LA CAPANNA NEL BOSCO di Alessandro Rossi

Jason non capiva perché non potesse andare nel bosco da solo.

Aveva otto anni ormai.

Ci era già andato un sacco di volte.

Sempre con sua madre, è vero, ma conosceva tutti i pericoli che si celavano nelle ombre fra gli alberi: la buca dietro l’ontano secco; il nido di calabroni nel muretto diroccato; il cespuglio di bacche rosse che facevano venire mal di pancia.

Sapeva riconoscere le ortiche, che, quando pungevano bruciavano come fuoco, e battere un bastone per terra per far fuggire i serpenti nascosti nell’erba.

In questa zona, poi, non c’erano orsi o lupi da molto tempo. Erano stati cacciati dagli allevatori perché uccidevano il bestiame.

Lui sapeva anche di doversi tenere lontano dai cuccioli degli altri animali, come le volpi o i cinghiali, per non spaventare le mamme che, se si fossero arrabbiate, sarebbero diventate molto pericolose.

A Jason piaceva molto andare nel bosco.

Gli piaceva raccogliere fragole e lamponi e cercare i funghi mimetizzati fra le foglie e i ramoscelli secchi. Sapeva di non doverli toccare, perché non li conosceva ancora bene ma, quando ne vedeva uno, lo diceva alla mamma, che li sapeva scegliere e raccogliere senza danneggiarli.

Nel bosco Jason aveva deciso di costruire una sua casetta: aveva notato un posticino che sembrava fatto apposta ai piedi di una grande quercia. Fra le sue radici si trovavano di grandi massi che sembravano delle pareti, addossati al tronco. Sarebbe bastato un tetto e la casetta era pronta.

Quindi lui conosceva molto bene il bosco, eppure la mamma non voleva che andasse senza di lei. Tutte le volte che lui le chiedeva di andare nel bosco, però, lei non aveva mai tempo.

Doveva fare sempre quei noiosissimi lavori di casa: lavare i panni, stenderli ad asciugare, pulire la cucina, pulire il bagno, stirare, rifare i letti.

A cosa serviva rifare i letti poi?

Tanto, per dormire, dovevi disfarli di nuovo.

Tanto valeva lasciarli sfatti.

Quando finiva era sempre troppo tardi, e si riducevano a fare una passeggiatina di un’ora.

Per non parlare della costruzione della capanna.

Gliene aveva parlato, ma lei non era d’accordo.

Aveva sempre una scusa.

Ci sarebbe sempre stato tempo un altro giorno.

In questo modo non avrebbe finito mai la sua capanna.

Doveva trovare una soluzione.

Dopo averci pensato su a lungo Jason aveva deciso che sarebbe andato nel bosco da solo per finire la capanna.

Avrebbe atteso un giorno che la mamma aveva tanto da fare in casa, in modo che non si accorgesse del fatto che si fosse allontanato, e avrebbe fatto finta di andare a giocare nel giardino sul retro.

Ormai sapeva come muoversi nel bosco e aveva cercato gli attrezzi che gli servivano per completare il tetto.

Il giorno scelto la mamma doveva finire di cucire un vestito per la sig.ra Ripley. La mamma sapeva cucire molto bene e faceva dei piccoli lavori di sartoria per le amiche, giusto per mettere da parte qualche soldo in più, ma di nascosto da papà, che non voleva che lavorasse.

Jason guardò in cucina, dove avevano da poco finito di consumare il pranzo.

La mamma aveva finito di rassettare e si stava mettendo a cucire.

“Mamma! Io vado a giocare in giardino!” disse.

“Va bene, ma non allontanarti!”

“Certo.”

Come no.

Prese lo zainetto che aveva preparato con la borraccia con acqua fresca, un paio di merendine, dei tovaglioli di carta che aveva preso in cucina la mattina e andò nel capanno degli attrezzi per recuperare quello che aveva messo da parte per costruire il tetto della capanna: corda, un paio di forbici, una paletta, un rastrello e un secchiello da giardinaggio – non erano il massimo ma erano abbastanza piccoli perché potesse trasportarli – e un seghetto.

Si diresse, quindi, verso il giardino dietro la casa.

Quello che lui chiamava giardino era, in realtà, un ampio spazio che serviva da aia per il pollame, con le stie per i conigli, un piccolo orto dalla parte opposta, qualche albero di frutta e un pozzo. Era molto grande e completamente recintato.

Jason si diresse nella zona coperta alla vista della casa dal capanno degli attrezzi.

