CATTOLICA di Luca Ricci

Claudio e i suoi amici avevano trascorso tutti i fine settimana di quei mesi, clandestinamente, a casa di qualcuno di loro.

Il venerdì sera dopo il lavoro, andavano a fare la fila fuori dal supermercato per comprare vino e piatti pronti da condividere.

Quando non bastavano ordinavano su Just Eat e anche dopo l’ora del coprifuoco potevano mangiare la pizza.

Nottate insieme a parlare di qualsiasi cosa davanti alle serie Tv dopo aver fatto Karaoke con YouTube o giochi da tavolo. Chi abitava fuori porta, dormiva sul divano e la mattina seguente, fuggiva come un ladro. Nonostante l’impossibilità di vivere come gli anni pre-pandemia, si era creata una convivenza che, quando mai non fosse più stata necessaria, gli sarebbe venuta a mancare.

Una sera Fanny portando in tavola dei crostini disse:

“Perché non prendiamo un appartamento tutti insieme quest’estate al mare?”

L’idea era allettante ma rimaneva il dubbio di cosa sarebbe stato di ognuno, liberi da quelle restrizioni. C’era chi voleva viaggiare e chi avrebbe voluto fare una vacanza con un’altra comitiva come l’anno prima.

Nessuno negò mai l’intenzione, a patto, di trovare un’occasione conveniente per tutti.

Il primo giugno, Fanny e Francesco erano già in autostrada mentre Giuseppe, Valentina e Claudio stavano ancora cercando di incastrare più cose possibili nel bagagliaio da portare al mare. Con loro viaggiava anche Penny, la piccola Jack Russell di Claudio. Era appena stata sterilizzata e soffriva il mal d’auto.

Avevano trovato una casa a Cattolica con tre camere da letto, una cucina e un bagno. Era abbastanza spaziosa da ospitare fino a otto persone.

Durante la settimana, Davide faceva smart working, Valentina era in convalescenza da un problema di salute cronico e Claudio invece, lavorando come agente di commercio, la usava come base d’appoggio qualche giorno e poi rientrava per tutto il fine settimana. Gli altri solitamente arrivavano in treno o in auto il venerdì sera e il sabato.

La vita nell’appartamento sembrava la sitcom degli anni ’90 “Friends”.

La cosa bella era che, nonostante le routine indipendenti, ogni sera dopo il lavoro, si ritrovavano in spiaggia per l’aperitivo al tramonto. La luce del sole svaniva tardissimo e così sembrava di essere sempre in vacanza.

In città, per uscire, bisognava organizzarsi ad orari e luoghi d’incontro mentre nella casa al mare era come essere sempre fuori.

Claudio con il carattere che aveva e grazie al cane che attirava i complimenti dei passanti, nel giro di pochi giorni era conosciuto da tutti vicini. In luglio decise di trascorrere una settimana delle sue ferie in relax in quella casa a prescindere da chi ci fosse dei suoi amici.

Tutte le mattine portava Penny a correre sulla spiaggia libera vicino al porto. Ogni giorno faceva un tratto di strada con la vicina di casa e il figlio.

Lidia, una donna di 45 anni, vedova. Aveva il viso scavato e l’aspetto poco curato. Si vedeva che era prosciugata da una vita difficile tutta dedicata al figlio disabile sulla sedia a rotelle.

Stefano 19 anni, magro e pallido con le occhiaie scure sotto gli occhi. Aveva i capelli mossi che gli coprivano la fronte e nascondeva sempre il viso. Guardava in basso con la testa a penzoloni e non parlava mai. L’unico gesto che gli faceva comparire una minima luce negli occhi e scoprire appena i denti sotto le labbra, era tenere al guinzaglio Penny.

Il padre era un architetto famoso che era scomparso dieci anni prima in un incidente stradale dal quale si era salvata Lidia per miracolo.

La vita della madre e il figlio sembrava lenta e silenziosa. Era una simbiosi organica nella quale non si percepiva un legame affettivo. 

Claudio la vedeva quasi come una convivenza obbligata e ogni giornata passava all’insegna del sacrificio di non poter dividersi sopprimendo le felicità reciproche.

La passeggiata mattutina al porto si trasformò in un’amicizia. Claudio raccontava tutto di sé e ascoltava i consigli della signora. Lidia era gentile e comprensiva. Ogni tanto faceva dei favori al ragazzo come stirargli una camicia o rammendargli un bottone. A volte gli portava un pezzo di torta che aveva cucinato la sera per colazione.

Stefano parlava poco e ogni tanto faceva qualche domanda sotto quella frangia di boccoli. Ascoltava tutto e piano piano si stava affezionando a Claudio e Penny. Nei giorni in cui Claudio partiva per andare in trasferta, la famigliola si prendeva cura della sua cagnolina. Il venerdì sera quando tornava, ordinava la pizza e cenava da loro prima di andare a fare i bagordi con gli amici. Intanto che Lidia preparava la tavola, Claudio e Stefano guardavano le repliche del quiz televisivo “L’Eredità” di Rai1.

