NUMERO 13 di Armando Cuturi (prima parte)

Genere: Horror

Fabio apre gli occhi.

Guarda la sveglia digitale color grigio, orribile quanto funzionale regalo dello zio per il suo trentesimo compleanno. Con molta probabilità l’intento del presente era legato a un messaggio subliminale di frasi tipiche delle vecchie generazioni come ’svegliati e va a lavorare’, ma Fabio ha sempre fatto buon viso a cattivo gioco. Cerca di scorgere l’ora, ma c’è qualcosa che non glielo permette, allunga una mano e senza volere rovescia un bicchiere d’acqua a terra. Adesso può vedere l’ora: le 4:28.

Un bruciore allo stomaco lo assale. Sarà quello ad averlo svegliato: il solito reflusso gastrico, che il suo medico di famiglia dice di curare da anni con la camomilla.

Non ricorda da quanto tempo non dorme il cosiddetto sonno dei giusti. Forse perché giusto non lo è?

Bocca impastata e sapore di fegato sofferente. Si sente spossato. Spera non sia la solita ansia che lo assale.

Si accorge che non è da solo nel letto. Cerca di ricordare, ma la mente non lo aiuta. Non ha voglia di pensare a nulla.

Come diceva Pasquale, suo caro amico del liceo ‘ogni tanto c’è bisogno dello sciopero della mente’.

Si gira dall’altra parte e riprova a dormire. Sembra che abbia dormito meno di un secondo, quando suona la sveglia.

Resta immobile, poi prova a muovere un braccio, non ha la forza di alzarsi.

Dalla tapparella rotta della sua camera, passa un filo di luce che gli trafigge gli occhi e ricorda l’inizio del nuovo giorno. È da anni che quella tapparella è rotta. Il numero di telefono di Peppino, il punto di riferimento di tutto il condominio per riparazioni varie è ancora su di un pezzo di carta da qualche parte dentro il cassetto del comodino.

Ci fosse stato suo padre, l’avrebbe già aggiustata. Il padre di Fabio era un tuttofare, uno di quegli uomini che non riescono a star fermi e soprattutto molto bravo nei lavori manuali. Il suo esatto contrario.

Sulla scrivania individua con occhio semiaperto una bottiglia di Rum mezza vuota e un rimasuglio di un filtro, assieme a vestiti vari buttati sulla sedia e sul pavimento. Inizia a ricordare qualcosa. Il mal di testa è forte. C’è bisogno di una colazione a base di Aulin e Redbull.

Guarda il letto. Dal lenzuolo esce un piede di donna. Riguarda a terra e si accorge che ci sono anche vestiti femminili. Solleva il lenzuolo e fa mente locale. La ragazza si gira e Fabio ricorda.

La sera prima è stato alla laurea in Scienze Politiche di Vincenzo Telese, centosettanta centimetri di altezza per centocinquanta centimetri di addome, suo caro amico, grande compagno di bevute negli anni universitari, uno di quelli che può bere per ore senza accorgersene. 

Il padre di Vincenzo è uno stimato ortopedico e consigliere comunale di un paese della provincia di Benevento. Lo aveva mandato a studiare a Napoli, pagandogli un intero appartamento in centro, presto trasformato in luogo di festa. Ieri la festa è cominciata dopo la laurea a casa di Vincenzo e poi terminata a casa sua con Giulia, la sua ex fidanzata. Originaria di Latina e fresca laureata in psicologia a Napoli. Un rapporto durato due anni e mezzo, comprese le pause.

Adesso è ritornata a vivere dai suoi genitori. Ha cominciato uno stage all’Università di Cassino.  In coppia capita che non ci sia equilibrio tra il dare e l’avere e tra loro era stato Fabio quello che aveva dato di più e ricevuto meno.

Giulia, negli ultimi tempi, aveva vissuto da lui, che la scarrozzava a tempo pieno a destra e a manca tra i laboratori e la facoltà, in cambio aveva avuto il più delle volte scenate isteriche per motivi assurdi.  Una volta a casa della mamma di Fabio si era chiusa in bagno a piangere perché aveva espresso un parere contrario al suo. Adesso è una psicologa a tutti gli effetti, mentre Fabio ha interrotto l’università d’ informatica e si mantiene lavorando due volte a settimana in un call center.

Si sono lasciati e nonostante tutto, continuano l’uno ad aver bisogno dell’altra. Un rapporto strano il loro, quasi malato per chi li osserva da fuori, ma non è così.

Entrambi, anche se coscienti di non essere fatti l’uno per l’altra, cercano di colmare il vuoto che hanno dentro, non recidendo del tutto un rapporto ormai defunto.