Arrivato a pochi metri dallo steccato si girò a guardare che la mamma non lo vedesse e poi, con uno scatto improvviso, corse verso la recinzione, gettò lo zaino oltre la stessa e la scavalcò velocemente, raccolse lo zaino e, sempre correndo, raggiunse il limitare del bosco.

Appena entrato nella boscaglia si nascose nell’ombra e si voltò in ascolto.

Silenzio, nessuno lo aveva sentito.

Il sole caldo di giugno si sentiva meno in quell’ombra, sotto gli alberi fitti, ma l’aria era pesante, umida.

Anche il frinire delle cicale nei prati era attenuato, come se ci fosse una specie di muro ad attutire tutto.

Jason si guardò attorno, un po’ spaventato.

Non si era aspettato di avere paura, ma il bosco sembrava diverso: più buio; più ostile.

Ma lui non si poteva permettere di avere paura dopo tutto quello che aveva fatto per essere lì.

Si voltò e si diresse verso la quercia dove avrebbe costruito la propria capanna, voltandosi per guardarsi attorno ogni tanto, come se qualcuno o qualcosa lo seguisse.

Dopo qualche minuto, raggiunse la quercia ai cui piedi, nell’incavo fra le radici, stava un’area protetta da sassi tutto attorno.

Si trattava di due sassi alti circa un metro e mezzo, uno di fronte all’altro, che poggiavano sul tronco della quercia, incastrati fra le sue radici, circondati da altri sassi.

Jason raccolse i sassi che si trovavano a terra e ne fece un muretto di recinzione attorno alla capanna.

I due sassi più grandi e il tronco formavano un’area chiusa, al cui interno si trovavano altre pietre, che Jason addossò al tronco per liberare il pavimento.

A questo punto bastava stendere delle frasche sopra le due pietre più grandi e legarle per fare il tetto. A quel punto la capanna sarebbe stata pronta.

Jason si mise alla ricerca di frasche abbastanza lunghe da poter servire da tetto, che poi lui avrebbe aggiustato col seghetto e legato insieme con la corda.

Dopo una mezz’oretta circa aveva raccolto abbastanza legna, adesso doveva prendere la misura. Provò vari rami, fino a quando trovò quello giusto.

A quel punto iniziò a tagliare gli altri della stessa lunghezza.

All’inizio fu difficile: non aveva mai usato il seghetto.

Si graffiò anche ad una coscia ed ebbe paura di dover tornare a casa.

Fu colto dal terrore per quello che sarebbe successo se la mamma avesse scoperto la sua fuga, ma riuscì a fermare il sangue usando un paio di tovaglioli.

Dopo essersi assicurato che la perdita di sangue era cessata, nascose i tovaglioli sporchi fra i sassi dentro la capanna. Era meglio non portarli a casa; chissà cosa sarebbe successo se mamma o papà li avessero trovati: non lo avrebbero più fatto uscire di casa per tutta l’estate.

Si rimise all’opera per finire il tetto e, dopo due ore circa ed una sosta per fare merenda, aveva finito.

Era raggiante.

La capanna era bellissima.

Aveva messo foglie ed erba sui rami per fare ombra e, adesso, sembrava un tetto vero.

Rimase a guardarla felice.

Improvvisamente si riscosse.

Sentiva delle voci che chiamavano il suo nome in lontananza.

Oh no!

Aveva fatto tardi, sua mamma si era accorta che non era in giardino e si era preoccupata, adesso lo stava cercando.

Si sarebbe arrabbiata tantissimo.

Doveva tornare subito.

Raccolse le cose che aveva portato con sé, le rimise nello zaino e si diresse verso casa correndo.

Appena arrivato al limitare dal bosco vide la mamma che lo chiamava a gran voce.

Insieme a sua madre c’era anche la signora Welder, la loro vicina di casa.

Quando le due donne lo videro gli corsero entrambe incontro.

La mamma piangeva ed era agitatissima.

Lo abbracciò e lo strinse a sé.

Jason non comprendeva tutta questa agitazione: era solo andato nel bosco dietro casa.

Lo fece presente alla mamma, ma lei lo sgridò duramente e gli vietò di uscire di casa per tutta la settimana successiva.

Lui si risentì molto.

“Perchè non posso andare nel bosco da solo?” chiese “lo conosco bene, e non è distante da casa.”

La mamma guardò la sig.ra Welder con aria interrogativa.

Lei ricambiò lo sguardo, ma il suo era deciso, poi si avvicinò a Jason, gli prese le mani fra le sue e lo fissò negli occhi:

“Jason, ci sono cose nel bosco, che tu non conosci. – gli disse con voce dolce – Sono cose pericolose, che ancora non hai imparato ad evitare. Per questo ci deve essere sempre un adulto con te. Quando sarai più grande ti verrà spiegato tutto. Per adesso fidati, la mamma ti dice certe cose per il tuo bene. Fa come dice lei.”