Stefano era affascinato dalla velocità di Claudio nell’indovinare le parole secondo le definizioni del conduttore. Quando le sbagliava, il ragazzino rideva di gusto sollevando la faccia e ribaltando la testa all’indietro mostrando tutta la dentatura con la bocca aperta.

Un sabato pomeriggio in spiaggia, dopo aver fatto il bagno, Claudio aveva trovato una chiamata persa sul cellulare. Richiamò Pier Paolo:

“Hey Pier, come stai?”

“Ma sei sempre in vacanza al mare?”

“No, guarda che lavoro durante la settimana!”

“Quando torno dalla Sardegna, ti voglio venire a trovare, cercami un albergo decente.”

“Non vedo l’ora! Devo farti vedere dei posti fighissimi. Prima di quest’anno non avrei dato due lire a Cattolica invece adesso me ne sono innamorato!”

“… Siii… chissà di chi ti sei innamorato stavolta?”

“Eh…ne ho di cose da raccontarti, ma soprattutto quello che mi fa star bene qui, è la gente che ci abita che ho conosciuto. Sarà dura tornare a Bologna.”

“Guarda che quest’anno riaprono le fiere e riprendono gli eventi. Ti ricordi prima del covid la Design Week?”

“Come no, tutte le sere mi portavi a scroccare degli aperitivi della madonna in posti veramente Top!”

“Sono contento che tu stia bene ma ti voglio carico a settembre, adesso che sei single ti presento un paio di amiche ricche così la smetti con le scappate di casa.”

“Ah, sei sempre il solito ah ahah. Va bene, ti aspetto quando torni.”

Due anni prima.

Pier con tono scocciato:

“Dove sei? Guarda che tra poco chiudono il buffet!”

“Sto arrivando ho parcheggiato sotto Piazza VIII Agosto. Dov’è di preciso?”

“Siamo dentro Palazzo Isolani in Piazza Santo Stefano. La presentazione del libro ormai te la sei persa!”

“Ho capito ma non l’ho fatto apposta, stavo lavorando! Chi c’è con te che hai detto “siamo”?”

“Ah mi si è attaccata una tipa strana … a me sembra fulminata…”

“Perfetto, la serata è già partita bene.”

Era settembre del 2019, l’estate si era prolungata, e in città, sotto i portici, faceva ancora caldo. Claudio arrivò all’aperitivo in camicia sudato con la giacca sottobraccio.

“Eccomi Pier, scusa. Devo bere subito perché sono sclerato!”

“Vieni con me che intanto ti presento la matta.”

“Piacere Marlene.”

“Piacere Claudio, non ho capito il tuo nome scusa.”

“Marlene.”

“Di dove sei? Sei italiana?”

“Ma certo, di Pescara.”

“Beh comunque bel nome, cosa stai bevendo?”

“Credo un prosecco, me l’ha portato il tuo amico Pier Giacomo”

“… Pier Paolo, si chiama Pier Paolo, chiamalo Pier.”

Intanto l’amico si stava avvicinando con dei calici con quel passo nervoso che gli davano le sue gambe lunghe e magre:

“Guardavo se c’era altro da mangiare, qui è tutto vegano.”

“Prendi la pasta, è col sugo. Tu Marlene sei vegana?”

Ridendo con l’aria avvinazzata appoggiò la testa alla spalla di Pier:

“T’immagini un’abruzzese vegano? Ah ah ahaha.”

Pier strabuzzò gli occhi in segno di disapprovazione della confidenza che la ragazza si era presa appoggiandosi e cambiò discorso:

“Ho detto a Gabriele che ci vediamo al Cuveè in via Porta Nova e poi andiamo insieme ad un altro evento di una mia amica lì vicino.”

“Tu Marlene, vieni con noi?”

“In realtà mi dovevo incontrare con un’amica ma non si è ancora fatta sentire. Al massimo si unirà dopo.”

La serata era all’insegna del nonsense. La cosa che faceva più divertire erano le uscite fuori luogo della ragazza appena incontrata. Faceva discorsi seri che non c’entravano con il mood glamour-alcolico, tra un opening e l’altro. Parlava della sua vita, di un passato difficile con una persona pericolosa della quale non riusciva a liberarsi ed era arrivata a Bologna in cerca di un riscatto.

Prima di tornare alle macchine, si fermarono di nuovo al Cuveè per un ultimo shortino.

Nel tavolo vicino c’era un gruppo di trans, tra le quali Claudio aveva riconosciuto Sofia “La Papessa” che gli aveva presentato Fanny. La sosta veloce si era trasformata in una festa di doppi sensi e batture pesanti fino a tardi.

