NESSUNO È PERFETTO di Milena Bertaglio

“Ci risiamo, devono decidersi a far riparare il tetto altrimenti ci ritroveremo in questa situazione ad ogni nubifragio!” brontolò il bidello Antonio indicando al collega un angolo dell’atrio completamente bagnato e, senza attendere risposta, si affrettò a recuperare dal ripostiglio il necessario per le pulizie.

Nello stesso istante, la campanella pose fine alla ricreazione e gli alunni della scuola secondaria “A. Manzoni”, sparsi in corridoio, rientrarono rapidamente nelle rispettive classi.

Solo cinque ragazzi continuarono a sghignazzare in corridoio muovendosi con una lentezza esasperante. La professoressa li attendeva rassegnata sulla porta ed il solerte operatore scolastico li sollecitò.

L’intero gruppo era appena uscito dai bagni adiacenti al ripostiglio.

Nel silenzio che seguì un lamento attirò l’attenzione del bidello. Entrò nei bagni e vide Enea seduto a terra con il viso tra le mani che singhiozzava sommessamente.

“Enea, cosa ti è successo? Perché piangi?” gli domandò avvicinandosi.

Antonio lavorava da oltre trent’anni in quella scuola e aveva acquisito una notevole esperienza nel giudicare i vari comportamenti adolescenziali. In passato era già capitato di dover consolare ragazzi offesi dai compagni o irritati per qualche brutto voto e, a volte, bastava farli ragionare per recuperare il buon umore.

Il timido ragazzino lo guardò e abbassò la testa. I capelli lunghi fino alle spalle, biondi e ricci, gli nascondevano gli splendidi occhi azzurri.

“Sei caduto o qualcuno ti ha fatto del male? Prima ho visto uscire dal bagno i gemelli Edoardo e Diego con i loro amici, sono stati loro?” insinuò il bidello preoccupato.

Enea annuì, senza proferire parola.

“Per quale ragione si sono comportati così?” indagò pur sapendo che atti di bullismo spesso vengono commessi senza motivo, solo per il piacere di ferire i più deboli.

“Non c’è un motivo preciso, il professor Visentin mi…mi ha fatto i complimenti per la verifica di italiano e Edoardo ha cominciato a prendermi in giro perché balbetto e ho queste enormi orecchie a sventola! Poi, all’intervallo, lui e i suoi amici mi…mi hanno seguìto in bagno e mi hanno riempito di pizzicotti e insulti!” piagnucolò Enea fissando la piastrella rotta davanti a sé.

“La settimana scorsa Edoardo mi ha sottratto il libro di storia e non ho potuto studiare, l’altro ieri mi…mi ha fatto uno sgambetto e sono caduto tra le risate generali. Sono mesi che continua questa situazione, non ne posso più!”

L’operatore scolastico ascoltò lo sfogo del ragazzo senza interrompere.

“Mi…mi hanno detto di non dire nulla ai miei genitori altrimenti mi faranno del male!”

“Innanzi tutto, tu non hai enormi orecchie a sventola! Ignora quei piccoli arroganti e vedrai che capiranno quanto stanno sbagliando…ora vieni con me, torniamo in classe” concluse il bidello posandogli una mano sulla spalla.

Enea inquieto si lasciò accompagnare in aula. Con il tempo, il giovane aveva imparato a non reagire alle provocazioni poiché ad ogni sua replica si alzava il livello dei dispetti. In classe aveva pochi amici in quanto tutti temevano che avvicinarsi a lui significasse subire le stesse angherie.

Antonio conosceva bene i gemelli Edoardo e Diego. Figli di diplomatici spesso assenti da casa, godevano di ampia libertà d’azione in quanto l’interesse di entrambi i genitori era indirizzato soprattutto all’attività lavorativa più che all’educazione dei figli. I due ragazzi erano cresciuti secondo le regole imposte dalle varie baby-sitter, più volte sostituite, chiamate solo a vigilare, non a correggere comportamenti scorretti. Tale noncuranza da parte degli adulti, oltre ad aver contribuito alla formazione della loro personalità, era la motivazione principale dello scarso rendimento scolastico di entrambi.

Edoardo era il più alto della classe, i capelli castani rasati fino alle orecchie e un gran ciuffo sugli occhi, aggiungevano qualche anno alla sua reale età. Dotato di grande dialettica, a scuola era sempre circondato da ragazzini che cercavano la sua approvazione. Purtroppo, crescendo aveva assunto un atteggiamento spavaldo, fino ad arrivare, talvolta, all’insolenza.