La sig.ra Welder era molto considerata nella comunità. Molti fra i componenti, compresa la mamma, si rivolgevano a lei quando avevano bisogno di consigli o di una cura per le malattie.

Certe volte capitava che lei stessa mandasse le persone dal dottor Thornton, ma gli abitanti della comunità si rivolgevano sempre prima a lei, e sempre da lei tornavano poi, per raccontargli cosa avesse detto il medico e chiedere rassicurazioni sulla correttezza delle cure prescritte.

La loro era una piccola comunità che viveva fuori dalla città, dove tutti sapevano tutto di tutti e che si autoregolamentava.

Le decisioni venivano prese dagli anziani e tutti aiutavano e condividevano quello che avevano.

Forse era il caso di seguire i consigli della sig.ra Welder: del resto faceva parte del consiglio degli anziani.

“Va bene – disse Jason – ma non dite niente a papà. Altrimenti mi picchierà con la cinghia.”

La mamma e la sig.ra Welder si guardarono.

“Per questa volta va bene – disse la mamma dopo un cenno di assenso della sig.ra Welder – ma non farlo mai più.”

Una settimana passò abbastanza in fretta e, fatto trascorrere ancora qualche giorno per essere sicuro di non far arrabbiare di nuovo sua mamma, una mattina Jason le chiese se, quello stesso pomeriggio, potevano andare nel bosco a vedere la sua capanna.

La mamma stava stendendo i panni nel giardino e, dopo aver fissato un lenzuolo con due pinze alla corda, si avvicinò a Jason e si chinò per guardarlo negli occhi.

“Tu mi prometti di stare sempre vicino a me e di non allontanarti?” gli chiese.

“Certo mamma. Lo faccio sempre.”

Poi si ricordò della fuga e arrossì: “Beh, quasi sempre…” disse Jason.

“Si, ma se ti dico che dobbiamo tornare dovrai fare quello che ti dico. Subito. Senza fare storie.” disse nuovamente lei, decisa.

“Ma mamma, non è mica la prima volta che andiamo nel bosco…” cercò di protestare lui.

“Jason – lo interruppe bruscamente lei – devi promettermi quello che ti chiedo, altrimenti non andremo.”

“Va bene mamma.” disse Jason “E’ solo che non capisco perché tu sia così preoccupata. Si tratta solo di una passeggiata come le altre che abbiamo fatto assieme.”

“Vedremo – disse lei – e vedremo anche come ti comporterai tu.”

Nel pomeriggio, quando l’aria si fece più fresca e la mamma ebbe terminato le faccende di casa, misero nello zaino il necessario per fare merenda e si diressero verso il bosco.

Entrando nella macchia Jason ebbe un attimo di timore.

Ricordò le brutte sensazioni che lo avevano accompagnato il giorno in cui era entrato nel bosco da solo.

Ma nulla di quello che aveva provato allora si ripresentò: evidentemente la presenza della mamma lo tranquillizzava.

Camminarono guardandosi attorno e raccogliendo fragole, lamponi e more.

Niente funghi, era piovuto poco nelle settimane precedenti.

La mamma sembrava preoccupata, come se temesse che qualcuno li seguisse, e si guardava continuamente attorno.

Finalmente raggiunsero la quercia e Jason vide che la sua capanna era lì, come l’aveva lasciata.

Si mise a ridere e saltare per la gioia, e iniziò a descrivere alla mamma quello che aveva fatto e come aveva risolto i vari problemi.

La mamma si complimentò con lui, che sprizzava felicità da tutti i pori.

Era stato bravo.

“Entriamo?” chiese la mamma.

Improvvisamente Jason si ricordò dei tovaglioli sporchi di sangue.

Se la mamma li avesse trovati si sarebbe beccato un’altra punizione.

“Un attimo – disse allora – entro prima io ad apparecchiare. Questa è casa mia.”

La mamma sorrise e lui si infilò nella capanna.

Aspettò qualche secondo per abituarsi all’ombra e si guardò attorno.

Tutto era come lo aveva lasciato, non c’erano escrementi di animali o altro.

Cercò i fazzoletti, ma non ne trovò traccia.

Al loro posto una piccola macchinina rossa: bellissima.

Si distrasse qualche secondo a guardarla, ma poi realizzò che non poteva perdere tempo o la mamma si sarebbe accorta che qualcosa non andava.

Allora mise la macchinina nello zaino e, estratto il necessario per apparecchiare, iniziò a disporre gli oggetti.