All’uscita Claudio si era proposto di dare un passaggio a Marlene insieme a Gabriele. Raggiungendo il parcheggio a piedi, passarono davanti alla chiesa di San Salvatore. La ragazza domandò ai due accompagnatori se ci fossero mai entrati. Raccontò di essersi rivolta a Fra Lorenzo per aiutarla a chiudere le sue porte dell’emotività. Claudio incredulo e ubriaco replicò:

“A fare cosa?”

“Non scherzare Claudio, ti ho inquadrato stasera, tu hai le porte dell’emotività aperte. Stai attento.”

“E cosa vuol dire?”

“Che sei vulnerabile per i demoni. Li attrai e possono farti del male.”

“…Ma cosa dovrei fare per chiudere queste porte?”

“Dovresti parlarne con un prete che ne capisce qualcosa.”

Claudio non riusciva a prenderla sul serio e tutto gli sembrava uno scherzo. Si mise ad urlare a Pier che era rimasto indietro:

“Stasera finalmente ho capito qual è il mio problema… è che ho le porte dell’emotività aperte ah ahaha ah!”

“Per me dovresti cominciare a chiudere la bocca che sei ubriaco e dici solo cazzate!”

Una sera, dopo il lavoro Claudio, passò da casa a prendere la Penny per andare a correre al faro. La teneva senza guinzaglio perché slegata era più impaurita e lo seguiva alle calcagna cavalcando sulle zampine corte. Si dovevano fermare strada facendo per i suoi bisogni.

Nel piazzale della darsena, Claudio faceva alcuni esercizi fisici e poi ripartivano verso casa. Prima di salire nell’appartamento al secondo piano, stava qualche minuto sull’ampio marciapiede della lavanderia di Via Viole a fare gli ultimi piegamenti sulle braccia.

Una sera, intanto che sudava sull’asfalto rovente, lo chiamò Giuseppe:

“Claudio, c’è un cambio di programma. Stiamo scendendo a Cattolica ma ci fermiamo direttamente a Riccione. Ci raggiungi?”

“Si certo, ditemi dove siete e arrivo. Ho finito di allenarmi adesso. Doccia e ci sono!”

“Vieni da solo?“

“Eh sì, sono da solo anzi, sono qui con la Penny che si allena con me.”

“Ok a tra poco.”

Intanto che chiudevano la telefonata, Claudio si era abbassato a terra allungando la mano e strizzò affettuosamente un orecchio della cagnolina.

Dopo la serie, si era appoggiato al muro per rimanere in equilibrio e allungare i tricipiti della gamba.

Penny annusava qualsiasi cosa e inseguiva delle orme invisibili. Spostandosi di pochi metri dal padrone, sempre con il naso piantato a terra scese dal marciapiede.

Proprio in quell’instante, un Suv, l’aveva travolta passandoci sopra.

Claudio aveva visto esattamente quel fotogramma di un film che non avrebbe mai dimenticato. Il suono di un tonfo senza nessun latrato. La piccola era rotolata sotto i pneumatici.

Come al rallentatore, si avvicinò per soccorrerla mentre muoveva le zampe anteriori. Vide gli intestini fuoriusciti. Pochi secondi dopo, il cane aveva smesso di zampettare e aveva appoggiato la testa sull’asfalto con la lingua fuori.

Il padrone non riuscì a fare nulla.

Fu colto da una morsa allo stomaco e dovette sdraiarsi perché aveva i conati e si sentiva mancare.

La macchina si era fermata poco più avanti e l’autista era sceso per vedere cosa fosse successo. Vedendo una macchia di sangue che si allargava sotto al cane immobile, si mise le mani nei capelli. Cercava di scusarsi perché non l’aveva vista. Non sapeva come rimediare. Sotto shock gli ripeteva:

“Dimmi cosa posso fare? Cosa devo fare?”

“Non lo so, è morta… mi sento male, è morta.”

“Come posso aiutarti, cosa faccio? Chi chiamo?”

“Non lo so, non ce la faccio… è schiacciata.”

Claudio provò a sedersi ma era intontito come se fosse stato investito lui. Le voci, i suoni, la luce erano come dall’interno di un casco di un palombaro sott’acqua. Mentre cercava di inquadrare l’uomo che aveva investito Penny, dal cancelletto di fronte erano usciti Lidia e Stefano in silenzio.

Non si erano nemmeno fermati, erano passati davanti alla tragedia catatonici.

Avrebbe voluto chiedere aiuto all’amica perché non stava capendo nulla e non si reggeva in piedi. L’uomo continuava:

“Ti prego dimmi cosa posso fare, ti giuro mi dispiace. Anch’io ho un cane. Non so cosa fare.”

Per un istante vide la testa di Lidia girarsi e lanciare uno sguardo da un volto che non era il suo.

Aveva la bocca aperta con dei denti irregolari. Il viso scuro e gli occhi gialli come quelli di un gatto.

Un gesto fulmineo come un gatto che soffia.

Non era Lidia, aveva visto male, era una faccia orribile. Era sotto shock, era convinto di aver visto la morte in faccia.