Per Fabio però i tempi di un cambiamento sono ormai maturi e si sta allontanando sempre più da lei. È distante e Giulia non sopportando che il suo Spartaco abbia rotto le catene della schiavitù, cerca qualsiasi scusa per non farlo scappare. Ieri gli ha scritto, dicendo di essere alla laurea di Vincenzo in Via Mezzo Cannone e di non sapere dove andare a dormire.

Fabio ha vinto le sue remore e l’ha invitata a stare da lui, poi sono finiti a letto assieme, incolpando l’alcol.

Si gira e guarda l’ora. Le 8:20. È tardi. Indossa un jeans e una maglietta. Il resto è già tutto in valigia. Si rivolge alla ragazza mezza addormentata:

“Cerca di uscire senza farti vedere da Ciro, non voglio ti veda qui. Basta che tiri la porta. Puoi anche non mettere a posto il letto”.

Quest’ultima frase poteva anche evitarla, visto che Giulia non ha mai messo in ordine nulla.

La ragazza bofonchia qualcosa e si gira dall’altro lato, scoprendo le sinuose forme del suo lato B, che lasciano indifferente Fabio, ormai assuefatto e non più succube come una volta della bellezza della giovane laziale. Corre in bagno, si sciacqua il viso e poi prova a bere un bicchiere di latte, ma non riesce.

‘Anche oggi la colazione salta’, pensa.

Prende la valigia, un trolley preparato con cura il giorno prima. Il treno per Padova, parte tra un’ora. Giulia urla dalla camera:

“In bocca al lupo e scrivimi quando arrivi”.

Fabio non risponde, non vuole rientrare nei meccanismi tipici di una coppia, al solo pensiero gli viene l’orticaria.

Spera di non incontrare Ciro, il suo coinquilino, un ingegnere pugliese, compagno di serate di poker texano, fidanzatissimo da dieci anni con la compaesana Marica e che ha sempre mal sopportato i continui tira e molla tra Fabio e Giulia.

Teme l’ennesima ramanzina sui rapporti sentimentali e su come deve star lontano da Giulia, che ritiene al pari di una mantide religiosa.

Ciro non è altro che un caro amico che gli vuole bene e per questo motivo talvolta troppo protettivo. Per fortuna non è a casa, sarà uscito prima di lui. Chiude la porta d’ingresso.

Il palazzo è il classico edificio del centro storico di Napoli, sei piani, appartamenti grandi, scalinate enormi e ampio androne. La maggior parte degli appartamenti sono stati dati in affitto a studenti, vista la vicinanza all’ Università.

Nessun proprietario ha voluto più investire e quindi col tempo l’immobile si è un po’ degradato.

Scende veloce le scale di pietra del palazzo e saluta Don Mario, il portinaio. Età indefinita, data dal suo perenne stare in movimento e dai suoi capelli, chiaramente tinti, color nero corvino. Grandissimo tifoso del Napoli. Ha l’abbonamento al San Paolo da tempo immemore. Per lui andare allo stadio è andare in curva con la frittata di maccheroni e una bottiglia di vino rosso e non riesce a comprendere chi va allo stadio solo per fumare le canne e fare a botte. Ricorda quasi tutte le formazioni e i goal delle partite del Napoli dal millenovecentottantasette in poi. È così bravo che Ciro e Fabio l’hanno iscritto a sua insaputa al programma di Gerry Scotti.

Mario lo vede scendere da lontano col trolley. Si ferma e lo guarda. Quando fa così, è perché vuole attaccare bottone. Infatti, lo blocca e gli fa:

“Fabio ma ‘sto Napoli che squadra ha preso quest’anno, mi sa che la FIGC ci ruberà ancora un altro scudetto”. Fabio accenna un sorriso misto a un saluto e prosegue.

È troppo anche per lui, sentir parlare di complotti anti-partenopei alle 8:50 del mattino. Napoli, quartiere Sanità. Quanti ricordi. Quanti pensieri. Passa accanto al palazzo dello stregone.

Siamo a luglio, il mix di caldo, smog e rumori di clacson, dopo i bagordi della sera prima rende la camminata insopportabile per Fabio, che tossisce e si divincola con il trolley tra scooter, moto, auto e pedoni.

Si ferma in Via Dei Miracoli e gli viene quasi da vomitare. Continua e passa davanti al Kikko bar, dove i soliti due clienti con giornale e sigaretta, seduti all’esterno su sedie di plastica bianche squadrano i passanti con occhi da bulli. Fabio gli passa accanto incurante e svolta per Via Foria.

