SERENATA MOONLIGHT SHADOW di Luisa Frosali

Vado a lavorare perché, come tutti i lobotomizzati di questo pianeta, sono costretto a guadagnarmi da vivere. Evidentemente faccio sempre più fatica ad alzarmi la mattina. Quando presi a lavorare come disinfestatore di vecchi appartamenti, non mi ero minimamente reso conto di quanto monotono questo lavoro potesse diventare. Sulla bacheca c’era scritto:

“AAA Cercasi disperatamente giovane maschio lobotomizzato, in ottima salute fisica, disposto a rischiare la vita”

Mi sono detto che forse sarei riuscito a mantenere l’entusiasmo e l’attenzione per un periodo molto più lungo a differenza degli altri lavori e all’inizio ci ho creduto per davvero. La mattina, infatti, mi alzavo di buon umore. Sveglio come un grillo pronto a saltare giù dal letto con la perenne fantasia di trovarsi risucchiato da uno scarico di depurazione.

Lo smantellamento di quei vecchi, antiquati ingranaggi è troppo costoso e quindi risulta più vantaggioso assumere personale come me totalmente dispensabile.

L’agenzia ti presenta un costosissimo badge, almeno questo è quello che ti dicono loro. A credere nella loro propaganda si rischia davvero per finire lobotomizzati! Il governo pensa che io lo sia, per metà mi ci hanno fatto diventare, ma questo non significa che non mi accorga di quanto siano subdoli.

“Ogni vita è nelle mani dei Supremi” così ci insegnano e noi speriamo sempre che i Spremi non si incazzino.

Questo è il problema: lo fanno sempre più spesso, così, alla fine, bisogna diventare buoni e docili come agnellini e l’unico modo è farti sentire inutile, superfluo, sporco ed imperfetto.

Il primo lavoro della mia vita è stato all’Agenzia di Confezioni Metalliche. Mi divertivo un mare a vedere lobotomizzati cadere a terra infilzati da schegge metalliche come spaventapasseri.

Speravo che succedesse anche a me, in realtà una scheggia me la sono presa anche io ma è stata una cosa da niente.

Poi, la mattina non riuscivo più ad alzarmi perché il lavoro mi annoiava troppo ed è finita che ho dormito per una settimana di fila. Naturalmente l’Ufficio del Lavoro me ne ha trovato uno nuovo.

Ne avrei fatto volentieri a meno, ma quando ti offrono un lavoro devi accettare o ti confiscano il badge e non hai più il diritto neanche ad un pasto.

Mi sono presentato di conseguenza alla Cooperativa di Costruzioni Internazionali. Impalcature altissime, strumenti pesanti e nessuna protezione perché le protezioni costano alla comunità e noi, che siamo esseri imperfetti, non possiamo essere un fardello per la società.

Sono sull’impalcatura più alta, e non so neanche come, mi vedo volare giù in picchiata, tutto questo dopo un mese di ore estenuanti. Mi sento sollevato, battuta molto ingrata, ma l’idea di morire non mi fa paura.

 È appunto un sollievo perché in questo modo so che non sentirò alcun dolore. C’è una tecnica che serve per sviare l’attenzione ed io l’ho applicata subito e con diligenza. Il fatto è che non mi sarei mai aspettato di cadere dentro un carico di frutta.

Ne sono uscito contuso.

Quelli del cantiere, però, mi hanno trattato bene e hanno dato il mio nominativo alla Fabbrica Tessile dove sono durato la bellezza di un mese. Io ed i restanti cinquanta operai lavoravamo ammassati in una cabina di cinquanta per trenta strizzati come sardine.

Il movimento rotatorio in senso orario ci portava ad entrare uscire dalla stanza attorno ai macchinari infernali. La catena di montaggio ogni tanto si bloccava perché ad Uno capitava di perderci un dito, più dita se non addirittura una mano od un braccio.

Anche lì la stessa storia, una volta, imparato i trucchi del mestiere, ho iniziato a perdere interesse, a muovermi sempre più lentamente fino a cadere su di un tavolo di cucitura.

Non so nemmeno come l’ho scampata perché giuro che ero come un sacco di patate.

Mi hanno tirato addosso un secchio di acqua gelata, e non appena mi sono svegliato, ho iniziato a ridere come un matto.

Ho veramente creduto di averci perso un arto, quando invece la metà di una semi specie di gigante era collassata sopra il mio braccio destro. Il suo sangue insieme alle sue viscere, mi avevano ricoperto. Luccicavo del loro indescrivibile colore. Odoravo di morte. Un desiderio irrefrenabile: volevo assaggiare tutta quella schifezza che mi ricopriva.

Dopo avermi ridestato con il secchio d’acqua, tuttavia, i sopraintendenti hanno usato un idrante per ripulire me ed il tavolo. Ho sentito i miei capelli staccarsi da quel tavolo insieme al mio corpo. Nella stanza ero rimasto solo con le due parti del gigante ed il gruppo di recupero.

“Uno hai causato un vero disastro. Sei licenziato in tronco!” mi ha gridato il capo della Fabbrica Tessile schermato dalla testa ai piedi a differenza della squadra di recupero che mi stava trasportando fuori dalla stanza da lavoro quasi a calci in culo.

“Licenziato?” mi è riuscito di borbottare con enorme senso di sollievo: ero libero, libero come l’aria.

Ho fatto ritorno al mio mini-mono locale e mi sono gettato sul letto, dove sono rimasto sdraiato in coma per una settimana.

Anche in quel caso mi ha destato un persistente, maniacale martellamento alla porta. Sono strisciato verso di essa, e con uno sforzo erculeo, l’ho aperta. L’ufficiale del Lavoro in servizio quella mattina era stranamente cordiale tanto che mi sono dovuto stropicciare gli occhi ripetutamente come se ci fosse entrata della sabbia.

“Persona Uno, mi sono recato qui per comunicarle l’uscita di un bando di assegnazione per un nuovo impegno. Lei potrebbe venir scelto come Disinfestatore” e mi ha consegnato il famoso badge con l’indirizzo della Cooperativa di Disinfestazione.

Quel badge valeva la bellezza di tre pasti ed una copertura di quasi tutti i servizi tranne quello idrico, ma, quello che mi ha entusiasmato non è stato tanto il lato economico quanto quello avventuroso.

Fare il disinfestatore, infatti, è tra i mestieri considerati più pericolosi del pianeta.

L’inserzione si accendeva a caratteri cubitali in rosso quasi come il sangue del gigante, che si era trovato sventrato a metà dal macchinario di cucitura.

L’autenticazione del badge era una prassi fotografica portata avanti dalla stessa bacheca automatizzata del Centro di Impiego.

“Si prega di sputare nell’apposito contenitore dopo la luce verde”

Sempre la stessa storia, sempre la stessa voce androgena. Niente di nuovo, tutto di vecchio. Se non fosse che era obbligatorio eseguire l’ordine, mi sarei addormentato in piedi come un cavallo.

La voce mi comunicò ciò che già sapevo ovvero che dovevo passare un test per vedere se ero idoneo per quel lavoro.

I giorni seguenti li ho trascorsi in fermento. Stranamente ho dormito molto poco. Ho passato le giornate a studiare l’opuscolo e a riempire il quaderno dei test. Non che i test siano difficili ma, con il fatto che sono lobotomizzato, faccio incredibilmente fatica a ritenere anche la minima informazione.

Le dovevo memorizzare tutte, non avevo altra scelta.

Prima Domanda: Quando vi immergente in un serbatoio contaminato:

  1. Vi immergete di gambe.
  2. “         “           “   testa.
  3. “         “           “   braccia.

Ho risposto A ed era la risposta giusta.

Seconda Domanda: Quando entrate in un serbatoio contaminato dovete indossare:

a)  Vestiti normali.

b) Nessun Vestito.

c) Una tuta mimetica.

Ho risposto C e ho dato la risposta giusta.

Terza Domanda: Una volta immersi nel serbatoio contaminato bisogna:

  1. Distendersi a pancia in giù sul letto del serbatoio.
  2. Distendersi sul dorso sul letto del serbatoio.
  3. Accovacciarsi contro il muro del serbatoio.

Ho risposto B e la risposta era quella giusta.

Alla quarta domanda ho dato la risposta sbagliata:

Quarta Domanda: Per immergersi nel serbatoio contaminato serve:

  1. Tirare un bel respiro.
  2. Una bombola di ossigeno con maschera e boccale.
  3. Una cannuccia molto lunga.

Per quanto strano possa sembrare, quella risposta mi ha fatto guadagnare quel lavoro, infatti, il Responsabile della Cooperativa di Disinfestazione, un uomo così alto che mi si è quasi staccato il collo per riuscire a guardarlo in faccia, mi ha accolto amichevolmente, e con un fare paternalistico, mi ha informato:

“Complimenti Uno! Lei è talmente lobotomizzato che si merita questo lavoro, se lo è guadagnato. La sua risposta A al quesito numero quattro, ci ha fatto morir dal ridere, giuro! Stentavamo a credere si potesse arrivare ad un tale punto di demenza, eppure lei è riuscito a stupirci! Pensi un po’!”

Io ho dato sfoggio del sorriso più idiota della mia vita e lui si è crogiolato nella falsa speranza di aver trovato l’operaio giusto.

Quella speranza, infatti, si è dimostrata falsa adesso che sto descrivendo le mie tristi e deprimenti giornate e so che il Responsabile presto mi licenzierà se non ho un incidente prima, magari mortale.

Non è che mi dispiaccia di venire licenziato, anzi, ma, secondo I Supremi, non si può superare un certo numero di licenziamenti o si è passibili della pena ai lavori forzati.

Ora sono davvero fregato!

La parte più difficile è arrivata il giorno in cui mi sono visto dentro il serbatoio con la strumentazione giusta per disinfestarlo che mi sfuggiva di mano.

I miei movimenti erano diventati letargici.

Per mantenere l’aspiratore in senso verticale, e con le due lancette aperte, una verso il basso e l’altra verso l’alto, parallele, stavo facendo una fatica bestiale.

La concentrazione insieme alle forze mi stavano per abbandonare.

È stata questa la ragione per cui ho chiuso gli occhi, per riprendere controllo delle mie facoltà fisiche e mentali.

Una volta chiusi, tuttavia, mi sono scordato di riaprirli.

Non so per quanto tempo ho dormito. Quello che so è che mi mancava l’aria ed io sono riemerso dalla superficie del serbatoio con un rantolo.

