, che ha le chiavi del suo appartamento, va ad aprirlo. Così viene rinvenuto il cadavere, a letto in una pozza di sangue, il pene dritto. Non ci sono dubbi che la vittima si trovasse con una donna al momento del delitto.

Il portiere, interrogato, dice che da lì andavano e venivano tante donne, l’una più carina dell’altra.

“E l’ultima?” domanda l’ispettore Carrisi “Ricorda com’era l’ultima rimorchiata? Secondo il medico legale, D’Aleo è stato ucciso giovedì pomeriggio o giovedì sera, non si può precisare l’ora.”

Il portiere riflette.

“Forse… una ragazza con un vestito verde. È salita con lui ma non l’ho vista andar via, ora che ci penso.”

“A parte il vestito, cosa ricorda?”

“Beh… statura media, capelli castani. Non troppo giovane ma carina.”

“Grassa o magra?”

“Snella, con quel vestito si notava.”

Dunque, era la nuova preda di un donnaiolo, ma se è venuta spontaneamente, perché ucciderlo? Per rapinarlo? Ma nei pantaloni del morto c’è ancora il portafogli pieno.

“Una lama sottile e taglientissima” dice il medico legale “Non era necessario avere una gran forza per tagliare la giugulare, bastava che l’uomo fosse distratto. Probabilmente è stato ucciso con un bisturi usa e getta, li vendono in farmacia.”

Un’arma praticamente impossibile da trovare, molto piccola e già buttata chissà dove. All’ispettore non rimane che chiedere l’intervento della polizia scientifica per analizzare tutte  le  eventuali  tracce rimaste nell’appartamento, ma  non  ci  sono impronte digitali, né capelli, nulla. Se l’assassina non è una professionista del crimine, è stata comunque molto abile e ha agito con premeditazione. Una vendetta?

Sotto il letto viene rinvenuto solo uno scontrino del supermercato Deco: è volato fuori dalla borsa di Emilia quando ha preso il preservativo, ma non se n’è accorta. Lo scontrino viene consegnato a Carrisi, e lui leggendo l’elenco dei prodotti acquistati capisce che non appartiene a Erminio. Il suo cuore ha un sussulto.

”Ehi!” esclama “Salvaslip della Lines!  Omogeneizzati Nipiol. Questa non è la spesa di D’Aleo, è la spesa dell’assassina. Una donna in età fertile che usa i salvaslip e che compra gli omogeneizzati per il suo bimbo.”

Lo scontrino dimostra che gli acquisti sono stati fatti mercoledì 12 ottobre nel supermercato di via Galilei, dove l’ispettore si precipita prima che la cassiera perda il ricordo dell’evento recente. È proprio la ragazza coi riccioli neri quella che viene interrogata.

Carrisi le mostra lo scontrino dicendo:

“So che le chiedo molto, ma…saprebbe identificare la cliente che ha comprato questi prodotti?”

Ricciolina legge: omogeneizzati, formaggi morbidi, salvaslip, prosciutto… riconosce le abitudini di Emilia.

“Forse” dice “è una tizia che mi ha raccontato di avere la madre invalida; quindi, le dà gli omogeneizzati.”

“Ah. Non si tratta di un bebè.”

“No. Anch’io credevo che fosse un bebè. Comunque, non conosco il nome della signora.”

“Me la può descrivere?”

“Beh, una faccia come tante. Regolare. Non si trucca e tiene i capelli legati a codino.”

“Indossa vestiti sexy?”

“Assolutamente no, anzi mi pare un po’ trasandata.”

Che strano. Non risponde alla descrizione fatta dal portiere di D’Aleo ma è comunque una pista da seguire.

“E’ una cliente abituale?” domanda l’ispettore.

“Sì, viene spesso.”

Probabilmente la misteriosa donna abita nello stesso quartiere della vittima, e Carrisi mostra alla cassiera la foto di D’Aleo.

“E questo, lo conosce?”

Lei trasale.

“Oh Dio! Quindi è lui il morto?”

“Un altro cliente abituale?”

“Sì.”

Come potrebbe Ricciolina dimenticare le avances di costui?”

“E queste due persone si conoscevano fra loro?”

“Non saprei” risponde la cassiera, poi le si accende un flashback. Le parole di Emilia…

‘Io avrei chiamato la polizia. È un reato.’

“Però…” sussurra la ragazza.

“Però che cosa?”

“La signora di cui parliamo era presente quando il signore mi ha chiesto di uscire con lui.”

L’ispettore si fa raccontare i dettagli e gli viene un sospetto: l’assassina potrebbe essere una femminista squilibrata che vuole giustiziare i molestatori di donne. Bisogna prenderla prima che colpisca ancora.

