L’HOTEL NELLA NEBBIA di Luca Andriulo

Dopo aver percorso un discreto tratto della strada che costeggiava la sponda orientale del Lago, l’auto si fermò.

L’hotel si trovava dopo una galleria sopra la statale, a strapiombo sul Lago. Disposto su tre piani, trenta stanze ciascuno, era verniciato di bianco, con persiane verdi e balconi in marmo. Sopra l’ingresso principale si erigevano le lettere illuminate da lampadine al neon. “Hotel Serio”, in onore del lago.

Il Lago Sero era completamente avvolto nella nebbia.

L’uomo più giovane scese e si sgranchì le gambe. Aveva trent’anni circa, era stempiato, portava occhiali dalle lenti spesse e indossava giacca e cravatta. L’uomo più anziano lo imitò e si diresse verso l’entrata della struttura. Era alto, con una barba grigia che copriva la mascella pronunciata, e un fisico atletico, nonostante i cinquantacinque anni. L’hotel era deserto, ma perfettamente in ordine. Il salone su cui dava l’ingresso ospitava divani in pelle, televisori e tappeti orientali. L’uomo più giovane si guardò intorno, continuando a strofinarsi con le mani sulle braccia per avere un po’ di calore in più.

Quello più anziano, Sergio, lasciò le valigie dietro il bancone della reception, e salì ai piani dove si trovavano le stanze. I corridoi erano tutti uguali: tappeto rosso, quadri alle pareti e vasi di piante.

Oliviero perlustrò il magazzino, la cucina e la sala benessere. Il silenzio regnava incontrastato.

Dopo avere controllato alcuni documenti, Sergio si tolse maglione e scarponi, indossò la tuta e si chiuse in palestra. L’altro rifiutò l’invito dell’amico e si immerse nell’acqua della piscina, rilassandosi con impegno e dedizione.

Alla sera Sergio si posizionò ai fornelli. Decisero di cenare all’interno del ristorante, la cui desolazione era spettrale. La solitudine aveva già preso il sopravvento.

«Io odio dicembre!»

«Allora perché mi hai seguito, Oliviero?»

«È un modo di dire.»

«A marzo apriamo i battenti. Sono solo tre mesi. Tu e io.»

«Rimane il fatto che questo posto non mi piace. Ma perché hai comprato quest’hotel? E poi c’è questa nebbia!»

«A me la nebbia non dispiace. Riesco a lavorare meglio.»

Gli sorrise, ma Oliviero scosse la testa. Sergio gli diede un buffetto sul braccio destro, di cui l’amico si lamentò.

Dopo una frugale cena, mentre Sergio decise di fermarsi nella hall per lavorare al suo romanzo, Oliviero si distese sopra il letto di una delle tante stanze. Tuttavia, il senso di abbandono che provava gli impediva di chiudere gli occhi. Guardò in direzione del Lago, ma la nebbia pareva averlo avviluppato interamente. Poi udì un rumore. Non ne percepì la provenienza, ma lo distinse nettamente. Si alzò e scese nel salotto, completamente vuoto.

«Oliviero!»

Sussultò, voltandosi. Sergio aveva in mano il cellulare e gli puntava la torcia del palmare contro.

«Sergio, che sta succedendo?»

«Guarda verso la porta.»

Oliviero si voltò verso le ante della porta di vetro bloccata dall’interno. Due uomini con indosso un completo nero battevano con le mani sulla porta. I due amici si avvicinarono, timorosi. Ma quando i due sconosciuti mostrarono loro dei tesserini, scelsero di farli entrare. L’uomo aveva una quarantina d’anni, alto, capelli neri e sguardo corrugato, la donna era più giovane, con una chioma bionda e due occhi azzurri come il cielo diurno. Fu l’uomo, a parlare.

«Sono l’Ispettore Costa, lei è l’agente Alba Mayer. Chi è il custode?»

«Sono Sergio Rasi, e sono il proprietario della struttura da un paio di mesi. Siete Carabinieri?»

«No. Facciamo parte di un’unità speciale. Dobbiamo perquisire l’hotel.»

Fu la donna a rispondergli.

«E per quale motivo?»

«Non la riguarda.»

«È il mio hotel!»

Tentò di sbarrarle la strada, ma l’Ispettore Costa si parò davanti a lui. La donna, sotto l’espressione scioccata di Oliviero, salì le scale che portavano al primo piano. L’altro agente fissò duramente gli occhi di Sergio e setacciò il pianterreno. I due amici attesero l’esito della perlustrazione sopra un divano nella hall, pervasi dall’incertezza.