“È pronto!” disse poco dopo e uscì a prendere sua madre per mano, accompagnandola all’interno.

Lei chinò la testa ed entrò.

Si sedettero uno di fronte all’altra, appoggiati ai due sassi che fungevano da pareti.

Erano due sassi alti, levigati e freschi, di un colore grigio scuro.

Fecero merenda con pane, marmellata e succo di limoni poi, quando venne il momento di sparecchiare, Jason disse “Aspettami fuori, sparecchio io, questa e casa mia.”

Sua mamma sorrise di nuovo e uscì.

Jason aveva rimuginato molto sulla macchinina, ed era giunto alla conclusione che si trattava di uno scambio.

Doveva verificare se fosse effettivamente così.

Prese un pezzo di pane e marmellata che aveva messo da parte, e lo infilò fra le rocce, nel medesimo foro dove la settimana prima aveva nascosto i tovaglioli macchiati di sangue.

Poi raccolse tutto e uscì.

La mamma lo aspettava fuori, seduta su un sasso e si guardava attorno.

Sembrava molto più rilassata di quando erano entrati nel bosco.

Lui la prese per mano e si diressero verso casa.

A casa Jason svuotò lo zaino della merenda e si mise velocemente la macchinina in tasca, senza farla vedere a sua mamma.

Lui non aveva macchinine.

Nella sua comunità non si usavano quegli attrezzi moderni per muoversi e, quindi, nemmeno i giochi che li rappresentavano erano permessi.

C’erano dei macchinari che servivano per coltivare il terreno comune, un paio di camion che venivano usati per trasportare le cose in città e due auto della comunità che servivano per le emergenze.

Ma erano mezzi vecchissimi, che facevano ridere tutti in città quando li vedevano.

Erano ammaccati e arrugginiti.

Non come le macchine che giravano in città, scintillanti nei loro colori sgargianti; lisce; silenziose.

Lui, quindi, non aveva mai avuto macchinine.

Aveva qualche animaletto di legno, alcune trottole, un paio di bambole, ma nessuna macchinina.

Jason andò in camera sua si tolse la macchinina dalla tasca.

Era davvero bellissima: non riusciva a staccare il proprio sguardo da lei.

Doveva nasconderla: se l’avessero trovata i suoi genitori non avrebbe saputo come spiegare il fatto di averla, e avrebbe rischiato di non poter più andare alla capanna.

Si infilò sotto il letto e recuperò una scatola che teneva incastrata fra la testiera e la parete. Dentro c’erano alcune cose che aveva preso in città, durante le ore di frequentazione della scuola pubblica: qualche figurina; una piccola torcia portachiavi che, oramai, non funzionava più; un fumetto dei supereroi. Gliele avevano date altri ragazzi, schernendolo.

Mise la macchinina insieme ai suoi altri tesori e nascose la scatola.

Quella notte faticò a prendere sonno e, la mattina dopo, si alzò di buon ora con un’idea fissa in testa: doveva tornare alla capanna e vedere se c’era un altro regalo per lui.

Appena sveglio si infilò sotto il letto per controllare se la macchinina era ancora al suo posto.

Prese la scatola da dietro alla testiera, la aprì e la vide.

Era ancora lì, bellissima e coloratissima.

La girò un poco fra le mani, poi la rimise nella scatola a nascose nuovamente la scatola al solito posto.

Andò in bagno e poi si diresse in cucina, dove la mamma aveva già preparato la colazione.

Si sedette e cercò di far finta di nulla, ma non vi riuscì più di tanto.

Mentre mangiava il pane inzuppato nel latte, chiese alla mamma, che stava preparando il pranzo, se quel pomeriggio sarebbero potuti nuovamente andare a fare merenda alla capanna:

La mamma sembrò pensare per un po’ e poi rispose che sarebbero andati, a patto che lui la aiutasse con le faccende di casa.

Jason rimise in ordine la propria stanza e, nel pomeriggio, dopo aver preso il necessario per la merenda, si diressero verso il bosco.

Come il giorno precedente Jason disse che sarebbe entrato per primo a preparare la capanna per la merenda.

Appena entrato cercò subito, nel luogo in cui aveva nascosto la fetta di pane,  se vi fosse una nuova macchinina, ma non trovò nulla, neppure il pane.

Rimase molto deluso, ma si sbrigò a preparare il necessario per la merenda, o la mamma avrebbe sospettato qualcosa.

Per tutto il tempo della merenda cercò di fare finta di nulla, ma non riusciva a smettere di pensare a quanto era accaduto.

Giunse alla conclusione che doveva ripetere tutte le cose esattamente come la prima volta.