Fisicamente identico al fratello ma con un carattere molto più insicuro, Diego lo imitava in tutto, dall’abbigliamento al comportamento, non riuscendo però ad ottenere lo stesso successo.

I due giovani fratelli erano entrambi iscritti alla società sportiva “Holly Basket”, con sede nel paese accanto, ma le numerose assenze agli allenamenti oltre a qualche screzio con l’allenatore e i compagni di squadra, non consentivano loro di avere risultati brillanti e raramente entravano in campo nelle partite ufficiali.

Conclusa la giornata scolastica, Enea si avviò verso casa insieme a Tommaso che considerava un amico fidato. La loro amicizia era nata sui banchi della scuola materna, giocavano insieme senza mai litigare e, se necessario, uno difendeva l’altro.  Appena usciti da scuola correvano al parco e facevano merenda insieme. Era diventato un piacevole rito condiviso dalle rispettive mamme.

Occhi marroni e capelli a spazzola, Tommaso, era curioso e dinamico, sempre pronto a proporre qualche brillante idea per passare il tempo: nuovi giochi, stimolanti letture o appassionanti avventure. Condivideva con Enea la passione per il nuoto ottenendo buoni risultati. Non tollerava il comportamento aggressivo di Edoardo e del suo gruppo, ma nemmeno condivideva l’atteggiamento remissivo di Enea. In più occasioni aveva spronato quest’ultimo a reagire poiché riteneva che un atteggiamento troppo debole non facesse che accrescere la cattiveria di alcuni bulletti.

Quel pomeriggio i due ragazzi si erano dati appuntamento al parco.

Enea fu il primo ad arrivare e si sedette sull’ultima panchina in fondo al viale principale, lontano dall’area giochi dei bimbi. In attesa, esaminò il nuovo cellulare, regalo dei suoi genitori in occasione del compleanno appena passato, impaziente di mostrare all’amico le prestazioni tecnologiche del dispositivo.

Intento a scorrere le immagini non si accorse dell’arrivo dei gemelli Edoardo e Diego.

“Guarda chi c’è, sventolino!” sghignazzò Edoardo dando una gomitata al fratello.

“Ma guarda che bel telefonino, mi servirebbe proprio un nuovo smartphone, fammi vedere…”

Preoccupato, Enea si affrettò a rimettere il cellulare nello zaino deciso a non rispondere alle provocazioni.

I due gemelli si sedettero al suo fianco e lo bloccarono.

“Eh no, così non si fa! Dammi quel cellulare!” disse irritato il perfido Edoardo.

“Non ti è bastato l’incontro di stamattina? A proposito, hai raccontato ad Antonio cosa è successo?  Ho visto che sei rientrato in classe con lui e uscendo dalla scuola non mi toglieva gli occhi di dosso. Se domani mi rifilano una nota sai come andrà a finire, vero?” sibilò sferrandogli un potente pizzicotto.

“Lasciatemi stare!” strillò Enea dimenandosi.

Edoardo cercò di afferrare lo zaino ma non vi riuscì.  

In quel momento sbucò dal vialetto Tommaso e si parò davanti ai tre ragazzi.

“Si può sapere perché non lasciate in pace Enea? Cosa vi ha fatto?”

“Niente, ma è divertente prenderlo in giro” rispose il gemello più sfacciato.

“Non mi sembra tanto divertente… Sei invidioso perché prende bei voti e tu no!” puntualizzò rivolgendosi direttamente a Edoardo.

“Ma dai Tommaso, non ti scaldare…Enea è ridicolo, con queste orecchie esagerate e i ricci da cherubino” così dicendo afferrò un ciuffo di capelli del compagno e lo tirò con forza “E poi, non mi interessano i bei voti!” aggiunse stizzito.

“Io…io non sono perfetto, ma non lo sei nemmeno tu!” sbottò Enea facendosi forza dalla presenza dell’amico.

“Sai solo piagnucolare, hai paura della tua ombra!” continuò Edoardo.

“Non ho paura di voi e di nessun altro!”

“OK, visto che sei così temerario, hai il coraggio di attraversare il bosco dei lupi grigi e raggiungere la torretta abbandonata?”

Diego fissò il fratello con preoccupazione, Tommaso ed Enea si scambiarono sguardi interrogativi.

“Ce…certo che ci vado!” rispose deciso “Però dovete venire anche voi!” si affrettò ad aggiungere.

“Va bene, per me e Diego non ci sono problemi. E tu Tommaso?” rispose Edoardo senza nemmeno consultare il gemello.