Quando gli agenti tornarono di sotto, visibilmente sconsolati, intimarono ai due che avrebbero pernottato lì con loro. La tensione era palpabile. Costa e Mayer si alternavano per restare di guardia. Sergio e Oliviero, nonostante l’agitazione, caddero presto tra le braccia di Morfeo.

Il risveglio fu meno drammatico di quel che ci si sarebbe aspettato. Appena aprì gli occhi, Oliviero vide l’agente Mayer in piedi davanti a lui.

Senza proferire parola, raggiunsero gli altri due nella sala ristorante, intenti a fare colazione. Si sedettero a un tavolo vicino e ascoltarono i discorsi fra Sergio e Costa.

«Di qualsiasi cosa si tratti, non potete chiamare qualcuno?»

«Non è così semplice, signor Rasi. È un’operazione molto complicata.»

«Se almeno poteste spiegarci…»

««Quell’uomo chi è?»

«Oliviero è mio cognato. Avevo bisogno di un tuttofare. Perché me lo chiede?»

«Dobbiamo poterci fidare. Lei nella vita cosa fa?»

«Sono uno scrittore, dovrebbe aver sentito il mio nome. Ho deciso di investire sull’hotel, ed eccomi qua.»

Costa si alzò improvvisamente. E la donna lo seguì. Dissero loro che sarebbero rimasti fuori tutta la giornata, e che sarebbero rientrati la sera, sul tardi. Rimasti di nuovo soli, e dopo aver superato l’iniziale stordimento, lo scrittore e il tuttofare tornarono alle loro faccende quotidiane. Sergio al computer, per continuare a scrivere il suo romanzo, Oliviero a sistemare il magazzino.

Il buio della sera rendeva la nebbia ancora più misteriosa. Le acque quiete del lago contribuivano a rendere l’atmosfera ancora più inquietante. Non si udiva un solo rumore in tutta la valle.

Oliviero, intento a lavarsi i denti, sputò l’acqua nel lavabo. Quando la rialzò e si guardò allo specchio, sentì il sangue raggelare nelle vene. Un uomo dietro di lui gli cinse il collo con un braccio, mentre con una mano gli tappò la bocca.

«Mantieni la calma e non dimenarti. Non ti farò del male, ma devi ascoltarmi molto attentamente.»

Costa e Mayer rientrarono in quel momento, stanchi e infreddoliti. Sergio era seduto davanti al camino della hall, aveva appoggiato il computer sopra un tavolino e sorseggiava del tè verde. Il fuoco disegnava oscure ombre nel buio della sala.

«Bentornati, signori.»

«Noto una leggera punta d’ironia nella sua voce.»

«Sono solito essere molto schietto, Ispettore Costa. Volete del tè?»

«Per carità! Io vado a dormire.»

Alba si avvicinò e lo osservò a lungo. Prese il tè e se lo verso in una tazza che aveva preso dalla cucina.

«Che cosa sta scrivendo?»

«Uno scrittore non rivela mai i segreti della sua opera.»

«Mi sembra giusto. Avete tutti una personalità così indecifrabile.»

«Amiamo i nostri spazi, agente Mayer. Dunque, caccia infruttuosa?»

«Abbiamo girato a lungo, invano.»

«Si può sapere chi state cercando? Fantasmi?»

«Più o meno. Ma non posso parlargliene.»

«A chi vuole che lo dica? Non c’è nessun altro, qui.»

La donna espirò rumorosamente. Ignorò il sorriso sincero dell’uomo e prese ad ammirare le fiamme. Parevano esibirsi in una danza sensuale.

«Ha sentito parlare del “killer delle turiste”?»

«Ai notiziari, credo. Lui è qui?»

«Sulla scena del crimine dell’ultimo omicidio ha commesso un errore. Un’impronta. Gli abbiamo teso un’imboscata, ma non ci è cascato. Lo abbiamo perso e gli siamo corsi dietro il più velocemente possibile. Si è rifugiato qui, in mezzo alla desolazione.»

«Come un animale braccato.»

«Sì, ma non deve preoccuparsi. Lei e suo cognato siete al sicuro.»

Oliviero, se avesse ascoltato, non l’avrebbe pensata allo stesso modo. Il figuro che l’aveva aggredito ora gli puntava contro il viso una beretta nera. Si soffermò sul respiro debole dell’uomo e serrò la mascella.

«Non ti farò del male, devi credermi.»

«Io non posso fidarmi di te.»

«Dovrai.»