Il signore disperato implorava:

“Per favore dimmi cosa devo fare.”

Claudio riguardò di nuovo quel corpicino con la testa sulla strada e la lingua fuori:

“Non lo so, io non ce la faccio a raccoglierla.”

Intanto l’autista era tornato verso la macchina con le quattro frecce a cercare qualcosa. Si ripresentò con un telo da mare e intanto Claudio tenendosi la testa con le mani gli urlava:

“Buttala via, ti prego buttala via. Non riesco a prenderla.”

“Ma dove la porto, ha il microchip?”

“Sì, ma cosa importa è morta, è spappolata! Buttala non voglio più vederla. Toglimela!”

Su quella strada passavano pochissime macchine perché era una zona residenziale. L’uomo sparì con il fagotto e tornò di nuovo con lo stesso disco rotto:

“Come posso aiutarti? Cosa posso fare? “

“Abito qui sopra, adesso salgo.”

“Ti lascio il mio numero, qualsiasi cosa chiamami.”

“Prendi il mio telefono, scambia tu i numeri, io non riesco mi tremano le mani.”

“Ti chiamo più tardi per chiederti come stai.”

“Non preoccuparti, non importa, vado a casa.”

Salì e si buttò sotto la doccia.

Non sentiva il suo corpo.

Era come fuori da sé stesso.

Gli sembrava di udire un fischio continuo nelle orecchie.

Riuscì a vestirsi, prese le chiavi della macchina e tornò a Bologna.

Di sabato sera a luglio non c’era nessuno che dalla riviera tornava in città.

Con velocità di marcia ai 150 km/h messaggiava su Whatsapp:

“Sto tornando a Bologna, è successa una cosa terribile. Hanno investito la Penny davanti ai miei occhi.”

Inoltrava lo stesso messaggio a quelli che gli venivano in mente, i genitori, i colleghi, tutti quelli che avevano voluto bene a Claudio e Penny come una coppia.

Arrivato a casa, si lasciò cadere a peso morto sul letto a pancia in su.

Il telefono squillava ma non rispondeva.

Dalla finestra sentì la voce della ex moglie che lo chiamava.

Le rispose con un filo di voce mentre lei scavalcava il cancello per entrare. Si era seduta a tavola e cominciò a piangere:

“Non piangere dai, guarda non lo faccio nemmeno io. Vieni qui per favore. Non riesco a muovermi. Guarda tu il mio telefono. Non ce la faccio a parlare con nessuno.”

Lei si avvicinò per prendere il telefono e cercava di far sedere Claudio sul letto che sembrava schiacciato da un macinio invisibile. Appena raddrizzato aveva appoggiato tutto il peso sulla spalla di Gabriella e cominciò a singhiozzare:

“Non so come sia successo. Me l’hanno uccisa davanti.” “Non ha pianto, è morta sul colpo ma non riesco a togliermi quella scena dagli occhi e quel suono cupo mentre rotolava sotto le ruote.”

Anche lei piangeva senza dire niente. Claudio intanto vide sul display del telefono la mamma:

“Pronto Claudio, cos’è successo?”.

“Mamma è morta. Schiacciata. Le budella fuori.”

“Oh, mio Dio, come si fa adesso. Ci dispiace tanto, era la nostra nipotina.”

“Non so cosa fare. L’ho fatta buttare nel rusco.”

“Noi stiamo andando sui colli con gli amici a vedere l’eclisse di luna. Vuoi che venga lì?”

“No è venuta la Gabry.”

Rispondeva alle chiamate degli amici singhiozzando ripetendo le stesse parole. Dopo un pianto liberatorio si era addormentato. Quando si svegliò era mezzanotte passata e aveva fame.

Con gli occhi rossi e la faccia gonfia, andarono in centro a mangiare qualcosa. Durante la cena si sentiva più sollevato. Aveva riacquistato i suoi nervi. Adesso riusciva a respirare. Quella sera la ex moglie si era fermata dormire da lui. Tornati a casa, scoppiò in una nuova crisi di singhiozzi. Si teneva la testa e diceva:

“Non ce la faccio più, non riesco a cancellare quella scena! Mi passa di continuo davanti agli occhi e io non ho fatto niente.”

La mattina dopo incontrò Federico per fare colazione al Centro Commerciale Meraville.

Gli faceva male la faccia da gran che aveva pianto.  All’amico non disse niente perché gli era bastato mandargli il messaggio. Davanti al bar si fermò:

“Oh, cazzo aspetta ad entrare, mi sta venendo da piangere di nuovo. Torniamo un attimo alle macchine che mi riprendo.”

“Sai perché piango stamattina? Perché vedo ancora le sue zampine che si muovono e poi il suo musino sulla strada. Non l’ho nemmeno salutata, non sono nemmeno riuscito a darle un bacino sulla testolina. E lei mi guardava con la lingua fuori. L’ho fatta buttare nel rusco!”