Il Capo Responsabile della strumentazione appena mi sono liberato dalla tuta si è accinto a controllare il misuratore di scorie.

“Uno!” ha lanciato un grido.

“Sissignore!” ho biascicato completamente intontito.

“Che I Supremi la dannino!”

“Prego!”

“Non ci posso credere! Non hai aspirato niente! Niente di niente!”

 “Non è vero! Un pochino, sì!” mi sono difeso indicando l’ago.

“Ti stai burlando di me! L’ago si è spostato di poco dallo zero!”

Quello, in effetti, era uno dei serbatoi con più scorie in assoluto.

“La tua scorta di ossigeno” ha continuato Il Responsabile Capo “è finita, e a quest’ora, l’ago sarebbe dovuto arrivare a toccare il rosso!” e l’indice della sua mano destra è andata a bussare nervosamente sul vetro che copriva il livello rosso.

“Lo sai Uno cosa ti meriti?” ed io sono rimasto con gli occhi bassi, fissi sul pavimento.

“Di venir licenziato, ecco cosa!” ed io ho continuato a guardare in basso.

“Ma non sono uno scostumato come te! Quindi ti darò un’ultima possibilità!”

Pazientemente ho aspettato che mi scaricasse addosso un grosso barile di letame, e dopo una bella doccia, sono andato a dormire più presto del solito.

Stranamente non riuscivo a prendere sonno. Avevo paura di non svegliarmi per tempo. Così sono rimasto nudo davanti all’unica finestra, ora aperta, del mio mini-mono locale da cui il gelo entrava accompagnato dal frastuono del traffico misto a quello degli elicotteri di sorveglianza.

L’esperimento ha funzionato perché sono arrivato a lavoro in orario e ho eseguito la disinfestazione, per la gioia del Capo Responsabile, quasi alla perfezione.

Per due settimane ho continuato ad usare vari escamotage per non dormire ma ero al limite delle forze.

Spaesato, spossato mi sono disperato perché l’ultimo posto dove volevo finire erano i lavori forzati.

Stavo rischiando di ammalarmi, stavo rischiando di impazzire.

Ormai dormivo in piedi come i cavalli ed ero precisamente in questo stato quando la porta del mio mini-mono locale ha preso a tuonare mentre io ero davanti alla mia finestra aperta, nudo a sognare la mia morte.

Il suicidio, tanto per dirne una, è un gesto molto apprezzato ed approvato dai Supremi. Cosa sarebbe successo se mi fossi buttato dalla finestra?

A parte la risposta più ovvia, la mia domanda cercava un significato più ampio, più vasto. La porta, tuttavia, mi ha riportato nel presente e ho sentito una profonda fitta al cuore: non poteva essere altro che l’Ufficiale del Lavoro.

Questo significava che ero stato licenziato. La mia testa girava. Ho sentito il sudore freddo scendermi giù per la schiena, ma sapevo, anche, che la porta, alla fine, me l’avrebbe buttata giù.

“Uno!” ho gridato incredulo alla vista di un mio vecchio amico che non vedevo da tempo.

“Uno!” ha gridato anche lui.

“Che sorpresa!” ho risposto.

Ho fatto per avvicinarmi, ma lui, vedendo che ero completamente nudo, è indietreggiato fino ad andare a sbattere contro la parete del corridoio condominiale. Ho lasciato che si riprendesse dallo shock e, quando sono riapparso nel mio pigiama, l’ho trovato affacciato dalla finestra del mio mini-mono locale.

“Convieni con me che sarebbe il caso di chiuderla?! Forse non te ne sei accorto, ma fuori c’è la Siberia!”

“La tengo aperta di proposito” mi sono giustificato, incapace di nascondere il mio stato di disagio.

Uno, avvolto nel suo enorme cappotto laminato, ha richiuso la finestra con una sferzata tale da far tremare i muri e mi ha trafitto con uno dei suoi sguardi da aguzzino.

In realtà Uno non avrebbe fatto del male ad una mosca, figuriamoci ad un suo simile. Malgrado ciò, tutte le autorità lo ritenevano un Uno pericoloso ed è per questo che, puntualmente, finiva per trascorrere una buona fetta dell’anno, in prigione ed è per questo che ci vedevamo così di rado.

Alcune volte, durante i miei sempre più sporadici periodi di disoccupazione, andavo a trovarlo ed era un tale piacere vederlo sempre così ottimista!

“Quando sei uscito di prigione?”

“Due ore fa!”

“Oh!” La mia gola ha prodotto un indistinto gorgoglio:

“Come accidenti sei riuscito ad arrivare fin qui in due ore?!”

Uno mi ha lanciato una delle sue solite occhiate torve e ha spiegato succintamente:

“Ho trovato un lavoro in prigione”

“Oh!” un altro indistinto suono è uscito dalla mia bocca.

 “Di sotto, che mi aspetta, c’è il poliziotto che mi ha in custodia” “Oh!” ho risposto riproducendo esattamente lo stesso suono.

“Oggi è il mio giorno libero e ho deciso di venirti a trovare. Ti vedo ridotto maluccio!” ed Uno si è timidamente avvicinato per studiarmi meglio.

“Come va alla fabbrica tessile?”

“Adesso lavoro per la Cooperativa di Disinfestazione”

Questa volta era arrivato il turno di Uno per emettere un sincero e prolungato:

“Oh!”

Siamo rimasti in silenzio con delle domande che ci brulicavano per i nostri cervelli lobotomizzati.

“Fammi capire bene” ha esordito Uno “E’ questo lavoro che ti ha ridotto uno straccio?!”

“Già! Ed è proprio per questo motivo che stavo seriamente considerando di porre fine alla mia misera, lobotomizzata esistenza” e ho indicato la finestra adesso chiusa.

“Oh!” ha risposto pieno di comprensione Uno.

Altra breve pausa per dar tempo ai nostri costipati neuroni di incontrarsi almeno a metà strada.

“Non voglio finire ai campi di lavoro!” ho piagnucolato.

“Ti prometto che non ci finirai!”

L’enfasi con cui Uno ha pronunciato quelle parole, mi ha lasciato decisamente di stucco, ma non è bastata a rassicurarmi per molto, infatti ho ripreso a piagnucolare: “Non dormo più. Sono settimane che vado avanti così e non ce la faccio più!”

“Non hai più bisogno di disperarti, guarda!” ed Uno ha tirato fuori da una delle tasche del suo cappotto laminato, una piccola scatola nera con sui lati degli strani tasti.

“Non capisco!” ho esclamato, combattuto fra il toccare quel marchingegno o distanziarmi da esso a grandi passi. Invece ho scelto di rimanere inchiodato a terra come se un’entità invisibile mi tenesse attanagliato al suolo.

“Ti presento una sveglia” ed Uno me l’ha sventolata davanti.

“Pernicioso” sono riuscito a farfugliare con le pupille dilatate come un gufo.

“Tieniti le tue opinioni Uno! Questo è il mio lavoro. Mi sono mai permesso di criticare i tuoi?”

Ho deglutito a fatica perché potevo vedere la nube minacciosa che stava ottenebrando il volto del mio migliore amico. Mi sono sforzato di sorridere e sono appena riuscito a proferire queste tre parole:

“Bel lavoro amico!”

“Puoi dirlo forte amico! Ecco” e mi ha messo in mano quella misteriosa scatola:

“Questa te la regalo, e modestamente, penso di essere arrivato proprio al momento giusto”

“Ma io non so usarla!” mi sono giustificato perché quel regalo non lo volevo.

“Te lo dico io come si fa” ed Uno mi ha costretto ad ascoltarlo.

 Per fortuna la porta di casa mia è tornata a tuonare. Io ed Uno ci siamo scambiati degli sguardi sconcertati per essere stati interrotti da un tale frastuono che è poi finito quasi subito perché Una Clessidra del Dipartimento di Polizia era riuscita a buttare giù la porta a testate.

“Istruzioni per l’uso!” ed Uno, prima di sparire trascinato via di peso della donna poliziotto, una specie di moscerino fluttuante, mi ha lanciato quel taccuino a cui ho posto più attenzione che alle Sante Unzioni dei Supremi.

La prima notte sono comunque rimasto sveglio perché avevo paura che quella scatola nera non avrebbe funzionato.

Erano le cinque in punto quando la musica è iniziata: “Don’t dream it’s over” di Paul Young. Mi si sono spalancati gli occhi, che già tenevo aperti. In realtà li ho spalancati perché stentavo a credere a quel miracolo! Funzionava!

Quella dannata scatola nera funzionava! Tutta la tensione accumulata dopo innumerevoli notti passate in bianco, si è dissolta in una sonora, appassionata risata. Ciononostante, dopo una proficua giornata di lavoro, in cui stavo miracolosamente per beccarmi una portentosa scarica elettrica, di notte, il dubbio si è rimpossessato di me.

“Se la scatola nera ha funzionato stamattina chi mi garantisce che funzionerà anche domani mattina?”

Con questa paura ho passato un’altra notte insonne.

A mano a mano che le cinque del mattino si avvicinavano, mi sono sollevato per controllare quei numeri gialli, quasi fosforescenti.

Era un conto alla rovescia.

Quattro e cinquantanove.

Aspetto.

Conto.

È un miracolo! Davvero grande!

Ore cinque ed una canzone, diversa da quella che avevo sentito e memorizzato, parte: “Army dreamers” di Kate Bush.

Mi ci sono voluti altri tre giorni per vincere totalmente il mio scetticismo.

La terza mattina, la scatola nera alle cinque ha aperto la giornata con un: “Dreams” dei Cranberries.

La quarta mattina invece: “Walking on a dream” degli Empire of the Sun.

Ultima mattina, in cui mi sono davvero arreso all’evidenza che l’invenzione del mio amico.

Uno funzionava per davvero, si è aperta con: “Dream on” dei Depeche Mode.

Adesso la mia faccia era diventata bianca come uno straccio e avevo due occhiaie nere che sembravo uno zombie.

La sesta notte, perciò, mi sono arreso abbandonandomi ad un sonno profondo quasi quanto la morte.

Alle cinque, la mia adorata scatola nera, mi ha svegliato con un’altra canzone: “You make my dreams” di Daryl Hall e John Oates.

Riposato, come una rosa, sono andato al lavoro ad aspirare sostanze tossiche con la stessa gioia di quando i miei progenitori aspiravano la polvere dai tappeti.

Il Responsabile della Strumentazione mi ha guardato con ammirazione quel giorno. Si è persino congratulato usando parole di cui non conosco più lontanamente il significato. Mi ha fatto piacere sentire il nome dei Supremi che mi paragonavano ad un Santo.