Finita la merenda pregò la mamma di aspettarlo fuori e, mentre raccoglieva le cose che avevano usato per la merenda, prese il coltello che avevano usato per spalmare la marmellata e, con la sua punta si bucò un dito, quindi usò un tovagliolo per asciugare il sangue che uscì dalla piccola ferita.

Piegò il tovagliolo sporco di sangue e lo nascose nel foro dove aveva trovato la macchinina.

A quel punto si mise a raccogliere tutto quello che avevano portato per la merenda, prima che la mamma si insospettisse.

Finì di mettere le cose nello zaino, se lo mise in spalla e uscì dalla Capanna.

La mamma lo stava aspettando seduta sul solito sasso e, quando vide che si succhiava il dito sanguinante, gli chiese cosa fosse successo.

“Niente – disse Jason – mi sono graffiato.”

“Fai vedere – disse la mamma, e gli prese la mano guardando il dito – non è nulla, quando arriviamo a casa lo laviamo per bene.”

Il giorno dopo Jason chiese di nuovo alla mamma di tornare a fare merenda nella capanna e, nuovamente, Jason entrò per primo, da solo, nella capanna.

Si diresse velocemente verso il punto ove aveva nascosto il tovagliolo imbrattato di sangue e, al suo posto, trovò una macchinina blu, bellissima.

Era felicissimo.

La nascose, apparecchiò e fece entrare la mamma.

La merenda andò benissimo, lui era allegro e scherzava: risero un sacco.

Poi giunse il momento di andare a casa e Jason, come nei giorni precedenti, fece uscire la mamma e si accinse a raccogliere gli oggetti da terra.

Prima, però, togliendosi la crosta dalla ferita del giorno prima, fece gocciolare del sangue su un nuovo tovagliolo e lo mise nel solito posto.

Poi uscì dalla capanna e, insieme alla mamma, si diresse verso casa.

Nei giorni successivi andarono più volte a fare merenda nella capanna e le cose si svolgevano sempre allo stesso modo: Jason entrava, raccoglieva il dono che trovava al posto del tovagliolo e sostituiva il tovagliolo con un altro imbrattato con qualche goccia di sangue.

Ogni volta Jason trovava qualche gioco bellissimo: macchinine, motociclette, soldatini, aeroplani.

Era curioso di capire come funzionasse lo scambio.

Decise che doveva fare degli esperimenti.

Ma aveva bisogno di passare più tempo da solo nella capanna.

Doveva andare quando nessuno lo vedeva e cercare di capire come avveniva lo scambio.

Una sera, dopo che tutti si furono addormentati, uscì dalla finestra, portando con sé un tovagliolo sporco di sangue.

Si mosse nel buio per un po’, cercando di non fare rumore per non farsi sentire. Poi, scavalcata la staccionata, accese una torcia elettrica che aveva portato con se e si diresse verso la capanna.

La foresta, di notte, era inquietante.

Le ombre e i rumori gli davano i brividi, ma la voglia di giocattoli era più grande.

Proseguì e, giunto sul posto, prese la macchinina che era al posto del tovagliolo lasciato quel pomeriggio e lasciò al suo posto il tovagliolo con molto più sangue che aveva preparato a casa.

Quindi tornò precipitosamente a casa, non solo per paura della punizione che gli sarebbe spettata se avessero scoperto cosa aveva fatto, ma anche per via della sensazione poco piacevole che il bosco gli dava.

Ricordava ancora le parole della sig.ra Welder e queste lo resero ancor meno tranquillo.

Raggiunse in silenzio la finestra che aveva lasciata aperta e si rimise nel letto.

Il cuore gli batteva forte: era emozionato per l’impresa compiuta.

Peccato che non avrebbe potuto raccontarla a nessuno.

Lui non aveva amici e non poteva certamente dirlo a papà e mamma.

Il mattino dopo era molto stanco.

Quella notte aveva faticato a riprendere sonno, agitato come era.

Doveva verificare cosa fosse successo alla capanna, ma doveva andare da solo; quindi, disse alla mamma che era stanco e che non aveva voglia di uscire. 

La mamma gli misurò la febbre, gli accarezzò la fronte e decise che doveva riposare.

Jason si mise a letto e uscì dalla sua stanza solo per fare cena.

Attese in silenzio che tutti andassero a dormire e, quando fu sicuro che nessuno lo potesse sentire, uscì nuovamente dalla finestra e si diresse verso la capanna.

Quella sera il bosco gli faceva meno paura, cominciava a riconoscere le ombre e i rumori.