Ecco la fermata della metro Museo. Una signora gli si piomba davanti ostruendogli il passaggio.

È ferma a chiacchierare al cellulare sulla scala mobile. I classici pensionati che non hanno una mazza da fare e si svegliano alle 8:00.

‘Sarà la stessa persona che era nella Skoda Fabia rossa e che andava a venti chilometri l’ora, bloccando tutto il traffico della Sanità’, pensa Fabio.

Prende la metro e arriva in stazione. Il treno parte alle 9:40, ci siamo quasi, come orario. Mentre cerca il binario del treno, è interrotto da una visione celestiale: Nicole De Martino. La ragazza più bella del liceo. Alta, mora, fisico da modella e occhi da indiana. Lo guarda e lo saluta: “Ciao Fabio, sei proprio tu? Non ti avevo riconosciuto con i capelli lunghi. Anch’io sono cambiata dal liceo, non noti qualcosa di diverso?” e Fabio:

“Eh sì, sei sbocciata come la primavera”. 

In realtà la battuta da sfigato la fa sorridere e dire:

“Anche tu te ne sei accorto, novemila euro a seno dal dottor Ferrari per una quarta abbondante”.

Poi gli dice che deve partire per Formentera con volo da Roma, ma non trova il treno per la capitale.

In stazione l’altoparlante annuncia qualcosa sul treno per Padova. Fabio la saluta e corre alle partenze per capire. Sudato e stanco arriva al binario, ma legge che il treno è in ritardo di venti minuti.

Decide di fare due passi. Lo stomaco è ancora sottosopra per mangiare. In un angolo della stazione c’è una mendicante con un tavolino.

Si avvicina e vede questa anziana che legge i tarocchi a soli dieci euro. Più la guarda e più non gli sembra una barbona, ha capelli grigi con sfumature viola ed è ben truccata. Una sorta di Elizabeth Taylor dei poveri. Ha lo sguardo basso, ma è come se lo stesse guardando e gli dice:

“Ne hai bisogno per oggi, lo so”.

Fabio è superstizioso e non si è mai fatto leggere le carte. Questo viaggio che deve fare lo preoccupa. Di colloqui ne ha fatti tanti in vita sua, ma questo può essere quello della svolta. Se dovesse andar bene, dopo anni di precariato avrebbe la possibilità di prendere una strada o come diceva sua nonna ‘ di mettere la testa a posto’. Non sa nemmeno lui perché ma d’ istinto le risponde:

“Ho quindici minuti di tempo, se non mi fai perdere il treno, leggimi pure le carte”.

La cartomante alza lo sguardo, nei suoi occhi c’è qualcosa di strano, di quasi non umano.

Lo fa accomodare su di una sedia di legno di fronte a lei. Le carte hanno il retro-color bordò, inizia a mischiarle in modo ipnotico e sempre più veloce.

“Se hai fretta con cinque euro ti faccio prendere solo una carta e sarà quella che indicherà il tuo futuro”.

Fabio annuisce.

Essendosi già pentito di aver accettato, allunga la mano destra per scegliere la carta, ma la cartomante gli fa segno di usare la sinistra.

Gliela indica. La donna guarda la carta, poi guarda Fabio e gli urla:

“Cosa devi fare? Dove devi andare?”, tenendogli con una forza il braccio che aveva scelto la carta. 

Fabio, sorpreso, con una risatina di stizza, la guarda attonito e le fa segno di lasciargli il braccio. Intanto la mendicante continua a urlare attirando l’attenzione di passanti e curiosi che si fermano davanti al suo banchetto.

Fabio guarda l’orologio e si accorge che gli restano solo cinque minuti prima che parta il treno. La cartomante si agita ed urla parole incomprensibili. Cadono tutte le carte a terra tranne una. Fabio inciampa nella sedia, poi si rialza, la guarda e dice:

“Oh, mi lasci il braccio, che mi fai male!”

Lei, come se fosse tornata in sé per un attimo, lo guarda con occhi penetranti e pungenti:

“Stupido illuso, non potrai mai sfuggire al potere delle carte” e lui:

“Ma di cosa stai parlando?”, lei lo guarda, sembra indemoniata, ha gli occhi neri striati di rosso. Raccoglie l’unica carta non caduta a terra e con voce calma e serafica sussurra:

“La carta che hai scelto, è la tredicesima carta degli arcani maggiori dei tarocchi”, la gira e c’è disegnato uno scheletro col cappuccio e la falce, ”è la carta della morte”.

Intanto arriva la polizia ferroviaria e prima che succedano altri casini e possa perdere il treno, Fabio spintona la signora e le lancia i cinque euro sul tavolino.