“Anch’io non ho problemi, oggi non devo andare agli allenamenti.”

I quattro ragazzi si avviarono verso la meta prefissata decisi a guadagnarsi il reciproco rispetto.

Il bosco era al confine della città e si sviluppava per chilometri sulla collina appenninica.  Ai tempi della Seconda guerra mondiale la torre rappresentava un punto strategico poiché dominava la valle. Parzialmente distrutta da un bombardamento aereo, attualmente era solo un rudere fatiscente circondato da rovi e fitte sterpaglie. In quella zona, qualche anno prima, tre cacciatori furono attaccati da un branco di lupi affamati: loro si salvarono, ma il cane che li accompagnava, purtroppo, fu sbranato. La vicenda ebbe molto risalto sul territorio e da allora solo pochi impavidi si avventuravano fin sulla torretta.

Nessuno di loro aveva percorso in passato quell’itinerario, pertanto, si affidarono completamente alla segnaletica esistente sul sentiero, rappresentata, sfortunatamente, solo da sbiadite frecce rosse. I quattro adolescenti, in fila indiana e in assoluto silenzio, ben presto si resero conto che la torretta non era così facilmente raggiungibile. L’orgoglio impediva loro di suggerire il ritorno a casa poiché nessuno voleva essere deriso o additato come un fifone e quindi proseguirono cercando di scacciare il pensiero di perdersi nel bosco o di un incontro ravvicinato con i lupi.

“Sei nella squadra di nuoto?” chiese Diego a Enea nel tentativo di allontanare l’inquietudine.

“Sì, domenica abbiamo gareggiato e ho fatto il mi… miglior tempo nel dorso.”

“Però… complimenti! Hai sentito Edo? Anche a me piacerebbe fare nuoto invece di basket…e anche Edoardo ne è attirato, me lo ha detto proprio ieri.”

“E’ un bel gruppo, siamo tutti amici e ci divertiamo molto” sottolineò Enea.

Una punta d’invidia s’insinuò nei due gemelli per quel messaggio di gioia e serenità.

“Io e Edo stiamo in panchina…il coach dice che non ci alleniamo abbastanza” disse deluso.

“Non è colpa nostra, andiamo agli allenamenti quando ci portano i nostri genitori! Però loro non sono mai a casa…” s’intromise Edoardo.

Giunti ad un bivio videro la freccia divelta. Il sentiero si divideva in due diramazioni: dovevano decidere se salire ed entrare nella boscaglia, oppure, girare a destra e attraversare il ruscello.

Edoardo subito propose di seguire la via più facile lungo quel rigognolo d’acqua.

“Forse è meglio salire, la torretta dovrebbe essere sopra quell’altura” propose Tommaso dopo aver soppesato la loro posizione.

“Sì, il sentiero meglio tracciato sembra quello che sale, se vogliamo arrivare alla torretta dobbiamo entrare nel bosco” sostenne Enea.

“Probabilmente entrambe le strade portano in cima, io dico di prendere quella più comoda” e senza attendere risposta Edoardo proseguì, già pentito di aver proposto quella sfida.  Nell’incertezza, tutti lo seguirono.

I quattro ragazzi erano ormai in cammino da oltre due ore e, stanchi, vagavano nel bosco. Nel frattempo il cielo si era annuvolato e minacciava pioggia.

Raggiunto un ponticello di legno usurato dalle intemperie videro sopra la collina davanti a loro i ruderi della torretta.  

“Dobbiamo attraversare, ma questo ponte non sembra molto sicuro, reggerà il nostro peso?” domandò preoccupato Tommaso.

“Ha retto fino ad ora il passaggio di cacciatori attrezzati, non crollerà se passeremo uno per volta. Oppure hai la tremarella?” rispose Edoardo con la consueta spavalderia.

“Sei il solito arrogante! Lascio a te l’onore di attraversarlo per primo.”

“No, grazie, andate pure voi…anzi, prima va Enea!” 

Quest’ultimo non fece storie, strinse a sé lo zaino, valutò dove posizionare i piedi al fine di evitare i diversi buchi formatesi nel legno, dopodiché, con calma, attraversò quei sei pericolosi metri.

“Forza, tocca a voi!” gridò dall’altra parte del ponte. Tommaso accantonò ogni timore, inspirò e senza farselo ripetere avanzò incurante degli scricchiolii.

Diego guardò Edoardo e si avvicinò. Il pavido gemello fissava lo strapiombo sotto il ponte e un brivido gli attraversò la schiena.