Anche Federico piangeva dietro gli occhiali da sole.

Dopo colazione, Claudio trovò il coraggio di andare dal veterinario a denunciare la morte all’anagrafe canina.

A casa aveva fatto sparire le cose che le appartenevano e le aveva portate al canile comunale. Suonò il campanello e una voce gli urlò:

È chiuso, ci sono gli orari lì fuori”.

Lui rimase lì immobile e suonò di nuovo. Si affacciò una ragazza e lui senza parlare gli sventolò davanti una cuccia e un sacco di crocchette. Con un filo di voce strozzata le disse:

“Non c’è più, è morta ieri sera.”

Tornato a Cattolica, la vita-vacanza continuava. Claudio aveva sempre una croce nel cuore e più che altro sull’asfalto era rimasta la macchia di sangue e le strisciate della frenata della macchina.

Le vedeva ogni volta che si affacciava al balcone. Guardava nella casa davanti e scambiava due chiacchere con Lidia o con la vicina Mara.

Quest’ultima, non era d’accordo sull’amicizia instaurata con la madre e il figlio disabile. Lei non gli rivolgeva nemmeno la parola e si girava dall’altra parte.

Un giorno Claudio incontrò Mara fuori dal supermercato e le chiese cosa avessero fatto di male, tanto da evitarli:

“Ah non sono mica normali quelli.”

“Ma certo, non vedi come vivono? Sono infelici.”

“Lei è matta, ha qualcosa che non va. Il figlio sarebbe normale se non fosse per lei.”

“Che io sappia Stefano ha una malattia ai muscoli.”

“La madre lo tiene così, il ragazzo è sano. Sapessi cosa sento certe notti. Lei fa dei versi che sembra una bestia. Io non so cosa gli faccia a quel figlio.”

“Ma chi Lidia?“

“Tu lo sai che fine ha fatto il marito? Gli ha lasciato tutto, ma sappiamo che lei l’ha fatto fuori. Poi ha fatto credere che fosse un incidente in auto. Com’è che lei non si è fatta neanche un graffio? Quella donna è un mostro!”

“Ma non credo Mara, per me esageri. Quei due non possono fare male a nessuno.”

“Ah io se fossi in te, che vai in casa loro, starei attento!”

Si allontanò perplesso e disturbato dalle insinuazioni della vicina di casa. Per lui la matta era lei e anche stronza.

Una sera era andato a cena da Lidia e Stefano.

Come sempre a quell’ora giocavano al quiz televisivo.

Era incredibile come in quel momento di gioco, Stefano fosse un ragazzo normale che si divertiva. Guardava Claudio negli occhi e traspariva un barlume di felicità. Quella sera il conduttore pronunciò la definizione:

“Lo sono due uomini o due donne che hanno una relazione amorosa.”

“O-M-O-S-E-S-S-U-A-L-I.”

Stefano aveva smesso di ridere e prese la mano di Claudio serio e con voce ferma gli chiese:

“Come io e te?”

Claudio ritrasse la mano con il sangue gelato nelle vene e senza avere il tempo di trovare una parola adatta, a Lidia scivolò di mano la pirofila con la cena, frantumandola in mille pezzi con un rumore assordante.

Claudio si alzò di scatto incrociando lo sguardo della donna che si era piegata a raccogliere il disastro. Di lato, sotto il tavolo, come quel giorno dell’incidente della Penny, rivide quella faccia scura con la bocca spalancata e gli occhi gialli. Stefano era già con la testa abbassata immobile e disse:

“Forse è meglio che vai. Adesso mamma è arrabbiata.”

Prese la porta con il cuore in gola e si precipitò nel suo appartamento. Era sconvolto. Era successo qualcosa.  Aveva visto quell’immagine demoniaca che credeva fosse effetto dello shock. Quel ragazzo era innamorato di lui? La madre era gelosa? Era successo tutto troppo velocemente. La frase, il boato e la faccia satanica. 

Per un paio di giorni non ebbe il coraggio di farsi vivo. Voleva affrontare il discorso dell’affermazione di Stefano con la madre ma, da quella sera, aveva paura di lei. Sicuramente si era fatto suggestionare dalle insinuazioni della vicina di casa. La sua fantasia fervida unita allo shock ricorrente della morte del cane, gli avevano fatto un brutto scherzo alla mente.

Un pomeriggio Lidia e Claudio si erano salutati dai balconi e lei ne aveva approfittato per chiedergli un favore:

“Claudio come stai? Non ti vedo più.”

“Hai ragione Lidia, sono stato via per lavoro e sono tornato adesso.”

“Volevo chiederti una cosa. Oggi pomeriggio viene una a darmi una mano a staccare le tende e pulire i vetri. Potresti stare un’oretta con Stefano? Non so, lo porti a prendere un gelato…”

“Ma certo, come sta?”