Il computer del commissariato, collegandosi al database dell’anagrafe, stampa un elenco di famiglie del quartiere composte   da una signora anziana e sua figlia, oppure da due coniugi anziani e una figlia.

C’è molto lavoro da fare, ma l’ispettore ha diversi collaboratori che cercano nomi sui social, interrogano portieri, escludono alcune famiglie per vari motivi, magari la madre sta benissimo e la figlia è disabile…

Infine, si giunge alla conclusione che in quella zona sono soltanto tre le quarantenni che hanno la mamma immobilizzata. Sulla scrivania dell’ispettore arrivano tre fotografie e lui va subito a mostrarle a Ricciolina.

“E’ lei!” dichiara la cassiera indicando l’immagine giusta. Emilia, che le voleva bene e che intendeva difenderla dalle molestie. Emilia, tradita da uno scontrino.

Quando i poliziotti bussano alla sua porta, la colpevole non è pronta ad affrontarli. Non se l’aspettava, era certa di aver compiuto un delitto perfetto, e la donna che è stata vista un paio di volte con D’Aleo non le somiglia affatto… come l’hanno rintracciata?

Pure l’ispettore Carrisi è meravigliato nel trovarsi davanti una zitella dall’aspetto modesto che non potrebbe attrarre un dongiovanni, ma quando le mostra lo scontrino di Deco capisce, dall’espressione del suo viso, che quella è la persona giusta.

Anche Emilia intuisce tutto nel vedere il pezzetto di carta e trasale visibilmente.

“Conosce questo scontrino?” domanda il poliziotto.

“Dovrei conoscerlo?”

“Sono i prodotti che compra lei di solito, vero? In questo supermercato di via Galilei.”

Lei finge di osservarlo meglio e ammette:

“Sì, forse potrebbe essere mio.”

“Potrebbe? È di mercoledì scorso, e mi è stato detto che lei fa la spesa sempre il mercoledì.”

Emilia sente il sudore che la bagna dalla testa ai piedi.

“Sì, certo. Ma non è detto che sia mio. Cosa vuole da me esattamente?”

Carrisi si rimette in tasca quella prova.

“Vuole sapere dove lo abbiamo trovato? Sotto il letto di un uomo ucciso, Erminio D’Aleo. Lo conosce?”

“No.”

“La cassiera del supermercato sostiene che lo conosceva.”

“Mai sentito.”

L’ispettore tira fuori una foto della vittima e gliela mostra, Emilia deglutisce faticosamente.

“Ah, questo qui. L’ho visto.” concede “Qualche volta l’ho visto da Deco ma non conoscevo il nome.”

“Sicura di non essere stata a letto con lui?”

“Ma cosa sta dicendo!”

Stavolta l’indignazione della zitella pare sincera “Io non vado a letto col primo che incontro!”

Carrisi annuisce.

“Dove si trovava giovedì pomeriggio?”

Le viene in mente solo la scusa di cui si serve con sua madre.

“In chiesa” risponde.

“A fare cosa?”

“Il lunedì e il giovedì ci sono le riunioni dell’Azione Cattolica alla chiesa del Cottolengo, Potete controllare.”

“Ah.  E lei partecipa attivamente?”

“Sono una buona cristiana.”

“Ci sono testimoni che possono affermare di averla vista giovedì?”

Emilia resta di sasso: sua madre non ha mai preteso testimoni…

”Non so” risponde.

“Non sa? Non ha parlato con nessuno?”

“No. Di solito sto seduta in disparte e ascolto quel che dicono gli altri.”

“Perché?”

“Non sono molto socievole, io.”

“Davvero?  Allora che ci va a fare?”

Emilia sospira.

“Ci vado per uscire di casa. Per non stare qui con mia madre. È una tortura.”

Quella risposta è verosimile.

“Quindi” insiste Carrisi “lei giovedì pomeriggio non era a casa di D’Aleo.”

“Le ho detto di no.”

“E’ mai stata a casa di questo signore?”

“A fare cosa?  Era antipatico…”

Si blocca. Forse le serve un avvocato e non dovrebbe dire altro in sua assenza.

“Era antipatico, ne prendo atto” dice l’ispettore. “Signora, io devo controllare il suo alibi, e se non reggerà, sarà nei guai. Non lasci la città.”

Lui va via insieme all’agente grassottello che lo accompagna ovunque.

Emilia viene colta da un attacco di panico, perché a settembre ha aderito verbalmente al gruppo dell’Azione Cattolica ma non è mai andata alle riunioni. Non si è presentata neanche una volta, i membri diranno di non conoscerla e il parroco potrà ricordare solo la donna disperata che aveva dichiarato “non posso essere assolta.”