Ecco il fischio del treno, che dà il via libera alla partenza. Fabio corre e riesce a prenderlo. Poi guarda il biglietto: Eurostar Napoli–Padova, carrozza nove, posto 13, ‘Come il numero della carta dei tarocchi’.

Dopo aver posato la valigia sull’apposito portapacchi, si siede sulla classica poltroncina grigia. Gli è toccato lo spazio da quattro.

Di fronte a lui, una ragazza sulla trentina, ben vestita, sembra ispanica dai colori e seduto accanto a lei, un uomo sulla cinquantina intento a parlare al telefono.

Il posto accanto al suo è vuoto e così si sposta al numero quattordici, quello accanto al finestrino.

Il treno è ancora fermo. Guarda attraverso il vetro opaco e ripensa alla cartomante di poco prima:

‘Se fosse stata tutta una messa in scena della donna per derubarlo?’ pensa.

D’istinto controlla di avere ancora con sé portafogli, cellulare e le altre poche cose importanti con cui viaggia. Una volta appurato che tutto è al suo posto, decide di buttarsi alle spalle il bizzarro episodio e di concentrarsi sul viaggio.

Questo movimento in realtà gli ha messo appetito. Si alza e va a fare colazione al vagone bar.

Passando accanto alla ragazza, avverte un buonissimo profumo di lavanda. 

Il treno parte. Mentre gusta la sua colazione, osserva con occhi malinconici dal finestrino i grattacieli del centro direzionale di Napoli diventare sempre più piccoli, pian piano che il treno si allontana. Li osserva fino a quando il loro posto è preso da muri decorati con graffiti e scritte. Ripensa alla sera prima e a Giulia:

‘Possibile riesca sempre ad ottenere quello che vuole?’.

Si sente in colpa ed è anche incazzato con sé stesso perché non riesce mai a dirle di no. Rientra al posto quattordici e si accorge che l’uomo al telefono è più anziano di quello che sembra.

Si guarda intorno.

La carrozza è mezza vuota. Prende il libro che sta leggendo Omicidio sul ponte, un mattone di seicento pagine che legge da più di un mese e che spera di terminare quanto prima.

Ormai sente il dovere di finirlo. Lo guarda, lo apre e poi lo ripone in valigia. Lo sostituisce con un libretto di circa cinquanta pagine su come affrontare i colloqui di lavoro, comprato su di una bancarella a Portalba. Lo sfoglia e trova un paragrafo dedicato al colloquio per la posizione di commerciale.

Secondo il manuale, per fare bella figura ad un appuntamento di lavoro, bisogna arrivare all’incontro non più e non meno di cinque minuti prima. Bisogna essere eleganti e professionali. Sorridenti, ma non troppo. Colloquiali, ma non troppo e accondiscendenti, ma non troppo. Poi c’è un intero capitolo sulla stretta di mano con tanto di disegni e indicazioni, sembra sia più importante di un titolo di studio. La stretta di mano migliore è quella energica e decisa.

Fabio si chiede se queste cazzate davvero siano mai servite a qualcuno, oltre all’autore per vendere libri.

Controlla sul cellulare l’indirizzo di Padova dove è diretto: Via Testi sei. A Padova è andato solo una volta. Da piccolo con i nonni durante un pellegrinaggio al santuario di Sant’Antonio organizzato da Don Pietro.

Un prete di una parrocchia della sanità, ben voluto da tutti perché grande organizzatore di gite e sagre. Ci sono volute quasi dodici ore di autobus per arrivare a Padova con pause al bagno lunghe e frequenti, essendo l’età media dei pellegrini di settanta anni.

Durante il viaggio gli anziani si passavano apparecchi per la misurazione della pressione come fossero spinelli e giravano più pastiche di un droga party. Quando Don Pietro si avvicinava a Fabio, gli diceva sempre:

“Togli le mani dalle tasche!!”, accompagnando la frase con un pizzicotto sulle guance usando la stessa delicatezza di un fabbro che batte col martello sul ferro. Non si sa il perché di quella frase e di quel gesto, ma tutt’oggi quando Fabio mette le mani in tasca si sente in colpa.

In quell’occasione visitò Prato della Valle, il Santuario di Sant’Antonio e mangiarono alla Carabiniera, ristorante frequentato per lo più da pellegrini. Fabio ricorda di essere rimasto sconvolto dalla quantità di cibo che ingurgitarono i suoi compagni di viaggio: bigoli in salsa d’anatra, costine di maiale, contorni vari e dolci. Dopo il pasto piovvero sacchi di citrosodina come se non ci fosse un domani. 