Il giorno dopo, quando mi sono alzato, la scatola ha cambiato totalmente genere musicale. Una tonalità, un timbro che mi ha accompagnato nella testa, fisso, costante. “I’m living in a box” dei Living in a Box.

Era forse un messaggio subliminale?

Mi sono visto uscire dal serbatoio Svastica 24, e correre dentro il magazzino con un infrenabile bisogno di accumulare scatoloni.

Quando sono uscito da lì ne tenevo in bilico cinque per mano.

Cosa avrei dovuto farci, non lo sapevo ancora, ma, ho nascosto gli scatoloni con cura dentro lo scantinato dell’edificio in cui abito.

Sono andato a letto felice come una Pasqua e mi sono addormentato subito.

Ore cinque in punto, canzone assurda: “Mia bocca” di Jill Jones.

Che cosa stava a significare una canzone del genere? Non so che lingua sia anche se sospetto che venga parlata esclusivamente dai contadini e braccianti.

Non mi ricordo neanche quando è stata l’ultima volta che ho pensato ad Una, e tanto meno, quando mi sono unito carnalmente ad essa.

Di sicuro quella canzone deve aver scatenato delle potenti reminiscenze del passato perché, come mi sono immerso nel serbatoio Svastica 24 per portare a termine il lavoro iniziato il giorno prima, ecco, che dal tubo di scarico, ho visto uscire una bocca carnosa, con un delizioso neo sulla sinistra, che si sollevava, invitante.

La bocca del serbatoio diventava sempre più viva. Mi ha chiesto:

“Tu vuoi la mia bocca?”

Ero così eccitato che, per quanto sia stato colpito da una potente scarica elettrica, una volta in infermeria, con in corpo due fiale di potenti analgesici, mi sono visto circondato da centinaia di bocche, tutte diverse, ma dalle labbra così sensuali che dall’emozione ti veniva da piangere e tutte, in coro, a ripetere:

“Tu vuoi la mia bocca?”

“Uno!” ed il Sopraintendente, che ormai, mi sovrastava, credo mi stesse urlando, anche se non lo sentivo.

Ciò che sentivo, erano le bocche baciare ogni centimetro del mio corpo abbrustolito.

Non ricordo molto di quel periodo se non di aver ricevuto due visite totalmente inaspettate: la prima dal Capo della Cooperativa di Disinfestazione, che si è offerto di pagare tutte le spese mediche.

“Uno! Ti meriti un premio di produzione!” ha esclamato il Capo durante la sua breve visita, anche lui come il Sopraintendente, mi sovrastava ma, a differenza di quest’ultimo, trasudava di carisma. Io sono riuscito a stento a muovere la testa in segno di assenso.

“Il Serbatoio Svastica 24, grazie a te, è stato completamente depurato! Ti rendi conto! E sei ancora vivo! L’unico caso nel mio Settore!”

Avrei sinceramente desiderato condividere la sua eccitazione, ma ridotto come ero, non ho potuto far altro che sbattere ripetutamente le pesanti palpebre.

“Ti sei guadagnato una vacanza sull’isola tropicale di Gallore”

“Gallore! Che mi venga un colpo!” ho pensato. Quell’isola era rinomata per la sua bellezza mozzafiato e per le più attraenti Une esistenti sul Pianeta!

Mi ci sono voluti quattro mesi per rimettermi.

Certo, la mia pelle so già che non tornerà mai più dello stesso colore.

Adesso potrei facilmente venir scambiato per un contadino od un bracciante! Con tutto il rispetto che nutro nei loro confronti, mi vergogno ma, eccomi arrivare alla seconda visita, quella che mi ha resuscitato.

Il mio carissimo amico Uno è stato molto convincente.

“Gallore! Magnifico!”

Lui, a quella notizia era al settimo cielo.

“Non credo accetterò” ho risposto dal mio letto d’ospedale più depresso che mai. Uno mi ha incollato addosso uno dei suoi sguardi da completo psicopatico. So che è innocuo però ho preso lo stesso una tale paura che mi sono lasciato sfuggire un flebile:

“Ci vado! Ci andrò!”

A quella risposta, Uno mi ha sorriso con una delle sue smorfie bestiali, che solo io so interpretare, ed in tono conciliante mi ha informato:

“Sai anch’io ho ricevuto un bonus produzione!”

“Sul serio!” ho risposto sinceramente felice per lui “Te lo meriti! Quella scatola nera …” “SVEGLIA!” mi ha corretto evidentemente molto accigliato ed io ho subito ripetuto:

“Sveglia! È un miracolo! Sei un genio Uno!” e lui, tutto sghignazzante, mi ha ringraziato in maniera sempre molto grottesca.

“Il piacere è tutto mio!”

Dopo una breve pausa, che mi è servita per riprendere fiato, ho chiesto pieno di curiosità:

“Se posso chiedere, per cosa è il bonus?”

“Ti sostituirò come disinfestatore!”

Sono rimasto a fissarlo con uno sguardo molto simile a quelli che lui è consono lanciare. La sua reazione mi ha totalmente spiazzato: ha iniziato a ridere sinceramente di cuore. Da quando lo conosco, infatti, l’ho visto solo selvaggiamente sghignazzare o deridere con forte, sguaiato disprezzo.

“Non temere, amico! Si tratta di una sostituzione e poi non è detto che sopravviva come te!”

“Ma è proprio questo che non riesco a capire! Tu sei un genio! Che bisogno c’è di rischiare la vita di un genio?” ho chiesto implorante.

“Non ho scelta!”

“Oh!?”

“Da quando mi hanno premiato, mi annoio da morire”

“Conosco la sensazione” e mi sono ricordato di tutte le volte che la noia mi ha appiattito l’esistenza fino al punto che neanche più riuscivo ad alzarmi dal letto.

“Spero che tu ti diverta come mi sono divertito io. Quattro mesi, se ti diverti, passano alla svelta”

Ci siamo scambiati uno sguardo d’intesa.

Vista la mia impossibilità di muovermi, Uno è stato così cortese da abbracciarmi, piegandosi dai suoi statuari due metri di altezza.

Ci siamo salutati con la speranza di poterci rivedere, e per ricordarmi di lui, mi sono portato dietro la scatola nera a Gallore.

Che esperienza! Il Resort di Gallore, l’unico dell’isola, un palazzo principesco a cui non sono abituato e non mi abituerò mai, masticava serate di gala e banchetti.

Le bellissime Une volteggiavano per i tavoli, come api, intorno ai fiori, ma, siccome io non avevo altri abiti se non quelli resi in donazione dal Governo dei Supremi, in pratica, non ho mai preso parte a tali banchetti o feste.

Mi avrebbero di certo scambiato per uno sguattero ed è per questo che mi sono rifugiato in cucina insieme a quelli del mio rango.

Ho dovuto, tuttavia, spiegare loro di come la mia pelle abbia assunto il colore del contadino di base.

A quella storia Plonk, lo chef del Resort di Gallore, mi ha implorato di lavorare per lui ed è così che, senza volere, mi sono trovato un nuovo impiego come aiuto cuoco e la parte più divertente è stata quando ho dovuto controllare la temperatura dell’olio per friggere tutta quella prelibatezza.

La mia pelle ormai semi carbonizzata, è diventata super resistente alle alte temperature e dove gli aiutanti normali falliscono, io estraggo dalla friggitrice cibo croccante alla perfezione.

A Gallore, perciò, ho mangiato in cucina con lo staff ed è lì che oltre a Plonk, ho conosciuto la bella Bocca di Seraphine, un’Una dalla pelle d’alabastro.

Me ne sono perdutamente innamorato.

Il mio corpo ormai così disturbato a conoscere un’Una si spossava e lei diventava talmente famelica che se non avessi avuto la scatola nera non sarei riuscito a svegliarmi neanche per andare in bagno.

Il fatto peculiare da quando io e Bocca di Seraphine abbiamo iniziato ad uscire insieme, la scatola nera ogni mattina mi svegliava invariabilmente sulle note di: “Madam Butterfly” di Malcom McLaren.

La situazione si è complicata quando Bocca di Seraphine si è messa in testa di lasciare Gallore e venire a stare con me.

Ho tentato di farla ragionare, di spiegarle che una convivenza non è contemplabile secondo il Codice civile dello Stato Federale di Centaury dove abito io.

L’ultima settimana è stata un inferno.

Ho perso il conto delle volte che abbiamo bisticciato.

Mi ha reso la vita così impossibile che alla fine ho ceduto.

Risultato devastante?

Adesso mi ritrovavo a far passare illegalmente Una Bocca di Seraphine. Ma come?

Rischio, rischiosissimo.

“L’essenziale è non prendersi troppo sul serio.”

Almeno questo è quello che mi ripeteva il Professor Velveteen ed era quello che mi ripetevo a ruota libera. Velveteen si era occupato della mia lobotomia personalizzata, il meno invasiva e più delicata possibile.

Adoravo quel vecchio volpone.

“Signor Alphaville Lucas?” mi domandò con un sorriso a fisarmonica. Evidentemente non si era nemmeno preso la briga di leggere la mia cartella clinica.

“Chissà quanti pazienti deve visitare al giorno” l’ho giustificato perché sapevo che era un professore di fama internazionale e sapevo di essere fortunato.

Molte persone erano state lobotomizzate da veri macellai ed i risultati, beh! si sanno. La morte sarebbe stata preferibile alla certezza quasi matematica di finire un vegetale. All’epoca ero un dietologo, abbastanza affermato nel mio campo.

Avevo una moglie, di cui non mi ricordo neanche più il nome, niente prole.

Conducevo una vita regolare. Cittadino modello fino a che qualcosa o qualcuno mi ha fatto diventare completamente paranoico.

Non mi ricordo cosa ho combinato ma il Professor Velveteen per quanto mi sorridesse con benevolenza si vedeva da un miglio che era molto preoccupato.

Dunque, di quell’ultima conversazione come cittadino regolare, torna in superficie soltanto questa sequenza di ricordi.

“C’è stato un evento in particolare che ha scatenato questa sua malattia?”

“Sono malato?” ho chiesto spaventatissimo.

“Come definirebbe un individuo che, senza ragione ne motivo particolari, dal balcone del suo studio professionale, scaraventa di tutto con il risultato di un contuso, una persona in prognosi riservata e l’altra con il cranio fracassato?”

Ecco che qui non mi ricordo quale sia stata la mia risposta. So solo che subito questa mia fantomatica risposta sono scoppiato a piangere.