“Lo preparo e ci vediamo davanti al cancello.”

Davanti a casa, il ragazzino era contento di rivedere il suo amico. Parlava e si agitava sulla sedia a rotelle per trovare un contatto fisico con Claudio. L’amico più grande era lusingato di tanto affetto ma allo stesso tempo imbarazzato perché temeva che si fosse attaccato un po’ troppo e che stesse travisando l’amicizia.

“Evvai! Andiamo in centro a fare i fighi! Voglio essere anch’io bello come Claudio, mi devo abbronzare.”

“Ma Stefano, tu sei già bello così. Io sono un vecchio. Adesso quando passiamo si volteranno tutte le ragazze e guarderanno te.”

Scherzando in questo modo, impugnò le manopole della sedia e cominciò a spingere facendo una battuta alla madre.

“Spero di non riportartelo ubriaco, anzi preoccupati se non torniamo, perché andiamo fare serata!”

Non ebbe il tempo di finire la frase che fu placcato da dietro. Lidia l’aveva cinto con il gomito al collo paralizzandolo e con la faccia attaccata al suo orecchio gli disse:

“Sappi che dovunque andiate io vi troverò.”

La voce non era quella della donna, era profonda e rauca. Si era immaginato di nuovo quella faccia con gli occhi gialli. Era stato bloccato da forza che non le apparteneva.

Provò una scarica di ribrezzo lungo la spina dorsale e il cuore bloccato nel petto.

Senza dire niente con le gambe di cemento si allontanò spingendo il ragazzo.

Anche Stefano non parlava. Guardava per terra. Di nuovo, era successo qualcosa di fulmineo e terrificante che lasciava senza parole. Si era ripetuta la scena in cui, la madre, tirava fuori un demone e il figlio automaticamente si spegneva e cadeva in un torpore sottomesso.

Aveva ragione Mara.

Quella donna non era a posto. Faceva paura. Aveva una doppia personalità ma più che altro aveva qualcosa di terrificante e soprannaturale.

Si fermarono alla gelateria “ll Gelso” vicino al Palazzo del Turismo. Il dialogo tra i due riprese per circostanza:

“Come lo vuoi Stefano?”

“Mascarpone e pistacchio.”

“Te lo faccio fare in una coppetta perché ho paura che il cono ti sgoccioli sui pantaloni.”

“No, voglio il cono, non mi sporco, non aver paura.”

Invece, di paura, Claudio, ne aveva tanta. Non sapeva con chi parlarne. Nessuno gli avrebbe creduto. Era impossibile. Era tutto frutto della sua immaginazione.

Portò a casa il ragazzo e lo consegnò alla madre come un pacco senza avere il coraggio di guardarla in faccia.

La sera non riusciva a prendere sonno, era terrorizzato dalla scena avvenuta nel pomeriggio. Gli sembrava troppo reale. Non poteva esserselo immaginato.

Anche Stefano, si era spento come un bambolotto con le pile scariche.

Gli veniva in mente quella presa al collo e la voce nell’orecchio. Gli si ghiacciava il sangue e prosciugava la saliva.

Si ricordò di Marlene, quella ragazza strana conosciuta una sera per caso a Bologna. Gli aveva parlato dei demoni e delle porte dell’emotività.

Decise così, di cercare su Google le chiese di Cattolica perché aveva intenzione di parlarne con un prete prima di andare da uno psichiatra.

Era inquieto e smarrito.

Agitandosi nel letto, si affacciò dall’interno della porta finestra per guardare la casa di Lidia e Stefano.

Dalla loro porta del balcone si distingueva la luce blu della Tv accesa e la sagoma del giovane di spalle. In quel momento vide l’ombra della donna che si avvicinava al figlio con un bicchiere in mano e mentre lo porgeva al ragazzo, la testa si era alzata di scatto come un flash aveva incrociato lo sguardo di Claudio. Di nuovo quella faccia con la bocca spalancata e gli occhi da gatto.

Sobbalzò sul letto ansimando scioccato.

Non poteva succedere davvero. Vedeva un demone dentro Lidia. Stava diventando matto. Non sapeva se essere più terrorizzato da quello che vedeva o per la sua salute mentale che gli stava giocando dei brutti scherzi.

Decise che sarebbe andato alla Parrocchia di Sant’Antonio da Padova a cercare il prete della città.

L’estate stava finendo, settembre era alle porte e di lì a qualche giorno, i ragazzi di Bologna avrebbero lasciato l’appartamento estivo.

I tramonti sul mare erano molto anticipati rispetto all’inizio della stagione e di sera faceva freddo tanto da preferire i locali al chiuso.

Nelle ultime uscite, avevano scoperto che alla Caffetteria Mazzini, c’era il Karaoke tutte le sere. Il bar era sulla via principale della città interna. Era frequentato da gente locale che viveva di notte. Avevano conosciuto la piadinara di Porto Verde, scaricatori di porto, camionisti, puttane e chiunque si fermasse attirato dalla musica per bere un drink anche da solo.