“Dai, non guardare sotto…prendi la mia mano!” lo scosse Enea dall’altra parte del ponte. 

Si fece coraggio e corse verso di lui travolgendolo.

Edoardo guardò allarmato quella instabile passerella. Ora toccava a lui, non poteva esimersi dall’affrontare quel rischio. Sentiva su di sé gli occhi degli altri compagni d’avventura ma la paura non gli consentiva di procedere. Si era bloccato dopo il primo passo e guardava il vuoto attraverso un enorme foro nel legno. Il timore di una rovinosa caduta prevaleva sopra l’orgoglio.

“Non posso raggiungervi…questo ponte sta cedendo!” urlò indietreggiando.

“Non cadrà! Siamo passati noi e puoi farcela anche tu!” rispose il gemello.

Persa ogni spavalderia, lo spaccone non riusciva a avanzare.

“Io…io vi aspetto qui!” mormorò angosciato.

“No, devi attraversare anche tu! Oppure sei tu che hai paura?” lo provocò Enea.

“Sono solo sei passi!” lo incitò il fratello, sorpreso per quella rinuncia inaspettata.

“Muoviti!” gridarono Tommaso e Diego all’unisono.

Edoardo li guardò: le mani sudate, una lacrima scese silenziosa. Si fece coraggio e corse veloce verso l’altra sponda senza accorgersi di un piccolo squarcio nel legno poco prima dell’arrivo. Il piede si incastrò e lui cadde rovinosamente su Enea che aveva teso la mano anche a lui all’arrivo.

“Mi sono rotto un piede!” sbraitò piangendo.

“Non…non esagerare, magari è solo un graffio, fammi vedere” disse Enea.

Un taglio sopra la caviglia sanguinava e sotto si stava formando un esteso ematoma. 

“Stai tranquillo, ora lo fasciamo stretto e quando torneremo a casa lo farai medicare. Non mi sembra una ferita profonda ma…ma deve essere disinfettata al più presto.”

“Andiamo avanti! Ormai siamo arrivati! Concludiamo questa storia una volta per tutte!” sbottò Diego agitato e desideroso di finire quell’avventura.

“Come puoi pensare di proseguire con tuo fratello in queste condizioni! Edoardo non può andare oltre, sta arrivando la pioggia, dobbiamo rientrare subito!” evidenziò saggiamente Enea.

“E’ colpa sua se siamo in questa situazione! Ora come possiamo uscirne? Io voglio tornare a casa prima che arrivino i lupi!” la voce tremante di Diego rivelava tutta l’ansia accumulata.

“Noi stiamo bene e aiuteremo Edoardo a scendere a valle. Lupi non ne vedremo!” rispose Enea deciso a tranquillizzare tutti.

“Grazie” sussurrò Edoardo dolorante e mortificato.

Nel frattempo Tommaso perlustrò la zona rendendosi conto che non vi era più traccia del sentiero. Inoltre, si accorse che nel terriccio umido c’erano davvero tracce dei lupi.

Tornò dai suoi compagni.

“Abbiamo sbagliato strada. Non so dove siamo e ci sono segni della presenza dei lupi…dobbiamo scendere, ma non sarà facile con Edo in queste condizioni” affermò.

I quattro ragazzi si guardarono smarriti. Dopo qualche minuto Enea ruppe il silenzio.

“Dietro quella rupe si…si intravvede un vecchio rifugio abbandonato, ripariamoci lì, chiamerò i soccorsi con il mio cellulare, ci rintracceranno e verranno a prenderci. Edoardo non può camminare su questo terreno reso ancora più accidentato dalla pioggia…la ferita sanguina e potrebbe peggiorare.”

“Credo sia l’unica soluzione” approvò prontamente Tommaso.

“OK. Edo appoggiati a me” disse Diego aiutando il gemello a rimettersi in piedi.

Si diressero così verso quel rifugio ormai utilizzato solo in caso d’emergenza. Fortunamente la vetusta porta di legno era chiusa con un semplice chiavistello e si aprì senza problemi.

Enea si sedette sul pavimento in pietra e constatò che in quella vecchia baita il servizio non era attivo, pertanto, non era possibile usare il cellulare. Diego ed Edoardo si rannicchiarono vicino a un vecchio camino che occupava tutta la parete. Tommaso rimase in piedi ad osservare fuori dalla finestra. La pioggia ormai cadeva copiosa.

Immersi nei pensieri più cupi, i quattro ragazzi ora avevano un unico identico desiderio: tornare a casa. Rivalità e ostilità avevano lasciato il posto ad alleanza e stima. Quell’avventura in futuro avrebbe occupato un posto importante nei loro ricordi, ne erano certi.