Giunto alla Capanna corse dentro per vedere cosa era stato lasciato al posto del tovagliolo che aveva portato la sera prima, e vi trovò un Tamagotchi.

Ne aveva sempre voluto uno.

Lo guardò imbambolato alla luce della torcia e, quando si riprese, mise al posto del regalo un nuovo tovagliolo e si diresse verso casa.

Ormai non andava più alla capanna di pomeriggio, stava a casa a leggere o giocare di nascosto con il suo Tamagotchi o con le macchinine.

La sera usciva di casa senza che nessuno se ne accorgesse, andava alla capanna e portava con sé sempre nuovi tovaglioli. La sera dopo quella in cui aveva portato un tovagliolo nel quale aveva raccolto sangue per tre giorni, al suo posto trovò un videogioco portatile.

Rimase a fissarlo a bocca aperta, provò a giocare.

Non lasciò un nuovo tovagliolo, ma decise che avrebbe riportato indietro a casa quello che aveva con sé in modo da raccogliere altro sangue nei giorni seguenti.

Dallo scambio con quel tovagliolo ottenne un coltellino multiuso.

Capì, allora, che più sangue voleva dire regali più belli.

Doveva trovare una soluzione per raccogliere più sangue in meno tempo senza che se ne accorgessero i suoi genitori.

Un paio di giorni dopo la mamma si tagliò ad un dito mentre affettava il pane.

Sanguinò copiosamente e usò più fogli di carta assorbente per tamponare la ferita.

Jason prese, di nascosto, i tovaglioli che la mamma aveva usato per la ferita e li portò con sé nella sua spedizione notturna alla capanna.

Li mise al posto del nuovo dono: una fionda.

La notte successiva non vedeva l’ora di vedere cosa avrebbe trovato al posto di tutti quei tovaglioli.

Di nuovo attese che tutti dormissero e si diresse verso il bosco.

Al posto del tovagliolo trovò un anello in oro con un rubino incastonato.

Si ricordò che la mamma aveva più volte detto che le sarebbe piaciuto avere un anello del genere mentre parlava con le sue amiche.

I tovaglioli che lui aveva lasciato la sera prima non avevano il suo sangue, ma quello di sua madre.

Allora capì che i regali erano la realizzazione dei desideri.

Le dimensioni ridotte del buco non permettevano, però, di realizzare tutti i desideri.

Lasciò, quindi, a terra il tovagliolo che aveva portato con sé quella sera, per vedere se il giorno dopo avrebbe trovato qualcosa di maggiori dimensioni.

Il giorno dopo tornò, ma il tovagliolo era ancora lì dove lo aveva lasciato la sera prima.

Allora prese il coltellino multiuso, che ormai portava sempre con sé e si fece un piccolo taglio sul dito. Alcune gocce di sangue caddero al suolo.

Lui prese subito il tovagliolo, lo usò per asciugarsi il sangue il sangue che colava dal dito, quindi lo mise al solito posto.

Quando si voltò, però, al posto delle gocce di sangue appena cadute, si trovava un bellissimo libro.

Allora fece cadere altre gocce di sangue e apparve un cellulare.

Jason tornò a casa a nascose il cellulare: i suoi glielo avrebbero sicuramente confiscato se lo avessero trovato. I cellulari erano banditi da casa sua e dalla sua comunità. E poi non c’erano ripetitori cellulari nella zona della sua comunità.

Lui i cellulari li aveva visti solo a scuola, dai bambini della città.

Però, anche se non poteva usarlo, adesso ne aveva uno anche lui.

Fra qualche settimana sarebbe ricominciata la scuola e avrebbe chiesto a qualcuno dei suoi compagni di insegnargli ad usarlo.

La mattina dopo sentì uno strano ronzio provenire da sotto il letto.

Non capiva di cosa si trattasse,

Si infilò sotto il letto, seguendo il rumore. Proveniva dalla scatola dove nascondeva i doni della capanna.

La prese e la aprì.

Il cellulare lampeggiava e aveva una scritta sullo schermo.

Jason ne fu stupito: come faceva a funzionare?

Lesse il messaggio:

“Ciao Jason, ti sono piaciuti i miei regali?”

Rimase, spaventato, a chiedersi di chi si trattasse. Come faceva a sapere il suo nome?

“Chi sei?” scrisse, preoccupato, sulla tastiera del telefono.

“Puoi chiamarmi Ben. Sono lo spirito che vive nella quercia sulla quale hai costruito la tua capanna.”

Uno spirito della foresta.

Gli spiriti degli alberi non erano malvagi, lo aveva sentito dire dagli anziani.

Bene, era più tranquillo adesso.

“Forte!”

“Ci sono delle domande che vuoi farmi?”