Mette il cellulare in carica e prova a riposarsi anche lui, prima dell’arrivo previsto per ora di pranzo.

Prende le cuffiette e fa partire la playlist ‘canzoni da viaggio’.

Per canzoni da viaggio, Fabio ha preparato un elenco di brani per l’occasione tipo ‘Si, viaggiare’, ‘Born to be wild’, ‘California dreamin’ e ‘Compagni di viaggio’.

Cullato dal rumore del treno si rilassa. Forse ha dormito o forse no. Di fatto è svegliato alle porte di Roma Termini dal controllore che gli chiede il biglietto. Intontito e ancora in hangover, si guarda attorno e si ritrova con il viso del controllore a pochi centimetri dal suo. Quasi una distanza da bacio.

Gli mostra il biglietto accartocciato e poi osserva la ragazza che ha di fronte. Non perché sia bella, su questo non ci piove, ma per il suo modo di fare. È molto elegante ed emana un grande fascino. Prende dalla sua borsetta bianca, come il suo tailleur, un microcellulare e lo mostra al controllore.

A Roma entra un ragazzo sulla trentina e si siede nel posto accanto al suo, facendo segno di aver capito che il posto è invertito.

È alto e ha i capelli ricci. Un jeans con una maglietta verde e uno zaino da campeggiatore.

Fabio si accorge che il suo trolley occupa tutto lo spazio sul ripiano bagagli, quindi lo sposta, mettendolo in verticale e aiuta il nuovo arrivato a incastrare lo zaino.

Da esperto di Tetris riesce nell’arduo compito. Il ragazzo lo ringrazia con un sorriso e si presenta. Si chiama Claudio.

Fabio prende il cellulare e rilegge l’ultima mail scambiata col responsabile del personale della BestG. ‘Egregio Sig. Fabio Borrelli, siamo lieti di comunicarle che i precedenti colloqui effettuati via skype sono stati valutati positivamente e saremo felici di incontrarla di persona nella nostra sede di Padova per presentarla a uno dei soci maggioritari dell’azienda e offrirle un’eventuale e adeguata proposta lavorativa’.

Hanno detto di aver trovato il suo curriculum in ‘cercajob’ e di aver fretta di assumere una persona nel ruolo di commerciale. I primi due colloqui si sono svolti a distanza di un giorno l’uno dall’altro e ora il terzo in presenza a poco meno di una settimana dagli altri. Dalla mail sembrerebbe assunzione quasi certa, anche se Fabio non vuole crederci più di tanto per una questione di scaramanzia. L’azienda produce prodotti e strumenti per fitness.

L’appuntamento è alle 15.00 del pomeriggio. Ha prenotato un hotel in città, dove potrà cambiarsi e restare a dormire la notte. Intanto si riappisola.

Il treno entra nella stazione di Santa Maria Novella. Siamo a Firenze. La frenata del treno e la confusione lo svegliano. Fa un verso con la bocca e apre gli occhi. Claudio lo guarda e chiede:

“Fumi? Ti va la sigaretta del risveglio?”.

Fabio rinvigorito dal riposino, lo segue. Claudio gli racconta che vive a Padova da quattro anni. Città non grande, ma gli piace, tutto sommato. Lavora come infermiere all’ospedale San’Antonio e racconta che è stato molto difficile doversi assentare nel mese di luglio, ma ha dovuto farlo per motivi personali.

Fabio gli parla del colloquio e che spera di poter rimanere a Padova, ma questo non dipenderà da lui.

Si scambiano i numeri di telefono promettendosi una birra assieme e risalgono prima che il treno riparta.

Fabio capta per un istante strani sguardi tra la ragazza ispanica e Claudio. 

Riprende in mano il libro e dopo cinque minuti ripiomba in un sonno profondo. Claudio lo sveglia e lo avverte che sono arrivati a Padova Centrale. Gli dice:

”Ti sei fatto una grande dormita, beato te, dai che te li mangi oggi al colloquio” e Fabio:

”Ok grazie caro, in caso ci vediamo  a Padova, sempre che la BestG mi prenda.”

Claudio sorride e gli fa l’occhiolino.

La ragazza vestita di bianco non c’è più, sarà scesa a Bologna.

Fabio si sente rigenerato dalla gran dormita. Mentre il treno si svuota, guarda dal finestrino e vede che il treno è al binario numero 13. Come la carta dei tarocchi scelta in stazione a Napoli. Per un attimo si prende sul serio, poi sorride, prende il trolley e scende dal treno.