Erano capitati una sera dopo che avevano bevuto un po’ troppo ai Quattro Bar a Cattolica Marina.

Claudio era euforico e dentro quel locale si era improvvisato conduttore di X Factor annunciando i cantanti e inventando degli slogan a mo’ di sponsor dei concorrenti.

Le serate successive, i frequentatori del bar si ricordavano di lui e gli chiedevano di essere presentati con uno sponsor inventato. Si passavano i microfoni sostituendo la copertura come regola igienica anti covid.

Dopo qualche giro di bevute, tutti cantavano con tutti dimenticando cosa fosse il distanziamento.

Un giorno Valentina cominciò a sentirsi poco bene, aveva mal di testa e la nausea:

“Ti è mai capitato di avere talmente lo stomaco vuoto da aver voglia di vomitare?”

“No, mai, difficilmente ho lo stomaco così vuoto, al massimo rigetto quello che ho mangiato nel pasto prima.”

“Ho dei brividi pazzeschi, credo che mi stia salendo la febbre”.

“Stai a letto Vale, avrai preso freddo.”

Quella notte Claudio si svegliò con i piedi ghiacciati. La finestra era aperta e le coperte erano troppo leggere. La mattina in cucina aveva incontrato la madre di Valentina sulla poltrona vicino alla finestra.

“Mamma mia, ho patito tanto di quel freddo… sono venuta qui alle cinque del mattino perché non avevo più sonno e non volevo svegliare Valentina. Non sapevo con cosa coprirmi e sono morta dal freddo.”

“Buongiorno…anch’io mi sono svegliato congelato stanotte, avevo i piedi scoperti.”

Claudio doveva partire per una trasferta e si sentiva indebolito e intontito.

Di lì a poco gli scoppiò un forte raffreddore.

Arrivato in albergo a Trento chiamò la sua amica che aveva lasciato a casa:

“Vale come stai?“

“Sono stata malissimo, ho la febbre a 38.8 e non scende. Anche mia madre sta male”.

“Senti che voce che ho anch’io, mi è scoppiato un raffreddore terribile. Mi imbottisco di aspirine perché ho degli impegni e stasera una cena. Se riesco dormo un’oretta perché sono distrutto.”

“Non è che ci siamo presi il Corona Virus?”

“Ma no, abbiamo preso freddo. Io poi sono vaccinato.”

Tornato a Cattolica, incrociò Mara la vicina:

“Ciao Claudio, come stai?”

“Abbastanza bene a parte un brutto raffreddore che mi è scoppiato. Anche in casa la mia amica e sua madre sono a letto con la febbre.”

“Fatevi subito un tampone, anche i tuoi amici strani qui di fianco sono chiusi in casa con il covid.”

Una fitta allo stomaco. Com’era possibile? Il covid? Se fosse stato vero, dove l’aveva preso? Chi gliel’aveva attaccato? Entrò in casa e andò subito a vedere la sua amica in camera:

“Vale, dobbiamo fare il tampone rapido in farmacia per toglierci il dubbio.”

“Come faccio che non mi reggo in piedi?”

“Guardo le farmacie su Google e prenoto un test prima possibile. Mi ha detto Mara che Lidia e Stefano sono in isolamento con il Covid.”

Nel pomeriggio arrivò il verdetto. Tutti e tre i tamponi erano positivi. La priorità non era nemmeno la paura di morire ma il dover riorganizzare la vita in quarantena e avvisare tutte le persone con le quali c’era stato un contatto. La preoccupazione di Claudio andò anche ai suoi amici vicini di casa.

“Pronto?“

“Ciao Stefano, come state? Ho saputo che siete in quarantena.”

“Si, mamma sta abbastanza male, devono venire quelli dell’Usl a visitarci. Io non ho niente”.

“Sono risultato positivo anch’io e ho il raffreddore.”

“Noi non siamo vaccinati, sono preoccupato per mamma.”

“Stefano mi raccomando, chiamami per qualsiasi cosa. Se avete bisogno, infrango l’isolamento e salgo in casa vostra, tanto sono già contagiato.”

Riattaccando, Claudio si sporse dal letto verso il balcone per guardare la casa dei vicini. Vedeva il dietro del divano con una testa che guardava la TV, in quell’instante, di nuovo lo scatto fulmineo di quello sguardo di Satana con gli occhi gialli.

I sintomi peggioravano, Claudio aveva dimenticato la moka sul fuoco perché non aveva sentito l’odore del caffè. Mangiò un pacchetto di crackers e gli sembrava di masticare della segatura. L’olfatto e il gusto erano spariti. Tornò a letto con un senso di spossatezza per riprendersi un po’. Non osava più guardare fuori dalla finestra per paura di incrociare quello sguardo horror nella casa di fronte.