“Certo. Volevo chiederti se il trucco funziona solo col sangue.”

“Si. Ma non è un trucco. Si tratta di uno scambio. Per me il sangue degli esseri umani ha un grande valore.”

“Ma in questo modo uno, per avere quello che vuole, finisce per farsi male.”

“In che senso?” rispose Ben “È solo un po’ di sangue.”.

“Si, ma se uno volesse una cosa veramente grande dovrebbe rinunciare a tanto sangue, e morirebbe.” chiese Jason.

Ci fu una pausa “Si tratta della regola. A me il sangue serve per esaudire i desideri. Ma nessuno può morire. Ci va solo più tempo per riprendersi. Anche questa è una regola.”

Jason si sentì rasserenato, gli sembrava di fare qualcosa di brutto ad usare il sangue, ma sapere che nessuno poteva farsi male lo fece stare meglio.

Continuò a parlare ancora un po’ con Ben, poi nascose il cellulare e scese a fare colazione.

Scambiandosi messaggi con Ben, lo spirito lo aveva invitato a provare per verificare che nessuno poteva farsi veramente male.

Quella sera aveva deciso di provare.

Si allontanò nuovamente di nascosto da casa e si diresse verso la capanna.

Adesso che sapeva di avere per amico uno spirito degli alberi non aveva più paura del bosco.

Arrivato alla capanna si sedette in terra e si era tagliò ad un polso con il coltellino multiuso.

Perse moltissimo sangue e svenne quasi subito ma, quando si riprese, la ferita al polso non c’era più e a terra c’era solo una macchia lasciata dal suo sangue.

Era una macchia grossa, doveva aver perso molto sangue, ma era ancora vivo e non aveva alcuna traccia della ferita.

Il sangue venne assorbito lentamente dal terreno e, sempre dal terreno sorse una bellissima bicicletta.

Sembrava spuntare fuori dalla terra, che si richiudeva sotto di lei.

Dopo aver girato attentamente attorno alla bicicletta incredulo, si riprese e guardò fuori dalla capanna per capire quanto tempo fosse passato: non poteva permettersi di farsi scoprire dai suoi adesso che aveva capito come funzionava lo scambio.

Nascose la bicicletta, che non poteva portare a casa perché, oltre a non poterla tenere, non avrebbe saputo neppure come spiegare la sua provenienza, nel bosco nei pressi della capanna e tornò a casa di corsa sperando che nessuno si fosse ancora svegliato.

Appena rientrato guardò l’orologio: non era passata neppure un’ora da quando era uscito.

Nessuno in casa si era accorto di nulla.

Ben non aveva mentito: nessuno moriva.

Mancavano pochi giorni all’inizio della scuola. Jason aveva pensato più volte che, durante il periodo scolastico, non avrebbe potuto andare tutte le sere alla capanna: al mattino doveva svegliarsi presto.

Con l’arrivo dell’inverno e del brutto tempo, inoltre, avrebbe dovuto sospendere le sue visite notturne nel bosco.

Questa cosa lo intristiva un po’.

Una sera, mentre era nel proprio letto, sentì i propri genitori discutere.

“Ma si tratta solo di una lavatrice!” diceva sua mamma “mica ho chiesto un computer o un televisore.”

“E ci mancherebbe!” rispose suo padre “Vorrei anche vedere che mi chiedessi di far entrare in casa nostra quegli strumenti del demonio.”

“Appunto! Ti sto chiedendo solo una lavatrice! Sai dei miei problemi alle mani. Lavare i panni nell’acqua fredda mi fa soffrire terribilmente. Quando finisco passa un sacco di tempo prima che riesca a muovere di nuovo normalmente le dita. Non riesco nemmeno a cucire.”

“Ognuno deve soffrire le pene che nostro signore gli ha concesso per espiare i propri peccati!” rispose la voce di suo padre.

“Peccati? Quali Peccati? Quello di aver sposato te?”

Il rumore dello schiaffo fu inconfondibile.

“Non osare mai più donna! Ricordati Qual è il tuo posto!”

Jason udì i singhiozzi soffocati di sua madre.

Si rannicchiò sotto le coperte sperando che fosse tutto finito.

La mattina dopo, quando si alzò e andò in cucina per la colazione, vide un grosso livido sulla faccia di sua madre.

“Cosa ti è successo? – chiese lui, con la faccia smarrita.

“Sono scivolata sul tappeto del bagno ed ho sbattuto contro la porta.” rispose lei.

Lui la fissò negli occhi, poi distolse lo sguardo.

Lei continuò a preparare il pranzo.