Capitolo due: Il colloquio

Piazzale della stazione, Padova. Pianura, caldo e cemento. Un grattacielo color celeste sovrasta i binari del treno e dà il benvenuto ai viaggiatori. Sarà perché è ora di pranzo, ma le strade sono deserte.

Due militari piantonano la stazione accanto a un cingolato: ragazzi poco più che ventenni con mimetiche e fucili ben impugnati, scrutano l’orizzonte come se fossero a Kabul.

Fabio deve capire come andare in hotel. Non vede taxi. Chiede a un passante che gli indica il tram e la fermata a cui scendere.

Arriva sotto la pensilina della fermata, dove trova riparo dal sole. Nell’attesa gli sembra di vedere la ragazza ispanica del treno attraversare la strada. Claudio invece è scomparso nel nulla. Sono sempre così le conoscenze in treno, chiacchiere da viaggio e poi non ci si vedrà più.

Adesso Fabio è concentrato sul colloquio. Ha poco più di un’ora di tempo per andare in hotel, lavarsi, cambiarsi e partire. Arriva il tram. Fa un cenno di saluto all’autista che non ricambia. Intanto legge le fermate, la sua è la penultima e quindi si mette comodo, seduto ad aspettare. Intanto si gode l’aria condizionata e guarda una signora che con un giornale in mano, commenta l’ultima rapina commessa in città e rivolgendosi a Fabio dice:

“Ai miei tempi non c’era tutta questa delinquenza, è colpa del governo e della droga”, Fabio annuisce assecondando il discorso dell’anziana e nella sua testa pensa ‘Sì, anche del rock and roll e dei capelloni’.

Passa per Prato della Valle. Piazza enorme, la seconda per grandezza dopo piazza Rossa a Mosca e poi s’intravede il santuario di Sant’Antonio. Il tram arriva alla fermata di Fabio, che saluta l’autista e scende. Ecco l’hotel. Avverte uno strano odore all’entrata, simile a quello di fiori appassiti. Sembra un albergo a ore e forse lo è: legno, moquette rossa e velluti ovunque. Lo stile è anni Ottanta. In sala ristorante si mangerà di sicuro qualcosa tipo penne panna e salmone con cocktail di gamberi e sottofondo musicale di Rick Astley. Alla reception, una signora dai capelli gialli, appoggiata al muro, si sventola con un ventaglio con sopra disegnate immagini colorate della Cappella degli Scrovegni. Solleva gli occhi verso Fabio come se avesse visto un alieno.

“Buongiorno, ho una prenotazione per una notte, eccola” le dice, mostrando la prenotazione stampata e la carta d’identità.

La signora dà un’occhiata veloce e poi con voce annoiata: “Camera quarantadue, secondo piano”, porgendogli la chiave e indicando le scale alla sua sinistra.

Arriva in camera. Anche qui moquette rossa e mobili in legno mogano. Per quello che ha speso, va benissimo. Accende il condizionatore cercando di trovare sollievo e recuperare energie prima del colloquio. Si butta sul letto. Gli restano ancora trenta minuti prima del colloquio. Va in doccia e poi si veste. Il vestito delle grandi occasioni: quello che ha messo al matrimonio del fratello. Stavolta ci crede davvero.

È convinto sia la svolta che aspettava da tempo. L’occasione per dare un taglio a tutti, anche a Giulia. Guarda il cellulare e nota che la ragazza non gli ha ancora scritto.

‘I soliti suoi giochetti’ pensa. Fa di tutto per avvicinarsi e poi scompare. Avrebbe funzionato col vecchio Fabio, che stava lì a elemosinare briciole di attenzioni e ad accontentarsi dei rimasugli di tempo che gli dedicava. È proprio questo suo modo di fare che ha logorato il rapporto.

Si guarda allo specchio e ripete:

“Allora, elegante, ma non troppo, profumato ma non troppo, colloquiale, ma non troppo, puntuale ma non troppo”.

È titubante sulla presentazione, fa qualche prova. “Salve mi chiamo Fabio”, poi “Buongiorno, sono Borrelli” e ancora “Piacere, Fabio Borrelli”, decide per quest’ultima e poi una bella stretta di mano vincente.

Ore 16:00 in punto.

L’indirizzo porta a un condominio di Padova a tre piani di color arancio scuro. Vede un vialetto d’ingresso e poi una porta in vetro, su cui è scritto con un adesivo bianco in grande BestG Srl. Una segretaria dai capelli ricci e neri lo fa accomodare, dicendogli che non c’è nessuno dei capi e che deve pazientare un attimo.