Udirono dei passi. L’Ispettore Costa chiamava Oliviero. Il suo sequestratore s’infilò la beretta sotto la polo grigia e si nascose in bagno. L’agente entrò e lo squadrò, accigliandosi.

«Va tutto bene?»

«Sì, sono…Ecco, sono felice che siate tornati.»

«Questa notte potrà dormire qui. Abbiamo motivo di credere che non ci siano più pericoli.»

«Meglio.»

Costa chiuse la porta e mosse alcuni passi per tornare indietro. Poi, con fare svelto, ripiombò nella stanza. La finestra era spalancata.

«Avevo caldo, Ispettore.»

«Per precauzione, si chiuda dentro.»

L’uomo tornò dabbasso e varcò la soglia della cucina. Alba era seduta sul bancone che ospitava mestoli e padelle e mangiava dello yogurt.

«Novità, Max?»

«Il damerino è strano, ma sembra tutto a posto. Tu?»

«Lo scrittore è un pallone gonfiato, ma niente di più. Ancora convinto che si trovi in questa valle?»

«Se non è qui, dove può essere andato?»

«Questa storia ci sta snervando.»

«Vieni qui, piccola.»

Si baciarono appassionatamente, fissandosi negli occhi di tanto in tanto, mentre le loro dita sfioravano il volto dell’altro. Furono interrotti da urla disumane. Provenivano dal salone principale, dove Oliviero puntava il dito contro i finestroni, visibilmente scosso.

«Là fuori! Un uomo, sulla riva del lago!»

I due agenti scattarono e raggiunsero la porta a vetri. Uscirono e volsero le berette in direzione delle acque del Serio. Ma non v’era nessuno.

A destarli fu l’accensione improvvisa del rumore di un’auto. Si guardarono per alcuni secondi, poi aggirarono la fiancata destra dell’hotel, appena in tempo. Le braccia erano ben tese, le dita sfioravano i grilletti delle pistole.

«Sono l’Ispettore Costa, alza le mani sopra la testa e scendi!»

Nessuna risposta. L’oscurità non permetteva loro di vedere all’interno dell’abitacolo. Evitando i fasci di luce dei fari, i due si sporsero abbastanza. Mentre Alba era pronta a fare fuoco dall’altro lato, Costa aprì lo sportello di scatto. Dentro l’auto non c’era anima viva.

Quando tornarono all’interno dell’hotel, l’Ispettore diede un calcio al sofà davanti alla TV. Poi si portò le mani ai fianchi e storse la bocca.

«Non può essere là fuori. Si trova qui, nascosto chissà dove!»

Oliviero aveva assistito interamente alla scena, fuori dalla finestra. Nonostante avesse distratto gli agenti, il suo enigmatico assalitore non era stato sufficientemente scaltro da fuggire in tempo. A dir la verità, il gelo che v’era là fuori non lo aveva certo aiutato. Il motore dell’auto di Sergio si era acceso con qualche secondo di ritardo. E gli era risultato fatale. Ora, quello che Oliviero temeva maggiormente era lo scontro con i due agenti, a cui non poteva certo rivelare di aver preso le chiavi dell’auto lasciate incustodite dall’amico e di averle date a quell’uomo. Avrebbe voluto raccontare ogni singola cosa, ma aveva paura.

Il fuggitivo estrasse il cellulare dalla tasca. Il palmare di Oliviero era in ottime condizioni, e lui necessitava solamente di una breve chiamata. Ma come lo accese, maledisse la sua cattiva stella. Il telefono, con la batteria scarica, gli si spense fra le dita.

«Non c’è campo! Niente di niente!» sbraitò Costa.

«Rilassati, Max. Lo troveremo.»

«Che fine ha fatto il padrone di casa?»

«È di sopra, al primo piano.»

«Io mi occupo di lui, tu dell’altro.»

Costa salì le scale e controllò tutte le stanze, finché non lo vide. Rasi era seduto sul letto, lo sguardo fisso sul computer, le cuffie sulle orecchie. Appena vide l’agente, se le tolse.

«Ispettore, ci sono novità?»

«Non ha sentito il baccano?»

«Di che sta parlando?»

«Dobbiamo tornare di sotto. Immediatamente.»

Alba bussò alla porta, e Oliviero le aprì, mostrando un sorriso a trentadue denti.

«Agente Mayer, l’avete trovato?»

«L’auto è sua?»

«No, è di mio cognato. Come pensa che possa aver rubato le sue chiavi?»

«Un’ottima domanda. Lui sembra concentrato esclusivamente sul suo libro. Raggiungiamoli, qui è in pericolo.»