“L’importante è non prendersi troppo sul serio” ed io ho guardato il Professore con un profondo senso di sollievo.

Non mi sono sentito giudicato né compatito e questo mi ha fatto sentire meglio. Il suo sorriso era confortante quasi come un abbraccio materno.

“Si consegna quindi alla mia eccellenza o preferisce finire in prigione per stati di profonda alterazione ed atti inconsulti?”

“In prigione” ho risposto io.

“In questo caso le consiglio di trovarsi un legale. Le posso assicurare che nemmeno il miglior avvocato della nazione la potrà aiutare, ma io sono un Professore e quindi potrei essere nel torto.”

Velveteen aveva ragione: tutti gli avvocati a cui mi sono rivolto all’epoca mi dissero la stessa cosa e cioè che sarei finito in prigione a vita.

Avevo creduto di poter dimostrare che se avevo ucciso un’innocente, era stata una disgrazia, che ero stato sfortunato.

Naturalmente nessuno ci ha creduto.

Io ed il Professore ci siamo rivisti dopo pochi mesi e l’uomo mi ha detto:

“Signor Alphaville non si deve preoccupare di niente”

Stava cercando di assicurarmi sul fatto che non sarei diventato uno zombie, almeno non completamente.

Sapevo che avrei perso il mio lavoro, la mia casa, mia moglie, la mia identità e che sarei diventato un Uno.

La fine e l’inizio di una vita in Centaury dove la manodopera industriale e commerciale di lobotomizzati era stata già da tempo legalizzata.

L’ergastolo o Centaury? Restare a Gallore con Bocca di Seraphine?

Ho tentato ma Plonk mi ha dissuaso, avvertendomi delle conseguenze.

Del resto a Gallore ero stato mandato in vacanza.

Plonk, che è scampato alla lobotomia, dice che devo essere stato un individuo molto intelligente perché non sono demente quanto quelli che hanno subito la stessa operazione.

Si riferisce naturalmente a quelli che lavorano nel suo staff compresa Una Bocca di Seraphine.

Questo mi ferisce un tantino perché sono innamorato di lei.

Intanto un giorno che ero in cucina a friggere, senza volere, stavo intonando le note di “Madam Butterfly” di McLaren.

Mi succedeva sempre più spesso di cantare quella canzone perché la scatola nera, da quando ero approdato a Gallore, mi svegliava ogni volta sempre sulle sue note.

“Ma tu hai mai pensato di vestire la tua fidanzata in un kimono?”

La voce di Plonk mi ha sorpreso.

Devo averlo guardato con la mia solita faccia da pesce lesso perché Plonk mi ha ripetuto la stessa frase solo molto lentamente.

“Ho capito. Il fatto è che non so che cosa sia un kimono. Scusa se non ti seguo”

Plonk ha dato una lieve scrollata di spalle e ha proseguito con una prolissa spiegazione di cui non ho capito un accidente.

“Insomma! Dannazione! Se segui questo piano, ti puoi portare la fidanzata a casa!”

“Ma io non so niente dei capponici”

“Nipponici, idiota!” mi ha urlato tanto che l’intero staff ci ha guardati “Oggi mi girano! E allora?! Badate ai fattacci vostri e continuate a lavorare!” ha urlato anche a loro “Friggi!” mi ha urlato di nuovo “Se penso che stavo per finire come voi, giuro mi faccio harakiri con il coltello di cucina seduta stante!”

Stavo per chiedere allo chef cosa fosse un harakiri ma qualcosa dentro mi ha trattenuto e ho la netta impressione che sia stata una decisione molto saggia.

In poche parole, Una Bocca di Seraphine è stata vestita da Una strana che viene dallo stesso posto di Madam Butterfly, Geisha? Può essere? Non ne sono sicuro.

Quello di cui sono sicuro invece è che il travestimento ha funzionato.

All’EliAereoporto di Gallore nessuno ha posto alcun ostacolo all’imbarco di Una Bocca di Seraphine che, evidentemente, stava recitando la parte alla perfezione.

Se ne stava al mio fianco senza proferire parola, a camminare su dei sandali assurdi tanto da farla sembrare imbalsamata e la cosa ancora più assurda della sua andatura, è che non la smetteva con tutti quegli inchini!

Plonk aveva dato degli ordini precisi anche a me:

“Non ti azzardare a parlarle! Evita ogni tipo di contatto fisico e visivo. Devi comportarti come se la tua fidanzata non esistesse” ed invisibile è diventata.

“Quando sarete giunti a Centaury mettila su di un taxi e spediscila al tuo indirizzo”

“Ma io non mi posso permettere un taxi” e Plonk mi ha presentato un badge argentato!

Credo per un momento di aver riacquistato il mio colore naturale perché lui mi ha ammonito con aria minacciosa:

“Usala per pagare il taxi ed il resto dallo alla tua fidanzata. Ne avrà bisogno. Questo non lo faccio per te. Avevo tredici anni ed ero un ammasso di lardo! Se non fosse stato per Lucas Alphaville sarei rimasto vergine per tutta la vita! E adesso sparisci!”

Senza dire una parola, mi sono infilato il badge argentato in tasca e sono corso via prima che Plonk mi chiedesse di restituirgliela.

Stranamente, tutto è filato liscio, come stabilito, io e Bocca di Seraphine ci siamo incontrati nel sottoscala del mio edificio.

“E’ così strano vederti qui” le ho confessato “e vestita così poi”

“Così questo è il posto dove abiti”

“Non solo io. Ci abitiamo in tanti”

“Voglio vedere casa tua!” ha esclamato tutta eccitata.

Il suo fermento è contagioso ma quelle erano circostanze diverse.

“Seraphine, biscottino mio, non siamo più a Gallore, e come ti ho già spiegato” e sono stato sul punto di aggiungere:

“Per la milionesima volta” ma mi sono trattenuto altrimenti l’intera conversazione sarebbe sfociata in una sfuriata proprio fuori dal mio edificio dove abito.

Breve pausa seguita da un profondo respiro “Noi non possiamo vivere sotto lo stesso tetto”

“Ma allora io dove vado?!” mi ha chiesto seriamente preoccupata.

“Vieni” e le ho fatto segno di seguirmi nello scantinato.

Temevo sarebbe corsa via ed invece ha lanciato un selvaggio grido di gioia quando ha visto la disposizione degli scatoloni.

A pensarci bene sembra quasi impossibile; eppure, è proprio come se avessi saputo già in anticipo che una persona sarebbe venuta ad abitare nello scantinato. Avevo studiato un letto, una tavola ed una poltrona.

“I servizi sanitari sono dentro la lavanderia che è in fondo al corridoio da dove siamo appena entrati. Alla cucina ci penso io” e lei mi ha gettato le braccia al collo.

“Lo farai?! Farai tutto questo per me?”

“Certo che sì!” e ci siamo concessi uno dei nostri brevissimi orgasmi al tritolo.

Nei pochi giorni che mi sono rimasti prima di tornare al lavoro, mi sono occupato della cucina.

Ero così preso dalla cucina di Una Bocca di Seraphine che non ho avuto bisogno di usare la scatola nera.

Perciò, vi potete immaginare, quanto scosso sono rimasto di vedere la porta di casa mia tremare di punto in bianco.

L’ho aperta appena in tempo prima che me la buttassero giù. Sono rimasto inchiodato sulla soglia di casa mia pronto a sputare il cuore. Ero certo si trattasse della Costume ed invece non era altro che il Sovraintendente della Cooperativa di Disinfestazione.

“Oh!” sono stato capace di dire colto alla sprovvista.

“Uno! È urgente! Urgentissimo!” e si è precipitato in casa mia, e senza tanti complimenti, mi ha ordinato di riprendere la mia postazione di disinfestatore all’istante.

“Ma le mie vacanze finiscono dopo domani!” sono riuscito a farfugliare.

“Lo so questo! Ma è imperativo che lei ritorni a lavoro. Il suo amico è deceduto due ore fa!” “Uno è …”

Neanche riuscivo a dirlo.

“Morto. Scarica elettrica settore M-K-Ultra”

La mia testa ha iniziato a girare tanto che alla fine sono svenuto.

È così che sono finite le mie vacanze: con il sovraintendente che mi prendeva a schiaffi, ricoprendomi di epiteti molto coloriti.

Appena sono tornato in me, sono corso nello scantinato per avvertire Una Bocca di Seraphine.

“Mi dispiace tanto” mi ha detto lei prima di baciarmi con quella sua bellissima bocca.

Si vedeva che era sinceramente dispiaciuta.

Non si può esattamente dire la stessa cosa del Capo della Cooperativa di Disinfestazione.

“Mi dispiace tanto” mi ha detto appena ho preso posizione all’interno dello stabilimento MK-Ultra.

La sua voce suonava falsa per quanto si sforzasse di sembrare costernato. Io ho preferito restare in silenzio ad aspettare pazientemente di venir congedato.

Rassegnato ad ascoltare quella montagna di bugie, sono sobbalzato quando il Capo della Disinfestazione mi ha richiamato all’attenzione con un:

“Uno! Ha capito cosa le ho appena riferito?!”

“No, mi dispiace. Le sarei molto grato se me lo ripetesse”

Il gigante ha sbuffato e mi ha fornito la notizia che è servita a tramortirmi.

“Il defunto Uno Serie 1.110,878 ha lasciato un testamento, protocollato e depositato all’Ufficio del Registro Centrale. Il notaio a cui si deve rivolgere è il Notaio Clematis. Ha capito ora?!”

Con quella notizia che pesava sulla mia coscienza, mi sono sentito affondare nel serbatoio M-K-Ultra, e mentre lo disinfestavo, sono certo di aver udito la voce del mio carissimo amico Uno.

Mi ha chiesto di porre attenzione, di non lasciarmi cogliere dallo sconforto ma soprattutto di prendermi cura di una cosa che lui chiamava con lo strano nome di sveglia.

Ore 5:00 di mattina: “It hurts” dei Lotus Eaters, mi sono alzato con questa triste canzone ed immagino che sia normale sentirsi tristi.

Prima di avviarmi verso lo Studio Notarile, vado a far visita ad Una Bocca di Seraphine.

“Non capisco perché continui ad indossare quel ridicolo travestimento?”

“Perché mi piace sciocchino” e mi ha catturato con le sue dolci mani.

Io mi sono divincolato ma so che non ero molto convincente. Avrei preferito di gran lunga restare con lei piuttosto di trovarmi faccia a faccia con uno squallido legale.