Arrivano le 16:15. Poi le 16:30. Fabio sfoglia una rivista specializzata che fa sognare viaggi esotici e mari trasparenti. Arriva qualcuno. Abito scuro e modi sicuri e veloci di chi ha esperienza e confidenza col lavoro.

La segretaria fa un cenno a Fabio, che si alza e si presenta: “Lieto di conoscerla, sono Borelli Fabio”, versione improvvisata di presentazione mai preparata.

L’uomo in abito scuro: Daniele Forzin, piacere e allargando le braccia dice di non essere a conoscenza di colloqui fissati per oggi alle 16:00 e salta anche la stretta di mano preparata con cura minuziosa.

Chiede alla segretaria, ma anche lei non ne sa nulla. Fabio sgrana gli occhi e inclina la testa. Spiega che ha già sostenuto due colloqui su skype e questo dovrebbe essere quello conclusivo. Forzin gli consiglia di aspettare il responsabile del personale che di sicuro saprà dare più risposte.

Fabio si risiede e pensa ‘e’ possibile che mi sia sbagliato’, ricontrolla luogo, data e ora dell’appuntamento. Rilegge gli scambi di mail e cerca di ricordare fisionomie e nomi delle persone con cui ha sostenuto i primi due colloqui. ‘Può essere uno scherzo? Perché a me e da parte di chi?’

Intanto si presenta un ometto tarchiato con una polo color arancio e delle sopracciglia folte. Ha un viso conosciuto. Ricorda un personaggio di un cartone animato sul golf degli anni Novanta, Lotti.

Si avvicina e chiede: “Sono Ferri, di cosa ha bisogno?“

Fabio mostra lo scambio di mail e aggiunge:

“Mi è stato fissato un terzo colloquio, dopo quelli sostenuti con la signora Volpato dell’amministrazione e lo psicologo, dott. Maniero”.

Ferri guarda il cellulare con la mail e dice:

“Impossibile questa mail non è nostra e poi da noi non lavora nessun Maniero e nessuna dottoressa Volpato, mi spiace ma c’è stato un equivoco”. Saluta e va a parlare con la segretaria. 

Fabio resta attonito, poi esce dall’ufficio, provando a balbettare qualcosa. Gli si gela il sangue, nonostante il caldo. Cammina frastornato. Controlla su Google, ma l’unica BestG esistente è questa di Padova. Prova a rispondere alla mail ricevuta, ma gli dà ‘Destinatario sconosciuto’.

I pensieri si affollano nella sua mente: chi erano le persone con cui ha sostenuto i colloqui su skype? È stato vittima di uno scherzo? Perché proprio lui? Vuole tornare a casa, non ha più senso restare lì. Cerca online il primo treno per Napoli, ma è tardi, non ci sono diretti, se ne parlerà domani. Cammina e si fa tutta Via Guizza fino al Bassanello. Da lì passeggia lungo l’argine del fiume Bacchiglione, affluente del Brenta. Passeggia tra i sassi, impolverando il suo vestito fortunato. La cosa lo lascia imperturbato.

Il sole pian piano comincia a calare. Alza lo sguardo ed è colpito dalla bellezza della Specola, l’osservatorio astronomico, dove Galileo aveva compiuto esperimenti di fisica. Per un attimo si rasserena, poi toglie la cravatta e la getta nel fiume al di là del ponte. Si sente uno stupido. Preso in giro come l’ultimo dei turisti stranieri truffato al gioco delle tre carte in stazione a Napoli. La rabbia pian piano si trasforma in delusione. Tutte le sue speranze risposte in un nuovo lavoro e in un cambiamento di vita sono svanite.

Poi la mente ritorna sempre lì.  ‘Chi può essere stato ad avercela così tanto con lui, da fargli uno scherzo del genere?’

Non gli viene in mente nessuno. Pensa addirittura a Giulia o a Ciro, ma non vede alcun movente.

Gli passa per la mente anche l’idea di andare dai carabinieri, ma a raccontare cosa? Non sa nemmeno se possa essere considerata una truffa, visto che non gli è stato estorto denaro.

Intanto continuando a camminare, si ritrova a Prato della Valle. Fa un salto al santuario di Sant’Antonio. Fabio non è molto religioso, ma nei momenti di difficoltà ha sempre trovato riparo e conforto nelle chiese e nei santi. Ne è passato di tempo da quando era lì con i nonni e con don Pietro. Anche se il ristorante La Carabiniera è sempre lì e sempre con lo stesso menu: bigoli in salsa di acciughe, costine di maiale con fagioli o patate di contorno.