Tornati di sotto, Costa decise di spiegare rapidamente ai due amici le ragioni della loro presenza, la pericolosità del killer e che dovevano rimanere nella hall, al sicuro. Oliviero sentì le palpitazioni crescere minuto dopo minuto. Il fuggitivo poteva ucciderlo in qualunque momento, ma non l’aveva fatto.

L’assassino delle turiste frugò per tutta la stanza, tendendo le orecchie per percepire il minimo rumore. Nessun carica batterie, nessun altro cellulare. Quindi uscì e raggiunse la stanza adiacente. Dietro il muro c’era un passaggio segreto, un tunnel che sfruttava per entrare nella cella frigorifera, e da lì nascondersi nella lavanderia. L’aveva trovato per caso, ma si ritenne fortunato, perché quell’albergo era senza dubbio ambiguo. Le porte avevano ancora la chiave, e questo gli aveva permesso di entrare nella camera dell’uomo con gli occhiali. Adesso aveva un solo obiettivo. Chiamare.

Dopo aver constatato la lentezza del wi-fi aperto dell’hotel, Alba dimenticò il telefono sul tavolo della cucina e tornò nel salone, dove Costa camminava avanti e indietro. Rasi era adagiato su una poltrona e scuoteva la testa.

«Glielo ripeto ancora. Se conoscessi vani, cunicoli, stanze segrete o chissà che, ve lo direi. È la prima volta che mettiamo piede in questo hotel. E le chiavi le avevo lasciate sul letto.»

«Alba, sbarra la porta principale. Ricontrolliamo tutta la struttura.»

Armi in pugno, la coppia di agenti si divise. Uno utilizzava l’ascensore, l’altro le scale. Era tornata la linea, quindi lo scrittore e suo cognato avrebbero potuti chiamarli, nel caso il killer si facesse vivo. Anche se erano convinti che quest’ultimo si nascondesse in qualche stanza.

«Perché non l’hai detto a quei due?»

«Voglio starne fuori, Sergio. In fondo, non s’accorgeranno del fatto che è sparita dell’acqua. Quello che mi chiedo è come abbia fatto a entrare dentro l’albergo.»

«Il vecchio proprietario, quando abbiamo firmato i documenti di vendita, mi ha parlato di un accesso sotterraneo che da uno chalet nel bosco porta al garage interno.»

«Perché hai mentito, allora?»

«Quest’hotel, prima che lo acquistassi io, era un’oasi felice per uomini d’affari che volevano passare del tempo lontano dalle loro famiglie, e in dolce compagnia. Il tunnel serviva per la privacy. Comprendi?»

«E l’uomo che cercano come ha fatto a saperlo?»

«Perché non glielo chiedi?»

Oliviero si recò in cucina, dubbioso sul riferire all’amico gli incontri con il killer. Si sentì improvvisamente mancare, la testa gli girava. Tutta quell’agitazione non faceva che peggiorare i suoi attacchi di panico. Si girò, e poco ci mancò che il cuore gli scoppiasse nel petto. Il killer, davanti a lui, gli intimò di abbassarsi e non urlare.

«C’è un’uscita, al piano terra?»

«No, mi dispiace.»

«Ho capito. Che cosa vi hanno detto su di me, quei due?»

«Che sei il “killer delle studentesse”, e che hai lasciato una tua impronta sulla scena del crimine, questo ci hanno spiegato.»

«Ascolta. È vero, l’impronta è mia, però ce l’hanno messa loro. Vogliono incastrarmi, capisci?»

«P-per quale motivo?»

«Io sono un agente, della loro stessa unità. O meglio, lo ero. Indagavo su un caso di corruzione in cui loro erano coinvolti. Hanno sottratto decine di migliaia di euro sequestrati a organizzazioni criminali di ogni sorta. Li stavo cercando io, prima che li trovassero le persone sbagliate. Quando l’hanno scoperto, mi hanno teso una trappola. Sono riuscito a fuggire qui, sapevo di un tunnel segreto che portava fino all’hotel.»

«In che modo?»

«All’interno di una delle bande della malavita avevo un informatore, un broker che veniva qui per isolarsi insieme a qualche ragazza. Mi parlò lui di questo posto.»

«E adesso che farai?»

Udirono Costa e Mayer tornare.

«Devi chiamare un numero di sei cifre: zero, zero, zero, sei, due, sei. Dì che “la merce può essere ritirata”.»

«M-ma che enigma è?»

«Capiranno. E verranno a prendermi.»

«Come faccio a fidarmi di te?»