Il notaio Clematis, tuttavia, si è dimostrato tutto meno che squallido. Mi ha persino offerto una limonata fresca!

“Mi dispiace molto per il suo amico. So che eravate molto legati.”

Mi ha colpito la sua sincerità. I suoi grandi occhi cerulei erano costernati quanto il suo profondo, roco tono di voce.

“Lei ha dei capelli molto belli” ha commentato il notaio.

“Che noia” e lui è scoppiato a ridere.

“Immagino che sia un complimento a cui si è profondamente rassegnato.”

Mi sono sforzato di sorridere visto che mi ero messo in testa di essere gentile nonostante il dolore che mi portavo dentro.

“Vede Uno, il motivo per cui mi sono preso la briga di convocarla fin qui è perché il Direttore Penitenziario aveva seriamente preso a cuore il caso del suo amico.”

“Il mio amico” ho apostrofato “era un inventore!” L’ho detto con enorme orgoglio.

“Questo fatto è indiscutibile ed è per tale ragione che, secondo il testamento del mio cliente, tutto ciò che è all’interno della cella, passerà direttamente in suo possesso” ed il notaio ha fatto scivolare verso di me due buste ed un foglio.

“Firmi qui.”

“Ma io non so più scrivere.”

“Basterà una croce” e così ha fatto.

“Bene. La busta bianca contiene il testamento del suo amico che certamente vorrà leggere in privato. La busta gialla le servirà quando si presenterà al Penitenziario.”

Dopo avermi consegnato le due buste, Clematis mi ha preso la mano e me l’ha stretta con forza e con gli occhi cerulei incollati su di me ha detto:

“L’essenziale è non prendersi troppo sul serio.”

Ora, io non so se quello che ho sentito è vero oppure frutto della mia immaginazione ed è per questo che ho chiesto allucinato:

“Come?!”

“Uno vada tranquillo. Ha capito bene. Non c’è cosa peggiore di quando si dubita se stessi. Il suo amico Uno era stato lobotomizzato dal Professor Velveteen, lo sapeva questo?”

“N-o” ho balbettato.

“Una buona fetta di pazienti che sono stati lobotomizzati dal Professor Velveteen hanno poi dimostrato di essere in possesso di particolari capacità, specialmente manuali”

Ho aspettato che il notaio proseguisse perché ero sinceramente scoccato da questa inaspettata rivelazione.

“Continui quello che è stato iniziato dal suo amico, e per qualsiasi problema, si rivolga a me.”

Gli ho preso la mano visto che non avevo altra scelta se non quella di fingere di aver capito.

“Uno, il Penitenziario!” il giovane notaio mi ha gridato dalla sua scrivania.

“Il Penitenziario” ho ripetuto io prima di uscire dal suo studio sempre più confuso e terrorizzato, fatto a pezzi e poi macinato nel trita carne.

Il Caimano del Penitenziario ha avuto la faccia tosta di venire a bussare alla mia porta. Avevo appena fatto ritorno a casa dopo una pericolosa disinfestazione nel serbatoio più contaminato dello stabilimento M-KUltra e mi sentivo proprio come un pezzo di carne quando quel bastardo ha preso la mia porta a calci e pugni!

“Arrivo!” ho gridato con quella poca di forza che mi era rimasta. Se non avessi preannunciato il mio arrivo, mi sarei trovato con il cranio fracassato.

“Uno! Lei è convocato davanti alla mia scrivania domani mattina!”

“Ma questo è assurdo! Io devo lavorare …”

Ma il Caimano non mi ha dato il tempo di spiegare. Il suo sguardo stregato si è appiccicato al mio cranio e mi è entrato dentro nonostante il disgusto e l’odio che provo per tutti coloro che lavorano al Ministero di Grazia e di Giustizia.

Esausto non ho avuto altra scelta se non quella di piegarmi alla sua volontà.

Per aiutarmi ho usato la scatola nera. Alle 5:00 spaccate “Square Rooms” di Al Corely mi ha buttato giù dal letto.

Mi sono rasato e vestito in fretta perché volevo fare colazione con Una Bocca di Seraphine. Solo che quando sono entrato nella sua dimora, ho trovato un luogo freddo, vuoto e desolato.

Non me lo sarei mai aspettato.

Sull’unica sedia di legno, ho trovato ripiegati i suoi abiti da Geisha.

Devo trovarla, assolutamente! Ma prima dovevo sorbirmi il Caimano che mi ha accolto con un sorriso compiaciuto all’entrata del suo antisettico ufficio.

“Vedi di sbrigarti. Ho davanti una giornata piena di impegni” il bastardo mi ha detto come se invece io fossi stato in giro a spassarsela.

Mi ha scortato alla cella di Uno a passi talmente lunghi e veloci che sono stato costretto a corrergli dietro.

Per me non era di certo un buon inizio di giornata considerando il fatto che una volta arrivati alla cella di Uno, senza tanti complimenti, mi ha afferrato per il risvolto del mio cappotto laminato e mi ha scaraventato dentro la cella. È una vera fortuna se sono rotolato sul pavimento piuttosto che andato a sbattere contro il muro.

“Ha mezz’ora a disposizione per portare via tutta questa spazzatura!” e mi ha chiuso a chiave nella cella di Uno.

Non so per quanto tempo sono rimasto seduto per terra a fissare le pareti di quel cubo, specialmente le foto di Uno che lo ritraevano in compagnia di un’Una piacente e due pargoli, come di altre foto che lo ritraevano con quella che doveva essere stata la sua famiglia d’origine.

Mi sono alzato e mi sono avvicinato al collage di foto che erano attaccate alla parete sopra il suo letto. Sotto ad ogni foto erano stati incisi i nomi di ogni membro della sua famiglia compreso il suo: Olivier Tess.

Non avevo molto tempo a disposizione e quando me ne sono reso conto, ho posto quel poco che Uno aveva in possesso sul letto con una velocità che non sapevo di avere. Neanche il tempo di finire il nodo alle lenzuola che il Caimano ha spalancato la porta della cella e mi ha accolto con il suo odioso sorriso di scherno.

“Fuori dai piedi!”

Non mi sono voltato, giuro! Ricordo vagamente una storia di qualche disperato che si era voltato ed era diventato una statua di sale o qualcosa del genere.

Quando sono arrivato all’uscita ho consegnato la busta gialla alla guardia che mi ha squadrato sospettosamente. Senza dubbio doveva essere il lenzuolo pieno degli oggetti di Uno che producevano una accozzaglia di rumori indistinti mentre a fatica lo trascinavo dietro di me.

“La vedo in grande difficoltà” e non ho potuto fare a meno di annuire perché non avevo nemmeno più il fiato di rispondere.

“Chiamerò una volante e la farò scortare.”

Sono rimasto a fissare la guardia a bocca aperta.

Ho pensato fosse uno scherzo ed invece, per la prima volta nella mia vita, mi sono visto accompagnare a casa, ma la cosa che mi ha realmente stravolto, è stata la presenza di Una Clessidra, Capo del Distretto di Polizia degli Uno in Centaury.

“Rilassati Uno! L’accompagnerò io. Ha portato via tutti i beni di Uno?”

“Si” ho risposto sempre più incredulo dai sedili posteriori della Pantera, con la montagna di roba che mi cadeva addosso impedendomi quasi di respirare.

“Perfetto!”

Fatto sta che la Pantera della Polizia si è fermata davanti ad un edificio nuovo, tirato a lucido. Una Clessidra ha parcheggiato la volante davanti all’edificio, e una volta scesa dalla Pantera, ha tirato fuori il lenzuolo liberandomi così da quella montagna di peso.

L’ho ringraziata con i polmoni che mi stavano esplodendo per lo sforzo.

“Se vuoi, prendi pure alcuni secondi per riprenderti.”

Avrei avuto bisogno di ben altro di una manciata di secondi per riprendermi ma, Una Clessidra adesso mi stava intimando di uscire dall’auto con gesti concitati.

“Sa leggere i numeri?” mi ha chiesto nervosamente.

Ho guardato la chiave che mi stava penzolando davanti e ho messo a fuoco i numeri 207. Li ho ripetuti ad alta voce.

“Bene. Questo è il numero dell’alloggio che userai come deposito. È al quinto piano” e mi ha studiato con attenzione.

Ho ripetuto con obbedienza:

 “Quinto piano.”

“Vai Uno! Ti aspetto qui. Non possiamo entrare insieme nell’edificio.”

Giuro! Avrei dato qualsiasi cosa per far quell’Una felice, ma ero ormai arrivato allo sfinimento e lei se n’è accorta subito.

“Ho capito! Dannato il Diluvio Universale!” ed imprecando ad alta voce, ha afferrato quella montagna di roba ed è sparita dentro l’edificio.

Io, invece, sono collassato sul sedile posteriore e mi sono addormentato come un sasso. Il miracolo è avvenuto quando la scatola nera mi ha svegliato con “This is the day” dei The The e la cosa incredibile è che mi ha svegliato appena prima che Una Cassandra uscisse da Lumiere.

“Tieni la chiave” mi ha detto appena è risalita in macchina.

“Dove vuoi che ti porti?”

“Al serbatoio M-K-Ultra”

“Impossibile.”

“Come sarebbe?”

“Il serbatoio di cui parli è stato riabilitato. Una schiera di nuovi appartamenti di lusso dal nome “This is the day” da qui a fine anno verranno inaugurati.”

“Ma io ci lavoro.”

“No! Adesso hai un altro lavoro.”

“Come è possibile! Non ho avuto nessuna comunicazione da parte del Centro per l’Impiego! Nessuno mi ha detto niente!”

“L’Ispettore del Lavoro ti farà una visita molto presto. Te lo assicuro. Allora dove vuoi andare?”

Ho esitato e poi le ho chiesto di portarmi a casa. Almeno questo è stato semplice ed indolore. Specialmente indolore perché quando sono tornato, ho ritrovato Una Bocca Seraphine. L’unico problema è che invece di accogliermi con uno dei suoi baci, mi ha comunicato piuttosto bruscamente che si era trovata un lavoro!

“Non capisco! Come è successo?”

È successo perché tu mi hai lasciato da sola per tutto questo tempo, e quando sono andata a procurarmi del cibo al Mercato Rionale, ho incontrato un Uno molto distinto, di classe che è un rivenditore di guanti pressurizzati da donna alla moda. Mi ha guardato le mani mentre compravo del cibo in scatola allo spaccio e mi ha detto sinceramente colpito:

“Erano secoli che non vedevo delle mani così belle”.