Il giro continua in Via Roma per terminare in piazza delle erbe, dove decide di fermarsi in un bar per rifocillarsi.

È caldo e il bar è in un angolo della piazza, dove ci sono universitari che festeggiano una laurea. Una ragazza in mutande e reggiseno sporca di farina e pomodoro, cammina attorniata da amici e parenti che intonano cori e le obbligano a bere intrugli colorati. Sembra divertente. Arriva la cameriera e Fabio:

”Uno spritz all’Aperol e poi cosa posso mangiare?“, la cameriera di poche parole: “Tramezzini” al che Fabio vede un tramezzino al salame e radicchio su di un tavolo accanto e lo indica dicendo: ”Uno così” e la cameriera: “Cosi come?”, “Eh, salame e radicchio”.

Fabio ha la sensazione di essere osservato. Sente uno sguardo addosso, come qualcosa di malefico, ma non capisce cosa sia. Si gira e c’è uno shitzu che gioca con una pallina.  Si avvicina per accarezzarlo, ma gli ringhia e pensa ‘non è proprio il mio giorno’.

Intanto la cameriera porta il tramezzino e lo spritz. Tutto buonissimo. Il pensiero del finto colloquio gli passa di mente per un po’. Si quieta e pensa che potrebbe trascorrere qualche giorno di vacanza in questa bella città, poi si stiracchia ed alza gli occhi, scoprendo l’insegna del bar: “Il numero 13”.

Questo numero sembra perseguitarlo oggi e di sicuro l’incontro di stamani non gli ha portato fortuna.

Dopo aver pagato, saluta e sazio, decide di tornare in hotel. I ragazzi in piazza delle erbe continuano a festeggiare e a far bere la ragazza che è stata raggiunta da un’altra fresca laureata, anche lei in mutande e reggiseno e anche lei sporca di farina e pomodoro.

Squilla il cellulare. Fabio spera non sia Giulia. È sua mamma che chiede del colloquio. Aveva già chiamato due volte. Risponde: ”Sì, tutto bene, però c’era tanta gente e hanno detto che mi faranno sapere”.

Non ha avuto il coraggio di dirle la verità. Un discorso è non passare un colloquio perché scartato, un altro è farne due, prendere un treno per fare il terzo a settecentocinquanta chilometri di distanza per poi scoprire che era tutta una farsa. È troppo difficile ammetterlo a sé stesso, figuriamoci a raccontarlo in giro.

È sera e Fabio rientra in hotel. Dopo aver fatto la doccia, avvolto in un asciugamano, si sdraia sul letto e chiude gli occhi. Poi prende in mano il cellulare e scorre su e giù la rubrica del telefono. Trova il numero di Claudio, potrebbe chiamarlo per vedere se è libero, forse trascorrere la serata con qualcuno lo farà star meglio. Deciso. Compone il numero, ma non risponde. Gli scrive un messaggio ‘Ciao, sono Fabio ci siamo conosciuti oggi in treno, se sei libero, ci si può vedere stasera per andare a bere qualcosa’.

Claudio è in ospedale. È di turno al centodiciotto e di ritorno da un’uscita. Giornata pesante per lui: Incidente in tangenziale a Mestre: tre auto distrutte e cinque persone coinvolte.

Ha dovuto usare anche il cucchiaio e il pallone Ambu. Ragazzi giovani, poco più che ventenni. Un morto. Due in gravi condizioni. Un altro ha riportato una probabile frattura al coccige, l’ultimo per fortuna è illeso.

Chiacchiera con la sua collega, la dottoressa Rossi. Si cerca di parlare di altro, dopo queste disgrazie. Istinto di sopravvivenza.

Rientra nella piccola stanza del centodiciotto. Mura bianche e tre persone in quattro metri per tre. Ronaldo, autista siciliano, suo padre tifosissimo dell’Inter gli ha dato questo nome in onore del fenomeno. La dottoressa Rossi, medico che ama lavorare sul campo e Claudio, l’infermiere.

Prende il cellulare e legge il messaggio di Fabio su WhatsApp. Si allontana un attimo, scrive un paio di messaggi e poi manda un vocale: ‘Ciao Fabio, non pensavo di sentirti così presto, sono di turno al centodiciotto e finisco alle 20:00. Il tempo di cambiarmi e ci vediamo in Prato della Valle per le 20:30. Ho un impegno sul tardi, se vuoi, posso portare anche te, è un posto speciale, vediamo se te lo meriti’.

Fabio ascolta il messaggio e riscopre l’eccitazione di uscire e fare serata in un posto nuovo, dopo l’amarezza e la vergogna provata in giornata.

Post a Comment