«Se fossi il killer, ti avrei già usato per uscire di qui. Ma non posso farlo lo stesso, là fuori non avrei scampo.»

Gli riconsegnò il palmare e uscì dalla porta che dava alla cella frigorifera. Oliviero fu rapidissimo. Appurato che il suo cellulare si era scaricato, tornò nel salone. Sergio era intento a scrivere al computer. Era come estraniato da tutto il resto. Evitando di disturbarlo, e chiedendosi dove trovasse quella calma in una situazione simile, gli “confiscò” il telefonino e digitò quei tasti. Dall’altra parte risposero quasi subito, proprio nel momento in cui i due agenti rientrarono nella hall.

«La merce è stata ritirata.»

Chiuse la chiamata, poiché l’Ispettore Costa lo stava scrutando nervosamente.

«Chi sta contattando?»

«Fornitori. Tutto qui.»

L’orologio a muro cadenzava i secondi con una calma disarmante. Il tempo pareva essersi fermato. Erano passate tre ore e i due agenti stavano all’erta, pronti a entrare in azione.

Sul ciglio dell’autostrada, un furgone nero si fermò e spense i fanali.

Costa e Mayer udirono un fracasso provenire dal primo piano. Il primo si precipitò verso le scale. Quando raggiunse il corridoio, guardò a destra e a sinistra, con la beretta stretta fra le mani. Percorse l’intero piano fino all’ascensore, dove allungò il passo e calciò contro le porte.

Il killer scendeva al piano terra.

Costa corse verso le scale, ma cadde rovinosamente. Sul pavimento dell’ingresso al piano era stata gettata dell’acqua. L’ispettore Costa si toccò il ginocchio destro, e si contorse dal dolore.

Di sotto, Alba puntava l’arma verso il montacarichi. Le porte si aprirono, ma non v’era nessuno all’interno. Se ne rese conto troppo tardi. Si voltò e il fuggitivo le diede una gomitata sul viso che la atterrò. Si soffermò prima su Oliviero, poi sull’uomo anziano che scriveva al computer come se nulla stesse accadendo, e aggrottò la fronte.

«La chiave, ce l’ha la donna.»

«Ti ringrazio, “quattr’occhi”.»

La perquisì, e la trovò. Raggiunse ad ampie falcate la porta e la aprì. Tre uomini e una donna in tuta mimetica blu scuro, armati di fucili d’assalto, entrarono e volsero le armi in direzione dei due uomini presenti.

«No, loro non c’entrano nulla.», disse il capo del gruppo riferendosi a Sergio e Oliviero.

Il gruppo, un’unità operativa clandestina che lavorava per il fuggitivo, aveva localizzato la chiamata ed era corsa in suo aiuto. Volevano “ripulire” la scena, ma non potevano lasciare due testimoni, né potevano ucciderli. Appena varcarono la soglia della porta di vetro, dei colpi furono esplosi in direzione dei cinque. L’Ispettore Costa uccise il più anziano del gruppo, la donna e un terzo agente. E fu freddato a sua volta dai colpi del fuggiasco.

Prima ancora che potessero metabolizzare la morte dei loro compagni, Alba afferrò la beretta e ingaggiò uno scontro a fuoco, con i due, che non lasciò superstiti. Oliviero era appoggiato al muro, terrorizzato. Guardò Sergio che, alzatosi dalla sedia, scavalcò il corpo di Alba e si stiracchiò.

«Il libro è finito! Finalmente!»

«Sergio, m-ma…Che cosa sta succedendo?»

«Be’, quale miglior finale per il romanzo sul “killer delle turiste”?»

«Cosa…?»

«Che dannata coincidenza! Mi prendo una pausa dagli omicidi, e quelli mi perseguitano anche qui! Ah, ah, ah!»

Sergio raccolse l’arma di Mayer e se la girò fra le mani.

«Mio figlio era un ragazzino fragile, e delle giovani turiste ne causarono la morte. È stato molto tempo fa…Un giorno vedo una famiglia felice con i loro bambini, e mi dico che non è giusto. Vedi, Oliviero, uccidere è come amare. Scegli la tua vittima, la inviti a ballare con te la danza della morte, e la porti nell’abisso.»

«Tu sei malato.»

«Ti sbagli. Sono l’unico che vede le cose per come sono davvero.»

Fece per sparargli, ma fu lui ad essere colpito. Il fuggitivo lasciò l’arma e chiuse gli occhi.

Oliviero, sotto shock, uscì e respirò aria fresca. Si sedette e scrutò il lago silenzioso. La nebbia era sparita.

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