“Le mani?” ho chiesto divertito.

“Oseresti forse affermare che le mie mani non sono belle?!” mi ha gridato furiosa.

“In tutta onestà, non ho mai prestato molta attenzione alle tue mani” e mi sono affrettato ad aggiungere:

“La tua Bocca è la cosa più bella che io abbia mai visto in tutta la mia vita. Stupenda! Divina! Quando morirò, morirò con l’immagine della tua bocca impressa nella mia mente” e avrei potuto continuare a blaterare per ore ed ore se non fosse stato che Seraphine mi ha dato un bacio da togliere il fiato. Quando le sue calde, umide labbra si sono staccate dalle mie, non ho potuto fare a meno di dire:

“Sono contento che tu abbia trovato un lavoro, ma spero che questo non significhi che tu ed io dobbiamo dividerci. Non credo sarei in grado di sopportarlo soprattutto ora che ho perso il mio migliore amico.”

Lei mi ha preso le mani fra le sue e mi ha tranquillizzato:

“Non ci divideremo mai anche se andrò ad abitare lontano da qui, io so che staremo insieme.”

“Cosa? Come?”

“Lo hai detto anche tu che qui mi devo nascondere, che è contro la legge.”

“Ma io ti posso proteggere!”

“Non ce n’è bisogno. A Sodenberg, abitano centinaia, migliaia di Une, tutte impiegate al Mercato Rionale.”

“Sodenberg” ho ripetuto dubbioso.

“É Sodenberg il posto dove da ora in poi vivrò e dove ci vedremo, quando sarà possibile.”

Non potevo fermarla e non ne avevo il diritto. Era così felice. Dopo tutto era meglio lavorare come rivenditrice che sguattera.

“Ti ho aspettato perché te lo volevo dire di persona e poi perché volevo portarmi dietro il travestimento da Geisha.”

“Ma non ne hai più bisogno.”

“Lo so ma per me rappresenta un ricordo importante e non lo voglio perdere se non ti dispiace.”

“Dispiacere? Anzi. Sono contento che tu lo porti via con te perché spero di rivedertelo addosso.”

“Mio adorato Uno, sarò sempre la tua Geisha.”

Ci siamo abbracciati ed è finita che abbiamo toccato il cielo con un dito.

Come succede sempre, ogni volta, che mi unisco carnalmente con Una Bocca Seraphine, ho bisogno di dormire.

Così, immediatamente dopo aver fatto ritorno nel mio mini-mono-locale, mi sono spogliato. Da una delle tasche del mio cappotto laminato è caduta la busta bianca che avrei letto dopo un sonnellino se non fosse stato per la caduta della mia porta d’ingresso.

“Dannazione!” ho sibilato.

“Uno Serie 1.154,909 a rapporto!” ha tuonato il gigante tutto vestito in blu elettrico con un cappello a forma di cilindro, così lungo che quando è entrato in casa mia si è dovuto abbassare.

“Ma non vi insegna nessuno a bussare?!”

“Ripeto, lei è stato richiamato a rapporto”

“Possibile, che voi, gente, irrompiate nelle case in questo modo?”

“Facciamo a non capirci! Lei è appena stato richiamato a ..”

“Rapporto! Ho capito, ho capito. Sarò anche lobotomizzato ma non sono sordo!”

“Se fosse come dice, mi avrebbe accolto con l’onore che le personalità di alto rango come la mia meritano!”

Sono rimasto in silenzio a riflettere.

“Vedo con enorme disappunto che ancora non ha capito chi sono io!”

“Una persona molto influente di sicuro, indossa il colore di Rappresentanza dei Supremi.”

“Almeno questo lo ha riconosciuto” ed il gigante, accomodandosi il lungo cilindro in capo con impazienza, si è seduto sulla mia unica, solitaria sedia sgangherata, mentre io mi sono accomodato sul letto.

“Io sono il Supremo Desertyne.”

“Signor Desertyne.”

“Supremo Desertyne!” e a fatica, ho ripetuto il suo nome. Il gigante si divertiva a dondolarsi prima da un lato e poi dall’altro della mia sedia che scricchiolava.

“Ehm! Guardi che la mia sedia è molto vecchia e non vorrei che sua Signoria …”

“Il suo Supremo di grazia.”

Sì e ho tossito per soffocare la mia risata di profondo scherno “Non vorrei che cadesse.

Ecco tutto”.

“Se potessimo andare subito al dunque, il tempo stringe.”

“Certo, capisco.”

“A lei è capitata una fortuna enorme. Il suo prossimo lavoro è quello che Uno Serie

1.110,878 ha iniziato”

“Cosa ne so io di elettronica!”

“Il lato pratico è già stato eseguito alla perfezione dal suo predecessore. Ora c’è bisogno di un Uno che si occupi del collaudo di Moonlight.”

Il mio sguardo, che seguiva il gigante come un pendolo, doveva diventare sempre più incredulo perché il Supremo mi ha detto: “La soluzione definitiva è lei”.

“Io?!”

“Guardi che NOI sappiamo benissimo che lei non solo è in possesso di Moonlight, ma che la usa. Cosa crede? Che l’appartamento Lumiere glielo abbia consigliato la Polizia di Stato o quella Penitenziaria? Non credo proprio!”

“Io non c’entro niente!” ho piagnucolato “La scatola nera me l’ha regalata il mio amico Uno!”

“La pregherei di non riferirsi a Moonlight come scatola nera! Moonlight è un congegno molto sofisticato.”

“Si, lo so! Serve per svegliarsi!”

“Uno, non provi a fingere con me!” ed il movimento precipitoso del Supremo ha definitivamente spaccato la mia povera sedia facendolo cadere rovinosamente a terra con il suo lungo cilindro impazzito che pareva crescere a dismisura come un fungo malefico.

A tale scena, stavo per scoppiare a ridere quando un lamento convulso mi ha colto di sorpresa.

*****

Sopra la mia porta, infatti, ormai anche lei ridotta in poltiglia proprio come la mia sedia, se ne stava inginocchiato quello che all’apparenza era un alto Responsabile del Ministero del Lavoro.

“Che accidenti sta succedendo qui” e via scorrendo, stavo farfugliando in preda alla più totale confusione mentre l’omuncolo pelato, vestito nella sua Uniforme Nera, con lo stemma della Falce ed il Martello argentata impressa sulla manica sinistra della sua giacca pressurizzata, cantilenava senza tregua:

“Dalle cime tempestose di Atlas, ai cieli tersi di Constantine, quale onore essere al cospetto del Supremo Desertyne!”

“Non vorrei mancare di rispetto a nessuno ma questo è il mio mini-mono-locale e vedo che non riuscite a smetterla di irrompere …”

“Uno! Si, calmi!” mi ha intimato il gigante ormai in piedi, e dopo essersi meticolosamente riaggiustato la tuta blu ed il cilindro in capo, si è rivolto al calvo:

“Si identifichi.”

“Pantagloux Locustas”

“Si alzi pure” ed il mostriciattolo si è piazzato sulla mia sventurata porta come una scimmia su di un trapezio.

Era talmente brutto che non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Non sapevo se provassi più compassione o ribrezzo.

“Uno, non glielo ha mai detto nessuno che è un segno di cattiva educazione fissare un suo superiore?!” mi ha acidamente rimbrottato il bruttone.

“Ehm! Sì, scusi! Mi perdoni!” e ho dovuto fare uno sforzo sovrumano per staccare gli occhi da Locustas che, più lo guardavo, e più, in effetti, mi assomigliava ad una cavalletta.

“Quale è il suo incarico?” ha chiesto il Supremo piuttosto seccato.

“Sono qui per condurre con me Uno. C’è urgente bisogno di sostituire un operaio all’interno dell’accampamento Plaster e …”

“Questo è del tutto fuori discussione!”

Il Responsabile del Ministero del Lavoro stava per ribattere e anche piuttosto aspramente. Si vedeva che non era abituato ad avere un no come risposta.

La rivoltante cavalletta è rimasta totalmente spiazzata, e tumefatto in faccia, il mostro si è sforzato di mantenere la calma con un petulante:

“Ma il mio superiore, perché io ho solo un superiore, non sono un comune impiegato e …”

“Ne sono certo. Non dubito affatto né del suo grado né della sua capacità. Il punto è che Uno ha già un incarico, qui, con ME!” e la ganascia della cavalletta è letteralmente caduta producendo un suono vagamente simile allo stridere del gesso sulla lavagna.

“Che genere di incarico?” ha chiesto Locustas dopo una brevissima pausa in cui, persino un lobotomizzato come me, non poteva fare a meno di avvertire la tensione fra i due.

“Non sono tenuto a discutere, con tutto il rispetto per il suo prezioso, ruolo e rango, una questione molto delicata che riguarda esclusivamente NOI perché, se insiste, mi vedrò costretto a prendere dei drastici provvedimenti contro di lei, non so se mi spiego?”

La cavalletta ha preso a tremare ed è crollata in ginocchio.

“Per l’amore dei Supremi, lungi dal vanificare i vostri progetti, tutti tesi al nostro più alto interesse ed il Bene Comune. Non me ne vogliate se vi ho innervosito, ma il mio superiore non sarà contento.”

“Il vostro superiore di certo troverà cose di sua competenza di cui occuparsi. Noi non apprezziamo che Voi vi immischiate in questo affare, e se il vostro superiore ha dei problemi ad accettare la Nostra decisione, NOI lo aiuteremo a mettersi l’anima in pace in senso metaforico e no! Dopo tutto, come è ben risaputo, questa è la nostra specialità”

A questo discorso, la cavalletta è balzata in piedi, e con voce rotta, ha proclamato bandiera bianca ed è pure scappata da casa mia a gambe levate!

Che soddisfazione! Che gioia! Nel mio più completo stato di euforia, ho abbracciato il Supremo e ho gridato, con le lacrime agli occhi:

“Quanto ho aspettato questo giorno!”

“Come il padre con il figliol prodigo” mi ha confessato il Supremo, dopo avermi posato sul letto con estrema delicatezza.

“Adesso voglio che dorma.”

“Veramente mi è passata la voglia di dormire e vorrei leggere la lettera del mio amico Uno.”

“Dopo potrà leggerla ma prima deve dormire.”

Era posato su di me e mi guardava e parlava come un angelo.

“Ma io non ho sonno. Da quando è apparso lei, mi sento rinvigorito e …”

“Guardi il mio cilindro. Lo guardi attentamente” ed io ho eseguito il suo ordine.

“Che cosa vede?”

“Si muove.”

