UNA AMICIZIA SINGOLARE di Ida Daneri

Foto di Enrique Meseguer da Pixabay 

L’ondulato paesaggio campestre scorreva veloce a lato del treno, illuminato da un sole scialbo che a tratti faceva capolino dalle nubi. 

Savin Weiß, protetto da un paio di occhiali scuri sul volto pallido, guardava fuori dal finestrino schermato dai raggi ultravioletti chiedendosi con amarezza, le labbra serrate e scrollando piano la testa, cosa diavolo ci facesse lì, proprio lui, nel cupo viaggio di ritorno in città.

Eppure lo sapeva, fin troppo bene: lui, solo lui era la causa dell’ignominioso viaggio della sconfitta.

Sul sedile di fronte, nello scompartimento vuoto, c’era l’unica persona che, oltre ai discendenti di Helmut Von Hellermann, gli avesse mai dimostrato amicizia, una vera amicizia disinteressata: Renè Laforêt, l’essere del quale non aveva più potuto nascondere il pericoloso segreto, rendendogli così la vita sempre più difficile.

Come se fosse stata facile la sua, di esistenza, invece.

Così, adesso si trovava a “scortare” Laforêt sul treno, insieme agli studenti che tornavano a casa per le vacanze estive.

Renè, però, l’anno successivo non sarebbe più potuto tornare alla scuola.

Non si poteva certo lasciare un lupo mannaro vicino ai ragazzi!

Quale perversa e sottile mente, se non quella di Albert Von Hellermann, avrebbe potuto pensare di porre un vampiro a difesa degli studenti e a guardia del mannaro?

Davvero un degno bis-bis-pronipote del vecchio Helmut, il famoso cacciatore di vampiri che duecento anni prima aveva cambiato la sua vita.

Da allora i Von Hellermann erano diventati suoi protettori: gli fornivano nuove identità quando la sua si logorava e un posto tranquillo in cui vivere finché, a tempo debito, potesse tornare da loro.

In cambio, il vampiro aveva rinnegato la sanguinaria natura e sopravviveva senza far del male a nessuno, o quasi.

Un vampiro addomesticato, così lo stuzzicava bonario Albert, ultimo discendente della famiglia del grande cacciatore e direttore del collegio universitario in cui Savin dimorava.

Un vampiro che aveva imparato a nutrirsi solo per lo stretto indispensabile e si era rassegnato al sangue degli animali e ad altri succedanei dal discutibile sapore.

Ma, almeno, la sua coscienza aveva smesso di farsi sempre più pesante.

Una coscienza che non avrebbe più dovuto possedere dopo la sua trasformazione, centinaia di anni prima.

E invece…

Un sorriso triste, senza alcuna luce, attraversò il volto pallido del vampiro che, per un istante, abbassò gli occhiali e con i profondi occhi neri scrutò l’amico seduto di fronte.

Renè dormiva: aveva la coscienza pulita, lui.

Però aveva l’aria più stanca del solito.

Anche se, sul suo viso, aleggiava l’ombra di un sorriso.

Era la specialità di Renè: un sorriso riusciva sempre a tirarlo fuori, in ogni situazione, anche la peggiore.

Un sorriso con la luce dentro.

Quella luce che, invece, per lui se n’era andata da secoli, ormai.

Dalla notte in cui aveva infine ottenuto quello che più bramava.

L’immortalità.

Scosse secco il capo, scacciando i ricordi della follia del passato e tornò al presente, a quell’ultimo anno di scuola durante il quale aveva creduto, aveva sperato che…

Come sempre, invece, alla fine era riuscito a distruggere tutto, anche la luce e il calore di un’amicizia appena nata.

Il vampiro tornò a guardare dal finestrino: il sole, adesso, era completamente oscurato da una densa nuvola nera.

Gli occhiali da cieco non servivano più.

Li tolse abbandonandoli sul sedile a lato.

Non era solo colpa sua, però.

Renè aveva rischiato di uccidere altri studenti, di trasformarsi in un feroce assassino.

Proprio lui usava quella parola e formulava l’empia accusa.

Lui che per secoli aveva ucciso e dissanguato esseri umani.

La smorfia di tristezza sul viso si tramutò in un amaro ghigno di disprezzo, per se stesso.

Renè Laforêt non dormiva.

Era stanco, sì, molto stanco: di continuare a fuggire da se stesso e dalla sua maledizione che, puntualmente, tornava sempre a rovinargli la vita.

Questa volta, innegabilmente, la colpa era però soprattutto sua.

Dopo il crepuscolo, mentre si recava da Savin, si era accorto di aver dimenticato il libro promesso.

Era tardi, ma uno sguardo al cielo gli aveva assicurato che le nuvole formavano un protettivo schermo compatto.

Temerario, era tornato indietro a prendere il testo in biblioteca, nella palazzina a fianco dei dormitori.

Quando era uscito sul prato, le nuvole galoppavano veloci, nere e cariche di pioggia, sospinte da un forte vento.

All’improvviso, una potente raffica aveva percosso rapida la coltre nuvolosa e la luna, perfida nemica, l’aveva illuminato con i suoi freddi raggi indifferenti.

Quante cose sarebbero state diverse se non fosse stato così imprudente.

C’era Savin Weiß, con il suo incredibile intruglio che gli permetteva una vita quasi normale, e la loro amicizia, nata così faticosamente, notte dopo notte di sofferenza.

Invece aveva rovinato tutto.

Così, ancora una volta doveva ricominciare da capo, sempre più solo, sempre più stanco.

Questa volta, però, il rimpianto era peggiore del solito e il punto dolente era proprio Savin.

Sapeva che era lì, nel sedile di fronte, anche se non osava aprire gli occhi e guardarlo.

Temeva d’incontrare il nero sguardo accusatore, nuovamente gelido, duro e sprezzante nei suoi confronti.

Se pensava, invece, a quanto era stato diverso, quello sguardo, negli ultimi mesi, quali fiamme aveva intravisto, quale calore gli aveva saputo dare la sua amicizia!

Ma ormai era tutto finito.

Non gli aveva creduto, non era riuscito a convincerlo d’essere solo stato un incauto idiota troppo ottimista.

Savin continuava a pensare che fossero tutte scuse, che l’avesse fatto apposta, per sfuggire al suo ferreo controllo e correre di nuovo sotto la luna, libero e feroce.

Quanto si sbagliava il caro amico.

Quella notte, quando non si era presentato al consueto appuntamento, Savin lo aveva immediatamente cercato.

Con gli ultra sviluppati sensi da vampiro e l’impareggiabile velocità.

Lo aveva intercettato appena in tempo per salvare la coppietta appartata ai margini del prato esterno del collegio.

Il mattino seguente lo aveva denunciato a Von Hellermann, che l’aveva presa fin troppo bene, decretando solo la sua interdizione perpetua dalla scuola.

E tutto era finito…

In effetti, non aveva nulla da rimproverargli.

Savin aveva fatto solo il suo dovere: mettere in guardia il direttore e proteggere gli studenti. Quella notte gli aveva dimostrato quanto i suoi iniziali timori fossero fondati: solo per il provvidenziale intervento dell’amico non aveva ucciso nessuno.

No, non c’era nulla da recriminare: aveva solo avuto quello che si meritava e Savin non aveva alcuna colpa.

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UNA AMICIZIA SINGOLARE è un racconto di Ida Daneri

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