Quella mattina Jason decise che avrebbe dato lui a sua madre quello che non voleva darle suo padre.

Si scambiò qualche messaggio con Ben e decise cosa fare.

A pranzo chiese a sua mamma se volesse andare di nuovo con lui a fare merenda nella capanna.

Lei ne fu felice e lo abbracciò.

Di nuovo prepararono lo zaino e si incamminarono verso il bosco.

Appena arrivati nella capanna, Jason le disse di entrare insieme a lui: avrebbe preparato mentre lei era dentro.

Sua mamma si sedette da una parte e Jason cominciò a tirare fuori le cose dallo zaino.

Ad un certo punto passò dietro sua madre, la abbracciò e la baciò sulla guancia.

Lei sorrise, lo carezzò sui capelli e, solo allora, percepì qualcosa di freddo sulla gola, che seguiva la mano di Jason, da sinistra a destra.

Sentì un dolore fortissimo e vide uno schizzo rosso inondare la tovaglia stesa a terra.

Si voltò e, senza capire cosa stesse accadendo. guardò Jason che, con un coltello in mano, le diceva: “Non preoccuparti mamma, adesso avrai la tua lavatrice e poi starai bene come prima.” poi non vide più nulla.

Scivolò lentamente a terra, mentre il sangue continuava ad uscire imbrattando tutto e inzuppando il terreno attorno al corpo.

Jason guardava sua mamma aspettando che accadesse qualcosa.

Improvvisamente la terra iniziò ad assorbire tutto il sangue e, quando non ve ne fu più nemmeno una goccia, dalla terra stessa emerse una figura enorme, rosso scura, con una pelle che pareva la corteccia di un albero e le corna di un cervo.

Ciao Jason, io sono Ben.

Jason sgranò gli occhi, poi sorrise, tirando un sospiro di sollievo: “Ciao Ben. Credevo fossi diverso. Ho fatto come mi hai detto. Adesso mi darai la lavatrice per mia mamma?”

“Non credo Jason.”

“Ma come? Lo avevi promesso!”

“Si, ma io sono un bugiardo.”

“Ma cosa dirò a mia mamma quando si sveglierà?”

“Tua mamma non si sveglierà più Jason. Ma grazie per aver svegliato me.”
Jason rimase a fissarlo a bocca aperta, il suo cuore batteva all’impazzata e gli mancava l’aria.

“Adesso ho fame.” disse Ben sorridendo.

Il poliziotto che stava interrogando la sig.ra Welder chiese: “In che senso forze antiche e oscure.”

“Vede agente – disse lei – questa foresta esiste da secoli e, per secoli la gente del luogo ha creduto che fosse abitata da uno spirito, di nome Bendadel, al quale faceva sacrifici umani per tenerlo tranquillo.”

“Secoli fa però.” disse lui

“Si. Ma le vecchie leggende nascondono sempre un fondo di verità. Altrimenti come spiega che non ci fosse sangue nella capanna. Eppure, la donna era stata sgozzata e il bambino era senza testa. Che non è stata ritrovata.”

“Forse sono stati uccisi altrove, non crede. A questo proposito lei ha mai sentito il signor Truman litigare con la moglie?”

“Sì ma cose normali, fra marito e moglie.”

“E lo ha mai visto o sentito colpire la moglie o il figlio.”

“No. Cioè sì. Ma sciocchezze. Qualche schiaffo, niente di più.”

“Solo al bambino o anche alla moglie?”

“Era un uomo, che diamine! Faceva quello che era necessario per mantenere ordine in casa!”

“Bene, per adesso basta così. Se avremo ancora bisogno la cercheremo noi. Grazie del suo tempo signora Welder.” disse il detective Karl dirigendosi verso l’auto capo Thorne.

“Allora?” chiese Thorne, un uomo grasso in divisa che stava appoggiato ad un’auto di servizio.

“Aveva ragione signore. Picchiava la moglie e il figlio. E pare che in quella comunità sia la norma.”

“Si. Vivono nel medioevo. Perquisiamo tutta la casa e i terreni circostanti. Vedrai che troveremo anche la testa. L’avrà nascosta perché aveva delle ferite che lo avrebbero smascherato. Li avrà uccisi in casa e, dopo averli portati nel bosco, avrà pulito tutto, sperando che gli animali facessero il suo gioco.”

“Si, ma allora perché ha dato l’allarme?”

“Probabilmente non immaginava che la vicina conoscesse la capanna. Si è fregato con le sue mani. Vediamo di chiudere questo caso in fretta.”

I due si girarono a guardare la casa, sulla quale si riflettevano i lampeggianti, mentre le radio gracchiavano nel silenzio della notte.

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