“Eh! Si! Si muove. Segua i suoi movimenti” ed io li ho seguiti. Due balzi in avanti e due indietro, tre oscillazioni verso destra e tre a sinistra, un movimento orario, un altro antiorario e ancora due balzi in avanti e due indietro e così via.

Centro! I miei occhi si chiudono, e quando questo succede, penso che, appena mi sarò risvegliato, dovrò chiamare per la milionesima volta un fabbro per sistemare la porta.

Il sogno lucido ha funzionato.

Il Supremo nel sogno è venuto a bussare alla porta di casa mia. Io gli ho aperto, sapendo che era lui, il mio vecchio amico Uno. La sua scatola nera è sospesa in aria fra di noi e lui mi ha costretto ad intonare la prima canzone che mi sarebbe venuta in mente.

Il bello è che, come ho iniziato a cantare, la scatola nera mi ha emulato.

“Cosa significa tutto questo?” mi ha chiesto pazientemente il mio caro amico Uno che nel sogno lucido appariva al posto del Supremo.

“Si sintonizza sulle mie frequenze e riproduce esattamente quello che mi succede dentro”

“Il cervello è un lettore di ologrammi” mi spiega il mio amico Uno con la voce del Supremo “Moonlight ed il tuo cervello si incontrano in quel punto in cui lo spazio, il tempo e l’energia si annullano.

Non si riproduce niente. Sono semplicemente la stessa cosa”

Nel sogno lucido, dopo questa frase lapidale, la scatola nera ed io ci siamo fusi e abbiamo cominciato a giocare insieme, infatti, come un’emozione, un pensiero, una sensazione s’impossessava di me, la scatola nera riproduceva istantaneamente una canzone che rifletteva lo stato in cui mi trovavo in quel preciso momento.

“Vedi con quale velocità cambia canzone?”

Ho risposto di sì. Non pensavo di certo di poter formulare tanti pensieri e produrre tante emozioni così esageratamente diverse e persino contrastanti fra di loro!

“Credi nella preveggenza?” mi ha chiesto Uno mentre una canzone succedeva ad un’altra.

“Non so cosa sia quello che mi chiedi.”

“Puoi sapere come ti senti al momento. Credi di poter sapere come ti sentirai prima di quel momento?”

“A me parrebbe di sì.”

“E come mai?”

“Perché tutte le volte che mi sono svegliato al suono di una certa canzone, ho avuto una precisa indicazione su come sarebbe stata la mia giornata o di un particolare avvenimento che avrebbe caratterizzato la mia giornata.”

“Quindi se sai cogliere il messaggio, hai l’opportunità di prepararti alla nuova giornata.”

“Se so cosa mi succede prima, è un grande vantaggio.”

“Potresti, per esempio, evitare degli errori e rendere la tua vita più fluida, migliore. Questo è lo scopo di questa nostra collaborazione. Ti insegnerò ad interpretare la canzone.”

“Magari!” ho risposto sinceramente compiaciuto ed in quel preciso momento, al posto di Uno, è apparso il Supremo Desesrtyne.

“Noi Supremi ne abbiamo avuto abbastanza! Non ne possiamo più di vedere sempre più persone diventare dei lobotomizzati! Abbiamo calcolato che se le cose dovessero continuare di questo passo, non resterebbe che un’esigua parte della popolazione sana e chi ci garantisce che, alla fine, finirebbe lobotomizzata anche quella?!”

“Un mondo di lobotomizzati” e ho sorriso compiaciuto.

“Bene, adesso, ti sveglierai. Sei pronto?”

“Sì” e come ho aperto gli occhi, la scatola nera ha riprodotto una bellissima canzone: “I surrender” di David Sylvian.

Dal letto ho lanciato un grido di gioia. Mi sono sentito sollevato. È stato come se tutto il dolore, la tristezza, la stanchezza di un’intera esistenza fossero scivolati via. Ricordavo, per filo e per segno, tutto quello che mi era successo.

Con i miei occhi, che fissavano dentro gli occhi del Supremo, sapevo che la paura, per sempre, aveva lasciato posto ad una fiducia del tutto nuova.

Il momento giusto della mia rinascita, una rinascita intuitiva all’ora giusta, nel luogo perfetto. Il Supremo era seduto sulla sponda opposta del letto ed era riverso sulla scatola nera. La teneva stretta e la studiava con attenzione.

“Cosa mi racconta di bello?”

Io mi sono sollevato, e mezzo frastornato com’ero, gli ho risposto a fatica:

“La mia condizione è radicalmente cambiata”.

“Bisogna assicurarsene” e dal cilindro, ha tirato fuori un taccuino ed una cosa che assomigliava vagamente ad una penna stilografica.

“Ma io non so più scrivere” mi sono difeso.

È diverso. In questa situazione lei dovrà annotare il brano musicale e sotto, vede le faccine? Le emozioni ad esso associate. È importante che sia il più accurato possibile”

L’ho visto alzarsi ed infilare con cura la scatola nera, il taccuino, la penna stilografica e la busta bianca dentro il suo cilindro, che aveva posato a terra.

“Adesso io e lei andiamo a Lumiere” ed io, con un entusiasmo, che non ricordavo di avere provato da molto tempo, mi sono buttato giù dal letto.

“Sono pronto!”

“Entri dentro!” ed io, più per curiosità che per obbedienza, prima ho infilato dentro la gamba destra.

Quando mi sono accorto che c’era ancora spazio e che la sensazione era molto piacevole, ho subito infilato dentro anche l’altra.

Lentamente mi sono visto scivolare giù fino a che tutto è sparito dalla visuale.

Alloggio numero 207, quinto piano.

Una Clessidra aveva lasciato le cose del mio amico Uno sparse per l’appartamento grande e luminoso.

Il Supremo si è posizionato al suo centro, e con una velocità mai vista prima, ha sistemato gli oggetti sopra i mobili e nei cassetti. Sembrava una centrifuga, tanto che ho dovuto smettere di guardarlo per evitare dei forti capogiri!

“Ecco fatto!” ha annunciato il Supremo e mi ha fatto cenno di andare a sedermi all’unica, spaziosa scrivania dove la luce dell’intero appartamento ricadeva come una potente cascata. Mi ha restituito la busta bianca e mi ha consegnato il taccuino e la penna stilografica. Sempre dal cilindro, posato a terra davanti a lui, ha ripescato la scatola nera e l’ha lasciata sulla scrivania insieme a tutto il resto.

“Qui lavorerai meglio. Sei circondato dagli oggetti di Uno. Ti aiuteranno a rilassarti, a trovare una tua dimensione.”

“Come fa a saperlo?” ho chiesto con la voce spezzata “Voglio dire, so che lei è un Supremo, ma sa proprio tutto di me?!”

“No, non tutto. Se NOI sapessimo tutto su di VOI, sapremmo anche come riequilibrare la vostra frenetica attività celebrale unita alla vostra sproporzionata effusione di emozioni. Si, a quel punto, potrei onestamente affermare che NOI conosciamo davvero tutto.”

Incapace di proferire parola, sono rimasto a fissarlo a bocca aperta.

“Il vero problema” ha continuato il Supremo indisturbato “si è manifestato quando le macchine hanno quasi del tutto soppiantato l’uomo.

Pensavamo avreste impiegato il tempo in maniera costruttiva ed invece siete diventati ancora più distruttivi, altamente distruttivi.

Vi abbiamo procurato del buon cibo, dell’acqua potabile, case confortevoli, una vita piacevole. Malgrado tutto la vostra aggressività è inspiegabilmente aumentata.”

“Ed è in quel momento che avete optato per la lobotomia?” ho chiesto con un misto di odio e di incredulità.

“Mio caro Uno, la lobotomia attuale non ha niente a che spartire con quella inflitta secoli fa! Il nostro intento era quello di attenuare tutta questa vostra auto distruttività.

All’inizio abbiamo tentato con le varie forme di dipendenze: droghe, sesso, intrattenimento, sport. Abbiamo azzerato lo stress di solito causato dalle religioni, dalla politica, dall’economia.

Diamine! Niente! Lo stress per il lavoro ve lo abbiamo tolto, chi voleva lavorare lavorava, chi voleva poltrire, poltriva. Tutti avevano diritto ad un alloggio, alle cure mediche, questo per eliminare la criminalità e la prostituzione.”

“Pro-che?”

“Mi spiego meglio: un tempo lavorare come Geisha era contro la legge”

“Ah!” ho quasi gridato sconvolto ripensando al travestimento della mia adorata Bocca di Seraphine, ma il Supremo ha continuato scatenato nella sua aberrante spiegazione:

“Abbiamo liberalizzato ogni tipo di droga tanto che adesso non interessano più a nessuno, ogni tipo di promiscuità tanto che ora quasi più nessuno ha desideri carnali e quel che è peggio è che l’aggressività insita in ciascuno di voi aveva raggiunto il picco! Per risolvere questo problema, abbiamo confiscato ogni tipo di arma, da quelle più semplici a quelle più letali e neppure questo è servito perché la gente si picchiava, si linciava, si pestava! Insomma! La lobotomia è stata l’unica cosa che abbia dato dei risultati soddisfacenti. Ora però” ed è tornato a fissarmi con un’intensità paurosa “tu e Moonlight cambierete il vostro destino nefasto.”

“In meglio?” ho chiesto scettico.

“Che domanda! È ovvio!” ed in maniera concitata, il Supremo mi ha esortato ad indossare il suo cilindro.

“Buon lavoro!” mi ha salutato prima che la scatola nera si accendesse e la mia mano cominciasse a prendere nota dei pensieri e le emozioni sul taccuino con la penna stilografica.

Una sequenza di varianti ha acceso, sollecitato ogni parte del mio cervello.

Non credo di essere stato mai così vigile. In una sola giornata, la scatola nera ha trasmesso venti canzoni diverse, tutte contrastanti o quasi fra di loro.

Il Supremo mi è apparso davanti qualche istante prima che reclinassi la testa sulla scrivania.

“È giunta l’ora di tornare a casa.”

Il giorno dopo il Supremo mi ha ricondotto a Lumiere, dove sono rimasto da solo con il suo cilindro e la scatola nera, il mio speciale taccuino e la penna stilografica che scorreva su di esso al ritmo di ogni brano musicale.

Ho annotato con diligenza, tutti i giorni, l’ordine preciso con cui ogni canzone era stata trasmessa e la sua frequenza.

Non ho visto nessuno, non ho parlato con nessuno.