Nel tardo pomeriggio, chiamò Don Filippo della Parrocchia di Cattolica per aggiornarlo sui contagi e le ripetute visioni di quel demone.

Il prete decise d’intervenire e sfruttare la visita dell’USL per introdursi nell’appartamento e verificare in che stato si trovasse la donna.

Poco dopo si presentò al cancello una sagoma bardata da apicultore o da astronauta.

Fuori pioveva e tirava vento. Le nuvole si stratificavano e annerivano il cielo. Sembrava notte e i lampi illuminavano la camera dalla finestra.

Claudio si sentiva la febbre salire con dei brividi che gli provocavano delle convulsioni. Gli spasmi erano così forti che dovette correre in bagno e vomitare.

Si contorceva nel letto e credeva di delirare. I tuoni in lontananza gli sembravano dei pugni dentro le pareti di casa. Sudava e aveva paura perché il suo cervello gli presentava dei flash di quel volto con gli occhi gialli che soffiava come un gatto con la bocca spalancata.

Ad un tratto il bagliore dei lampi era stato sostituito dai lampeggianti di un’ambulanza che sostava davanti alla lavanderia di Via Viole.

Come uno straccio, si affacciò alla finestra e vide degli uomini con le tute bianche portare giù una barella con Lidia imbragata priva di sensi.

Fu ricoverata all’ospedale di Riccione in terapia intensiva ma il suo cuore non aveva retto e il giorno dopo era morta. Grazie all’aiuto di Don Filippo, Stefano fu ospitato in un centro giovanile per disabili a Padova.

Una mattina, a Forlì, prima di mettersi in macchina e spostarsi dal prossimo cliente, si era fermato in un Bar per prendere un caffè.

Stava controllando le chat di lavoro e le mail urgenti sul telefono aziendale, diede un’occhiata ai social sul suo cellulare privato. Vide una notifica su Instagram:

“Stefano Belgras ha iniziato a seguirti.”

Senza porsi la domanda di chi fosse, si collegò automaticamente al profilo e vide con sorpresa che si trattava di Stefano, quel ragazzo sulla sedia a rotelle a Cattolica.

Cominciò a guardare qualche foto nella gallery e si rese conto che il ragazzo era guarito, aveva diverse foto in compagnia di un suo coetaneo.

Era solare e sorridente. In ogni scatto risaltavano i suoi denti bianchi e regolari. Aveva sempre i boccoli sulla fronte ed erano scomparsi quei solchi neri sotto gli occhi e il pallore dal viso.

Una stretta al cuore.

Quel ragazzo aveva avuto una seconda chance dalla vita dopo tutto quello che aveva passato. Sperava che quell’amico magari fosse il suo fidanzatino e che potesse godersi la gioventù e l’amore.

Cominciò a seguirlo a sua volta e gli mise i like nelle foto. Quella giornata era speciale, una notizia inaspettata. Un raggio di sole in un capitolo buio.

Andando verso l’autostrada su Via Ravegnana all’incrocio con via Baccarini, il traffico era interrotto da un incidente.

Doveva essere appena successo perché non erano ancora arrivati i soccorsi.

Claudio accostò con le quattro frecce e si avvicinò per rendersi utile.

Una ragazza neopatentata al volante di una Cinquecento aveva investito una donna in bicicletta. La vittima era supina sull’asfalto con le gambe scomposte e le scarpe lontane dal punto di collisione. La spesa caduta dal cestino era sparsa vicino al corpo. Il volto era appoggiato al manto stradale e gli usciva sangue e saliva dalla bocca. Sembrava che facesse fatica a respirare e probabilmente era incosciente. Sbatteva lentamente le palpebre. Ad un tratto l’autista di un taxi era corso vicino alla moribonda avvertendo tutti che era un volontario del 118 e si mise subito all’opera per girarla con cautela in modo da non compromettere eventuali fratture ed evitare il soffocamento.

In quel momento era arrivata anche l’ambulanza. Gli operatori cominciarono a tagliare gli indumenti e coprirla con una coperta termica per poi imbragarla e caricarla sulla barella.

Claudio si teneva una mano sulla bocca e assistette a tutta la trafila.

Non sapeva perché, ma non voleva che quella donna morisse così, schiacciata sulla strada come la Penny. Avrebbe voluto consolarla e dirle che sarebbe andato tutto bene. Non riusciva a togliere lo sguardo da quegli occhi assenti che roteavano nelle orbite.

Ad un tratto quelle pupille folgorarono l’attenzione di Claudio con due occhi gialli e la bocca del gatto che soffia.

Fece un balzo indietro con le spalle al muro terrorizzato.

Sgombrarono la strada e il traffico riprese a circolare.

In autostrada fu sorpassato dall’ambulanza a tutta velocità e supplicava con il magone in gola.

“Ti prego non morire.”

Il cellulare aveva vibrato nella tasca per un nuovo messaggio su Instagram di Stefano:

“Sono felice di averti ritrovato.”

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