Improvvisamente un lupo sbucò dal bosco e si avvicinò al rifugio. Lo seguì l’intero branco.

Tommaso rabbrividì e avvisò i compagni d’avventura. Diego si avvicinò alla finestra e nel vederli rimase paralizzato dal terrore. Mai aveva visto lupi così da vicino e immediatamente il pensiero andò alle leggende del passato e ai racconti dei cacciatori. Ora avevano la prova, il branco di lupi grigi esisteva veramente.

Tommaso ed Enea si accertarono che le finestre fossero tutte chiuse. Bloccarono la porta d’entrata con una spranga trovata sopra il camino e attesero in silenzio. 

I feroci animali si muovevano con rapidità intorno al rifugio.

Un rumore sordo li fece sobbalzare. Dall’interno si potevano seguire i continui movimenti sopra il tetto, ombre furtive accompagnati da incessanti colpi di lamiera dovuti al passaggio dei lupi sul lucernaio rotto.

I tre ragazzi si strinsero intorno a Edoardo, quasi a proteggerlo, essendo il più vulnerabile. Quest’ultimo piangeva spaventato e anche Diego non riusciva a trattenere le lacrime.

Furono minuti terribili, il timore che il lucernaio si rompesse lasciando un’apertura libera li terrorizzava: non avrebbero avuto alcuna possibilità di salvarsi.

Enea fu il primo a reagire. Vide che sulla mensola del camino c’erano dei fiammiferi e si ricordò che aveva nello zaino il fumetto di Spiderman. Ne strappò alcune pagine e attizzò il fuoco nel camino. Con l’aiuto di Diego e Tommaso rinvigorì la fiamma alimentandola con diversi legni trovati in quel precario riparo. Qualche minuto dopo un fumo denso uscì dal comignolo e i lupi rapidamente si dispersero nel bosco.

I quattro ragazzi impauriti rimasero seduti vicini ad ascoltare il ticchettio della pioggia sui vetri che rimbombava assordante nel locale.  Consapevoli che i lupi erano in zona nessuno di loro osava uscire all’aperto.

Enea controllò il cellulare ma il servizio ancora non era attivo. Guardò fuori dalla finestra: apparentemente tutto era tornato tranquillo e anche la pioggia si era calmata.

“Dobbiamo telefonare affinchè il soccorso possa venire a re…recuperarci prima di sera. Uno di noi deve uscire e provare all’esterno, qui non c’è campo” disse convinto.

Nessuno rispose, il terrore di ritrovarsi un lupo di fronte era fin troppo evidente.

Non aveva scelta, si fece coraggio, aprì e andò su una piccola rupe sopra al rifugio.  

Un debole segnale gli consentì di comunicare con i suoi genitori i quali attivarono immediatamente i soccorsi.

“I lupi potrebbero essere ancora tra le sterpaglie, ci vuole un bel coraggio!” balbettò Diego guardando Enea che rientrava più sollevato.

Edoardo si fermò a riflettere: i suoi compagni si erano dimostrati abili, disponibili e, soprattutto, coraggiosi. Pensava che Enea fosse un debole, ma si sbagliava. Si sentiva uno stupido borioso pensando a tutte le volte che a scuola lo aveva deriso e maltrattato.

“Grazie, sei stato davvero un grande! Entrambi lo siete stati…senza di voi non so come avrei fatto!” ammise con riconoscenza rivolgendosi ai due compagni.

“Te ne saresti accorto già da tempo se non fossi così spocchioso e antipatico! Vorrei tanto che fossimo amici!” si inserì Diego stanco dell’atteggiamento arrogante ostentato dal gemello.

“Sì, Enea ha dimostrato di non essere un fifone o un debole, ha coraggio e capacità più di tanti altri” riconobbe Edoardo appoggiandogli la mano sulla spalla.

“Deridere gli altri è ingiusto, tutti noi abbiamo difetti e pregi che ci contraddistinguono. A volte sono nascosti dalla timidezza ma sono preziosi. Io sono fiero di essere amico di Enea” concluse Tommaso abbracciando l’amico.

La squadra dei soccorsi arrivò rapidamente e accompagnò i ragazzi a valle in tutta sicurezza.

Conclusa quella brutta esperienza Edoardo abbandonò l’atteggiamento spavaldo e presuntuoso del passato e i quattro ragazzi divennero amici condividendo altre meravigliose avventure.

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