Solo il Supremo Desertyne interagiva con me all’ora dei pasti quando, dal nulla, mi si materializzava davanti con leccornie ed infusi caldi ed infine, la sera quando mi riconduceva per mezzo del suo cilindro a casa fino alla mattina seguente al momento del mio risveglio. Una di quelle mattine in questione, che ero appena stato risvegliato da una canzone come “Imagination” dei Just an Illusion, la porta di casa mia ha subito una devastante tempesta di calci e pugni.

“Non ti muovere” mi ha esortato il Supremo Desertyne che, con il suo passo felpato e sicuro, è andato ad aprire la tremante porta di casa mia.

“Disarmante” ha esordito allegramente il gigante alla vista della mia adorata Una Bocca Seraphine.

“Bussa con la forza di un Uno, mia cara!” e la mia dolce metà ha riaggiustato il suo adorabile cappottino laminato, e dopo essersi passata le mani fra la folta criniera di capelli ondulati, ha risposto:

“Dove è la mia anima gemella?”

“Sono qui!” le ho risposto timidamente dal letto.

“Oh! Per l’amore dei Nostri Supremi, avevo paura ti fosse accaduto qualcosa di terribile!” ed è subito corsa ad abbracciarmi.

La tenevo stretta fra le braccia mentre mi sussurrava all’orecchio tenere parole d’amore, ma i miei occhi erano incollati sul Supremo Desertyne il cui cilindro ondeggiava come un mare in tempesta.

“Per l’amore dei Nostri Supremi” l’ha imitata il gigante compiaciuto e si è avvicinato a noi ondeggiante come un’odalisca.

“Che visione!”

“Visione?” ha ripetuto in tono sprezzante la mia dolce metà staccandosi dal mio petto.

“Seraphine!” ho tentato di richiamare la sua attenzione ma inutilmente.

“Crede forse che io non sappia chi è lei?”

“Chi sono io?” ha chiesto divertito il Supremo mentre io tremavo come una foglia secca.

“Lei fa parte di quei bastardi che stanno là sopra a guardare” e ha indicato con l’indice il soffitto “a guardarci compiaciuti e si divertono alle nostre spalle!”

Il Supremo Desertyne la studiava compiaciuto.

“In parte, ma solo in parte, ha ragione.”

“Questa è buona!” ha ribattuto colma di disprezzo Bocca di Seraphine.

“Seraphine, ti prego!” ho mormorato intimorito.

“Seraphine, eh?!” ed il gigante mi ha lanciato uno sguardo pieno di affetto che mi ha tolto il fiato.

“Immagino che sia stata lei a decidere riguardo al nome” e ho aspettato che mi fornisse una delle sue solite shockanti rivelazioni.

“Caro angelo Serafino, la conoscenza che ci chiedete in realtà è totalmente nelle vostre mani. In realtà, lo è sempre stata. Anzi, siamo Noi che abbiamo disperatamente bisogno di voi” e a quell’ammissione, Bocca di Seraphine non è stata più capace di ribattere.

È vero, Noi stiamo a guardare ma non ci divertiamo ed è qui che si sbaglia. Al contrario di quello che potrebbe sembrare, Noi siamo molto preoccupati perché se le cose dovessero continuare così, non avremo più nessuno con cui rispecchiarci. Un’eternità impiegata a fare cosa? Che noia! Fondamentalmente, il mito va, dunque, sfatato. Niente di personale, ma qui c’è del lavoro urgente e qui entra in gioco anche lei Seraphine.”

E Bocca di Seraphine ha obiettato:

“È contr la legge. Io ed Uno non dovremmo neanche contemplare di stare sotto lo stesso tetto!”

“Lo sappiamo, con il risultato in uno sbalorditivo infelice risvolto di eventi.”    

“State forse cercando di dire che non è stata colpa vostra?”

Sebbene il Supremo fosse stato aggredito dal tagliente tono di voce della mia Una, non ha perso le staffe e le ha risposto persino con maggiore affabilità.

“Per quanto l’eventualità fosse stata contemplata, eravamo certi che il bisogno di unione vi avrebbe ricondotti insieme, e anche questa, è diventata una delle nostre maggiori preoccupazioni. Abbiamo bisogno di un Uno e di un’Una e Voi siete la coppia perfetta!” “Perfetta per cosa?” ha chiesto sovreccitata Bocca di Seraphine.

“Per lavorare con la scatola nera” sono timidamente intervenuto e lei, con il suo solito contagioso entusiasmo, mi ha gettato le braccia al collo, e malgrado la presenza di un Supremo, mi ha baciato.

Lo sguardo del gigante era uno sguardo benigno.

Persino una personalità focosa come quella di Bocca di Seraphine si era ridimensionata. Intanto, a Lumiere, la scatola nera continuava a trasmettere canzoni a raffica sia quando ero da solo sia quando ero con Bocca di Seraphine ed il Supremo ora seguiva scrupolosamente le tracce per poi infilarle con diligenza dentro il suo cilindro.

“Dove finiscono tutti i nostri appunti?” ho chiesto al gigante che aveva appena dato in pasto al suo cilindro, la più lunga lista mai vista in tutti quei giorni di lavoro forsennato.

“Dai Supremi che elaborano la musica. È facile”

“Per quanto ne avremo ancora?” ha chiesto spazientita Seraphine.

“Siamo agli sgoccioli” ha risposto il Supremo in tono rassicurante “E’ questione di poco. Il peggio è passato”

“Veramente io mi sono divertito” e Seraphine mi ha sbirciato in tralice.

È interessante vedere, per esempio, come i due poli si siano interscambiabili.”

“Poli?” ho chiesto pieno di curiosità mentre Seraphine giocava con le penne stilografiche imitando degli animali in estinzione.

“Il maschile ed il femminile.”

“Cos’è accaduto?” ha domandato ancora più incuriosito.

“E’ successo che tu, Uno, hai un comportamento ricettivo, Una, invece, non ha alcun tipo di vita interiore se non quella predisposta all’azione fisica e all’attività dell’astrazione intellettuale.”

“E questa cosa comporta?”

“Questo è il risultato dell’esperimento. Adesso sappiamo perché il Vostro comportamento è diventato così autodistruttivo!”

“E ora che lo sapete, cosa pensate di fare?”

“Niente” Seraphine è intervenuta dal lato opposto dell’appartamento da cui ci scrutava “Niente” ha ripetuto a voce ancora più alta. In nome dei Grandi Supremi era livida di rabbia!

“Perché non la piantate di fingervi questi infallibili Dei e ammettete la Vostra inettitudine?!”

“Perché nei prossimi giorni saremo in grado di porre rimedio a questo errore e tutto sarà come doveva essere dal principio” le ha risposto candidamente il Supremo mentre la faccia arcigna di Seraphine lo fissava con puro disprezzo.

“Io non Vi credo. Con il casino che avete combinato, non c’è più modo di sapere come andrà a finire?”

“Si accettano scommesse” ha replicato placidamente il Supremo.

“Non le conviene accettare la scommessa con me. La perderebbe e le conseguenze per Voi sarebbero estremamente sgradevoli.”

Il Supremo Desertyne ha annunciato con un sorriso di compiacenza:

“Accetto le conseguenze della scommessa. Non è la prima volta che Noi e Voi ci sfidiamo

e devo dire che mi stavo preoccupando. Temevamo che ve ne sareste dimenticati come del resto Vi siete dimenticati di tutto, inghiottiti dall’oblio più totale.”

La mano di Seraphine ha camminato lentamente verso quella del Supremo che era già aperta.

Un segno di vittoria, un segno di sconfitta, chi lo sa, ma il patto è stato suggellato davanti ai miei occhi annacquati.

Una forza della Natura ci ha definiti, Desertyne.

Durante gli spasmodici, ultimi giorni dell’esperimento, quella scatola nera ha prodotto di tutto, da brani di musica classica, opera, blues, country, jazz, disco, rock, funk, acid, house, metallica, punk, dark, pop, hip-pop, latino, gospel, techno, occidentale, orientale, asiatica, indiana, africana, celtica insomma una rapsodia interminabile.

“Abbiamo scomposto e ricomposto le melodie e le abbiamo ricomposte di nuovo. Siamo

giunti all’esito finale” ci ha annunciato le buone nuove il Supremo al centro dell’appartamento di Lumiere con il suo cilindro sobbalzante.

“Felicitazioni!” ha gridato estasiato.

“Felicitazioni un corno!” ha gridato isterica la mia compagna.

Io ho provato a trattenerla ma lei è stata, come al solito, più veloce.

Adesso Seraphine e Desertyne stavano l’uno di fronte all’altro, uno con un’espressione mansueta di un agnellino, l’altro con un’espressione truce di un mastino.

Io?

Non so, me ne stavo in disparte, quasi mortificato da quella scena anacronistica.

“Dopo millenni, secoli di sudditanza, ti ucciderò con le mie stesse mani!” e Seraphine ha estratto dalla tasca del suo cappottino laminato un’affilata lama e l’ha puntata contro il Supremo.

Ho lanciato un grido ma non mi sono sentito urlare perché, come Seraphine ha sfoderato l’arma, un’orda di Supremi è apparsa dal nulla, e dallo spavento l’arma le è scivolata di mano.

I Supremi avevano tutto meno che intenzioni minacciose, al contrario, le loro espressioni facciali erano di gaudio. Erano tutti della stessa altezza e corporatura, l’unica differenza stava nel colore della tuta e del cilindro.

Mi hanno fatto segno di prendere posto accanto a Seraphine ed io, ipnotizzato da tanta calma e serenità, mi sono visto camminare verso la mia compagna che mi guardava spaurita e che mi parlava concitatamente.

Io, però, non la sentivo perché la busta bianca si è aperta e ciò che ne è uscito fuori è stata una nuova scatola nera che si è accesa, e a tutto volume, emetteva questa bellissima canzone: “Moonlight Shadow” di Mike Oldfield.

Ho visto i Supremi circondarci, dopo aver travestito in un batter d’occhio la mia compagna da Geisha.

“Come ai vecchi tempi” ho pensato. e a quel pensiero, la mia dolce metà ha abbozzato un sorriso di complicità.

Unione ed altre parole ci sono venute in mente mentre abbiamo visto la lama penetrare una luna piena così grande e luminescente.

Quando io e Seraphine ci siamo svegliati, ci potevamo guardare, parlare, ascoltare e toccare.

La musica di Moonlight ci fa da ponte.

Io e Seraphine adesso risediamo in un unico corpo e presto toccherà agli altri Uni ed Une.

L’inizio di una nuova Era.

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