Una frase terribile…

Il suo alibi è palesemente falso e lei ha sbagliato tutto: doveva dire mezza verità. Doveva dichiarare di aver visto D’Aleo quel giovedì ma di averlo lasciato ancora vivo. Non si può risalire all’ora esatta del delitto, ed Erminio non era forse il tipo che riceve due donne nello stesso giorno? Non poteva scopare con lei e dopo due ore farlo con una puttana qualunque? Certamente in questo caso Emilia avrebbe perso la sua reputazione di zitella casta, ma meglio essere considerata una donna facile che un’assassina. L’unica cosa che avrebbe dovuto dire era:

“L’ho lasciato vivo.”

E non avrebbero mai avuto prove per arrestarla, neanche se l’indagine fosse proseguita per anni… Invece lei ha fornito un alibi fasullo incastrandosi da sola. Non ci vorrà molto per dimostrare che è una bugiarda.

“Oh Dio!” mormora Emilia prendendone coscienza. Il suo cuore sta superando cento pulsazioni. “Oh Dio, aiutami!”

Ma nessuno può aiutarla, ormai.

Nella stanza accanto, sua madre sta sonnecchiando in poltrona, non si è del tutto ripresa dall’influenza e probabilmente il medico tornerà per aspirarle altro muco. Respira ancora male, si sente un lieve rantolo. Dorme e non sa che sua figlia sarà arrestata, non ha sentito nulla di quel che è stato detto in salotto. Emilia le si avvicina mormorando:

“Mamma…  torneranno a prendermi.”

Per un attimo prova un’immensa pena nei confronti dell’anziana: è così indifesa da quando non può usare l’arma degli insulti, perché parla a stento, e in assenza della figlia finirà in una pessima RSA. È solo una donna malata senza futuro. Chissà come dev’essere stato duro sapere, fin dall’età di dodici anni, che aveva la distrofia muscolare e che avrebbe terminato i suoi giorni su una sedia a rotelle. Sapere fin da piccola che sarebbe diventata invalida… non si può pretendere che una persona sia buona e generosa dopo aver subìto un simile trauma, lei ha lottato per avere quello che avevano le altre donne, un marito e una figlia. Ha cercato di garantirsi l’esistenza di una parente per essere assistita, chi non l’avrebbe fatto al suo posto?

“Mamma…” ripete Emilia con un singhiozzo.

Adesso ricorda di essere stata tolta da un orfanotrofio buio e di essere stata adottata e un po’ coccolata da quella donna che ancora riusciva a camminare. Dopotutto Emilia ha avuto da lei i giocattoli, le passeggiate al parco, le gite, le merende gustose al cioccolato…  ha avuto tutto ciò che le veniva negato nell’orfanotrofio ed è tata felice fino al giorno in cui sua madre ha perso l’autonomia di movimento.

Allora è diventata dura ed egoista, ma chi non lo sarebbe diventato?

Eccola, quella è l’unica madre che Emilia abbia mai avuto, quella che sta dormendo davanti a lei. Quel povero vecchio rottame che, senza averne l’aria, ha la colpa di tutto. Dal petto della figlia esplode un urlo di dolore.

 “Mamma!  Chi baderà a te quando sarò in carcere? Chi si occuperà di te?”

L’anziana risvegliata dal grido apre un occhio, ma ha sonno e vuole riprendere a dormire. Emilia abbassa la voce.

“Tu finirai in un istituto” sussurra “e io…”

Poi capisce che c’è una sola cosa da fare.

Può ancora fare un dono a sua madre, risparmiarle l’ospizio e gli ultimi anni d’inferno. Prende un cuscino e glielo mette sulla faccia.

Preme. 

Sente un mugolio.

“Mamma, perdonami. È l’unico modo.”

Preme ancora.

Finché non sente più il rantolo.

Non sente più nulla.

Toglie il cuscino e accarezza il viso cianotico.

Adesso è pronta ad andare in prigione.

Non può essere peggio di quel che ha già vissuto.

Comments

  • Dina Dornell
    06/03/2024

    Escalation. Wonderful story. So sad !

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  • Ely Gocce di Rugiada
    06/03/2024

    Emilia potrebbe essere ognuna di noi; merita di essere conosciuta e di far conoscere la sua storia. A volte, la felicità non è ciò che ci manca, ma come viviamo il nostro quotidiano. Spero che Emilia possa ispirare e far riflettere su quanto sia importante cercare la gioia nelle piccole cose. La sua storia è un richiamo a esplorare nuove possibilità e a trovare la forza di cambiare quando la vita sembra stringerci troppo.

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  • Luigi
    22/03/2024

    Fantastico, finale inaspettato!

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